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lunedì 28 dicembre 2015

L'appello di Abdullah Kurdi (il padre del piccolo Aylan), l'Europa e le migrazioni


Continuano a susseguirsi i naufragi dei migranti in mare e, tra loro, anche tanti, troppi bambini. Nel 2015 il numero dei bambini che hanno perso la vita nel Mediterrabneo è raddoppiato rispetto all'anno precedente ed è salito a 3200, oltre 700 dallo scorso gennaio: questi sono i dati riportati dalla fondazione Migrantes. Anche il mare Egeo è diventato, purtroppo, un cimitero d'acqua a dimostrazione del fatto che l'Europa - in terra e in mare – non è ancora in grado di gestire la criminalità dei viaggi, dare vera accoglienza ai profughi e ai rifugiati, salvare vittime innocenti, come ha sottolineato, pochi giorni fa Monsignor Gian Carlo Perego – Direttore generale di Migrantes: “ L'Europa sembra ora, a fronte della minaccia terroristica, giustificare i muri e la chiusura delle frontiere...L'accoglienza ai nostri porti, anziché in centri di accoglienza aperti, sembra affidarsi ancora una volta a centri chiusi, gli 'hotspots', come dimostra il Centro di accoglienza di Lampedusa: più di 20.000 persone arrivate al porto e trasferite al Centro, chiuso ad ogni ingresso e uscite”, parole dure alle quali ha aggiunto: “ le istituzioni Ue e Stati devono correggere le lacune nel funzionamento degli hotspot, incluso stabilire le necessarie capacità ricettive per raggiungere gli obiettivi e concordare rapidamente un preciso calendario affinchè anche gli altri hotspot diventino operativi”.



Intanto, per chi ancora non lo avesse ascoltato, riproponiamo l'importante appello di Abdullah Kurdi, il padre del piccolo Aylan, il bambino siriano di tre anni, annegato nel Mar Egeo, tra Grecia e Turchia, insieme al fratellino Galip e alla madre Rehan.
 
 
 
 
 




venerdì 18 dicembre 2015

"Transito": un approfondimento, un'analisi sul tema della richiesta di asilo...in un utile pamphlet






“Transito” è la parola chiave di questo piccolo ma prezioso volume che esce proprio mentre sono in atto in tutta Europa dei cambiamenti profondi che riguardano il diritto d’asilo e il diritto dell'immigrazione; cambiamenti che, in ultima analisi, riguardano le società europee nel loro complesso dal momento che ciò a cui stiamo assistendo non è una crisi temporanea,ma un cambiamento strutturale che obbliga l’Europa a modificarela sua politica in materia di asilo. Possiamo quindi dire che è il diritto d’asilo in Europa a essere in transito, ma verso dove? Le risposte finora fornite dalla politica dei singoli stati, ma anche dall’Unione, non sono incoraggianti. Come, con le debite differenze di contesto, avvenne negli anni trenta, i profughi di oggi vagano per l’Europa mentre molti Stati, feroci od ottusi, li respingono e li rimpallano da una frontiera all’altra; per i profughi di oggi la legge non sembra esistere, oppure esiste soltanto per disconoscerli. Gli autori:Annapaola Ammirati, Caterina Bove,Anna Brambilla, Nicole Garbin,Loredana Leo, Valeria Marengoni,Noris Morandi, Giulia Reccardini,Gianfranco Schiavone.


Scaricabile GRATUITAMENTE in formato Kindle! http://www.amazon.it/dp/B018W3D1I4/ref=cm_sw_r_fa_dp_Tr.Awb1GYXYP9

giovedì 17 dicembre 2015

Detenzione dei richiedenti asilo e uso della forza per il prelievo delle impronte: “Se questo è il prezzo di Schengen, no grazie!”

 
 
Strasburgo, 16 dicembre 2015
 
Nel corso della seduta Plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo si è svolto il dibattito su “Detenzione dei richiedenti asilo e uso della forza nei loro confronti”, preceduto dalle dichiarazioni del Consiglio e della Commissione.
 
La deputata Barbara Spinelli (Gue-Ngl) ha preso la parola alla presenza di Dimitris Avramopoulos, Commissario per la migrazione, gli affari interni e la cittadinanza, e Nicolas Schmit, ministro del Lavoro lussemburghese, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio.
 
