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mercoledì 6 maggio 2015

Curarsi (non) è permesso: I risultati dell'indagine sull'accesso alle cure per i cittadini stranieri irregolari negli ospedali milanesi.


“Prevedendo il pieno accesso alle cure anche per i cittadini stranieri irregolari, la normativa italiana è avanzata ed includente”: inizia così la dichiarazione degli operatori del Naga a seguito della loro ultima indagine che riguarda la salute di tutti i cittadini, italiani e stranieri.
Il diritto alla salute viene protetto, come ricorda la Corte Costituzionale, “come ambito inviolabile della dignità umana”.
Tra gennaio 2014 e febbraio 2015 i volontari del Naga ne hanno verificato l'effettiva applicazione negli ospedali milanesi, con un'indagine qualitativa, raccogliendo documentazione  le testimonianze.
Gessi non tolti, controlli diagnostici e ricoveri non effettuati, farmaci salvavita non forniti, esenzioni non applicate, pazienti cronici respinti, mancata erogazione del codice Straniero Temporaneamente Presente (STP) che permette l'accesso alle cure, ai farmaci e agli esami diagnostici. Sono questi alcuni dei 155 casi dei quali abbiamo raccolto la documentazione clinica e che dimostrano che a Milano e nei paesi limitrofi, ogni anno, cittadini stranieri irregolari affetti da patologie anche gravi non ricevono assistenza sanitaria adeguata” afferma il Dott. Fabrizio Signorelli, direttore sanitario del Naga.
Dalla nostra indagine emerge che in 80 dei 155 casi di pazienti non adeguatamente assistiti si tratta di patologie gravi come il diabete mellito, fratture ossee, casi di tumore o gravi patologie cardiache. Si tratta di persone giovani (età media 43 anni), prevalentemente di sesso maschile (76%), provenienti principalmente dai paesi del nord Africa, centro America, sud est Asiatico, Romania. Il 20% dei pazienti che non ha ricevuto assistenza è cittadino comunitario. I casi si distribuiscono equamente in tutti gli ospedali di Milano e dei paesi limitrofi e si rilevano prassi estremamente variabili, a discrezione dei singoli ospedali o anche dei singoli operatori” prosegue il direttore sanitario.
Riteniamo che tutto ciò sia, in parte , frutto di una mancanza di conoscenza della normativa da parte degli operatori sanitari e amministrativi, di difficoltà burocratiche e linguistiche e di un'abitudine diffusa a demandare alle associazione di volontariato. Ma crediamo che ciò derivi anche da una chiara volontà politica regionale di non rendere pienamente godibile il diritto alle cure per tutti nella nostra città” conclude Signorelli.
Affinché le cure siano garantite a tutti, senza discriminazione alcuna, è necessario un chiaro cambio di rotta politico. Al di là di ogni interpretazione del fenomeno migratorio, crediamo che debba essere garantito a tutti il pieno godimento del diritto alla salute. Non solo per rispettare la legge, ma soprattutto per una questione di civiltà, equità e giustizia; crediamo, infatti, che sia inammissibile che una fetta di popolazione che vive sul nostro territorio venga esclusa dal godimento di un diritto fondamentale” afferma Luca Cusani presidente del Naga.
In attesa di un cambio di approccio strutturale e di vedere la legge pienamente applicata, sottoponiamo alcune raccomandazioni che potrebbero migliorare notevolmente la situazione attuale: rendere concretamente possibile per i pazienti stranieri irregolari l’iscrizione agli ambulatori dei medici di medicina generale; utilizzare il codice ENI, riconosciuto a livello nazionale, per i cittadini dell’Unione Europea indigenti privi di assistenza sanitaria; permettere anche agli ospedali privati convenzionati di prescrivere farmaci ed esami su ricettario regionale per i pazienti stranieri irregolari e attuare una campagna di informazione e formazione rivolta a chi opera nella sanità” prosegue Cusani. "Come Naga continueremo a denunciare ogni forma di discriminazione e a colmare temporaneamente le lacune del sistema sanitario: curiamo, senza chiedere il permesso”.




Scarica tutto il report, i casi esemplari, l'abstract, l'abstract in inglese.

giovedì 26 giugno 2014

Un ambulatorio popolare per migranti e non solo


Cari lettori,


Pubblichiamo anche noi l'intervento del 6 maggio 2014 a cura dell'Ambulatorio Medico Popolare (www.ambulatoriopopolare.org) di Via dei Transiti di Milano, pronunciato in occasione del presidio contro la riapertura dei CIE e dei CARA a Milano, presidio che si è tenuto davanti alla Prefettura della capoluogo lombardo.

