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mercoledì 2 dicembre 2015

Il posto giusto: NO al razzismo






Cari amici, vi invitiamo a partecipare numerosi a questa bellissima iniziativa:

Il 1 dicembre 1955 su un autobus dell'Alabama una donna ha cambiato la storia dei diritti civili. A 60 anni dal no al razzismo di Rosa Parks, il Comune di Milano la ricorda con un tram storico che partirà il 3 dicembre
dalle 17,15 alle 21,00 - ogni 30 minuti -  dalle fermate di via Cantù e Porta Genova. 

L'iniziativa è organizzata in collaborazione con ATM e con l’Associazione Città Mondo e grazie all'Associazione Il razzismo é una brutta storia e l'Associazione Mondadori: un percorso artistico su un tram storico in giro per la città. 


Un attore condurrà il pubblico in un percorso di riscoperta del tema della lotta per i diritti civili, e durante questo viaggio, gli spettatori avranno la possibilità di rivivere la forza del rifiuto di Rosa Parks, che verrà rimesso in scena dagli attori presenti sul tram. 
L’episodio sarà trasposto teatralmente ai giorni nostri: sono passati sessant’anni dalla denuncia di Rosa, ma certe violenze fanno ancora parte della vita di tutti i giorni. Un percussionista scandirà il ritmo della performance evocando con i tamburi atmosfere tribali africane e una cantante soul farà da cornice con le sue note alla lettura di alcuni passi del nuovo romanzo di Harper Lee.

Gli interpreti in scena sono Michel Koffi Fadonougbo, Betty Gilmore, Stephane Ngono e Andrea Panigatti; Riccardo Mallus firma la regia.

Radio Popolare, media partner dell’evento, condurrà una diretta dal tram offrendo momenti di approfondimento con il pubblico e garantendo la diffusione radiofonica della manifestazione.

La partecipazione è gratuita previa prenotazione obbligatoria – indicando nome, orario prescelto e numero di partecipanti (max 4) – alla mail:  rosaparks.milano@gmail.com

mercoledì 28 ottobre 2015

Diritti Lgbt, teatro e società

 
 
 
 




Uno spettacolo teatrale intitolato Assolutamente deliziose, di una delle autrici più trasgressive della scena britannica, Claire Dowie - interpretato da Flaminia Cuzzoli e Ottavia Orticello con la regia di Emiliano Russo – che ha debuttato al Teatro Due di Roma, con le tappe estive del Fontanone Estate XX Edizione e del Venus Rising Festival nella sezione Teatro del Gay Village Farm e presso il Teatro dei Filodrammatici che ha ospitato il Festival ILLECITE//VISIONI a Milano, ci permette di approfondire alcuni temi riguardanti la comunità Lgbt, i diritti delle donne e i rapporti di genere.



Per questo abbiamo rivolto alcune domande al regista e alle attrici che ringraziamo moltissimo per la disponibilità.



Rispondono Flaminia Cuzzoli (attrice), Ottavia Orticello (attrice) ed Emiliano Russo (regista)



Lo spettacolo veicola molti argomenti. Ad esempio: essere donna nella società contemporanea così contraddittoria e competitiva...


Esattamente. Nel raccontare i destini incrociati di queste due donne, cugine, coetanee, cresciute insieme, la Dowie ironizza su alcune stereotipate aspettative della società contemporanea in cui si imbattono le nostre protagoniste; aspettative in primis provenienti dall’ambiente domestico, quella serie di regole del “buon costume” cui le bambine sono chiamate a conformarsi. Attraverso una serie di slogan, cui l’autrice antepone la dicitura “IN RIFERIMENTO AD UNA ROUTINE DA COMMEDIA TRITA E RITRITA”, veniamo a confrontarci con queste norme comportamentali che diventano una sorta di sfottò al mondo dei genitori: sulla scena vediamo concretamente i nostri due personaggi A e B imitare l’intonazione e il linguaggio usato in particolar modo dalla madre di una delle due che le esorta a tenere la schiena dritta, non parlare a meno che non sia il proprio turno, non dire cose scortesi, non fare cose disdicevoli, comportarsi da signorine da brave ragazze, tenere le ginocchia unite per non far vedere le mutandine e così via. A questo segue l’elenco di una serie di passatempi in rosa che si considera essere “naturali” per le ragazzine come stare a casa a raccontarsi i segreti, parlare delle cose proibite del sesso, farsi maschere di bellezza per la pelle, andare a ballare, dare della sgualdrina ad un’amica. E come reagisce una donna, come si rapporta a questo bombardamento di convinzioni riguardanti l’essere “femmina”? Nel nostro spettacolo proponiamo due diversi modi, opposti ma complementari, due diverse strategie di sopravvivenza messe in atto dalle nostre A e B. La prima sviluppa un rifiuto totale del modello rappresentato da sua madre (da lei definita “casalinga che farebbe di tutto per una vita tranquilla eccetto combattere per i propri diritti) e, nel suo tentativo di non diventare ossessionata dal budino come lei, di non avere il suo stesso sguardo, i suoi stessi occhi, diventerà un “maschiaccio”, rifiutando di identificarsi in un “genere” definito, jeans maglietta capelli corti e sogni anarchici e anticapitalisti. La seconda, al contrario, trova nello status quo, nei soldi, nell’essere una donna in carriera di successo un modo per sentirsi amata e accettata dalla gente, utilizzando la sua bellezza e sensualità per garantirsi questa accettazione di cui ha disperatamente bisogno; non manca però un continuo influenzarsi a vicenda, una fusione della propria identità a quella dell’altra per tutta la vita, perfino a distanza quando B lascia l’Inghilterra per raggiungere sua madre in Australia. Finiranno entrambe per nascondersi dietro le rispettive ideologie, alla ricerca di un senso per le proprie esistenze, di qualcosa per cui lottare, per non sentire quella voce nella testa ripeterti “MIO DIO CHE FALLIMENTO. UN LAGNOSO, FRIGNANTE FALLIMENTO. TUTTO QUESTO, GUARDA, PENSI CHE PORTERA’ A QUALCOSA? PENSI CHE VALGA QUALCOSA? MIO DIO SEI STATA INGANNATA O COSA?  
 
 



Il rapporto raccontato dal testo affonda le radici nell'infanzia e nell'adolescenza delle protagoniste: quanto è importante quel periodo della vita per la formazione dell'identità dell'adulto ? Oppure la Natura fa il proprio corso al di là delle esperienze di vita?