«Leggo nel comunicato della Commissione sugli hotspot italiani che Roma deve “dare una cornice legale all'uso della forza” per il prelievo di impronte e le detenzioni prolungate. Sarà difficile, dicono i giuristi, a meno di violare due articoli della Costituzione: il 13 e il 24. Mi chiedo anche come l'Unione intenda far fronte a detenzioni e violenze verso i rifugiati che si estendono: in Ungheria, Bulgaria, Polonia, Francia, Spagna.
 
«In Italia le espulsioni forzate sono attuate anche quando i giudici sospendono i rimpatri. Il governo danese confisca da domenica scorsa i gioielli dei rifugiati – anelli nuziali esclusi – per pagarne i costi.
 
«È grave che tali misure siano presentate come urgenti e obbligatorie “per salvare Schengen”. Che il Presidente del Consiglio Europeo Tusk raccomandi 18 mesi di reclusione dei richiedenti asilo, sempre “per salvare Schengen”. Che non siano invece considerati obbligatori il non-refoulement, l'habeas corpus, la ricerca di alternative alla detenzione sistematica, la non coercizione su persone vulnerabili o minori.
 
«Non ci si può limitare a imporre solo misure repressive mentre la Carta, i trattati, il pacchetto asilo del 2013 prevedono diritti e clausole discrezionali ben più vincolanti.
 
«Se questo è il prezzo di Schengen: No grazie! – come cittadina europea rinuncio volentieri a Schengen, senza esitare».
 

Il Consiglio deve impegnarsi a ricollocare i richiedenti asilo bloccati in Grecia e Italia



Bruxelles, 11 dicembre 2015

Barbara Spinelli ha presentato un'interrogazione al Consiglio sull'attuazione delle decisioni relative alla ricollocazione di 160'000 richiedenti asilo dall’Italia e dalla Grecia. Le due decisioni del Consiglio dell'Unione Europea sono state adottate nel corso delle riunioni del Consiglio straordinario Giustizia e Affari Interni il 14 e 21 settembre e prevedono la ricollocazione di un totale di 160'000 richiedenti asilo provenienti da Grecia e Italia negli altri Stati membri dell'Unione europea. “Come indicato nella comunicazione della Commissione (COM (2015) 510 definitivo), entrambe le decisioni richiedono un immediato follow-up delle istituzioni dell'UE, degli Stati membri sotto pressione e degli Stati membri che si sono impegnati ad ospitare persone ricollocate", afferma l'eurodeputata del gruppo GUE/NGL.

"Lo stesso documento sottolinea che, a partire dal 14 ottobre, ventuno Stati membri hanno individuato i punti di contatto nazionali, e fino ad ora solo sei Stati membri hanno notificato le capacità di accoglienza messe a disposizione per i profughi da ricollocare. Fino a quel giorno, appena 86 richiedenti asilo erano ricollocati dall’Italia con il nuovo regime. Il 3 novembre, un comunicato stampa della Commissione ha sottolineato che il primo volo di trasferimento dalla Grecia con 30 richiedenti asilo era pronto a partire per il Lussemburgo".

Barbara Spinelli, insieme a 24 eurodeputati di vari gruppi politici (Socialisti, Liberali, Verdi, Sinistra unitaria europea) chiede dunque al Consiglio quali misure intenda prendere perché i rappresentanti degli Stati membri si impegnino a ricollocare quanto prima i richiedenti asilo bloccati in Grecia e in Italia in condizioni di allarmante precarietà.

 

mercoledì 16 dicembre 2015

Mio padre in una scatola da scarpe: Giulio Cavalli e il suo "piccolo"/grande eroe





Uscito per Rizzoli l'ultimo lavoro letterario di Giulio Cavalli scrittore e attore, da sempre impegnato sui temi civili e sulla legalità, Mio padre in una scatola da scarpe è un romanzo che parla, forse, anche un po' dell'autore stesso, capace sempre di dire No alla cultura mafiosa, in grado di pagare un prezzo alto per i valori della giustizia e della vita.

