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venerdì 1 novembre 2013

Omofobia e suicidi


L'Italia è un Paese libero, ma esiste l'omofobia e chi ha questi atteggiamenti deve fare i conti con la propria coscienza...Nel 2013 c'è ancora l'omofobia, sono stanco”: queste le parole scritte su un biglietto da un ragazzo di 21 anni che, nei giorni scorsi, si è tolto la vita lanciandosi dall'undicesimo piano di un palazzo di Roma. Ed è il terzo caso di suicidio, a causa dell'omofobia, nella capitale nell'arco di un anno: lo scorso novembre, infatti, uno studente di un liceo scientifico si è impiccato con una sciarpa e, in agosto, un altro adolescente si è buttato dal terrazzo di casa.
Il mese scorso è stata approvata alla Camera la legge che inasprisce le pene per chi commette reati a carattere omofobo, ma il provvedimento ha fatto scattare le proteste di Sel, M5S e delle organizzazioni gay per un emendamento che salva dalle aggravanti. Il testo, ora, deve essere approvato in Senato. (rimandiamo ad un articolo precedente sull'argomento).
L'ultimo suicidio di una persona giovane ha rimesso al centro del dibattito il tema. Fabrizio Marrazzo, portavoce di Gay Center, ha affermato: “ I suicidi o i tentativi di suicidio di giovani omosessuali sono un dato allarmante. Dai dati in nostro possesso risulta che un omosessuale su dieci, nella sua vita, ha pensato al suicidio. Le istituzioni diano una risposta urgente nella lotta all'omofobia e nell'allargare la sfera dei diritti gay”. A queste parole si sono aggiunte quelle di Franco Grillini, presidente di Gaynet: “ Quel poco che è trapelato ci consente di dire, ancora una volta, che in Italia la politica è sorda e cieca e non riesce a promuovere con rapidità e decisione quei cambiamenti legislativi che sono essenziali per imprimere una svolta alla vita di milioni di persone Lgbt”.
Da parte delle istituzioni, una prima risposta è arrivata da Maria Cecilia Guerra, Viceministro del lavoro e delle Politiche sociali con delega alle Pari opportunità: “Provo un dolore profondo per lui che ha deciso di rinunciare a vivere perchè si sentiva “sbagliato” e sono vicina alla famiglia”, ha detto il Viceministro, per poi continuare: “ Tutti abbiamo responsabilità, ciascuno a suo modo: le istituzioni, la scuola, la famiglia, i mass-media, e non voglio certo sottrarmi alle mie. Sono ben consapevole che è necessario fare molto di più. Le prime iniziative che ho preso, da quando mi sono state conferite le deleghe relative alla lotta contro le discriminazioni in base all'orientamento sessuale e all'identità di genere, in collaborazione con il Dipartimento Pari opportunità e con il Ministero della Pubblica istruzione, vanno proprio nella direzione di agire subito dentro e con la scuola, e di lavorare insieme alle famiglie”.
Intanto alcuni cittadini, mercoledì scorso, sono scesi in piazza, nella Gay street di Roma, in Via San Giovanni in Laterano, per chiedere una nuova legge contro l'omofobia che tuteli davvero i trans e gli omosessuali anche in nome di tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita per i diritti civili e contro ogni forma di violenza.



Manifestazione durante la Giornata Mondiale contro l'omofobia, maggio 2013


sabato 23 febbraio 2013

Morire di nostalgia a 14 anni (e un film come dedica)


Habtamu Scacchi aveva solo 14 anni. Era di origini etiopi ed era stato adottato da due coniugi italiani che lo amavano moltissimo.
L'altro ieri si è tolto la vita, impiccandosi.
Era residente a Paderno Dugnano e il suo corpo è stato ritrovato in un campo di Biassono, abbastanza vicino al luogo in cui viveva e studiava.
Ma in precedenza si era già allontanato da casa: un anno fa si trovava in villeggiatura sul lago D'Orta, nel novarese, e da lì era scappato, portando con sé una cartina geografica, e agli agenti che lo avevano fermato, per poi ricondurlo dai suoi genitori, aveva detto di provare una forte nostalgia e di desiderare di rivedere i familiari rimasti in Etiopia.
Il 15 febbraio scorso il ragazzino si era allontanato di nuovo dalla cittadina di residenza, senza documenti né telefono cellulare, e i genitori avevano subito dato l'allarme perchè preoccupati da un biglietto lasciato dal figlio. Sul foglio di carta, infatti, Habtamu aveva scritto: “Non ce la faccio più a vivere in Italia, voglio morire”. E così, purtroppo, è stato.
Un adolescente che, oltre alle inquietudini proprie dell'età, portava dentro di sé il peso dello strappo dalle proprie origini e dai propri affetti e, probabilmente, anche il disagio – non ancora risolto – di una doppia appartenenza, di una doppia identità.