 

L'Ambulatorio Medico Popolare si trova in Via dei Transiti, 28 (MM PASTEUR) a Milano.

Apertura: Lunedì dalle 15.30 alle 19.00 e Giovedì dalle 17.30 alle 20.00

Telefono: 02-26827343

mail: ambulatorio.popolare@inventati.org


L’Ambulatorio Medico Popolare di via dei Transiti è un’associazione che dal1994 porta avanti la battaglia in difesa del diritto alla salute, lottando per un’assistenza sanitaria di base gratuita per tutti e praticando una solidarietà militante perché il fenomeno migratorio non sia affrontato solo come un problema di pubblica sicurezza, ma come esperienza di vita che italiani ed europei in primo luogo sperimentano e hanno sperimentato.

Quest’anno compiremo i 20 anni dall’apertura del nostro ambulatorio, esperienza che tanto ha in comune con molte altre, come quelle del NAGA e di Oikos.

In Italia ai migranti privi di permesso di soggiorno viene negata la tessera sanitaria, quindi per curarsi possono solo richiedere un codice chiamato STP (Straniero Temporaneamente Presente). Questo codice garantisce l’accesso alle cure farmacologiche e specialistiche urgenti ed essenziali, ma non l’assistenza di base: questo comporta l’impossibilità di ottenere le prescrizioni per esami o visite e quindi di mantenere sotto controllo patologie croniche. La regione Lombardia delega ad associazioni di volontariato questo problema, non facendosene carico in alcun modo.

SI nega così il diritto all’accesso alle cure di prima soglia ad un gruppo di uomini e donne, che nell’impossibilità di ottenerle seguendo un percorso sanitario “convenzionale” deve ripiegare su soluzioni di fatto di qualità inferiore, perché su base volontaria, e quindi con garanzie di professionalità e disponibilità relative. Si genera così una sorta di sanità di serie B, un accesso “dal retrobottega” alle cure mediche di base, indispensabili a tutti per garantire un’assistenza sanitaria continuativa e adeguata. Questo vale principalmente per i malati cronici, gli anziani e i bambini; questi ultimi due gruppi di assistiti solo da poco hanno trovato spazio nel SSN, anche se precario e poco garantito.

In questo scenario,l’assistenza sanitaria pubblica di base dipende dal permesso di soggiorno, che è a sua volta vincolato al possesso di un contratto e di un reddito lavorativo: questo spinge ad accettare condizioni di lavoro infime pur di conservare il permesso di soggiorno, un ricatto che trova la sua origine nelle leggi Bossi-Fini eTurco-Napolitano.

La nostra battaglia parte da qui, e date queste premesse, l’Ambulatorio Medico Popolare non può che sostenere la battaglia contro i CIE, che altro non sono se non dei lager di stato dove viene negato un altro diritto fondamentale, il diritto alla libertà.

L’Italia è un Paese senza memoria: ci siamo indignati per il naufragio del 3 ottobre e per il video che mostrava il trattamento di “disinfestazione” dei migranti nel CIE di Lampedusa, ci siamo indignati per la storia di Hellen e Joy, per i suicidi e le proteste delle bocche cucite, ci siamo puliti le coscienze alzando la voce da più parti per denunciare la vergogna di questi fatti. Passata l’indignazione, però, ci siamo di nuovo nascosti dietro parole come “centri di accoglienza” (CARA), per tacitare le nostre coscienze raccontandoci la bugia di strutture umanitarie dove ospitare temporaneamente i migranti, abbiamo ridato spazio e voce a politici e giornali che straparlano di “razzismo contro gli italiani” e di “emergenza migranti”.

Noi oggi siamo qui per fare in modo che la memoria non si perda, per ricordare che i CIE sono una vergogna e un abuso, per protestare, perché questo è l’unico modo per sperare che certi ignobili fatti non si ripetano.

Chiedere accesso alle cure mediche per tutti non significa solo lottare per il diritto alla salute, ma implica per noi sciogliere quel legame infido e infame che lega diritti, libertà, vita, lavoro, possibilità, sogni e aspettative ad un misero pezzo di carta, rilasciato da forze dell’ordine territoriali che nulla sanno di cosa voglia dire migrare o essere liberi, fisicamente e mentalmente.

Dobbiamo chiudere i CIE subito, chiudere i CARA subito, lasciare le persone libere di muoversi sulla terra, perché la terra è di tutti e non saranno i loro muri a fermarci o a dividerci.”