"Michele Landa non è un eroe, e neppure un criminale. Tutto ciò che desidera è coltivare il suo orto e godersi la famiglia; vuole guardarsi allo specchio e vederci dentro una persona pulita. Ma a Mondragone serve coraggio anche per vivere tranquilli: chi non cerca guai è costretto a confrontarsi ogni giorno con gli spari e le minacce dei Torre e con l'omertà dei compaesani".

Tornano, nel libro, le parole degli spettacoli teatrali che Cavalli porta in scena: omertà, paura, ribellione, violenza, rispetto, verità”: parole e concetti da approfondire; alcuni da cancellare, altri da insegnare, con l'esempio e la Cultura.



L'Associazione per i Diritti Umani ha rivolto alcune domande a Giulio Cavalli e lo ringrazia per la disponibilità.



E' la storia di un uomo comune, diventato eroe, e della sua famiglia: quanto è importante raccontare storie (a teatro, in letteratura) a sfondo civile?




Io credo che sia importante raccontare storie credibili e scrivo credibili nel senso più ampio del termine ovvero abbiamo bisogno di storie che insegnino l’eroismo che sta nei tanti piccoli gesti quotidiani che sono famigliari a molti. Questo romanzo non vuole celebrare Michele Landa, che altro non è che un uomo vicino alla pensione con la cura della propria famiglia, ma prova a fare intendere quanti “profughi stanziali” si ritrovano a combattere in ambienti non facili. Ognuno secondo le proprie capacità, le proprie possibilità e le proprie attitudini. Credo che ultimamente abbiamo commesso l’errore di cercare l’iperbole mentre sotto gli occhi, tutti i giorni, abbiamo quotidiani esempi di resistenza


Qual è l'Italia che lei racconta?


L'Italia dove la prevaricazione è sistematica, il bullismo è considerato un dovere per condire la credibilità dei potenti e dove un continuo logorio della democrazia ha portato a farci credere che alcuni nostri diritti siano dei privilegi. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un graduale disfacimento del pieno significato dell’essere buoni, tanto che oggi è considerato un difetto, una debolezza. In realtà spesso essere buoni significa avere la forza di stare ostinatamente controcorrente e Michele, con i suoi figli, è la personificazione di questo sforzo strenuo e continuo.



Ci parla del progetto legato al suo libro?



Andando in giro per scuole e librerie abbiamo scoperto che il romanzo risulta molto utile anche per discutere di bullismo e prepotenza. In realtà il progetto con le scuole è tutto merito di Ivano Zoppi e la sua ONLUS Pepita che hanno avuto il merito di trasformare il libro in un’occasione per chiedere di alzare la voce contro i soprusi. Un libro, appena uscito in libreria, smette di essere del suo autore e anche questa iniziativa l’ho vissuta con l’emozione di uno spettatore privilegiato. Sono molto contento che finalmente si riesca a dare una declinazione quotidiana ad un fenomeno (quello mafioso) che troppo spesso ha bisogno di eroi per poter essere raccontato.


Spesso le persone oneste vengono lasciate sole dalle istituzioni e, per questo, molte di loro hanno perso la vita, seguendo l'etica e la legge...Oggi in che direzione si sta muovendo lo Stato italiano in termini di lotta alle mafie?


Si da sempre molto poco. L’Italia è il Paese più evoluto sul fronte antimafia perché è anche il laboratorio più estremo delle mafie ma sono convinto che al netto della retorica ancora oggi si faccia troppo poco e troppo spesso male. Pensiamo, solo per citare un esempio, ai testimoni di giustizia che non sono altro che normali, semplici cittadini a cui “è capitata l’occasione di essere giusti”. dovrebbero essere trattati dallo Stato con tutta la cautela e la gratitudine per chi decide di alzare la testa e invece sono pressoché quotidiane le notizie di difficoltà ambientali, economiche e di sicurezza di chi ha deciso di denunciare. La strada è lunga e in più il movimento antimafia sembra vivere anche un pericoloso periodo di appannamento.


Come possiamo educare i giovani alla cultura della legalità?