Infanzia e adolescenza sono periodi fondanti per la creazione della propria identità. Se l’infanzia è un periodo in cui è possibile assorbire messaggi e insegnamenti dal mondo esterno senza ancora avere la piena capacità di giudizio e quindi di filtro nei confronti degli impulsi esterni, l’adolescenza è sicuramente il momento di presa di coscienza nella maturazione di un individuo. Oltre ad essere un periodo che racchiude le esperienze di crescita fondamentali per una persona, è il momento in cui si comincia a chiedersi chi si è, cosa si vuole. Crescere senza portare su di sé le tracce di ciò che ci circonda è forse un’utopia: dalla semplice relazione col mondo esterno in tutte le sue sfaccettature, come ad esempio il giudizio della società che impone e condiziona fortemente la persona in un periodo di grande confusione e di fragilità, al più fondamentale “microcosmo familiare” che soprattutto in età adolescenziale rappresenta per noi l’unico modo, l’unico punto di vista con cui vedere il mondo. Resta il fatto che noi non siamo il nostro passato, le nostre storie familiari, ma che possiamo scegliere dove portarCI o non portarCI in qualunque momento.



Quali sono le difficoltà nel poter vivere liberamente le proprie scelte affettive?

 

Dovrebbe suonarci quantomeno strano l’accostamento delle parola “difficoltà” con “vivere liberamente” e “scelte affettive”. Le scelte affettive riguardano le persone coinvolte in esse, sono qualcosa di privato che non dovrebbe trovarsi sottoposto al tribunale del giudizio altrui, love is love e vivere un sentimento non dovrebbe costituire un problema. In pratica poi, al di là dei “dovrebbe e non dovrebbe”, si verificano situazioni che ti fanno sentire in difficoltà. Ad esempio se vivi in una piccola città temi il “giudizio” della gente, temi che le loro chiacchiere possano creare disagio non solo a te stesso/a ma anche alla tua famiglia. Probabilmente ti crea disagio essere etichettato, imprigionato in opinioni parziali sulla tua persona, sulla tua individualità... ma i giudizi, le opinioni esterne sono sempre parziali, sommarie; è come se l’essere umano avesse bisogno di racchiudere il prossimo in definizioni per poterlo controllare, ciò che non si conosce spaventa, come in un gioco di specchi tra io e l’altro. Così tutti giudicano e lo fanno anche A e B. Si giudicano e criticano in continuazione per ogni piccola cosa. Alla fine è sempre una questione di “potere”, di chi ha il controllo. D’altra parte parlando specificatamente del nostro paese, di noi italiani, giudizi offensivi e critiche sono ancora abbastanza radicati per varie ragioni culturali probabilmente, ma soprattutto perché, per tanto troppo tempo, non si è stati costretti a RIconoscere l’esistenza di persone che si considerano LGBTQ: tutto doveva restare nelle quattro pareti domestiche delle nostre rassicuranti famiglie borghesi.




Quali sono i diritti delle/degli omosessuali ancora da affermare, in Italia?


Sicuramente va varata prima di tutto una legge contro l’omofobia. Nelle ultime settimane c’è stata un’escalation di violenze fisiche e psicologiche: dall’adolescente in Sicilia che si è tolto la vita, al ragazzo sbattuto fuori dall’aula dal proprio insegnante, alle aggressioni quotidiane. E la cosa veramente preoccupante è che talvolta i media non si preoccupano più di diffondere queste notizie - che circolano poi invece sui social causando grande indignazione e sgomento da parte di molti. Il fatto che davanti a questi eventi ci siano persone al potere che ancora si ostinano a dire che “l’omofobia non esiste” dovrebbe davvero lasciarci riflettere su chi tesse le reti delle nostre vite. Ma in fondo questa è solo una delle tante questioni problematiche che attanagliano l’Italia di oggi.



Cosa vorreste dire, attraverso questo testo teatrale, ai genitori di persone gay?


Non è un caso che il nostro primo progetto indipendente - di ex compagni di Accademia, oggi colleghi, che hanno in mente un viaggio da percorrere attraverso un’associazione di promozione sociale come la nostra Upnos - sia “Assolutamente Deliziose”. Se c’è una cosa che odiamo è il dover a tutti i costi definire gli altri, mentre crediamo nella persona, nel cercare di essere se stessi piuttosto che quello che si dovrebbe essere, o quello che si pensa di dover essere o quello che la gente ci dice di essere … A e B, le donne di Claire Dowie ci provano, cercano di sbarazzarsi delle etichette imposte dalla cultura, anche se l’esito non è garantito e si beccano sofferenza a palate. In quanto ai genitori cosa si può dire? Vi consigliamo una bella lettura da tenere sui vostri comodini: il Profeta di Gibran, un tale che ha parlato ai genitori, a tutti i genitori di tutti i figli.



I vostri figli non sono figli vostri... sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perchè la loro anima abita la casa dell'avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perchè la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.
Voi siete l'arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L'Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell'infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell'Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l'arco che rimane saldo.




mercoledì 21 ottobre 2015

#Nonmelaspaccigiusta: la campagna sulle droghe non è finita


Cari tutti,

oggi vi mettiamo al corrente della campagna #Nonmelaspaccigiusta organizzata da Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili (CILD) e da altre associazioni, come Antigone,sul tema delle droghe.

A seguito del comunicato, pubblichiamo una dichiarazione di Patrizio Gonnella - Presidente dell'Associazione Antigone - che ha rilasciato all'Associazione per i Diritti umani. Lo ringraziamo molto.

 
 
 

Nel mese di aprile 2016 le Nazioni Unite dedicheranno una sessione speciale dell’assemblea generale al tema delle droghe (Ungass). È l’occasione per mettere definitivamente in soffitta la war on drugs.


Il nostro messaggio alle istituzioni


Le droghe sono un fenomeno complesso che riguarda milioni di persone solo in Italia.
È necessaria una risposta di tipo multi-disciplinare: sociale, culturale, medica.


Non si può delegare tutto alla giustizia criminale e all’incarcerazione di massa.

L’Italia è stata in prima linea nella guerra alle droghe con una legislazione ideologica, punitiva, repressiva. La legge Fini-Giovanardi, in parte abrogata dalla Corte Costituzionale, va del tutto superata. Essa si fondava sulla logica della proibizione assoluta, della repressione, della carcerazione diffusa.

Ci vuole un cambio di paradigma puntando su altre parole chiave, ovvero prevenzione, riduzione del danno, decriminalizzazione, depenalizzazione e legalizzazione.

Il Governo italiano non ha ancora fatto sapere quale sarà la sua posizione in attesa di Ungass 2016 e quando convocherà la conferenza nazionale sulle droghe.

Noi chiediamo al Presidente del Consiglio dei Ministri di dare un segnale di cambiamento nella direzione del superamento della war on drugs e di spingere l’intera Unione Europea in questa direzione.

Gli chiediamo anche di annunciare la data della conferenza nazionale sulle droghe, indispensabile per un dibattito pubblico su un tema tanto cruciale.






