venerdì 31 ottobre 2014

Rifugiati in Libano: la fotografia e la realtà



Spesso accade che le immagini raccontino più delle parole e il Festival di Fotografia etica, che si è tenuto dal 17 al 19 e dal 24 al 26 ottobre scorsi raccoglie tanti reportage di autori italiani e stranieri, lavori fotografici che fanno riflettere sull'attualità.

L'Associazione per i Diritti Umani ha visitato tutte le mostre che hanno arricchito il programma della manifestazione e, tra quelle che ci hanno colpito maggiormente, segnaliamo: Life in war dell'iraniano Majid Saeedi sull'Afghanistan, Child-Withches of Kinshasa di Gwenn Dubourthoumieu sui bambini considerati stregoni e, quindi, perseguitati, reportage vincitore della sezione Short Story del World Report Award, In/Visible di Ann-Christine Woertl sulle mutilazioni genitali maschili e femminili, e Beautiful Child di Laerke Posselt che ha ripreso alcune bambine prima, durante e dopo i concorsi di bellezza americani.


Ma l'Associazione per i Diritti Umani ha pensato anche, sperando di farvi cosa gradita, di riprendere la presenazione della mostra intitolata Libano, una marea umana di rifugiati, a cura di Oxfam e con le fotografie di Giada Connestari.

Di seguito i due video della presentazione. I video sono disponibili anche sul canale YouTube dell'Associazione per i Diritti Umani (scritto proprio così) su cui trovate tutto il nostro materiale, anche con le presentazioni che abbiamo realizzato nel mesi precedenti.






 
 
Se apprezzate il nostro lavoro, potete donare anche solo 2 euro: in alto a destra trovate la dicitura "Sostienici" e potete fare la vostra offerta con Paypal o bonifico, è molto semplice e sicuro. Potremo, così, continuare ad offrirvi materiale sempre più ampio. I nostri video sono anche sul canale YOUTUBE dell'Associazione per i Diritti Umani.

giovedì 30 ottobre 2014

Detenuti e letteratura: presentazione del documentario "Levarsi la cispa dagli occhi"




L'Associazione per i Diritti Umani presenta il documentario



LEVARSI LA CISPA DAGLI OCCHI



Alla presenza dei registi e dei rappresentanti del progetto “Leggere Libera Mente”



VENERDI', 31 ottobre



alle ore 19.00



Presso il centro Asteria, Piazza Carrara 17.1, ang. Via G. da Cermenate, 2 (MM Romolo, Famagosta, Milano)




Andare oltre le mura di un carcere, cercare libertà anche rinchiusi, ritrovare il senso della vita e del futuro con l'immaginazione: tutto questo e molto di più è Levarsi la cispa dagli occhi, un documentario che racconta l'esperienza di un progetto formativo: quello che ha visto portare nell'istituto di pena di Opera, la lettura e la scrittura creativa come possibilità di rideinizione di sé, come espressione dei propri sentimenti, come auto-narrazione e uso della fantasia. Perchè il carcere deve e può essere un percorso riabilitativo. Levarsi la cispa dagli occhi è stato realizzato da Carlo Concina e Cristina Maurelli e il titolo del film riguarda tutti noi, noi che stiamo fuori: è un invito a levarsi i paraocchi e a superare i pregiudizi nei confronti di chi ha sbagliato, sta scondando la pena per l'errore commesso, ma può essere recuperaro e restituito alla società.





mercoledì 29 ottobre 2014

Carcere, lavoro, economia



Mentre nel nostro Paese si cerca ancora di capire quali siano le misure adatte a risolvere il problema del sovrafollamneto carcerario, una soluzione potrebbe arrivare dalla Gran Bretagna dove, nel 2007, l'emergenza del sovraffollamento superò le 87mila unità. Tony Blair, l'allora premier laburista, annunciò la creazione di nuove strutture e, allo stesso tempo, decise di ridurre la pena di circa tre settimane per 25mila detenuti, condannati a 4 anni (o al di sotto di questo periodo).

Sempre in Gran Bretagna esiste un istituto di pena, quello di Peterborough, dove ci si aspetta che, nel 2014, il tasso di recidiva di 3mila carcerati scenda almeno del 7,5% perchè questi sono stati inseriti in programmi di reisenrimento socilae attraverso varie atività lavorative, finanziate con 5 milioni di sterline di 17 investitori privati. Tali investitori, se tutto andrà bene, potranno incassare un rendimento annuo del 13% per i successivi otto anni, pagato dal Ministero della Giustizia.

Stiamo parlando dei “social impact bond”, ovvero di prodotti finanziari che, alla scadenza, garantiscono un rendimento agli investitori privati, solmanete nel caso in cui venga raggiunto il risultato prestabilito che deve riguradre necessariamente un progetto di utilità sociale.

Questo modello di economia sarebbe utile non solo per gli investitori privati, ma anche per altri soggetti: infatti, se si debella la recidiva, vengono commessi meno reati e questo comporta un risparmio di denaro per carcere e repressione e, quindi, anche un risparmio anche per lo Stato; inoltre, le associazioni no profit che si impegnano per avviare progetti di formazione professionale nelle carceri, troverebbero i finanziamenti necessari proprio nel mercato finanziario.

Dei “social impact bond” si sta iniziando a parlare anche in Italia, con la speranza che possa essere una strada corretta per il reinserimento sociale di chi ha commesso un errore, qualora ci siano le condizioni di recupero.



Vi ricordiamo che l'Associazione per i Diritti Umani ha organizzato un incontro su questi e molti altri temi per venerdì 31 ottobre, alle ore 19 con la presentazione del documentario LEVARSI LA CISPA DAGLI OCCHI, alla presenza dei registi e dell'Associazione per i diritti dei detenuti. Presso il Centro Asteria, Piazza Carrara 17.1, ang. Via G. da Cermenate, 2 (MM Romolo, Famagosta, Milano)

martedì 28 ottobre 2014

Atlante della città fragile: intervista a Gigi Gherzi



Uscito da pochissimo per una casa editrice che ha un nome molto bello: Sensibili alle foglie. Stiamo parlando del romanzo di Gianluigi Gherzi, già conosciuto come attore teatrale. Il titolo del suo lavoro è Atlante della città fragile da cui è stato tratto anche lo spettacolo “”Antigone nella città” in scena fino al 2 novembre al Teatro Out Off di Milano.

Riprendi a viaggiare!”, si dice il protagonista. Dove? Nelle strade della tua città! A far che? A dare voce a un malessere, a un brusio che suona confuso, indistinto. Viaggiare per incontrare vite, ascoltarle, sentirle prendere forma all’interno del cuore della città. Vite fragili, dappertutto. Vite che tessono un altro disegno, mappa, atlante della città, percorsi che portano a un luogo straordinario, il parco del più grande ex ospedale psichiatrico della città, dove tra alberi, panchine, musei degli orrori, appaiono infermieri specializzati nello scassinare porte da troppo tempo chiuse, segretarie innamorate della bellezza e dei giovani spettinati, receptionist in guerra coi mondi ambigui e spietati della prestazione e della performance, un ragazzo tornado bloccatosi di colpo che riprende a camminare. Tutti accompagnati e benedetti dall’antichissimo Zio Jodok. Poesia, canto lirico, storia autobiografica, pericolose avventure, strazi sottili, confessioni e canzoni per una vita che rinasce. Ogni giorno. Nell’attenzione alla “fragilità”, che è misura necessaria e preziosa del vivere.





Abbiamo realizzato, per voi, questa intervista a Gigi Gherzi che ringraziamo molto per la disponibilità.





Cosa vuol dire essere “fragili”?



Essere fragili, in realtà, è qualcosa che appartiene profondamente all'umano. E' una condizione di esposizione, di rischio che è stata vista, ultimamente come un disvalore, come un segno di debolezza, come un segno di fallimento e di inadeguatezza rispetto agli impegni e all'immagine che la società ti chiede di avere e questo ha creato molta sofferenza perchè, invece di consolidare la fragilità anche come un atto costitutivo della perona, è considerata una colpa, un peccato di cui vergognarsi. Tutto questo trasforma la fragilità in patologia, in un senso di fallimento psicologico.