Primo: facendo in modo che essere corretti e rispettare la legge sia conveniente. E questo è un dovere della politica. Poi abbiamo bisogno di riportare il senso di legalità al senso di solidarietà, cittadinanza attiva, responsabilità e giustizia. Qui non si tratta solo di insegnare le leggi ma riuscire a far cogliere il senso alto che sta dietro alle basi della democrazia. E finché non riusciremo a raccontare la legge come un’opportunità piuttosto che un limite credo che faremo molta fatica a trovare un vocabolario che funzioni.






mercoledì 2 dicembre 2015

Sgombero del centro Baobab: anche il Naga esprime la sua solidarietà

Il Naga esprime la sua solidarietà e la sua vicinanza al Centro di accoglienza Baobab di Roma e alla Caritas.

Il blitz delle forze dell'ordine in tenuta anti sommossa che sono entrati nel Centro a Roma con il pretesto che l'intervento rientrava nell'ambito delle operazioni per la sicurezza del Giubileo, si è concluso con il fermo di 24 cittadini stranieri per motivi che, allo stato, nulla paiono avere a che fare con il terrorismo.

Inoltre, varie sedi della Caritas hanno subito attacchi, nella notte, da parte di organizzazioni di estrema destra con l'accusa di aiutare "le orde di immigrati".

Stigmatizziamo energicamente questo tipo di comportamenti che, pur nella loro evidente diversità, ci preoccupano profondamente. Ci auguriamo che non si tratti dei primi atti di un giro di vite generalizzato e indiscriminato nei confronti dei cittadini stranieri presenti nel nostro paese e delle associazioni che si occupano dell'assistenza ai profughi e ai richiedenti asilo.
 
Non permetteremo che i migranti diventino le prime vittime collaterali della "guerra al terrorismo" e continueremo a svolgere le nostre attività a favore di tutti i cittadini stranieri senza farci intimidire e rivendicando le nostre pratiche di accoglienza.

giovedì 19 novembre 2015

Reuniting Families / Deportation back to Iraq from Estonia





Estonian detention centres are keeping refugees whom find it difficult to decide what is their best interest. Many controversial information is going on regarding the understanding of freedom of movement, or what happens with the fingerprint processes. In this short video conversation Anni Säär, Legal Expert in the Refugee Legal Aid Clinic - Humanrights.ee talks about the legal procedure and what ...are the main issues that can result in deportation.
We also discuss a particular case, that is a very urgent one. Tomorrow, on the 17th November is the last day for an Iraq-i family to decide about whether they apply for asylum or not. If they don't apply, the are facing deportation on Tuesday back to Iraq. The flight tickets are already prepared by the Estonian Government. Their only chance to stay in Europe if they apply for asylum in Estonia - which they didn't want so far, because the other part of their family is in Finland and they wish to be reunited with them and to apply for the asylum there. Legally they can ask for changing the country after they applied for asylum, but the success of the case is questionable.
Listen carefully, and let us know your questions.
#missionreunitingfamilies, #findinghumanways


 


sabato 31 ottobre 2015

I soldati di 38 unità delle forze armate greche: «Non partecipiamo alla guerra contro i migranti, non reprimiamo le lotte sociali»



carni lacerate dal filo spinato, bambini annegati sulle coste, affamati nelle piazze, folle accalcate che implorano per i loro documenti, …

Molti di noi hanno visto e hanno vissuto queste scene vergognose prima che arrivassero sulle prime pagine e nei telegiornali, sul fiume Evros e sulle isole, là dove ci hanno mandati per svolgere obbligatoriamente il servizio dell’assurdo. Lavoratori schiavi e contemporaneamente carne per i loro cannoni.

Queste scene ci scioccano, monopolizzano i nostri discorsi. Non vogliamo, però, che diventino routine. Come non ci siamo abituati e non riconosciamo i memorandum e le politiche anti-popolari, gli interventi imperialistici e le loro sporche guerre, così non accetteremo e non ci abitueremo al dramma dei profughi. È il dramma delle nostre genti, del nostro mondo, del mondo del lavoro, indipendentemente dalla nazionalità, dalla religione o dal sesso!