INTERVENTO DI PATRIZIO GONNELLA
 
Era il 17 luglio 1971, quando l’allora presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, dichiarò quella che è conosciuta globalmente come la “war on drugs”. Davanti al congresso Nixon disse che il consumo di droga aveva assunto la dimensione di una emergenza nazionale e chiese a Capitol Hill uno stanziamento iniziale di 84 milioni di dollari per assumere misure di emergenza. Dopo 40 anni e miliardi di dollari spesi per combatterla nelle strade nei tribunali e con incarcerazioni di massa, la guerra alla droga è persa. Molti stati se ne sono accorti e iniziano a cambiare le proprio politiche. Anche le Nazioni Unite lo hanno capito e per la primavera del 2016 hanno convocato una sessione speciale dell’Assemblea Generale su questo tema. Sarà l’occasione per un cambiamento profondo a livello globale e sarà un’occasione senza precedenti anche per l’Italia per far sentire una nuova voce e avere peso in queste scelte. Per favorire questo cambiamento è però necessaria un’opinione informata. Cosa hanno comportato le politiche proibizioniste e repressive in Italia? Quanti sanno che dal 2006 al 2014 circa 250.000 persone sono entrate in carcere, per una spesa per lo Stato di oltre 1 miliardo di euro l’anno, senza contare i soldi spesi per forze dell’ordine e tribunali. E quanti sanno che se la cannabis fosse legale l’Italia guadagnerebbe tra i 7 e i 13 miliardi di euro ogni biennio grazie alla tassazione. Quanti conoscono i reali effetti delle droghe (cannabis-cocaina-anfetamine-ecc.) e quanti il confronto tra cannabis e alcool, due sostanze psicoattive, una illegale e l’altra no? E ancora, in quanti sanno quali sono le sanzioni previste per l’uso personale, se l’uso di gruppo è ammesso o punito, cosa accade se si viene fermati mentre si è alla guida dopo aver utilizzato sostanze? Con #NonMeLaSpacciGiusta la Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili (CILD) punta proprio a questo: ad informare per favorire un dibattito non ideologico, aperto ai dati e alla voci di tutti. Il progetto si avvale della competenza di ONG, medici, avvocati, giornalisti scientifici e propone un sito con numerosi materiali per fornire una base di conoscenza che informi il dibattito politico e mediatico. Le droghe non sono da trattare tutte allo stesso modo: in maniera disinformata, ideologica e approssimativa. Le droghe sono una diversa dall’altra. È necessario informare correttamente circa i rischi dell’uso e dell’abuso. Il tema riguarda la salute psico-fisica delle persone, i loro stili di vita, la libertà di scelta, l’educazione. Considerarla solo di rilevanza giudiziaria significa fare un favore immenso alle mafie e a chi è capace di guadagnare ingenti somme di denaro dal mercato nero. I nostri ragazzi vanno educati, sostenuti, protetti, informati. Non serve perseguitarli e incarcerarli. Il cambiamento inizia da un’opinione informata. Contro chi non ce la spaccia giusta.

lunedì 9 marzo 2015

PRIDE: lavoratori, omosessuali e diritti negati





Gran Bretagna, storia recente: nel 1984 l'allora Primo Ministro, Margaret Thatcher, decide di chiudere una serie di impianti estrattivi con la conseguente perdita di molti posti di lavoro. Nasce, così, una grande mobilitazione dei minatori in molte zone del Paese, uno sciopero imponente che blocca le attività per quasi un anno.

In un villaggio del Galles, Delays, molte famiglie riescono a vivere solo grazie all'estrazione del carbone, per cui la scelta politica ed economica risulta ancora più grave: ecco, però, che un gruppo di londinesi si unisce agli operai nella lotta. Si tratta di un gruppo di giovani omosessuali che costituiscono il “Lesbian and Gays Support the Miners” (LGSM).

Non anticipiamo quale fu l'esito di quella protesta, ma sicuramente essa diede un segnale forte ai britannici, e a tutto il mondo, in direzione della tutela dei diritti civili: si parla di dignità dei lavoratori e di rispetto per l'amore tra persone dello stesso genere. Un anno dopo, nell'85, i miners decisero di partecipare ad uno dei più grandi gay-pride nella capitale inglese: un insegnamento di solidarietà reciproca che dovrebbe valere anche a distanza di trent'anni.


Lungamente applaudito alla sezione “Quenziane des Réalisateurs” del Festival di Cannes dello scorso anno, Pride è una commedia sociale, colorata e scoppiettante che, fra i sorrisi e le gags molto “british”, porta a fare anche riflessioni di stretta attualità.

Pride è, infatti, l'orgoglio di chi protesta, di chi ha ancora la voglia e il coraggio di scendere in piazza a gridare che i diritti non vanno calpestati e i diritti fondamentali (come quello alla vita, alla salute, al lavoro, all'istruzione) appartengono a tutte e a tutti, senza distinzioni di nazionalità, di ceto, di età. Ma c'è anche il diritto all' amore che non va sottovalutato perchè le relazioni affettive stanno alla base di una buona qualità dell'esistenza.

Gli anni '80 – quelli in cui il regista Matthew Warchus e lo sceneggiatore Stephen Beresford ambientano la pellicola – sono stati l'epoca dell'edonismo reaganiano, seguito a ruota dall'era della lady di ferro e dall'Occidente intero, caratterizzata, quindi, da una forte sperequazione sociale, in cui i ricchi (cocainomani affaristi) erano lontani anni luce dalla working class (sempre più schiacciata da debiti e tasse).

Regista e sceneggiatore raccontano quel periodo attraverso le vicende del capo dei minatori - Mark Ashton che fonda il comitato di lotta contro la chiusura degli impianti - e la grintosa Hefina Headon che, affiancata dal dolce Cliff, darà vita al movimento di sostegno degli omosessuali. Oltre a loro, gli altri compagni di avventura che più diversi di così non potrebbero essere. Questa è la chiave, originale e interessante, del film: un film scritto e diretto da due professionisti del teatro che sanno come creare il giusto ritmo alla narrazione, tramite regia, montaggio, musica e dialoghi. Uno dei temi principali, infatti, è la convivenza possibile tra persone che appartengono a mondi molto differenti tra loro: i nerboruti operai, che hanno una mentalità chiusa, retrograda e maschilista, vengono affiancati al gruppo chiassoso, sregolato e anticonformista dai gay. All'inizio il rapporto arriva quasi ad essere violento, nelle parole e nei fatti, ma col tempo e la conoscenza, la situazione cambia a tal punto che si instaura tra loro un'amicizia. Ma un legame di questo tipo, partito con premesse così difficili, necessita di intelligenza e di apertura mentale: prima curiosità, poi fiducia e poi solidarietà e questo viene reso possibile in un contesto storico-politico che certo non agevolava l'antirazzismo e l'antidiscriminazione. Anzi.

Le scene del film riportano alla mente altre pellicole di grande successo, come ad esempio Grazie signora Tatcher e Billy Elliot e c'è un omaggio musicale doveroso a Ken Loach, il regista britannico che più di tutti ha saputo raccontare quegli anni in quell'area geografica: una bellissima Bread & Roses cantata a cappella. Un momento da brividi che si inserisce, quasi come una preghiera, in una colonna sonora pop e ritmata che fa venire voglia ancora di ballare.