I protagonisti delle sue storie sono vittima di un'ingiustizia sociale? Le istituzioni potrebbero fare qualcosa di più per le persone che fanno parte della “città fragile”?





Non sono vittime di un'ingiustizia sociale specifica, sono quello che rimane quando si scuote fortemente un corpo sociale per cercare di renderlo omogeneo e rimane qualcosa impigliato dentro a quelle reti e sono proprio quelle persone che non hanno voluto omologarsi.

Non c'è nessun intento di denunciare una persecuzione specifica, ma si denuncia semmai quel meccanismo che appiattisce la diversità dell'essere umani e si cerca, invece, un'attenzione alle potenzialità delle persone e alle loro particolarità. In questo senso tutti viviamo in una situazione di ingiustizia, di disagio; tutti siamo fuori dai nostri panni perchè spesso siamo chiamati a preformances che non appartengono alla nostra vita.

In passato era molto più facile individuare i portatori di fragilità estreme e c'era una forte suddivisione tra loro e il mondo della normalità; oggi, invece, se si parla con molti psichiatri dicono che la maggior parte dei pazienti viene chiamata “normaloide” perchè sono si tratta di persone che sembrano assolutamente normali, ma al loro interno portano i segni di un enorme disagio, segni legati alla complessità dei problemi attuali e a quel sistema sociale che chiede massima operatività e omologazione. La nostra non è una società che rispetta la fragilità, è una società della forza, della violenza che è presente nelle relazioni, soprattutto in quelle lavorative perchè è un modello competitivo.



Oggi il disagio mentale fa paura?



Sì, fa molta paura. Fa paura perchè porta con sé lo stigma di una condanna al non poter essere protagonisti, al non poter fare carriera e al non poter essere socialmente presentabili.

Per questi motivi, oggi, c'è un uso nuovamente smodato dello psicofarmaco, come farmaco adattativo che tampona o nasconde questa realtà. Secondo me, è un disagio molto diverso dal passato perchè anche la malattia sembra aver preso contorni più insidiosi e sfumati in quanto si incrocia con un disagio legato all'esistenza stessa.



Come ha raccolto le storie per il suo libro (e per lo spettacolo)? 


 

Le storie sono state raccontate in due modi: da una parte, cercavo persone appartenenti a una certa normalità e che testimoniassero la loro capacità ad essere fragili all'interno di questo mondo come, ad esempio, una ragazza che fa uno stage all'interno di un'agenzia pubblicitaria, una professoressa precaria, e anche un manager di multinazionale. Questo per uscire da un'idea di fragilità di coloro che dichiaratamente soffrono di un disturbo, vanno al CPS o hanno subito un trattamento o un ricovero. Dall'altra parte, ho intervistato persone che vivono o lavorano all'interno dell'ex ospedale psichiatrico “Paolo Pini” di Milano dove l'associazione Olinda, da tanto tempo, lavora sui diritti dei malati, sperimentando percorsi di reinserimento dentro a una normalità professionale, relazionale e anche di creatività culturale.

Si tratta, però, di un romanzo per cui mi sono preso tutta la libertà di incrociare le storie e, nel passaggio dall'intervista alla tecnica narrativa, ho dovuto operare dei “tradimenti”, ma per mantenere la verità.



 

















lunedì 27 ottobre 2014

STOP al bullismo




Lo hanno aggredito e gli hanno usato violenza con un tubo per l'aria compressa: solo perchè era in sovrappeso. E' accaduto pochi giorni fa a Pianura, un quartiere in periferia di Napoli. La vittima è uno studente di quattordici anni, ora ricoverato per gravi lesioni al colon presso l'ospedale San Paolo. Il ragazzo era in compagnia di tre conoscenti più grandi di lui presso un autolavaggio, quando questi hanno iniziato a schernirlo per il suo aspetto fisico. Poi la presa in giro si è trasformata in violenza.

I tre aggressori hanno precedenti per spaccio e furto; il più grande di loro, un ventiquattrenne, è stato fermato con l'accusa di tentato omicidio e gli altri due sono stati denunciati.

Sono vigliacchi e senza cuore. Un gioco? Non penso che si giochi così. Per poco non l'hanno ucciso”, queste le parole della madre del ragazzino. La Giunta comunale ha dichiarato che auspica “massima severità per i responsabili di questa violenza barbara”, così come il Garante per l'infanzia e l'adolescenza, Vincenzo Spadafora, che ha commentato il fatto affermando: “Bullismo? No, è violenza pura”.

Dopo questo ennesimo e grave episodio, vogliamo mettervi a conoscenza dell'esistenza di una campagna nazionale a cura del Ministero dell'Istruzione e del MIUR intitolata “Smonta il bullo”. Che cos'è il bullismo, Soggetti coinvolti, Forme di bullismo, il Cyberbullismo, Cosa non è il bullismo, Come intervenire: queste sono le sezioni in cui si articola il progetto, disponibili sul sito www.smontalibullo.it. Tra queste è possibile anche scaricare schede didattiche di approfondimento che possono aiutare insegnanti, educatori e operatori nell'analisi dei fattori ambientali che possono favorire o contrastare lo sviluppo del fenomeno, i lioghi comuni che da sempre lo accompagnano e che possono indicare come distinguerlo e affrontarlo.

Ricordiamo che il termine “bullismo” significa “usare prepotenza, maltrattare, intimorire” ed è una forma di oppressione fisica o psicologica messa in atto da una o più persone nei confronti di un altro percepito come debole; è caratterizzato da intenzionalità, sistematicità e asimmetria tra le persone coinvolte, diffondendosi dalla scuola ad altri ambiti sociali. Per questo riteniamo che una riflessione su questo argomento sia necessaria perchè coinvolge tutti, giovani e adulti e perchè determinati comportamenti sono strettamente legati ad una mentalità che si oppone ai concetti e ai valori di giustizia, rispetto e onestà.

domenica 26 ottobre 2014

La Norvegia si appresta a deportare un richiedente asilo disabile verso l'Afghanistan




Di Basir Ahang



Oggi, 25 ottobre 2014 il governo norvegese si appresta a deportare Gholam Nabi, un richiedente asilo hazara proveniente dalla provincia di Baghlan nel nord dell’Afghanistan. In questa provincia secondo Human Rights Watch nel maggio del 2000 sono state massacrate decine di persone da parte dei talebani solo perché appartenevano all’etnia hazara. Quattro di queste persone uccise erano parenti di Gholam Nabi. Nabi in questo momento si trova all’aeroporto di Gardermoen, ad Oslo. La sua deportazione è prevista per le sei di questa sera.

Nabi è arrivato in Norvegia nel febbraio del 2008 all’età di 17 anni. Il suo unico desiderio era quello di avere una vita normale, lontana dalla violenza e dalla morte. Appena arrivato ha inoltrato la richiesta di protezione internazionale. Pochi mesi dopo, mentre stava uscendo da un café nel centro di Oslo con alcuni suoi amici, è stato investito da una macchina sulle strisce pedonali. La notizia è stata pubblicata su molti giornali di Oslo e alcuni clienti del cafè hanno persino fotografato l’accaduto.

Per due giorni Nabi è rimasto in coma all’ospedale e quando si è risvegliato i medici gli hanno detto che alcune vertebre della spina dorsale si erano rotte e che se non avesse subito un’operazione sarebbe rimasto paralizzato per sempre.

Mentre si trovava in ospedale, Nabi ha ricevuto il diniego di protezione internazionale da parte dell’UDI (the Norwegian Directorate of Immigration). Secondo l’UDI infatti Nabi in Afghanistan non correrebbe alcun pericolo. In seguito l’ospedale ha comunicato a Nabi che non avrebbero potuto effettuare l’operazione in quanto il governo norvegese non avrebbe sostenuto le spese ospedaliere per un immigrato al quale era stata rifiutata la protezione internazionale. Nabi si è quindi rivolto alla polizia per denunciare la persona che lo aveva investito.