Il cosiddetto «aumento dei flussi migratori» è in realtà fuga dalla guerra e sradicamento. Non è un fenomeno naturale, ci sono dei responsabili. È la loro crisi capitalistica. Per far sì che passi, aboliscono i nostri diritti, ci lasciano nella fame, nella povertà, nella disoccupazione, nella nuova necessità di migrare. Sono gli USA, la NATO, l’Europa, la Cina e la Russia. Impongono i loro interessi economici con la paura e la morte, mantengono e resuscitano nuovi alleati e nemici, alimentano il fondamentalismo religioso. Sono le forze della periferia dell’impero (Turchia, Israele, Grecia, paesi Arabi), che inaspriscono gli antagonismi di quest’area.

Sono quelli che parlano di stati falliti e di popoli inferiori, quelli che affrontano gli uomini come spazzatura e fanno rastrellamenti, trasformando interi territori in discariche di persone e in dispense per il crudo sfruttamento! Uno solo è il nemico della classe borghese e dei suoi governi: i lavoratori, sia che si battano per i loro diritti, sia che si muovano senza documenti, anche se sono stati i loro interventi militari a portarli allo sradicamento. E inoltre, non sono i rifugiati a decidere dove andare: i flussi migratori vengono incanalati verso i moderni campi di concentramento, gli hot spot, perché i lavoratori scelgano dove essere sfruttati! Se ne libereranno, chiaramente, quando non avranno più bisogno di loro, o quando si azzarderanno a reagire, rimettendoli di nuovo sul mercato …

Lo stato greco e l’esercito sono parte del problema e non la soluzione. Il governo SYRIZA-ANEL continua la guerra al terrorismo, prende parte ai programmi imperialistici, combatte le «minacce non conformi» (migranti, movimenti sociali). Replica la falsa ripartizione tra profughi di guerra buoni e migranti economici cattivi. Le forze armate chiedono a noi, i soldati di leva, insieme a quelli in ferma stabile e agli ufficiali, di fare la guerra al «nemico interno», come nel caso recente dell’esercitazione PARMENIONE 2015! Al ciclo morte-sfruttamento-oppressione collaborano in armonia i “nemici” Grecia e Turchia, che pattuglieranno congiuntamente l’Egeo! Il fronte di guerra dell’Europa, per altro, comincia a Gibilterra e termina nell’Egeo, con Frontex con un ruolo preponderante.

Un sommergibile greco si unirà alla flotta europea che opera nelle acque territoriali libiche. La 16° divisione, sull’Evros, è in stato d’allerta per i migranti che arrivano da Edirne. Ci ordinano di esercitarci per reprimere le folle, come quando a Kos, dopo i drammatici eventi di Kalymnos, il generale ha richiesto che venisse dichiarato lo stato di emergenza e che fossimo mandati armati contro i migranti reclusi senza cibo né acqua. Facciamo la guardia a questa cortina assassina che è anche la ragione di tutti questi annegamenti nell’Egeo.

NON COMBATTIAMO, NON REPRIMIAMO, NON DIAMO LA CACCIA AI MIGRANTI.

Noi soldati in lotta siamo contro tutto questo, contro i loro crimini vecchi e nuovi.

Chiamiamo a un Movimento di massa, sia dentro che fuori l’esercito.

Per bloccare in ogni modo Frontex, la NATO e l’esercito europeo, l’azione delle forze armate in questo massacro continuo. Non partecipiamo alle ronde.

Aiutiamo ad abbattere le cortine e non a costruirne di nuove. Che nessun soldato salga sulle navi dirette in missione.

Navi, sommergibili e aeroplani facciano ritorno alle loro basi. Nessun supporto ai loro rifornimenti.

Rifiutiamo la trasformazione dell’esercito greco in un dispositivo capitalista, sia a discapito dei migranti che dei movimenti sociali. Non accetteremo di rimediare come «lavoratori volontari» alle carenze delle infrastrutture sociali. Per noi la minaccia non conforme sono la guerra dichiarataci contro dai governi e gli interessi che essi sostengono.

Chiediamo ai nostri colleghi non solo di mostrare pietà e compassione, ma anche di considerare i comuni interessi di classe. Sono le stesse istituzioni borghesi, le stesse politiche borghesi, gli stessi governi borghesi che distruggono anche i nostri sogni.