Mai si scade nella volgarità, ma le battute degli attori sono incisive, nonostante il testo sia leggero; le sequenze sono state girate proprio nei luoghi in cui si è svolta la vicenda reale per non dimenticare il fatto drammatico che fa da sfondo alla trama. E, infine, non è da dimenticare il fatto che la storia, che qui si intreccia a quella con la “S” maiuscola, propone una riflessione anche sullo scambio generazionale: uomini adulti, con un'educazione conservatrice, si affiancano a giovani con poca esperienza in vari settori. E tutti impareranno qualcosa dagli altri, ricordando agli spettatori l'importanza di quei valori positivi su cui si basa la civilità occidentale e umana.

giovedì 19 febbraio 2015

Anche Sanremo canta i diritti

Non siamo qui a parlare del Festival di Sanremo (per carità!) e nemmeno vogliamo giudicare una canzone italiana dalla melodia, a nostro parere, piuttosto noiosa. PERO', c'è un "però": vale la pena ascoltare il testo del pezzo intitolato "Io sono una finestra" di Grazia Di Michele e Mauro Coruzzi (in arte "Platinette").
Gli artisti cantano i diritti degli omosessuali e dei transgender con delicatezza e poesia, cantano l'ipocrisia di molti e il rifiuto di altri. Interessante, anche se semplice, l'idea del video: due identità che si scambiano, forse una stessa persona che parla a se stessa.
Buon ascolto!




venerdì 4 aprile 2014

Dallas Buyers Club: film e lotta civile



Notte degli Oscar 2014: vince come migliore attore Matthew McConaughey che, per la parte, ha perso una ventina di chili e che imperversa su tutti i giornali e in tutte le trasmissioni televisive, anche italiane.

L'attore, che ha portato sulle proprie spalle e sul proprio corpo emaciato e fragile, il film Dallas Buyers Club di Jean- Marc Vallée in questo periodo nelle sale cinematografiche, nella pellicola è Ron Woodroof, uno che vive ogni giorno all'insegna della libertà assoluta, tra sesso, droga e alcol. Siamo nei mirabolanti anni'80 quando tutto sembrava possibile, anche sfidare la morte. Invece la vita di Ron implode il giorno in cui scopre di aver contratto il virus dell'HIV: inizia un calvario fatto di medicinali inutili fino alla decisione di andare in Messico per tentare una cura che potrebbe funzionare. Ma i farmaci del Paese sudamericano non sono legalizzati negli Stati Uniti, per cui Ron prende un'altra decisione: li importa e li vende a tutti coloro che ne hanno bisogno.

Il corpo di McConaughey, dicevamo, porta le tracce di un decadimento fisico che, nel film, i bigotti legano ad una deriva morale, ma che rappresenta la trasformazione, quasi ascetica, di un uomo che lotta tenacemente per la propria esistenza e per quella degli altri.

Lotta contro l'odioso pregiudizio nei confronti della comunità omo e transessuale (bello anche il personaggio del trans Rayon che si trova del tutto agli antipodi con Ron, ma condivide con lui la voglia di vivere) e lotta contro il pregiudizio legato ai malati di Aids (una malattia venerea, per cui “doppiamente degradante” ), lotta soprattutto per quel sacrosanto diritto di tentare ogni strada per guadagnare un giorno in più.

Dal punto di vista cinematografico la sceneggiatura può risultare scontata o troppo sentimentale e il regista canadese affida tutto il peso del significato di questa storia alla carica emotiva del protagonista, ma resta il fatto importante che un film, girato a low budget e in soli 25 giorni, faccia riflettere su un tema di grande attualità.

Attraverso le vicende dei suoi protagonisti - pensiamo alla dottoressa Eva che fa da mediatrice tra la comunità scientifica e i malati – vengono anche denunciati gli interessi economici delle case farmaceutiche dei Paesi capitalistici. Tutto questo grazie alla parabola di un uomo che ha il coraggio di cambiare e di capire: lui, eterosessuale e omofobico, diventerà portavoce di etero, gay e transgender, per affermare il diritto alla scelta: scelta di cura, scelta di vita o non vita, scelta di amare.

venerdì 14 marzo 2014

Felice chi è diverso: il documentario di Amelio sull'omosessualità



Paolo Poli e Ninetto Davoli sono i pochi personaggi famosi che rendono la loro testimonianza nel documentario di Gianni Amelio, dal titolo Felice chi è diverso, presentato in anteprima a Milano lo scorso 8 marzo al cinema Mexico e passato alla scorsa edizione del Festival di Berlino. Gli altri protagonisti sono persone comuni, di tutta Italia e di varia estrazione sociale: persone che si raccontano come omosessuali, come coppie, come amanti nel senso di “coloro che amano”.

L'originalità del film consiste nel parlare di “diversità” attraverso il vissuto di persone anziane e di frammezzare il racconto con spezzoni di altri film celebri, cinegiornali e pagine di riviste scandalistiche anni'50, come Lo specchio o Il borghese, che rimarcavano pregiudizi e stereotipi spesso offensivi. Anche nel documentario di Amelio non si usano termini politically correct, quali omosessuale o gay, ma si sentono pronunciare parole come: “finocchio”, “invertito”, “femminiello”. A volte per biasimarne l'utilizzo, ma più spesso per sdoganarlo, per rivendicare l'orgoglio di amare chi si vuole e di vivere le stesse emozioni e gli stessi sentimenti di tutti.

Certo, le persone intervistate parlano di clandestinità, di umiliazione, di derisione, di emarginazione: raccontano di aver vissuto in periodi storici in cui era davvero difficile fare coming out, ma siamo sicuri che, oggi, ci sia più libertà, che la diversità (soprattutto dell'orientamento sessuale) sia accettata ?

Una coppia di signori torinesi accenna alla necessità di estendere i diritti di base ad ogni tipo di famiglia; nel film le persone intervistate sono in maggioranza di genere maschile e restano sullo sfondo le coppie formate dalle donne: qualcosa, forse, nella società sta cambiando, ma se è necessario un documentario per approfondire e riflettere sull'argomento, vuol dire che c'è ancora tanta strada da fare.

Diventa necessario, il lavoro del regista calabrese, perchè racconta il percorso culturale di un secolo di Storia italiana, dalla caccia alle streghe durante il periodo fascista ai giorni nostri; perchè è un buon manifesto contro l'omofobia ancora imperante, nonostante alcuni passi avanti fatti dalle istituzioni e dai cittadini; e perchè propone la capacità di vivere l'amore, tra persone dello stesso sesso, con equilibrio, con gioia e con rispetto. E, di questi tempi, non è poco.
 