Alla centrale però si è sentito rispondere che visto che la sua richiesta di protezione era stata rifiutata non si sarebbero potuti occupare della denuncia. L’unica possibilità, gli dissero i poliziotti, era quella di tornare in Afghanistan, trovare un avvocato e da lì sporgere denuncia. Ho conosciuto Gholam Nabi nel mese di aprile durante un mio viaggio in Norvegia.

Quando ho sentito la sua storia sono rimasto molto colpito ed amareggiato. Ho fotocopiato alcuni suoi documenti e ho ascoltato il suo dolore.

Nabi prende ancora oggi sei tipi di medicinali diversi per non sentire il dolore. Nabi mi ha detto di aver bussato a tutte le porte per ottenere aiuto ma nulla gli è valso ad ottenere giustizia. Invece di aiutarlo, il suo avvocato, senza vergogna, gli ha detto che probabilmente la sua spina dorsale era rotta ancora prima di arrivare in Norvegia. La Norvegia viene presentata all’opinione pubblica come la patria dei diritti umani.




Norway is preparing to deport asylum seeker with disabilities to Afghanistan



by Basir Ahang




Today, October 25, 2014, the Norvegian government is preparing to deport Gholam Nabi, a hazara asylum seeker coming from Baghlan province in northern Afghanistan. In this province, according to Human Rights Watch, in May 2000 dozens of people were massacred by taliban just because they belonged to ethnic hazaras. Four of those killed were relatives of Gholam Nabi. Nabi at this time is located at the airport in Gardermoen, Oslo. This deportation is scheduled for six o'clock this evening.

Nabi has arrived in Norway in February 2008 at the age of 17 years. His only desire was to have a normal life, away from violence and death. Just get the requesting international protection. A few months later, while he was leaving a cafe in the center of Oslo with some friends, was hit by a car in the crosswalk. The news was published in many newspapers in Oslo and some customers of the cafe have even photographed the incident.

For two days Nabi was in coma and when he woke up in the hospital the doctor told him that some vertebrae of the spine were broken and that if he had not had an operation would be paralyzed forever.

While in hospital, Nabi received the denial of intrnational protection from UDI (the norwegian Directorate of Immigration). According to the UDI fact Nabi in Afghanistan would face any danger. Later, the hospital announced in Nabi that they could not support the hospital charges for an immigrant who had been denied intrnational protection. Nabi was then called the police to report the person who had invested.

At the center, however, he was told that because his request for protection was rejected, would not have been able to take up the complaint. The only possibility, they said the police, had to go back to Afghanistan, find a lawyer and file a complaint here.

I met Gholam Nabi in April during my trip in Norway. When I heard his story I was very impressed and disappointed. I copied some of his papers and listened to his pain.

Nabi still takes six types of different drugs to not feel the pain. Nabi told me that he had knocked on every door to get help, but nothing brought him to justice. Rather than help him, his lawyer, without shame, told him that perhaps his spine was broken even before he arrived in Norway.

Norway is presented to public opinion as the home of human rights.

Donne di sabbia


Cari lettori, vi giriamo questa comunicazione che ci riteniamo interessante.





Da diversi anni il gruppo teatrale Donne di sabbia aderisce al Tavolo torinese per le Madri di Ciudad Juárez. Partendo dal femminicidio che si consuma in questa città messicana, il Tavolo si interessa anche del tragico fenomeno dei migranti centroamericani che attraversano il Messico per raggiungere la frontiera con gli Stati Uniti. Durante il tragitto i migranti subiscono le violenze di gruppi criminali che trovano in questa tratta di esseri umani una nuova fonte di reddito. Dal deserto messicano al Mediterraneo il problema dei migranti pone degli interrogativi ma anche la necessità di "non ripetere errori di sottovalutazione di fenomeni che ci paiono lontani ma che sono drammaticamente dietro l'uscio di casa".





E' così nata l'idea della Carovana italiana per i diritti dei migranti, per la dignità e la giustizia (che, partendo da Lampedusa risalirà la penisola italiana per arrivare a Torino, dal 23 novembre al 6 dicembre) in solidarietà con la Caravana de Madres Centroamericanas buscando a sus migrantes desaparecidos (che si svolgerà in Messico nello stesso periodo).






Per i dettagli sulla Carovana vi invito a visitare:




Web
http://www.carovanemigranti.org/



Facebook
https://www.facebook.com/carovanemigranti



Twitter
CarovaneMigranti (@CMigranti) | Twitter



 


Donne di sabbia



www.donnedisabbia.com

sabato 25 ottobre 2014

Un appello urgente, richiesta di avvocato



Riceviamo e giriamo questo appello!  Se potete fare qualcosa, vi preghiamo di contattare Basir Ahang su FB. Grazie !
Urgent help needed!
A Hazara asylum seeker in Norway is going to be deported to Afghanistan tomorrow morning. Gholam Nabi arrived in Norway in 2008 when he was 17. In Norway in 2008 a car run over him on the pedestrian crossing. His back got broken and now he is paralyzed. Norwegian authorities now want to deport him. He didn't get justice for the incident and now he risks his life returning in Afghanistan. He needs urgently a lawyer. Please contact me if you can help. Thanks






 

La Birianza dice NO all'omofobia





Come gather ’round people
Wherever you roam
And admit that the waters
Around you have grown
And accept it that soon
Yoùll be drenched to the bone.
If your time to you
Is worth savin’
Then you better start swimmin’
Or yoùll sink like a stone
For the times they are a-changin’.
[BOB DYLAN]




Si intitola “NoStrano Festival” ed è la prima manifestazione culturale gay-friendly che si svolge in Brianza. Due giorni, il 24 e il 25 ottobre 2014, per sensibilizzare la cittadinanza e le istituzioni sul tema dei diritti LGBT.

Presentazioni, film, dibattiti e anche laboratori per bambini animeranno le giornate. Segnaliamo la proiezione del film Lei disse sì, la storia di due giovani donne, Ingrid e Lorenza, il loro amore e il loro matrimonio in Svezia; l'incontro con Francesca Vecchioni sul tema famiglie e religione; l'approfondimento sull'omosessaulità in Medioriente. E poi anche la musica con l'Indie Pride che vede molti artisti riuniti per dire NO all'omofobia e la presentazione del progetto “Le cose cambiano” che, sul sito degli ideatori, viene anticpato così: “Crescere non è semplice. Molti adolescenti affrontano quotidianamente episodi di bullismo e discriminazione. In particolare gli adolescenti gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, che spesso nascondono la propria sessualità per paura di essere isolati. Senza confrontarsi con adulti apertamente gay, non possono immaginare come sarà il loro futuro. Il progetto Le Cose Cambiano ha lo scopo di ricordare ai teenager LGBT che non sono soli, e che le cose per loro cambieranno, in positivo.

Siamo convinti che lo strumento più potente di comprensione ed educazione, nonché il migliore antidoto contro l’isolamento, sia la narrazione; che
le storie possano fare bene sia a chi le racconta, sia a chi le ascolta. Il nostro sito raccoglie le testimonianze di chiunque voglia condividere il proprio vissuto per metterlo a disposizione di chi si sta confrontando con la scoperta di sé, per contribuire a creare un'enciclopedia di desideri e speranze, un contenitore di proposte, un posto dove raccontare la propria esperienza in prima persona, anche per dimostrare che metterci la faccia è possibile.
Ti invitiamo perciò a raccontarti in un video: come sono cambiate le cose per te? Sei sempre stato felice e orgoglioso di essere gay, lesbica, bisessuale o transessuale, o c'è stato un momento in cui hai avuto paura e ti sei sentito solo, incompreso, discriminato? Condividi la tua esperienza, racconta a tutte le persone che stanno attraversando un momento difficile che le cose cambiano, e che esiste un lieto fine per la loro storia!