Quello che adesso vivono i profughi, la continua persecuzione da parte di dispositivi totalitaristici di ogni tipo, la lotta per la dignità e la sopravvivenza, il loro tragico presente, sono per molti di noi l’incubo di un presente e di un futuro che non dobbiamo vivere: lo stato del totalitarismo parlamentare con i collaboratori NAZISTI di Alba Dorata.

Sappiamo bene che le prossime rivolte vedranno gli sfruttati uniti o gli uni contro gli altri.

Non esiste oggi una solidarietà più pragmatica e un aiuto più grande a noi stessi che il colpire il male alle radici.

Siamo parte del moderno movimento dei lavoratori e contro la guerra, che può esistere solo attraverso un’ottica di classe, anticapitalista e internazionalista. Con la resistenza, l’opposizione, il rifiuto in toto del governo, dei dispositivi imperialistici, del mondo borghese dell’oppressione.

(seguono nel testo originale le sottoscrizioni dei soldati di 38 unità delle forze armate, n.d.t.)

RETE DI SOLDATI LIBERI “SPARTAKOS”

COMITATO DI SOLIDARIETA’ AI SOLDATI DI LEVA*


Traduzione di AteneCalling.org

http://atenecalling.org/comunicato-dei-soldati-di-50-unita-delle-forze-armate-greche-non-partecipiamo-alla-guerra-contro-i-migranti-non-reprimiamo-le-lotte-sociali/

domenica 18 ottobre 2015

Intervista ad Amedeo Ricucci su “La lunga marcia”, il viaggio insieme ai profughi siriani

 
 
 
 
 





La lunga marcia: questo il titolo del reportage e dello Speciale del Tg1 mandato in onda su Rai 1 lunedì 12 ottobre 2015. Un giornalista, un cameraman e una studiosa arabista hanno viaggiato insieme ai profughi siriani nel loro lungo, estenuante e pericoloso viaggio dal Paese in guerra al continente della presunta salvezza.

L'Associazione per i Diritti umani ha intervistato per voi Amedeo Ricucci e lo ringrazia sempre per la sua disponibilità.

Il giorno successivo alla messa in onda sulla RAI. Come si sente?



Mi sento stanco perchè è stato un lavoro lungo, faticoso e fatto in tempi record perchè abbiamo montato in 10 giorni, appena rientrati dal viaggio. Ma sono anche molto felice perchè gli Speciali del TG1 hanno vinto la seconda serata con quasi un milione di spettatori. Sono soprattutto contento del fatto che siamo riusciti nell'intento, credo, di comunicare al pubblico le forti emozioni vissute in questo viaggio, unico nel suo genere.



Qual è stato il tragitto de La lunga marcia e quali le peculiarità di questa esperienza?



Questo progetto è nato dal fastidio che provavo nel vedere tutti i giorni - nei Tg, sui giornali, sui media tradizionali – news e reportage sui migranti che arrivavano alle frontiere, e causavano problemi ai vari Stati. L'immagine che a me restava fissa in testa era quella del giornalista che stava in primo piano e dietro, sullo sfondo, un fiume di profughi: i profughi erano l'oggetto della narrazione, non il soggetto. Quindi l'idea è stata: proviamo a vedere se facendoli diventare il soggetto, cambia il tipo di narrazione giornalistica e se scopriamo aspetti inediti di questo fenomeno epocale. L'approccio è stato quello di raccontarlo, per la prima volta in Italia, da dentro, lungo un percorso iniziato dall'isola di Lesbo, seguendo il fiume e la rotta dei Balcani, direzione Germania.



Questo documentario può essere un'”alternativa” alle forme di informazione tradizionali?



Grazie alla rete, oggi, c'è una moltiplicazione delle fonti e questo ci obbliga - come lettori, cittadini, spettatori – a confrontare più atti di giornalismo. Il nostro è stato una forma di giornalismo partecipativo, un punto di vista che non esaurisce il problema, ma offre un aspetto interessante.



In che modo avete organizzato il viaggio e come vi siete spostati da un Paese all'altro?



