Visualizzazione post con etichetta CARA. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta CARA. Mostra tutti i post

martedì 11 novembre 2014

Via Corelli, non più CIE. (E un'intervista a Pierfrancesco Majorino e Caterima Sarfatti)




E' terminata, finalmente, la polemica sulla riapertura del Cie di Via Corelli ed è terminata con una buona notizia: non più un Cie, ma una struttura di accoglienza composta da 5 aree con 155 posti in camere da quattro letti, servizi sanitari e docce, mensa, un'area riservata ai bambini e una sala medica. Nell'edificio sono presnti cartelli in lingua araba, inglese, francese, tigrigno e italiano in cui viene spiegato come fare richiesta del permesso di soggiorno e gli ospiti possono avvalersi della consulenza di mediatori, assistenti legali e psicologi.

Dal 28 ottobre 2014 sono entrate le prime famiglie composte da profughi siriani. La struttura è stata messa a dispoizione del Comune di Milano, dopo la firma dell'accordo, lo scorso 14 ottobre in prefettura, tra l'amministrazione cittadina e l'ente gestore, la Gepsa S.A. Ad accogliere i profughi in transito nel capoluogo lombardo c'erano l'Associazione Acuarinto (soggetto gestore con Gepsa) e alcuni collaboratori con la Croce Rossa Italiana. “Oggi è un giorno che ricorderemo”, ha affermato Pierfrancesco Majorino, assessore alle Politiche sociali: “ l'ex Cie di Via Corelli ha riaperto con la nuova funzione di centro temporaneo di accoglienza e assistenza per chi non vuole rimanere nel nostro Paese, ma dalla nostra città passa ogni giorno. E' un posto in più che si unisce alle strutture già attive da un anno, attraverso cui sono passate sino ad oggi circa 48mila persone, di cui 11mila bambini”. Majorino ha continuato, insieme a Marco Granelli, assessore alla Sicurezza e Protezione civile: “ Da tempo chiedevamo al Governo un cambio di funzione per quella struttura e un luogo per accogliere le centinaia di profughi che ogni giorno arrivano alla Stazione Centrale. Dopo una trattativa durata mesi, è arrivato il via libera”.



L'Associazione per i Diritti Umani ha realizzato, prima dell'estate, un'intervista sul tema a Pierfrancesco Majorino e a Caterina Sarfatti che vi vogliamo riproporre in questa occasione.









Quante sono ad oggi, in percentuale, le persone che hanno richiesto asilo a Milano e quante sono riuscite a trovare una sistemazione? Qual è la percentuale tra uomini, donne e bambini?




Majorino: Stiamo parlando di dati complessi, comunque l'impressione che abbiamo è che stiamo parlando dello 0,1%, cioè 13-14 persone su 14500 che si fermano qui. Tutti se ne vogliono andare. In prospettiva la percentuale potrebbe modificarsi leggermente se si intensificasse la presenza degli eritrei. A differenza dei siriani - che se ne vogliono andare via tutti - gli eritrei potrebbero richiedere l'asilo qui, ma queste sono nostre supposizioni.



Per quello che riguarda la composizione di genere e generazionale, le cose cambiano molto tra siriani ed eritrei: i siriani hanno circa il 36% composto da bambini e ragazzini, gli eritrei invece sono in grande maggioranza maschi e non ci sono minori.





Dott.ssa Sarfatti, nel libro si è occupata della parte normativa: ci può spiegare, da questo punto di vista, come Milano può dare accoglienza?




Sarfatti: Milano può fare quello che sta facendo perchè, essendo una realtà locale, dal punto di vista normativo, purtroppo, può fare poco: in questo momento stiamo registrando in modo totalmente informale le persone, ma questa registrazione non ha alcun tipo di valore legale perchè la gestione dei flussi è del Paese ospitante o di transito, fin quando l'immigrazione è di competenza nazionale.



Una delle proposte che noi avanziamo nel gestire Milano come Lampedusa è quella di riconoscere alle città europee un ruolo che loro già esercitano de facto nell'accoglienza, ma anche nella gestione dei flussi perchè ormai le grandi metropoli sono punti nodali per il passaggio dei migranti e per l'integrazione.



Come città abbiamo richiesto di procedere a delle ipotesi normative che possano dare protezione a queste persone: l'idea più forte è la direttiva n. 55 del 2001 dell'UE che, se fosse applicata (cosa mai successa), potrebbe dare protezione immediata e temporanea ai profughi provenienti dalla Siria in tutti i 28 Paesi Membri. Oppure, come ultima spiaggia, potrebbe esserci l'applicazione dell'articolo 20 del Testo Unico: è un dispositivo nazionale che potrebbe dare protezione legale e rendere regolari queste persone per 6 mesi rinnovabili tramite un permesso temporaneo. Il governo italiano lo aveva applicato nel 2011 nel caso dei cittadini provenienti dalla Tunisia e aveva avuto una serie di complicanze a livello politico europeo, ma almeno era servito a proteggerli.