Se anche tu hai vissuto un periodo difficile, se hai sperimentato la solitudine e l'isolamento, se hai subito manifestazioni di bullismo, prova a spiegare cosa ti ha aiutato a superare le difficoltà, come le cose sono cambiate e migliorate per te. Se la tua esperienza è positiva – se oggi sei un adulto omosessuale felice e sereno – condividerla è ancora più importante.
Raccontaci come speri che le cose cambino in Italia per le persone e le coppie gay, e cosa pensi sia necessario fare per cambiarle”
.



Saranno presenti le associazioni del territorio.



Per il programma completo del festival, potete andare sul sito: www.meladailabrianza.blogspot.in

L'appuntamento è al Bloom, Via Curiel 39, Mezzago (MB). Tel. 039-623853

giovedì 23 ottobre 2014

Il caffè delle donne


Pubblichiamo questa recensione di Raffaele Taddeo (già sulla rivista on-line El Ghibli) che ci presenta il libro intitolato Il caffè delle donne, edito da Mondadori, di Widad Tamimi.




Il romanzo di Widad Tamimi si presta o molteplici piani di lettura. E’ un libro inteso in cui sono presenti molte più problematiche di quelle che forse sono percepibili ad una prima lettura. Spesso il senso ultimo di un romanzo si ricava da descrizioni, comunicazioni del narratore veicolate dai personaggi, in questo caso molti sensi e significati si ricavano con altri strumenti. Il testo per essere compreso fino in fondo deve essere sezionato mediante macro sequenze, la loro successione e giungere così significato che da questa analisi se ne può ricavare.

Una tematica peraltro molto implicita che è possibile rintracciare in più parti è il confronto fra mondo occidentale e mondo arabo. L’attenzione del narratore si accentua molto nel sottolineare che accanto alla diversità fra una cultura e un’altra vi è comunque una complementarietà, vi è comunque un cammino che si sviluppa secondo modi e ritmi diversi, ma entrambi pieni di senso e di valori. “Qamar – dice Leila, cugina di Qamar – non sono mai stata in Occidente, ma non credo che queste cose vadano tanto diversamente. Un uomo e una donna si incontrano e vibrano per un po’, poi si conoscono, si accettano e camminano a lungo l’uno a fianco dell’altra. I problemi stanno ovunque”. Nell’essenza, nella quotidianità, nella vita concreta di ogni giorno, tutto il mondo è paese diremmo noi, e non ci sono differenze fra una cultura ed un’altra.
La protagonista ritrova in sé elementi di arabità che si coniugano assieme alla sua cultura e modalità di vita di donna occidentale. “Ora mi rassicuro che Giacomo indossi la camicia ben stirata, lo inseguo per casa con un rotolo appiccicato per togliere i pelucchi dal suo abito, gli preparo il pranzo al sacco per paura che non mangi. Tracce di un’arabità vissuta in modo del tutto originale, sempre in conflitto con l’emancipazione della donna occidentale, cresciuta a ritmo di marce femministe”.
Tuttavia quasi in netto contrasto con questi intenti conciliativi si sviluppa la storia d’amore fra Qamar e suo cugino Yousef. I due hanno giocato insieme da piccoli, hanno scherzato, riso, e poi arriva il momento dell’adolescenza e Qamar nell’ultima estate che trascorre ad Amman si innamora del cugino. Anche questi è innamorato di lei. Si preannuncia una storia d’amore, che, interrotta da eventi e tempo, sembra ad un certo momento possa riprendere con pieno vigore, quando Yousef, ormai adulto e Iman, arriva in Italia per una serie di conferenze sulla cultura islamica. Questo amore però viene frustrato per il secco rifiuto da parte di Yousef di riprendere anche minimamente una traccia di confidenza e dar adito ad una infinitesima possibilità di riprendere la storia d’amore. Emerge l’impossibilità dell’amore. Sul piano narrativo la storia affettiva fra Yousef e Qamar ha un esito totalmente negativo.
Il senso di questo elemento narrativo è indizio dell’impossibilità di un incontro, di uno sposalizio fra i due mondi culturali, quello arabo e quello occidentale. Proprio il fatto che l’amore nato fra i due non arrivi a concludersi positivamente pone di fatto l’affermazione implicita della incommensurabilità fra le due culture.
Sono indifferenti gli elementi narrativi che sostengono l’impossibilità della perpetuazione dell’amore fra Yousef e Qamar, il dato più significativo e determinante ai fini della comprensione del significato del romanzo è proprio la mancanza della continuazione del rapporto d’amore fra i due.
Strettamente connesso a questo tema vi è quello della dialettica fra mondo della fanciullezza e quello della maturità.
Il romanzo, penso volutamente, pone in strutture parallele l’evoluzione della crescita e del rapporto che Qamar ha col mondo arabo da bambina, con quello del rapporto da adulta con Giacomo, suo convivente e successivamente marito, con il quale cerca di dar luogo ad una generazione nuova, cioè ad avere un figlio, che poi perderà prima che possa nascere e diventerà l’elemento di crisi della protagonista.
Il parallelismo, però poi si risolve in una dialettica fra il tempo della fanciullezza- adolescenza e quello della maturità, della vita adulta. Il primo che è fatto di giochi, di piccole trasgressioni, di sapori, di profumi, di sole, di polvere, si svolge ad Amman e viene contrapposto ad una vita da fanciulla in occidente piena di regole e sotto molti aspetti costrittiva; il secondo fatto di sogni frustrati, di paure, di angosce, di incapacità di riconoscersi, di continue domande, di contorsioni psicologiche.
E’ una dialettica fra i due tempi, e fin qui siamo nella normalità della vita, dell’esistenza dell’uomo, ma poi se si va a riflettere attentamente si constata che il tempo libero della fanciullezza-adolescenza è descritto in uno spazio e quello della maturità in un altro spazio; il primo in una certa cultura e il secondo in un’altra. Allora la dialettica ancora una volta si stabilisce fra i due mondi culturali che confliggono fra di loro, conflitto che viene impersonato da Qamar, la quale per cercare di ritrovare se stessa ha bisogno, adulta, di rimmergersi nel mondo, nello spazio che l’ha vista crescere da bambina. Non avviene una sintesi, perché ancora una volta Qamar decide di riconquistare Giacomo, da cui s’era momentaneamente separata e ritornare allo spazio dell’Occidente. Ancora una volta è la descrizione narrativa ad affermare l’impossibilità di coesistenza fra i due mondi.
Oltre tutto la arabità è strettamente connessa a sogno, a libertà, a giochi, a cibo, sapori, mentre l’occidentalità, pur nella sua emancipazione, è intessuto di regole, di logica, anche se piena di libertà personale, dal muoversi, al vestirsi, al rapportarsi agli altri.
L’impossibilità di una sintesi, ancora sul piano narrativo viene accentuato dall’esito della storia di Aymad.
Questi è figlio piccolo di Leila cugina di Qamar. E’ l’unico maschio avuto dopo molte femmine. Qamar, entra in un rapporto affettivo intenso con lui quando ritorna ad Amman. Leila le fa la proposta di condurlo con sé in Europa per dargli una possibilità di futuro migliore, certamente negato in Giordania date le condizioni economiche della famiglia e di un rapporto difficile con il padre. A Qamar non sembra vero, anche se decide di rinunciare momentaneamente perché è sola e non si sente sicura di poter curare questo ragazzetto.
Una volta sposatosi con Giacomo e condotto quest’ultimo ad Amman perché conosca la famiglia che era stata così importante nella sua crescita, si pone veramente il problema se portar via il ragazzetto in Europa o lasciarlo alla famiglia. Decidono di lasciarlo ad Amman dalla famiglia e di aiutarlo economicamente negli studi.
Indipendentemente ancora dalle ragioni, dalle logiche, dai sentimenti che non permettono che si realizzi il trasferimento di Aymad in Europa, il fatto narrativo denota ancora una volta l’impossibilità di una conciliazione fra i due mondi, che devono procedere separati nel loro percorso e nel loro destino.
Aymad rappresenta emblematicamente la possibilità concreta di meticciare le due culture. L’esito della vicenda nega ogni possibilità di questo genere.
Altri piani di lettura sono possibili come ad esempio, il rapporto d’amore fra Qamar e Giacomo, tutto giocato all’interno della cultura occidentale, ma proprio per questo risoltosi positivamente.
Poi ancora quello della ricerca del figlio, naturale dapprima, ma poi adottivo forse. Ma ce ne possono essere ancora altri come il rapporto fra la protagonista e la madre, quello di Qamar col territorio della metropoli giordana.
Sul piano strutturale per buona metà del libro si assiste ad una sorta di conduzione parallela e binaria, con tempi sfasati, quello delle sue vacanze ad Amman e l’altro di vita con Giacomo e della gravidanza, trasformatosi poi in aborto. Sono posti in parallelo due maturazioni, la prima che sfocia nella frattura della vita di vacanze di Qamar che non ritornerà più per molti anni in Giordania, la seconda che sfocerà nella rottura con Giacomo. Due storie parallele in due spazi diversi, ancora una volta in una sorta di dialettica osservazione, entrambe concluse con fratture e rotture. Ma mentre la prima non porterà a riconciliazione, la seconda invece si risolverà positivamente.
Anche quindi sul piano strutturale, la dicotomia Occidente-mondo arabo continua ad esistere.
La cornice del romanzo è dato dalla ritualità del caffè, tutta femminile e corale, nonchè dai sensi nascosti che essa veicola, dalla possibilità di una predizione. E qui siamo in totale immersione del mondo arabo e islamico perché la realtà sembra quasi già precostituita, l’uomo non farebbe altro che seguire quanto il destino, o meglio Allah, ha già scritto per ciascuno di noi.
E’ indicativo il fatto che il libro si chiude con queste parole: Bismillah arrahman arrahim” che vogliono dire “Nel nome di Allah, Clemente Misericordioso”.
Mi pare che i testi, di qualunque natura siano, prodotti nel mondo islamico in special modo dagli osservanti, dai più pii, partano ancora oggi da un’invocazione ad Allah. Ciò avveniva anche nel mondo occidentale fino all’epoca rinascimentale, quando si ebbe la rottura e totale emancipazione dell’uomo rispetto alla divinità.
La chiusura del romanzo rimarcherebbe con più intensità le tracce di arabismo in questo caso di islamismo presenti nel testo, contraddette però dalle strutture narrative.
Gli elementi di dialettica interna, di contraddizioni e contrasti fanno del romanzo di Widad Tamini un interessante e bel libro segnato anche dalla delicatezza di descrizione delle varie storie che si intrecciano.