Mi riferisco proprio a questo quando parlo di giornalismo partecipativo. Eravamo: io, Simone Bianchi (cameraman) e Silvia Di Cesare (arabista). Attorno a noi si è mossa una serie di persone che hanno dato un contributo in tempo reale, parlo dell'UNHCR (nella persona di Carlotta Zami) che ci ha fornito indirizzi uitli e, in Grecia, Alessandra Morelli che ci ha seguito con decine di telefonate al giorno. Oltre agli aiuti istituzionali, c'è stata tutta la rete della comunità italo-siriana alla quale attingo spesso perchè sono persone straordinarie e di grane generosità, che mi hanno fornito contatti e informazioni sui corridoi umanitari da seguire o da non seguire. Una delle cose più commoventi del viaggio è che i profughi volevano stare con noi a tutti i costi perchè avere vicino dei giornalisti dà loro una sorta di garanzia contro i soprusi della Polizia.

Mi fa capire, quindi, che i soprusi ci sono?



Ho visto abusi solo nel campo di Opatovach in Croazia, ma non metterei sotto accusa le forze dell'ordine.

Il problema è che il flusso migratorio è molto consistente, si parla di migliaia e migliaia di persone che tutti i giorni attraversano le frontiere e gli Stati, per cecità e menefreghismo, non vogliono attrezzarsi per aiutarli. Gli Stati provano ad arginare il flusso di profughi, a dirottarlo su strade secondarie, trattandolo come un problema di ordine pubblico quindi, se in un campo arrivano 6.000 persone da gestire e si è in pochi, la situazione diventa difficile. A questo si aggiunge un atteggiamento che non sempre è amichevole da parte delle forze dell'ordine...



Come commenta l'intervento della Russia in Siria?



Da giornalista cerco di attenermi ai fatti: tutti coloro che hanno vissuto il dramma della Siria fin dall'inizio, andando sul posto, avevano subito detto che la Siria era la madre di tutti i problemi del Medioriente, che ci fosse un risiko, un “great game” fra le grandi potenze e che questo avrebbe provocato, in Siria, sconvolgimenti molto più gravi di quelli che già c'erano. Purtroppo siamo stati bravi profeti.

Il problema della Siria poteva essere risolto 4/5 anni fa, all'epoca delle prime manifestazioni anti-regime; ci siamo ostinati, invece, a non intervenire, lasciando intervenire l'Iran e gli hezbollah libanesi e adesso siamo quasi ad una terza guerra mondiale.

L'intervento della Russia accelera la situazione ed è il segno evidente della debolezza di Assad che, proprio dal punto di vista militare, non ce la faceva più, sconfitto sia dai ribelli sia dagli jihadisti. L'intervento russo dà fiato ad Assad e anche all'Isis perchè stanno bombardando le formazioni combattenti non legate all'Isis e i terroristi, così, possono arrivare fino ad Aleppo, come sta accadendo.

La lunga marcia è servito a ribadire che i siriani non stanno scappando solo dall'Isis, ma principalmente dal regime di Assad.

mercoledì 14 ottobre 2015

La Carta di Bolzano per il diritto di asilo



di Luigi Manconi   (da Il Manifesto)



All’alba del 3 otto­bre del 2013 nau­fra­gava, al largo di Lam­pe­dusa, un pesche­rec­cio pro­ve­niente dal porto libico di Misu­rata. Le vit­time accer­tate — ma chissà quanti i dispersi — furono 366: prin­ci­pal­mente uomini di nazio­na­lità eri­trea.
L’ennesima tra­ge­dia del Medi­ter­ra­neo in cui a per­dere la vita, ancora una volta erano per­sone in fuga da situa­zioni atro­ce­mente invi­vi­bili e inten­zio­nate a chie­dere pro­te­zione in Europa.