 
 

sabato 1 febbraio 2014

Le donne in piazza per il diritto all'aborto




YO DECIDO - DECIDO IO”: LE DONNE DI MILANO IN PIAZZA SABATO 1° FEBBRAIO AL CONSOLATO SPAGNOLO. APPUNTAMENTO ALLE 14,30 IN PIAZZA CAVOUR.

Oggi,1° febbraio 2014, in molte città europee si manifesterà sotto le ambasciate e i consolati di Spagna in solidarietà con le donne che in quel paese si oppongono al progetto di riforma della legge sull’aborto, che smantella la legge Zapatero, autorizzandolo solo in caso di stupro o di grave rischio per la salute fisica o psichica della donna certificato da due medici.

Le associazioni di donne manifestano anche contro il Parlamento Europeo che ha respinto la mozione Estrela in difesa dei diritti sessuali e riproduttivi. Ma la manifestazione avrà anche un contenuto più legato alla realtà italiana, dove di giorno in giorno viene messa in discussione dall’obiezione di coscienza (per lo più strumentale), la legge che permette un aborto sicuro e gratuito.

La mobilitazione, organizzata dalla rete WOMENAREUROPE, a Milano è stata promossa da un ampio cartello di associazioni: UsciamodalSilenzio, Libera Università delle Donne, Consultori Privati Laici, Giulia-giornaliste unite libere autonome, La città delle donne di Z3xMi, Tavolo consultori, Casa delle donne Milano, Donne nella crisi, Donne laboratorio dei beni comun, Gruppo Donne comitato zona 3 Milano, DonneInQuota, Donne in rete, Donne della CGIL, Consulta milanese per la Laicità delle Istituzioni, Amici della Consulta Milanese per la Laicità delle Istituzioni, Soggettività lesbica, Unione Atei Agnostici Razionalisti. Tra le prime adesioni Monica Chittò, Sindaco, e la Giunta comunale di Sesto S. Giovanni, Sara Valmaggi Vice Presidente Consiglio Regione Lombardia, Adalucia De Cesaris, Vicesindaco, con le Assessore della Giunta del Comune di Milano, Francesca Zajczyk, Delegata alle Pari Opportunità del Comune di Milano, Anita Sonego, Presidente della Commissione Pari Opportunità del Comune di Milano.




Yo decido. E’ questo lo slogan che le spagnole hanno scelto per affermare la libertà e l’autodeterminazione delle donne. Alla fine del 2013, infatti, il governo Rajoy ha presentato una legge che, se venisse approvata, limiterebbe la possibilità di interruzione di gravidanza ai casi di stupro o di pericolo per la salute della madre. Un balzo indietro enorme se si pensa alla legge Zapatero del 2010 all’avanguardia in Europa sulla salute e i diritti riproduttivi delle donne.
In Italia abbiamo assistito alla modifica della legge 194 con la pratica dell’obiezione di coscienza: il controllo del corpo e della vita delle donne è da sempre stato utilizzato da governi laici e confessionali di tutto il mondo, come strumento di controllo sociale. Ma è la libertà delle donne la misura della modernità: non a caso le nuove Costituzioni dei paesi del Magreb vengono lette anche dai costituzionalisti in questa chiave ed è bene ricordare anche che la libertà di essere madri alimenta la democrazia.



Qui di seguito pubblichiamo un'intervista che, alcuni mesi, fa abbiamo fatto alla Dott.ssa Marilisa D'Amico sul suo saggio che affronta, tra tanti, anche questo tema importante.



La laicità è donna: per una rinascita culturale declinata al femminile







E' da poco stato pubblicato, per le edizioni L'asino d'oro, un piccolo, ma importante saggio dal titolo La laicità è donna di Marilisa D'Amico.

Marilisa D'Amico è Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano, avvocato cassazionista, direttore della Sezione di Diritto costituzionale presso il Dipartimento di diritto pubblico italiano e sovranazionale e, dal 2011, è membro del Consiglio comunale e presidente della Commissione affari istituzionali del Comune di Milano. Con questo volume ha voluto analizzare i nodi che intralciano il percorso della piena realizzazione dei diritti delle donne, con particolare riferimento alla mancata applicazione del principio di laicità costituzionale.

Il testo presenta un linguaggio chiaro, approfondimenti interessanti e densi di riferimenti alle esperienze professionali dell'autrice da cui si evince la passione e l'onestà con cui Marilisa D'amico ha voluto esprimere la sua fiducia nelle risorse e nelle energie di tutte quelle donne, giovani e meno giovani, che oggi, come nel passato, si impegnano per una società più equilibrata e giusta.




Perché ha scelto di citare, in apertura del saggio, Teresa Mattei?



La scelta di citare in apertura questo estratto da un intervento in Assemblea costituente di Teresa Mattei è legato in modo profondo alla mia volontà di dedicare questo scritto alle donne della mia vita, quelle che mi hanno aiutato a crescere.

Il brano di Teresa Mattei vuole essere un tributo alle energie e alle capacità femminili, troppo spesso, ancora nascoste e inutilizzate.

Serve a ricordarci l’importanza della partecipazione delle donne alla vita del nostro Paese e quanto ancora lunga sia la strada verso una democrazia, che si dimostri a tutti gli effetti e livelli paritaria.

Teresa Mattei parla di “un cammino liberatore” ed è qui che mi rivolgo alle giovani donne, perché sappiano farsi portavoce della convinzione che la parità, in ogni settore della vita di un Paese, è condizione imprescindibile per la costruzione di una società nuova e più giusta.

Questo brano di Teresa Mattei unisce tutte le donne in un percorso comune, ricordandoci da dove veniamo e dove vogliamo arrivare.


 

Qual è la differenza tra “laicità” e “metodo laico”?

 

La laicità è un principio costituzionale “supremo”, non espressamente scritto nella Costituzione, che la nostra Corte costituzionale ha ricavato da alcuni principi costituzionali in una fondamentale sentenza del 1989.

Il principio di laicità all’”italiana” è un principio di laicità c.d. “positivo”, che non significa indifferenza dello Stato nei confronti del fenomeno religioso, ma, viceversa, garanzia per la salvaguardia della libertà di religione, in un regime di pluralismo confessionale e culturale.

E’ sulla base di queste affermazione che nel mio scritto descrivo la laicità come “una casa comune”. Una casa comune dove tutti i cittadini siano liberi di scegliere la propria visione della vita, senza prevaricazioni degli uni sugli altri.



Dal principio di laicità discende, allora, quello che io definisco il “metodo laico”.

La laicità costituzionale non è, infatti, da intendersi solo come separazione dell’ordine statale e religioso, ma anche come un metodo che passa innanzitutto attraverso il dialogo e il confronto e che porta all’apertura alle differenti realtà sociali, nel senso della loro inclusione.

Il metodo laico è quel metodo, che dovrebbe essere adottato dalle istituzioni e che garantisce la piena tutela dei diritti fondamentali e la tenuta dell’ordinamento democratico nella difesa della nostra libertà.