Quando l'Africa è donna

Abbiamo ricevuto, cari amici, la seguente comunicazione che vi giriamo.



Martedì 28 Ottobre 2014



Sala del Refettorio, Palazzo San Macuto
Camera dei Deputati, Via del Seminario, 76 – Roma



La proposta nasce dalla constatazione del ruolo crescente che le donne africane stanno acquisendo nella vita quotidiana in Africa e non solo. Nel 2011 due donne africane, Ellen Johnson Sirleaf e Leymah Gbowee e una yemenita, Tawakkul Karman, sono state insignite del premio Nobel per la pace. Le donne sono protagoniste e trainanti, sia nei settori della vita quotidiana che nell’attività politica e sociale. Sono capaci nell’organizzazione e gestione economica. Occupano ruoli importanti sia a livello politico e tante sono manager di imprese importanti in diversi paesi africani.
Nonostante la crisi che sta attraversando l’Italia, dove l’impiego femminile vive la condizione di maggiore debolezza, le donne sono su tutti i fronti gestendo o aprendo imprese, impegnandosi nella politica e nel sociale, accogliendo le sfide che si presentano e trasformando le stesse in opportunità. Quindi il convegno vuole anche raccontare l’impegno delle donne africane in Italia attraverso testimonianze dirette.



Prima parte
9.30 – 9.50
Registrazione dei partecipanti – Apertura dei lavori



9.50 – 10.15
Saluti



10.15 – 11.45
Apertura convegno: On. Cecile Kashetu Kyenge, Europarlamentare



“L’impegno politico delle donne in Africa”
Tra gli ambasciatori africani in Italia tante sono donne. Vogliamo chiedere a loro di raccontarsi e raccontare il loro lavoro. Cosa vuole dire essere donna, africana, ambasciatrice? quale può essere il ruolo della donna nelle sfide che dovrà, o dovrebbe, affrontare l’Africa per proseguire nel percorso di sviluppo socio-economico?



Relatori: Ambasciatrici africane in Italia



Break Caffé
11.45 – 12.00

Seconda parte
12.00- 13.00


“L’Italia delle donne africane”
Introduzione: Dott.ssa Suzanne Diku


In Italia sono presenti diverse donne africane e/o di origine africane impegnate sia sul piano politico/sociale che sul piano imprenditoriale. Abbiamo avvocati, medici, sindacaliste, politici e imprenditrici di grande rilievo. Dall’europarlamentare Cecile Kashetu Kyenge alla giornalista Elisa Kidane, dall’imprenditrice Edith Elise Jaomazava all’avvocato Katouar Badrane; possiamo dire che le donne africane non sono rimaste a guardare ma hanno cercato di portare avanti un messaggio di possibilità e opportunità soprattutto adesso che l’Italia, e il mondo, si trova ad affrontare una crisi dalla portata storica. Perciò, nella seconda parte del convegno, vogliamo raccontare l’Italia delle donne africane.

Relatrici:
Kaoutar Badrane (italo – marocchina) – Avvocato
Edith Elise Jaomazava (Madagascar)-imprendritrice
(1 moderatore, 3 interventi – 15 min. / intervento)


13.00 – 13.30
Q&A e chiusura del Convegno


La partecipazione al Convegno è gratuita, previa iscrizione (obbligatoria) mandando una mail a info@ottobreafricano.org



mercoledì 22 ottobre 2014

Antiziganismo 2.0


 


Antiziganismo 2.0 è il titolo del rapporto stilato dall' Osservatorio 21 luglio, tra il 16 maggio 2013 e il 15 maggio 2014, sull'incitamento alla discriminazione e all'odio nei confronti dei rom e dei sinti da parte, in particolare, dei politici. Il rapporto è giunto alla seconda edizione ed è stato finanziato da Open Society Foundations.

Le fonti utilizzate per redigere il testo sono state: i quotidiani nazionali e locali, cartacei e on-line, agenzie di stampa e social media che hanno rilevato 428 casi complessivi (più di uno al giorno): il 56,3% sono stati classificati come casi gravi di incitamento all'odio e il restante 43,7% come discorsi stereotipati, ovvero dichiarazioni che confermano un'immagine negativa e penalizzante per le due minoranze.

Purtroppo emerge, dal rapporto, che nella maggior parte dei casi i discorsi penalizzanti sono pronunciati da esponenti politici: il 70% appartenenti all'area di destra o di centro – destra, con un buon 28% attribuibile alla Lega Nord.

Il monitoraggio ha riguardato tutta Italia ed è emerso anche che le città in cui si registrano i casi più numerosi di uso di un linguaggio poco obiettivo e corretto sono: Roma, con il 21%, Milano con il 15%, a seguire Genova, Torino, Vicenza, Lucca.