 

Che cosa si potrebbe fare di più e cosa possiamo fare noi cittadini milanesi?




Majorino: Per quello che riguarda l'azione dei cittadini, quello che si può fare concretamente è sostenere il percorso di accoglienza, partecipando da volontari, portando vestiti o materiale igienico-sanitario oppure, banalmente, parlarne.



Questo flusso di migranti in transito definisce una nuova categoria nelle politiche riguardanti la migrazione, una categoria che è stata rimossa perchè l'Europa e l'Italia si sono concentrate sulla problematica dell'arrivo e dell'accoglienza stabile e strutturale o del respingimento. Noi oggi, invece, stiamo intercettando una tipologia inedita che deriva dal fatto che la migrazione non è influenzata - come si dice spesso - da quel che succede “al di là” del Mediterraneo, ma da quello che succede “al di qua”: cioè, i Paesi in crisi della vecchia Europa non sono più attrattivi per i migranti, ma dai Paesi in crisi i migranti devono passare. Questo svela l'inappropriatezza delle norme e delle regole che accompagnano i processi di regolarizzazione e integrazione in Europa e,quindi, chiama anche la necessità di azioni differenti oppure chiama il fatto che le poche norme esistenti e utili vengano effettivamente utilizzate.



I cittadini possono parlare di tutto questo e togliere dal cono d'ombra i profughi in transito dai nostri Paesi che rischiano - proprio perchè l'invisibilità si accompagna con l'assenza di scelte politiche - di non essere accompagnati nel loro itinerario di speranza.




Sarfatti: C'è un principio normativo che verrebbe incontro alla situazione che descriveva Pierfrancesco e che è stato proposto dall'Italia all'ultimo Consiglio europeo del giugno scorso, ma che non è stato accettato: si tratta del principio del “mutuo riconoscimento”, quello per cui se io vengo riconosciuto come rifugiato in uno dei Paesi Membri, ho lo stesso identico trattamento in tutti gli altri Paesi Membri. Invece oggi succede che, se vengo riconosciuto come rifugiato, posso transitare regolarmente e fare il turista, ma non sono riconosciuto come cittadino comunitario: non posso lavorare, accedere al sistema sanitario, etc.


Nel dossier sono raccolte molte voci: potete anticiparci, ad esempio, quella di Titty Cherasien o di Christopher Hein?




Sarfatti: Titty Cherasien racconta del suo legame emotivo, oltre che biografico, con la Siria e con i luoghi da cui proviene parte della sua famiglia. Christopher Hein, come Direttore del Consiglio italiano per i Rifugiati, fa un ragionamento più complessivo su quali siano i problemi e le sfide dell'asilo e dell'accoglienza in Italia.

giovedì 26 giugno 2014

Un ambulatorio popolare per migranti e non solo


Cari lettori,


Pubblichiamo anche noi l'intervento del 6 maggio 2014 a cura dell'Ambulatorio Medico Popolare (www.ambulatoriopopolare.org) di Via dei Transiti di Milano, pronunciato in occasione del presidio contro la riapertura dei CIE e dei CARA a Milano, presidio che si è tenuto davanti alla Prefettura della capoluogo lombardo.

 

L'Ambulatorio Medico Popolare si trova in Via dei Transiti, 28 (MM PASTEUR) a Milano.

Apertura: Lunedì dalle 15.30 alle 19.00 e Giovedì dalle 17.30 alle 20.00

Telefono: 02-26827343

mail: ambulatorio.popolare@inventati.org


L’Ambulatorio Medico Popolare di via dei Transiti è un’associazione che dal1994 porta avanti la battaglia in difesa del diritto alla salute, lottando per un’assistenza sanitaria di base gratuita per tutti e praticando una solidarietà militante perché il fenomeno migratorio non sia affrontato solo come un problema di pubblica sicurezza, ma come esperienza di vita che italiani ed europei in primo luogo sperimentano e hanno sperimentato.

Quest’anno compiremo i 20 anni dall’apertura del nostro ambulatorio, esperienza che tanto ha in comune con molte altre, come quelle del NAGA e di Oikos.

In Italia ai migranti privi di permesso di soggiorno viene negata la tessera sanitaria, quindi per curarsi possono solo richiedere un codice chiamato STP (Straniero Temporaneamente Presente). Questo codice garantisce l’accesso alle cure farmacologiche e specialistiche urgenti ed essenziali, ma non l’assistenza di base: questo comporta l’impossibilità di ottenere le prescrizioni per esami o visite e quindi di mantenere sotto controllo patologie croniche. La regione Lombardia delega ad associazioni di volontariato questo problema, non facendosene carico in alcun modo.