Quale può essere il legame tra legislatore, giudice e cittadino?


In uno Stato costituzionale come il nostro, i diritti fondamentali, quelli che toccano più da vicino la vita delle persone, ricevono tutela in spazi e in luoghi diversi.

Gli attori di questa tutela, che spesso assume i caratteri di una contesa, sono il legislatore, i giudici, comuni e costituzionale, i cittadini.

All’interno del nostro ordinamento, infatti, i diritti fondamentali possono ricevere una consistenza diversa a seconda che vengano fatti oggetto della disciplina del legislatore o delle decisioni dei giudici.

Un’ipotesi ancora diversa è quella che si verifica quando siano gli stessi cittadini, attraverso lo strumento del referendum abrogativo, a intervenire a tutela dei propri diritti.

Esiste, dunque, certamente un legame tra i diversi attori dell’ordinamento che porta, però, spesso a situazioni conflittuali in cui i giudici contraddicono o anticipano le scelte del legislatore e, talvolta, sembrano i soggetti migliori per decidere le questioni più controverse


Nel libro sono approfonditi alcuni temi a lei cari, quali: l'interruzione di gravidanza, la fecondazione assistita, i diritti delle donne straniere. Può raccontarci una sua esperienza come avvocato costituzionalista?



Nella mia esperienza come avvocato, credo che uno dei momenti di maggiore soddisfazione sia stata la vittoria ottenuta nel giudizio davanti alla Corte costituzionale, in tema di fecondazione medicalmente assistita.



Nel 2009, insieme ad altri avvocati, sono infatti riuscita a fare dichiarare incostituzionale uno dei limiti più irragionevoli della legge n. 40/2004.

In particolare, era stato chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi su quella norma della legge n. 40/2004, che limitava a tre il numero massimo di embrioni destinati all’impianto, nell’ambito delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita di tipo omologo.

Si trattava di un limite rigido che aveva ripercussioni notevoli sulla salute psico-fisica della donna e che rendeva molto difficile per le coppie sterili e infertili, a cui pure la legge si rivolgeva, ottenere una gravidanza.

Il limite rigido dei tre embrioni costituiva, inoltre, l’espressione più tangibile dell’approccio ideologico del legislatore del 2004 al tema della procreazione artificiale. Un embrione che, stando alla lettera della legge, avrebbe dovuto ricevere la tutela più forte, in quanto soggetto più debole, rispetto ai diritti di tutti gli altri soggetti coinvolti.



In quell’occasione, la Corte costituzionale ci ha dato ragione, dichiarando incostituzionale quel limite e ridando speranza e consistenza al diritto di tante coppie di poter avere un bambino, avvalendosi delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita.



La soddisfazione è stata enorme e, tuttavia, il percorso per arrivare alla Corte è stato lungo, complesso e non privo di difficoltà.

In un sistema come il nostro che non consente al cittadino di rivolgersi direttamente alla Corte costituzionale, la principale difficoltà che mi trovo quotidianamente ad affrontare, come avvocato, riguarda proprio l’accesso al giudizio davanti alla Corte costituzionale.

Di fronte a scelte legislative ideologiche, come nel caso della legge sulla fecondazione medicalmente assistita, l’unica strada per tutelare i diritti fondamentali dei cittadini è, infatti, quella giudiziaria nel tentativo di giungere dinanzi alla Corte costituzionale.

Da qui le difficoltà per noi avvocati, ma anche le soddisfazioni quando, come è accaduto con la decisione n. 151/2009 della Corte costituzionale, riusciamo a portare le istanze dei cittadini davanti alla Corte e ad ottenere la tutela di quei diritti fondamentali di cui il legislatore, sbagliando, si sia disinteressato.



A che punto è il nostro Paese riguardo al rapporto tra laicità e libertà?



Nel libro ho descritto tutta una serie di vicende dalle quali è possibile trarre alcune conclusioni su questo punto.

Lo smarrimento del principio di laicità costituzionale determina conseguenze negative, in primo luogo, sulla libertà dei cittadini, che la Costituzione tutela al suo articolo 2.

Il significato più profondo della laicità si collega, infatti, al termine libertà, espressione del diritto di autodeterminazione dell’individuo, intesa come fiducia nel cittadino di scegliere in base ai propri convincimenti.

Le soluzioni normative di cui si dà ampio conto nello scritto non fanno che evidenziare l’atteggiamento moralizzatore e ideologico di un legislatore, che invece che bilanciare diritti, li gioca gli uni contro gli altri. In luogo dell’individuazione di un punto di equilibrio, di uno spazio comune in cui i diritti fondamentali di tutti possano ricevere tutela, si assiste a soluzioni non laiche, calate dell’alto, che privilegiano i diritti di alcuno contro quelli di altri.

Si pensi alla legge n. 40/2004, in materia di fecondazione assistita, emblematica di come il legislatore scelga di assegnare un’indubbia prevalenza ai diritti dell’embrione a discapito di quelli delle coppie.



Ritengo, in estrema sintesi, che sul tema dei diritti fondamentali dei cittadini il nostro Paese si trovi in una posizione di pericolosa arretratezza, a cui la politica, sinora, non ha saputo fornire risposte adeguate.


Infine, può spiegare il significato del titolo del suo lavoro: La laicità è donna


La scelta del titolo si lega fortemente alla convinzione per la quale ritengo che la perdita della tenuta laica del nostro Stato, che vede sempre più spesso i diritti fondamentali oggetto di una lotta, di una tensione tra visioni diverse e contrastanti, si ripercuota negativamente, in modo particolare, sui diritti delle donne.

Da qui, la scelta di ripercorrere alcune delle principali questioni che sorgono a fronte della confusa e spesso insufficiente applicazione del principio di laicità costituzionale.


Gli effetti di questo smarrimento del principio di laicità sono, infatti, molto chiari se si guarda ad alcuni episodi degli ultimi anni, che hanno visto le donne, loro malgrado, protagoniste.

Mi riferisco alla vicenda della legge sulla procreazione medicalmente assistita, ai tentativi di paralizzare la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, all’assenza delle donne nelle istituzioni.

Esempi dai quali emerge come la crisi del principio di laicità tocchi prima di tutto il ruolo e la posizione delle donne nella società. Donne assenti nelle istituzioni e negli organi decisionali, donne costrette a una visione della maternità come supremo sacrificio, donne private del diritto fondamentale di decidere se portare avanti o meno una gravidanza.

Donne che non possono scegliere, emarginate e, spesso, sole.


Ho scelto di dedicare questo mio lavoro alle donne della mia vita, sentendo in modo molto forte il compito di un mio impegno civile e politico, nella speranza che siano le giovani donne ad accettare e, finalmente, a vincere la grande sfida di costruire una democrazia veramente paritaria.