I responsabili dell'Associazione 21 luglio, che ha curato il rapporto, commentano così: “ I dati del rapporto confermano come l'antiziganismo sia una piaga altamente diffusa nel nostro Paese, che è urgente contrastare attraverso un'azione di denuncia e intervento nei confronti di chi si rende irresponsabilmente promotore di discorsi d'odio, in particolar modo se investito di una carica pubblica e/o elettiva, nei confronti di una minoranza vulnerabile cui viene costantemente privata la possibilità di replicare...La pericolosità di tali discorsi è insita soprattutto nel fatto che essa rende maggiormente accettabili se non addirittura condivisibili,da parte dell'opinione pubblica, posizioni etreme e apertamente razziste e risulta, quindi, un terreno fertile per un'eventuale ulteriore escalation di odio nei confronti di rom e sinti”.

In seguito ai dati emersi, il settore legale dell'associazione ha intrapreso 88 azioni correttive, con 53 segnalazioni all'UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), 6 segnalazioni all'Ordine dei Giornalisti e 2 all'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori delle forze dell'Ordine.



E' possibile scaricare il rapporto “Antiziganismo 2.0” dal sito www.21luglio.org

martedì 21 ottobre 2014

Il diritto all'affettività, in carcere




Nel nostro Paese dicono che la persona umana conserva pienamente, anche nella condizione di detenzione, il suo diritto inalienabile alla manifestaizone della propria personalità nell'affettività. Eppure io - condannato alla cosiddetta “Pena di Morte Viva” (l'ergastolo ostativo) - e la mia compagna sono ventitrè anni che sognamo l'amore senza poterlo fare. Lei, anche dopo tanti anni, è ancora l'amore che avevo sempre atteso. Mi ricordo ancora le sue prime parole, i suoi primi sorrisi e i suoi primi baci. Da molti anni viviamo giorni smarriti, perduti e disperati”: queste le parole inziali di una lunga lettera che Carmelo Musumeci, detenuto presso l'istitituto di pena di Padova, ha inviato al Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, per chiedere una maggiore attenzione, da parte della politica, nei confronti anche dell'aspetto affettivo-sessuale di chi è recluso.

Sappiamo quanto nelle carceri italiane siano carenti le risorse sanitarie e manchi un adeguato controllo dell'igiene. Siamo stati sanzionati anche per il sovraffollamento, ma è necessario prendere in considerazione anche le condizioni psicologiche dei detenuti: stanno scontando, giustamente, la loro pena, ma le istituzioni non possono evitare di garantire alcuni diritti fondamentali, tra cui quello alla sessualità. Scrive ancora Musumeci: “ In carcere gli affetti e le relazioni, il rapporto stesso di un individuo con le persone amate, con la propria vitalità e con i desideri, viene sepolto. Di fronte all'impossibilità di coltivare i sentimenti, se non in forme frammentarie ed episodiche (i colloqui, le lettere, le telefonate dalla sezione) spesso i detenuti e le detenute cancellano l'idea di potersi sentire ancora vivi e vive nel cuore...”: questa lettera/appello è stata accolta anche dall'associazione Antigone e inserita sulla piattaforma Change.org/amoretralesbarre.

Al di là delle ipocrisie o di una mentalità vendicativa, chi ha sbagliato resta fuori dalla società civile, ma la sua dignità di persona va comunque rispettata.


lunedì 20 ottobre 2014

Ferite di parole: la Tunisia della rivoluzione e quella di oggi


L’Associazione per i Diritti Umani presenta il libro

Ferite di Parole. Le donne arabe in rivoluzione” di Leila Ben Salah e Ivana Trevisani



22 OTTOBRE 2014 ore 19.00

Bistrò del tempo ritrovato, via Foppa 4 (MM2 Sant’Agostino), Milano

 
 
 


Alla presenza dell’autrice Ivana Trevisani, di Gihen ben Mahmoud, artista tunisina e di Monica Macchi, arabista e redattrice di Formacinema



La tesi centrale del libro è lo spostamento del materno dalla dimensione privata ad una dimensione pubblica: inizialmente le donne sono entrate nella rivoluzione come “madri di” o “mogli di” nella duplice funzione di prendersi cura di qualcuno o protestare contro le ingiustizie. Ben presto però sono passate ad essere donne in prima persona con molteplici sfaccettature: uno dei personaggi-simbolo è Umm Khaled, la madre di Khaled Said, il giovane massacrato dalla polizia ad Alessandria (una delle scintille che hanno portato allo scoppio della rivolta del 25 gennaio in Egitto) e che è stata presente a tutte le manifestazioni ed ai concerti per dar forza e sostegno ai manifestanti. Un altro è la madre di Mohamed Bouazizi, il giovane morto per essersi dato fuoco dopo l'ennesima multa-sopruso per irregolarità del suo lavoro di venditore ambulante, (una delle scintille della rivolta tunisina), che non si è costituita parte civile nel processo contro l'agente di polizia municipale che aveva multato il figlio, ritenendola capro espiatorio del regime.

Le donne sono così entrate nel dibattito sul concetto di identità e gli artisti hanno dato il loro contributo ricordando sia l’identità storica che le tante diverse componenti (copta, ebraica, greca, italiana nella Alessandria cosmopolita di Yusef Chahine) come dimostrano i murales del Cairo. Una rivoluzione non “di genere” intesa solo come questione femminile ma sostenuta e accompagnata dagli uomini. La reazione del regime ha utilizzato lo stesso strumento di sempre: la paura attraverso le molestie sessuali con la precisa funzione politico-strategica di ricacciare le donne nel privato. Un ritorno al passato che non c’è stato e non ci sarà, né in Egitto né in Tunisia. Due segnali su tutti: le manifestazioni del 13 agosto 2012 in Tunisia, contro l’articolo della Costituzione che sanciva la “complementarietà” della donna rispetto all’uomo e Samira la ragazza che ha denunciato i test di verginità in Egitto, supportata dal padre.




 

domenica 19 ottobre 2014

La Lega, gli immigrati e la contromanifestazione

L'Associazione per i Diritti Umani è scesa in piazza per contromanifestare durante la mobilitazione leghista del 18 ottobre a Milano. Abbiamo documentato con alcune foto le diverse posizioni dei cittadini e non solo.
(Le foto sono di Monica Macchi)












sabato 18 ottobre 2014

Perchè sostenerci...


Cari amici, cari lettori

Da questa sera troverete in alto a destra, sulla nostra homepage, la dicitura "Sostienici".
Un vostro contributo per noi sarebbe davvero importante e vogliamo farvi sapere come e per cosa verrebbe utilizzato:


per continuare ad arricchire il programma dei nostri incontri pubblici con gli autori

per poter invitare anche registi, scrittori, operatori, studiosi che vengono da altre città o dall'estero

per trasfromare la piattaforma in un sito più ricco

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per arricchire i nostri contenuti

per coinvolgere gratuitamente gli studenti

per poterci fare aiutare da altri collaboratori

...Insomma per continuare a fare il nostro lavoro sempre meglio e per offrirvi una proposta culturale sempre più articolata.



Un grazie di cuore a chi vorrà o potrà sostenerci. E un ringraziamento sempre e comunque a tutti voi.

Contro la candidatura di Tibor Navracsics






Cari amici, abbiamo ricevuto questa lettera della parlamentare europea Barbara Spinelli ai suoi colleghi europei perché non approvino la nomina del commissario ungherese alla cultura e ai diritti, Tibor Navracsics e abbiamo deciso di pubblicarla anche noi perchè la riteniamo utile e importante.







14 settembre 2014



Cari colleghi,



ritengo necessario respingere la nomina di Tibor Navracsics – attuale ministro ungherese degli Affari esteri e del commercio – a membro della Commissione europea. La sua designazione come responsabile per Educazione, cultura, politiche giovanili e cittadinanza è particolarmente allarmante, e costituisce un vero e proprio ossimoro per chi consideri una inderogabile necessità democratica la tutela dell’informazione, dell’istruzione, della partecipazione attiva dei giovani e della società civile – ambiti che hanno nella libertà d’espressione il proprio nucleo più profondo, e al tempo stesso più fragile.