SI nega così il diritto all’accesso alle cure di prima soglia ad un gruppo di uomini e donne, che nell’impossibilità di ottenerle seguendo un percorso sanitario “convenzionale” deve ripiegare su soluzioni di fatto di qualità inferiore, perché su base volontaria, e quindi con garanzie di professionalità e disponibilità relative. Si genera così una sorta di sanità di serie B, un accesso “dal retrobottega” alle cure mediche di base, indispensabili a tutti per garantire un’assistenza sanitaria continuativa e adeguata. Questo vale principalmente per i malati cronici, gli anziani e i bambini; questi ultimi due gruppi di assistiti solo da poco hanno trovato spazio nel SSN, anche se precario e poco garantito.

In questo scenario,l’assistenza sanitaria pubblica di base dipende dal permesso di soggiorno, che è a sua volta vincolato al possesso di un contratto e di un reddito lavorativo: questo spinge ad accettare condizioni di lavoro infime pur di conservare il permesso di soggiorno, un ricatto che trova la sua origine nelle leggi Bossi-Fini eTurco-Napolitano.

La nostra battaglia parte da qui, e date queste premesse, l’Ambulatorio Medico Popolare non può che sostenere la battaglia contro i CIE, che altro non sono se non dei lager di stato dove viene negato un altro diritto fondamentale, il diritto alla libertà.

L’Italia è un Paese senza memoria: ci siamo indignati per il naufragio del 3 ottobre e per il video che mostrava il trattamento di “disinfestazione” dei migranti nel CIE di Lampedusa, ci siamo indignati per la storia di Hellen e Joy, per i suicidi e le proteste delle bocche cucite, ci siamo puliti le coscienze alzando la voce da più parti per denunciare la vergogna di questi fatti. Passata l’indignazione, però, ci siamo di nuovo nascosti dietro parole come “centri di accoglienza” (CARA), per tacitare le nostre coscienze raccontandoci la bugia di strutture umanitarie dove ospitare temporaneamente i migranti, abbiamo ridato spazio e voce a politici e giornali che straparlano di “razzismo contro gli italiani” e di “emergenza migranti”.

Noi oggi siamo qui per fare in modo che la memoria non si perda, per ricordare che i CIE sono una vergogna e un abuso, per protestare, perché questo è l’unico modo per sperare che certi ignobili fatti non si ripetano.

Chiedere accesso alle cure mediche per tutti non significa solo lottare per il diritto alla salute, ma implica per noi sciogliere quel legame infido e infame che lega diritti, libertà, vita, lavoro, possibilità, sogni e aspettative ad un misero pezzo di carta, rilasciato da forze dell’ordine territoriali che nulla sanno di cosa voglia dire migrare o essere liberi, fisicamente e mentalmente.

Dobbiamo chiudere i CIE subito, chiudere i CARA subito, lasciare le persone libere di muoversi sulla terra, perché la terra è di tutti e non saranno i loro muri a fermarci o a dividerci.”


sabato 19 aprile 2014

Riapre Corelli: riapre la stagione del controllo!



L'Associazione per i Diritti Umani si aggiunge al seguente appello lanciato dal Naga e chiede, per cortesia, di far girare la comunicazione.

Vi aspettiamo anche al presidio che si terrà martedì 6 maggio, alle ore 18.30, in Corso Monforte, 31 a Milano, davanti alla Prefettura.



Milano 15/4/2014 Nonostante sia dannoso, inutile, disfunzionale, diseconomico, un buco nero dove vengono ogni giorno violati i diritti dei cittadini stranieri reclusi, riapre il Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE) di Milano in Via Corelli.
O meglio, il fatto che sia dannoso, inutile, disfunzionale, diseconomico, un buco nero dove vengono ogni giorno violati i diritti dei cittadini stranieri reclusi, non ha nessuna rilevanza perché l’obiettivo del centro non è né l’identificazione, né l’espulsione, né tantomeno l’accoglienza, ma il controllo.
Nella stessa logica è prevista anche l’apertura del Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA) entro la fine dell’anno.

Con la riapertura del CIE e del CARA di Milano riapre, in grande stile, la stagione del controllo, l’unica risposta che, da sempre, la politica riesce a dare al fenomeno migratorio.” Dichiara Luca Cusani, presidente del Naga. “Dato che la ristrutturazione è avvenuta a seguito di una distruzione da parte dei detenuti e visto che le ribellioni interne sono state l’unica vera forma di contrasto ai CIE, immaginiamo che la nuova versione del CIE conterrà strumenti e dispositivi che tenteranno di neutralizzare ogni forma di rivolta attraverso meccanismi di sottomissione e costrizione” prosegue il presidente del Naga. “Nel vuoto abissale della politica è evidente, una volta di più, che l'ordine pubblico e le carceri rimangono i soli strumenti per non- affrontare l’immigrazione: un fenomeno della realtà e non un’emergenza da dover controllare!” conclude Luca Cusani.
Il Naga si augura che con la riapertura del CIE di via Corelli si riaprirà non solo la stagione del controllo, ma anche quella delle risposte forti da parte della città che, ci auguriamo anche con la voce del suo sindaco, ripudia ogni forma di discriminazione, reclusione e razzismo.


Info: Naga Cell 3491603305 -
www.naga.it - naga@naga.it