   


venerdì 1 novembre 2013

Omofobia e suicidi


L'Italia è un Paese libero, ma esiste l'omofobia e chi ha questi atteggiamenti deve fare i conti con la propria coscienza...Nel 2013 c'è ancora l'omofobia, sono stanco”: queste le parole scritte su un biglietto da un ragazzo di 21 anni che, nei giorni scorsi, si è tolto la vita lanciandosi dall'undicesimo piano di un palazzo di Roma. Ed è il terzo caso di suicidio, a causa dell'omofobia, nella capitale nell'arco di un anno: lo scorso novembre, infatti, uno studente di un liceo scientifico si è impiccato con una sciarpa e, in agosto, un altro adolescente si è buttato dal terrazzo di casa.
Il mese scorso è stata approvata alla Camera la legge che inasprisce le pene per chi commette reati a carattere omofobo, ma il provvedimento ha fatto scattare le proteste di Sel, M5S e delle organizzazioni gay per un emendamento che salva dalle aggravanti. Il testo, ora, deve essere approvato in Senato. (rimandiamo ad un articolo precedente sull'argomento).
L'ultimo suicidio di una persona giovane ha rimesso al centro del dibattito il tema. Fabrizio Marrazzo, portavoce di Gay Center, ha affermato: “ I suicidi o i tentativi di suicidio di giovani omosessuali sono un dato allarmante. Dai dati in nostro possesso risulta che un omosessuale su dieci, nella sua vita, ha pensato al suicidio. Le istituzioni diano una risposta urgente nella lotta all'omofobia e nell'allargare la sfera dei diritti gay”. A queste parole si sono aggiunte quelle di Franco Grillini, presidente di Gaynet: “ Quel poco che è trapelato ci consente di dire, ancora una volta, che in Italia la politica è sorda e cieca e non riesce a promuovere con rapidità e decisione quei cambiamenti legislativi che sono essenziali per imprimere una svolta alla vita di milioni di persone Lgbt”.
Da parte delle istituzioni, una prima risposta è arrivata da Maria Cecilia Guerra, Viceministro del lavoro e delle Politiche sociali con delega alle Pari opportunità: “Provo un dolore profondo per lui che ha deciso di rinunciare a vivere perchè si sentiva “sbagliato” e sono vicina alla famiglia”, ha detto il Viceministro, per poi continuare: “ Tutti abbiamo responsabilità, ciascuno a suo modo: le istituzioni, la scuola, la famiglia, i mass-media, e non voglio certo sottrarmi alle mie. Sono ben consapevole che è necessario fare molto di più. Le prime iniziative che ho preso, da quando mi sono state conferite le deleghe relative alla lotta contro le discriminazioni in base all'orientamento sessuale e all'identità di genere, in collaborazione con il Dipartimento Pari opportunità e con il Ministero della Pubblica istruzione, vanno proprio nella direzione di agire subito dentro e con la scuola, e di lavorare insieme alle famiglie”.
Intanto alcuni cittadini, mercoledì scorso, sono scesi in piazza, nella Gay street di Roma, in Via San Giovanni in Laterano, per chiedere una nuova legge contro l'omofobia che tuteli davvero i trans e gli omosessuali anche in nome di tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita per i diritti civili e contro ogni forma di violenza.



Manifestazione durante la Giornata Mondiale contro l'omofobia, maggio 2013


giovedì 12 settembre 2013

Quando una legge fa paura



Nei giorni scorsi, a Brescia, si è tenuto un flash mob particolare: in piazza Rovetta alcune persone si sono radunate, in silenzio, con un libro in mano e rivolte verso la Loggia. Un'iniziativa per manifestare contro la legge sull'omofobia in discussione in questi giorni alle Camere. La modalità di protesta non è chiara, anche se i partecipanti si sono definiti “sentinelle della libertà di espressione” e hanno dichiarato che la legge in questione sarebbe discriminatoria nei confronti degli eterosessuali che subiscono violenze analoghe a quelle denunciate dagli omosessuali.
La proposta legislativa era stata presentata, da Ivan Scalfarotto come primo firmatario, nel mese di agosto, ma la discussione è stata poi fatta slittare a settembre e, nel frattempo, il testo ha subìto alcune modifiche da parte della Commissione giustizia.
Noi guardiamo alle questioni che riguardano la vita delle persone gay, lesbiche e transessuali...E in questo caso, il risultato ci piace fino a un certo punto”, sostiene Flavio Romani, Presidente dell'Arcigay, riferendosi al nuovo testo della legge che ha a che fare con la legge Mancino. Nel testo proposto inizialmente veniva, infatti, punito “l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sull'omofobia o transfobia”; oggi, invece, sembra che si voglia eliminare l'Art.3 della legge Mancino, ovvero l'aggravante di omofobia e transfobia.
Il fronte cattolico si impunta e chiede l'introduzione di una clausola per chi si dichiara favorevole solamente ai rapporti eterosessuali: la clausola dovrebbe salvaguardare queste persone dall'essere perseguite per le proprie opinioni. PD e Sel promettono, invece, un emendamento che reinserisca nel testo l'aggravante per omofobia e transfobia.
Insomma, il cammino di questa legge è ancora contorto e difficile e lontano risulta, in Italia, il riconoscimento dei diritti civili per le coppie omosessuali.

giovedì 29 agosto 2013

Anniversario di un discorso ancora attuale



...I have a dream that my four little children will one day live in a nation where they will not be judged by the color of their skin, but by the content of their character...”

Quanto sono ancora attuali e importanti le parole del celebre discorso che Martin Luther King pronunciò esattamente cinqunat'anni fa, il 28 agosto 1963. Parole importanti per il mondo e per un'Italia in cui si insultano ancora calciatori e ministri di colore.
A Washington decine di migliaia di persone si sono riunite davanti al Lincoln Memorial per celebrare l'anniversario del pastore protestante: un discorso, una preghiera a favore dei diritti civili dei neri. Quel giorno del '63 radunò 250.000 persone: 50.000 afroamericani e i “big six”, i sei rappresentanti delle più importanti organizzazioni internazionali che operavano per affermare i diritti civili. Quella fu denominata la “Marcia per il lavoro e la libertà”, una manifestazione pacifica, ma fondamentale con la quale furono avanzate richieste chiare, tra le quali: una precisa legislazione sui diritti civili; la fine della segregazione razziale, soprattutto nelle scuole; stipendi adeguati alle prestazioni di lavoro; e lo stop alla brutalità della polizia nei confronti degli attivisti.
Senza la marcia del 1963 e senza coloro che vi hanno parteciapto non sarei il Ministro della Giustizia”, ha affermato Eric Holder il primo afroamericano diventato Ministro negli Stati Uniti, il quale ha aggiunto: “...la nostra attenzione ora si è ampliata. Include le donne, i latinos, gli asiatici americani, i gay e le elsbiche, le persone disabili e tutti coloro che nel Paese reclamano ancora uguaglianza. Ritengo che nel 21mo secolo vedremo un'America più perfetta e giusta”.
Ieri hanno preso parte alle celebrazioni anche il Presidente Obama e Jimmy Carter, ma noi vogliamo chiudere ricordando anche le parole pronunciate dal figlio maggiore di M.L. King, Martin Luther King III: “ Non è il momento delle commemorazioni nostalgiche. E non è il momento delle autocelebrazioni. Il lavoro non è finito. Il viaggio non è completato, possiamo e dobbiamo fare di più”.