Più in generale, non può lasciarci indifferenti il fatto che Tibor Navracsics – il cui documento strategico Our Future (Jövőnk) ha costituito, nel 2007, la base per il Manifesto del partito conservatore Fidesz – sia consigliere e uomo di fiducia di Viktor Orbán, il premier nazionalista che nemmeno due mesi fa ha dichiarato il proprio rigetto delle democrazie liberali,
[1] né che sia l’ispiratore della riforma dei media ungheresi che nel 2011 pose i mezzi di comunicazione, pubblici o privati che fossero, sotto il controllo dello stato, riducendo pressoché al silenzio le voci dell’opposizione. [2]



Allo stesso modo, dobbiamo ricordare che Tibor Navracsis era ministro della Giustizia e vice Premier del secondo governo Orbán quando, nel 2011, una riforma costituzionale delegittimò la magistratura ungherese, relegando il Consiglio nazionale dei Magistrati a un ruolo meramente consultivo, destituendo la Corte costituzionale di buona parte del suo potere e lasciando piena libertà al governo di far approvare le proprie leggi quadro senza un’adeguata discussione parlamentare.
[3]



Infine è opportuno considerare che, in qualità di Commissario – avendo tra le proprie competenze il programma per la cittadinanza – Tibor Navracsis avrebbe facoltà di limitare o bloccare tanto le future iniziative legislative europee quanto i finanziamenti alle Organizzazioni non governative, per progetti intesi a promuovere e rafforzare la cittadinanza europea. La preoccupazione non è fuori luogo, se consideriamo la politica aggressiva attualmente condotta nei confronti delle Ong operanti in Ungheria, denunciata da Amnesty International Ungheria
[4]dallo stesso Consiglio d’Europa, che ha indirizzato in proposito una lettera al primo ministro Orbán. [5] Ong che si sono attivate, nel caso ungherese, nelle regioni più povere o a tutela delle popolazioni Rom.



Come sappiamo, il sostegno delle associazioni, dei comitati, delle organizzazioni di cooperazione e di tutela dei diritti umani – che rientra nello spirito dell’articolo 11 del Trattato sull’Unione europea – concerne il Parlamento come istituzione. La libertà d’espressione è un elemento essenziale in un sistema democratico, ed è un diritto fondamentale riconosciuto dalla Carta europea. In quanto principio fondante dell’Unione, deve essere non solo protetta, ma “promossa” dai suoi stati membri (art. 49 del Trattato sull’Unione europea). Limitare l’attività degli organismi a tutela dei diritti umani, o intimidirne i dirigenti e gli attivisti, viola norme che sono vincolanti, e il principio di cooperazione leale che deve caratterizzare le relazioni tra l’Unione e i suoi stati membri (art. 4.3 Teu).



È per questi motivi che vi chiedo, cari colleghi, di esprimervi contro la nomina di Tibor Navracsics a Commissario dell’Unione europea, e in maniera più specifica a Commissario per Educazione, cultura, politiche giovanili e cittadinanza. [6]



Barbara Spinelli
vice-presidente della Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo,
membro supplente della Commissione per le Libertà civili, giustizia e affari interni





[5] Il 9 luglio 2014, il Commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks, ha indirizzato una lettera a János Lázár, Segretario di Stato per l’Ufficio del Primo Ministro, esprimendo il proprio disappunto per le intimidazioni e la sottrazione di fondi destinati alle Ong ungheresi da parte del Norwegian Civil Fund.
https://wcd.coe.int/com.instranet.InstraServlet?command=com.instranet.CmdBlobGet&InstranetImage=2564455&SecMode=1&DocId=2164762&Usage=2



[6] Parla da sé, che nella Lettera di missione indirizzata da Jean-Claude Juncker a Tibor Navracsics, il 10 settembre 2014, si legga: «Pur essendo radicate a livello locale e nazionale, l’istruzione, la cultura e la partecipazione civica sono percepite dai cittadini dell’Unione Europea come una componente cruciale dei nostri valori e della nostra identità condivisi. Esse contribuiscono alle risorse di libera espressione, creatività e imprenditorialità di ciascun individuo, nonché al dinamismo e alla coesione della nostra società». E, più avanti: «Rafforzare la comprensione dell’opinione pubblica su come oggi siano elaborate le politiche dell’Unione Europea e aiutare i cittadini a conoscere meglio l’Unione Europea e a partecipare alle sue discussioni. Bisogna in particolare adoperarsi per raggiungere i beneficiari delle attività organizzate attraverso il programma “Europe for Citizens” ed ERASMUS+, nonché nell’ambito del programma di tirocini organizzato dalla Commissione».






NOTE



[1] «Il nuovo stato che stiamo costruendo è uno stato illiberale, uno stato non liberale» ha detto Viktor Orbán il 26 luglio 2014, davanti a una platea di ungheresi “etnici” in Romania. «Dobbiamo abbandonare i metodi liberali e i principi liberali di organizzazione sociale, così come il modo liberale di guardare al mondo». (
http://www.kormany.hu/en/the-prime-minister/the-prime-minister-s-speeches/prime-minister-viktor-orban-s-speech-at-the-25th-balvanyos-summer-free-university-and-student-camp)



[2] Un recente rapporto dell’Osce analizza l’impatto delle politiche governative sui media ungheresi, mostrando la convergenza dell’informazione sul partito governativo Fidesz. (
http://www.osce.org/odihr/elections/hungary/116077). Unica eccezione, l’emittente dell’opposizione RTL, posta più volte in condizione di fallire, tanto che Neelie Kroes, vicepresidente della Commissione europea, ha recentemente ritenuto di intervenire in sua difesa: «RTL è uno dei pochi canali in Ungheria che non si limiti a promuovere una linea pro-Fidesz; è difficile pensare che l’obiettivo non sia cacciarla dall’Ungheria. Il governo ungherese non vuole in Ungheria un’emittente neutrale di proprietà straniera. [Tutto questo] è parte di un percorso profondamente preoccupante: un percorso contrario ai valori dell’Unione europea». (http://ec.europa.eu/commission_2010-2014/kroes/en/blog/media-freedom-remains-under-threat-hungary)



[3]In un parere giuridico adottato il 16-17 marzo 2012, la Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa si è pronunciata contro la riforma, ritenuta una minaccia per l’indipendenza del sistema giudiziario ungherese e un rischio patente di violazione del diritto all’equo processo garantito dall’art. 6 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. A tal fine, la Commissione raccomandò la revisione delle leggi in questione e della stessa Costituzione ungherese. (CDL-AD(2011)016-e. Opinion on the new Constitution of Hungary adopted by the Venice Commission at its 87th Plenary Session, Venezia, 17-18 giugno 2011.
http://www.venice.coe.int/webforms/documents/cdl-ad%282011%29016-e.aspx).



[4] Amnesty International Ungheria ha chiesto al governo Orbán di «smettere di ostacolare» le Ong e i gruppi della società civile, e garantire «l’esercizio del loro diritto alla libertà di associazione e alla libertà di espressione, senza subire intimidazioni». (Hungarian government must end its intimidation of NGOs, 10 settembre 2014,
http://www.amnesty.eu/content/assets/Doc2014/eur270042014en.pdf).