Ad Habtamu vogliamo dedicare la recensione del romanzo e dell'omonimo film Vai e vivrai di Radhu Mihaileanu (editi entrambi da Feltrinelli). Nei film e in letteratura, spesso, c'è il lieto fine; nella realtà, altrettanto spesso, purtroppo, no.

VAI e VIVRAI di Radhu Mihailenau



Tra il 1984 e il 1985, migliaia di africani aspettano di essere imbarcati sugli aerei per essere portati in salvo in Israele. Sì, perchè quegli africani sono ebrei etiopi, i falasha.
Molti di loro non riescono, per vari motivi, a scappare dalla carestia e rimangono al campo profughi in Sudan e, quasi sicuramente, andranno comunque incontro alla morte, per fame, per sete, per malattia. Proprio per evitare questo, una madre cristiana spinge il proprio bambino verso un'altra donna, affidandoglielo e chiedendole di portalo con sé in Terra Santa, come un falasha. Il bambino dovrà abbandonare il proprio vero nome – si farà chiamare Schlomo – la propria religione, il proprio Passato.
Una volta giunto in Israele , dove viene adottato da una famiglia di ebrei illuminati, la sua esistenza non sarà facile: ogni successiva conquista avverrà a seguito di dolore e di sofferenza perchè è un bambino nero in una società di bianchi, una società complessa caratterizzata dal razzismo tra ebrei askenaziti e sefarditi, un conflitto – questo – che si va ad aggiungere a quello con i palestinesi.
Lo stesso Mihaileanu, nato da una famiglia di ebrei rumeni, è dovuto scappare dal regime di Ceausescu e ora vive a Parigi e, dopo il successo di Train de Vie, ha proposto la storia dei falasha, una storia poco conosciuta, ma molto interessante. Nel caso degli ebrei etiopi, infatti, è la prima volta nella storia dell'umanità, secondo l'opinione del regista, che dichiararsi ebrei può servire per salvarsi la vita, anche se sempre a caro prezzo.
Lo stile del racconto cinematografico (ma anche il libro è altrettanto profondo) mescola il documentarismo con l'epopea per scandagliare gli stati d'animo del protagonista che viene seguito in tutte le tappe della vita. Il titolo originale della pellicola, infatti, è Va, vis, deviens: Va, vivi e diventa. Schlomo è un bambino, poi un adolescente e poi un giovane uomo e, nel corso degli anni, porta sempre dentro di sé la nostalgia per la propria terra, per la propria cultura, per la propria madre che cerca nel cielo, guardando le fasi della luna.
Il film e il romanzo riportano un testo universale, quindi: si parla della ricerca di equilibrio tra due identità diverse; si parla della ricchezza potenziale che due appartenenze veicolano; e si parla di maternità: Schlomo si confronta con tre madri. La madre biologica, quella adottiva (importantissima la scena in cui la donna lecca il viso del figlio per dimostrare ai genitori razzisti dei compagni di scuola che essere neri non significa avere qualche malattia) e Sara, la donna che lo farà diventare padre.
Ma, soprattutto, la Mamma Africa: quella che ha generato lui e tutti quelli come lui, quella terra e quella cultura che gli ha dato i tratti somatici e la fierezza, i moti dell'anima e il suo Passato. Per andare incontro al futuro, e a una nuova vita, Schlomo dovrà fare ritorno alle proprie radici,  camminare a piedi nudi, come in pellegrinaggio, sulla terra arida del proprio Paese per riabbracciare colei da cui tutto è partito.