Testo del discorso di Martin Luther King

Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte della cattività.
Ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione; cento anni dopo, il negro ancora vive su un’isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale; cento anni dopo; il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra.
Per questo siamo venuti qui, oggi, per rappresentare la nostra condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti alla capitale del paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della repubblica scrissero le sublimi parole della Costituzione e la Dichiarazione d’Indipendenza, firmarono un “pagherò” del quale ogni americano sarebbe diventato erede. Questo “pagherò” permetteva che tutti gli uomini, si, i negri tanto quanto i bianchi, avrebbero goduto dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perseguimento della felicità.
E’ ovvio, oggi, che l’America è venuta meno a questo “pagherò” per ciò che riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare questo suo sacro obbligo, l’America ha consegnato ai negri un assegno fasullo; un assegno che si trova compilato con la frase: “fondi insufficienti”. Noi ci rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti nei grandi caveau delle opportunità offerte da questo paese. E quindi siamo venuti per incassare questo assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e della garanzia di giustizia.
Siamo anche venuti in questo santuario per ricordare all’America l’urgenza appassionata dell’adesso. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi il tranquillante del gradualismo. Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall’oscura e desolata valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia.; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio. Sarebbe la fine per questa nazione se non valutasse appieno l’urgenza del momento. Questa estate soffocante della legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto un tonificante autunno di libertà ed uguaglianza.
Il 1963 non è una fine, ma un inizio. E coloro che sperano che i negri abbiano bisogno di sfogare un poco le loro tensioni e poi se ne staranno appagati, avranno un rude risveglio, se il paese riprenderà a funzionare come se niente fosse successo.
Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia.
Ma c’è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tiepida soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste.
Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell’anima.
Questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà. Questa offesa che ci accomuna, e che si è fatta tempesta per le mura fortificate dell’ingiustizia, dovrà essere combattuta da un esercito di due razze. Non possiamo camminare da soli.
E mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti. Non possiamo tornare indietro. Ci sono quelli che chiedono a coloro che chiedono i diritti civili: “Quando vi riterrete soddisfatti?” Non saremo mai soddisfatti finché il negro sarà vittima degli indicibili orrori a cui viene sottoposto dalla polizia.
Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle strade e negli alberghi delle città. Non potremo essere soddisfatti finché gli spostamenti sociali davvero permessi ai negri saranno da un ghetto piccolo a un ghetto più grande.
Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono:”Riservato ai bianchi”. Non potremo mai essere soddisfatti finché i negri del Mississippi non potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente.
Non ha dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove e tribolazioni. Alcuni di voi sono venuti appena usciti dalle anguste celle di un carcere. Alcuni di voi sono venuti da zone in cui la domanda di libertà ci ha lasciato percossi dalle tempeste della persecuzione e intontiti dalle raffiche della brutalità della polizia. Siete voi i veterani della sofferenza creativa. Continuate ad operare con la certezza che la sofferenza immeritata è redentrice.
Ritornate nel Mississippi; ritornate in Alabama; ritornate nel South Carolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana; ritornate ai vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione.
E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno. E’ un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.
Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.
Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.
Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi!
Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud.
Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.
Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l’America vuole essere una grande nazione possa questo accadere.
Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.
Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.
Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.
Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.
Ma non soltanto.
Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.
Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.
Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.
E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual:“Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente”.

giovedì 1 agosto 2013

Milano e i diritti civili


Esattamente un anno fa veniva approvata una delibera del Consiglio comunale di Milano con cui si istituiva un ufficio per la registrazione delle Unioni civili e, dal 10 settembre 2012, le persone interessate hanno potuto prenotare la loro iscrizione.
Si possono iscrivere persone che abbiano compiuto la maggiore età, di sesso diverso oppure dello stesso sesso, di ogni nazionalità, ma residenti e coabitanti nel Comune della città e iscritti allo stesso stato di famiglia. La coppia, inoltre, non deve risultare sposata o legata da altri vincoli di parentela (affinità, tutela, adozione) e né deve essere iscritta ad altra Unione civile riconosciuta.
Ma il cammino sulla strada dei diritti civili nel capoluogo meneghino, non finisce qui.
La novità di quest'anno riguarda il testamento biologico. Con 24 voti a favore, 4 contro e 1 astenzione, l'11 luglio scorso, il Consiglio comunale ha approvato anche il Registro del testamento biologico. Il registro era stato chiesto, tramite un'iniziativa popolare a cui avevano aderito dodicimila cittadini, apponendo la loro firma: la delibera non obbliga il Comune a conservare il materiale dei testamenti, ma permette ai cittadini di lasciare le proprie direttive anticipate di trattamento, ovvero delle disposzioni nel caso in cui non fossero più in grado di “intendere e di volere” e di attestare in Comune il luogo dove conservano tali disposizioni. Marco Cappato, Tesoriere dell'Associazione “Luca Coscioni” ha dichiarato, a proposito, che: “ Questa soluzione (condizionata dai rilievi della Segreteria generale in merito alla privacy) se da una parte è meno impegnativa per il Comune, dall'altra consente ai cittadini di esprimersi liberamente anche sull'interruzione della nutrizione e idratazione artificiale e sull'eutanasia, che può già essere ottenuta all'estero”.


Il testamento può accogliere anche le direttive sui prelievi e trapianti di organi e tessuti e sulla cremazione e dispersione delle ceneri.
L'amministrazione comunale riceverà un documento che attesta dove e presso quale soggetto sono state lasciate le indicazioni; tutti i cittadini residenti nel comune hanno il diritto all'iscrizione, ma in caso di trasferimento, la cancellazione non è automatica. E' possibile chiedere la modifica o la rimozione della dichiarazione in qalsiasi momento e nominare un eventuale fiduciario attraverso la dichiarazione sostituitiva di un atto notorio.
Milano ha compiuto un passo avanti sui diritti civili, ne siamo felici e orgogliosi”, queste le aprole dell'Assessore alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino.
Oltre all'istituzione di questi due registri, bisogna anche ricordare un'altra delibera importante, approvata a maggio, sempre a seguito di una proposta popolare: quella contro le discriminazioni e per le pari opportunità per tutti . Un Piano cittadino contro le discriminazioni basate sui sei fattori indicati nell’art. 19 TFEU (Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea): etnia, religione, genere, età, disabilità e orientamento sessuale.