[5] Il 9 luglio 2014, il Commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks, ha indirizzato una lettera a János Lázár, Segretario di Stato per l’Ufficio del Primo Ministro, esprimendo il proprio disappunto per le intimidazioni e la sottrazione di fondi destinati alle Ong ungheresi da parte del Norwegian Civil Fund.
https://wcd.coe.int/com.instranet.InstraServlet?command=com.instranet.CmdBlobGet&InstranetImage=2564455&SecMode=1&DocId=2164762&Usage=2



[6] Parla da sé, che nella Lettera di missione indirizzata da Jean-Claude Juncker a Tibor Navracsics, il 10 settembre 2014, si legga: «Pur essendo radicate a livello locale e nazionale, l’istruzione, la cultura e la partecipazione civica sono percepite dai cittadini dell’Unione Europea come una componente cruciale dei nostri valori e della nostra identità condivisi. Esse contribuiscono alle risorse di libera espressione, creatività e imprenditorialità di ciascun individuo, nonché al dinamismo e alla coesione della nostra società». E, più avanti: «Rafforzare la comprensione dell’opinione pubblica su come oggi siano elaborate le politiche dell’Unione Europea e aiutare i cittadini a conoscere meglio l’Unione Europea e a partecipare alle sue discussioni. Bisogna in particolare adoperarsi per raggiungere i beneficiari delle attività organizzate attraverso il programma “Europe for Citizens” ed ERASMUS+, nonché nell’ambito del programma di tirocini organizzato dalla Commissione».

venerdì 17 ottobre 2014

Antigone nella città: il teatro si cala nel reale








16 ottobre > 2 novembre (Prima nazionale)

Teatro Out Off

ANTIGONE NELLA CITTA’

di Gigi Gherzi

con Gigi Gherzi e Lorenzo Loris

scene Daniela Gardinazzi, costumi Nicoletta Ceccolini

audio e video Alessandro Canali

regia Lorenzo Loris



Dall'incontro tra Gigi Gherzi, attore e autore, che già sta portando i temi e le forme della tragedia greca all'interno dell'esperienza di Teatro degli Incontri e il Teatro Out Off e Lorenzo Loris, da sempre attento alla sperimentazione drammaturgica e al teatro del contemporaneo, nasce “Antigone nella città”.

Antigone ritorna nella città. Percorre la città di oggi con la sua ansia di giustizia, con le domande che oggi, come al tempo di Sofocle, continua a rivolgere alla nostra vita e ai nostri buchi neri.

Domande che non lasciano insensibili i due attori che si fronteggiano in scena, tesi a cercare e trovare pro e contro, affermazioni e negazioni, della necessità di quella storia.

Così lo spettatore viaggerà, insieme ad Antigone, nei mondi della crudeltà contemporanea e antica, passeggerà nel Circo Massimo insieme ai leoni, cercherà scampo dal crollo delle Torri Gemelle, sarà sulla sabbia dell'arena insieme al toro ucciso.

E lì , in quei posti, riconoscerà e riattraverserà la forza delle parole di Antigone.

Si parlerà di entertainment, dello spettacolo diventato merce, per interrogarsi sulla possibilità , oggi, di una rinascita del teatro come rito, come luogo d'incontro del pubblico, aperto alla festa e al pensiero.

Un teatro che vede, nella tragedia greca, la vita di archetipi eterni e, nello stesso tempo, trova lì suggestioni per il proprio futuro utopico.

Antigone ritorna nella città chiedendosi il senso del teatro, nella città.



Un ringraziamento particolare a Luigi Zoja. Il suo saggio “Contro Ismene” è stato per noi grande fonte di riflessioni e di suggestioni.



Gigi Gherzi è attore, autore e regista. Vincitore dei premi teatrali Scenario e Stregagatto, ha firmato testi e regie per alcuni dei più importanti gruppi di teatro di ricerca italiani. Negli ultimi anni ha prodotto performance e spettacoli interattivi col pubblico, esperienze di “teatro dello spettatore”.Ha sperimentato teatro nei luoghi sociali e dell'esclusione, è fondatore di “Teatro degli Incontri” , progetto teatrale sul rapporto tra città e comunità.










Durante la programmazione si svolgeranno alcuni incontri di approfondimento con docenti ed esperti:








Il programma degli incontri:



16/10 Luigi Zoja – LO SPETTATORE E I DEMONI



Luigi Zoja ha lavorato in clinica a Zurigo, poi privatamente a Milano, a New York e ora nuovamente a Milano come psicoanalista. Presidente del CIPA (Centro Italiano di Psicologia Analitica) dal 1984 al ‘93. Dal 1998 al 2001 presidente della IAAP (International Association for Analytical Psychology), l’Associazione degli analisti junghiani nel mondo.



Pubblicazioni in quindici lingue. Alcune tra le più recenti pubblicazioni in italiano; Contro Ismene. Considerazioni sulla violenza, Bollati Boringhieri, 2009 (Premio Internazionale Arché); Al dilà delle intenzioni: etica e analisi, Bollati Boringhieri, Torino 2011 (Gradiva Award per l’edizione americana); Utopie minimaliste, Chiarelettere, Milano 2013 (Premio Rhegium Julii); (con Leonardo Boff) Tra eresia e verità, Chiarelettere, Milano 2014.



21/10 Gerardo Guccini – LA POLIS E IL TEATRO NECESSARIO



Gerardo Guccini insegna Drammaturgia e Teoria e Tecniche della Composizione Drammatica all’Università di Bologna. È Responsabile Scientifico del CIMES (Centro di Musica e Spettacolo, Università di Bologna) e dirige la rivista di inchieste teatrali “Prove di Drammaturgia” edita da Titivillus. Scopo centrale di quest’ultima è fornire un contesto di riflessione e uno strumento di testimonianza a formazioni e artisti operanti nell'area dell'innovazione. Studioso di teatro del Settecento e dello spettacolo operistico, ma anche di teatro di narrazione e dei teatri di interazione sociale, Guccini coniuga nell'analisi drammaturgica le varianti e le permanenze che attraversano le esperienze storiche e contemporanee.



23/10 Roberta Gandolfi - LA RIVENDICAZIONE DI ANTIGONE



Roberta Gandolfi è ricercatrice presso l'Università di Parma, dove insegna storia del teatro contemporaneo. I suoi ambiti di ricerca e intervento riguardano in particolare la regia e la scrittura scenica, la dimensione politica del teatro, gli intrecci fra pratiche teatrali e culture delle donne. Fra le sue pubblicazioni, i volumi La prima regista. Edith Craig, fra rivoluzioni della scena e cultura delle donne (Roma, Bulzoni, 2003) e Un teatro attraversato dal mondo. Il Théâtre du Soleil, oggi (con Silvia Bottiroli, Pisa, Titivillus, 2012 ).



28/10 Roberta Carpani - IL TEATRO E IL PANE QUOTIDIANO



Roberta Carpani è ricercatrice confermata in Discipline dello spettacolo presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna Drammaturgia e Storia del Teatro e dello Spettacolo. Si è occupata di ricerche storiche sul teatro e la teatralità in Lombardia in Antico Regime, di teatro della scuola, delle trasformazioni contemporanee del teatro performativo. Ha collaborato a progetti di formazione in collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano, il CTB Teatro Stabile di Brescia, la Pinacoteca Ambrosiana, l’IRRSAE-Lombardia e altre istituzioni culturali milanesi. E' membro dell'Accademia Ambrosiana, Classe di Studi Borromaici.








Prenotel 0234532140 lunedì ore 10 > 18 e martedì > venerdì ore 10 > 20; sabato ore 16 >20



Ritiro biglietti Uffici via Principe Eugenio 22. Lunedì > venerdì ore 11 > 13;



Botteghino del teatro, via Mac Mahon 16 da martedì a venerdì ore 18 > 22, sabato ore 16 > 21, domenica ore 15 > 17








Abbonamento Outoffcard



Intero 60 Euro 6 spettacoli a scelta (escluso i Festival “Danae”, “Mito e gli spettacoli del Teatro dei bambini) Under 25 54 Euro; over 65 42 Euro








Intero 18 Euro - costo prevendita e prenotazione 1,50/1,00 Euro



Riduzione 12 Euro under 25 ; 9 Euro over 65 Convenzione con il Comune di Milano



Orari spettacoli da martedì a venerdì ore 20.45; sabato ore 19.30; domenica ore 16.00



trasporti pubblici tram 12-14 bus 78 Accesso disabili con aiuto



Teatro Out Off 20155 Milano via Mac Mahon 16, Uffici via Principe Eugenio 22 telefono 02.34532140



Fax 02.34532105
info@teatrooutoff.it; www.teatrooutoff.it , Bistrot del teatro tel. 0239436960