Dai primi anni ’90 si cal­co­lano oltre ven­ti­mila morti in quel tratto di mare, quasi tre­mila solo negli ultimi nove mesi.
Chi rie­sce a soprav­vi­vere approda in Ita­lia, con­si­de­rata nella mag­gior parte dei casi una terra di tran­sito: attra­ver­sata da migranti che, in genere, vogliono rag­giun­gere il nord Europa per­ché lì pos­sono ritro­vare parenti e amici; per­ché lì hanno mag­giori pos­si­bi­lità di intra­pren­dere un per­corso di studi e di tro­vare lavoro; e,infine, per­ché lì rice­vono fin da subito un’accoglienza che con­si­de­rano migliore e più effi­cace di quella dispo­ni­bile in altri paesi dell’Unione.
Uno dei pas­saggi cri­tici di que­sta lunga tra­ver­sata è Bol­zano, o più pre­ci­sa­mente la sua stazione.
Qui avviene il cam­bio del treno per rag­giun­gere e ten­tare di oltre­pas­sare il con­fine con l’Austria. È un punto di tran­sito molto impor­tante e supe­rarlo può essere un’impresa dav­vero ardua.
Negli ultimi anni, infatti, ai pro­fu­ghi è stato impe­dito di par­tire dal ter­ri­to­rio ita­liano in quanto sprov­vi­sti del rego­lare titolo di sog­giorno e di viag­gio. E, tut­ta­via, nono­stante le dif­fi­coltà, nel 2015 sono pas­sate per la sta­zione di Bol­zano 21.000 per­sone, in media cento al giorno, pro­ve­nienti dai luo­ghi dello sbarco e par­tite dalle coste del nord Africa.
Ma non è que­sta l’unica rotta. Tran­si­tano da Bol­zano e dal Bren­nero anche migranti che arri­vano via terra dalla Tur­chia e dall’Ungheria. Ecco per­ché quest’anno la Com­mis­sione per la tutela dei diritti umani del Senato ha deciso di ricor­dare le vit­time del 3 otto­bre pro­prio in quella città, con un’iniziativa che si terrà nelle offi­cine FS dal titolo «Bol­zano fron­tiera d’Europa». Non si tratta di un sem­plice evento com­me­mo­ra­tivo poi­ché sarà anche l’occasione per pre­sen­tare la Carta di Bol­zano: ovvero un docu­mento in cui si afferma il diritto ina­lie­na­bile alla libera cir­co­la­zione degli esseri umani.
Nel testo sono for­mu­late pro­po­ste con­crete riguar­danti la rea­liz­za­zione di un sistema di asilo euro­peo e di un piano di rein­se­dia­mento con numeri supe­riori rispetto a quelli, pres­so­ché irri­sori, pre­vi­sti dall’agenda dell’Unione. Ma, soprat­tutto, con una filo­so­fia dell’asilo e dell’accoglienza com­ple­ta­mente diversa.
Si pro­pone, inol­tre, un piano di ammis­sione uma­ni­ta­ria per evi­tare altri nau­fragi, anti­ci­pando e avvi­ci­nando il momento della richie­sta di pro­te­zione inter­na­zio­nale nei paesi di tran­sito dei pro­fu­ghi. E ancora: una nuova poli­tica di ingresso rego­lare in Europa, attual­mente tutt’altro che garantito.
Oggi, gli ingressi rego­lari si rive­lano total­mente ina­de­guati rispetto agli impe­ra­tivi della demo­gra­fia e dell’economia e alle richie­ste del mer­cato del lavoro, oltre che alle ine­lu­di­bili esi­genze di una emer­genza uma­ni­ta­ria desti­nata a ripro­dursi nel tempo. Infine, viene posto all’ordine del giorno il supe­ra­mento dell’attuale Rego­la­mento di Dublino.
Sono tutte pro­po­ste rea­liz­za­bili sin da ora, a comin­ciare dai tra­sfe­ri­menti verso altri paesi euro­pei, diversi da quello di ingresso, dove poter rea­liz­zare il pro­getto di vita desi­de­rato, qua­lora vi fos­sero moti­va­zioni fami­liari o umanitarie.
A soste­gno di que­sta ini­zia­tiva a Bol­zano inter­ver­ranno i rap­pre­sen­tanti delle isti­tu­zioni e dell’ asso­cia­zio­ni­smo, dalla por­ta­voce dell’Unhcr, Car­lotta Sami, al sot­to­se­gre­ta­rio per gli Affari Esteri, San­dro Gozi, fino agli espo­nenti di Volon­ta­rius e di Bina­rio 1. E ascol­te­remo i suoni e le voci di Paolo Fresu e Moni Ova­dia, del coro di Arda­dioungo e di Paolo Rossi, di Mau­ri­zio Mag­giani e dei Tetes de Bois. Il pro­blema vero, ora, è quello di farsi sen­tire da un’Europa che — oltre a rive­larsi troppo spesso afa­sica — appare dram­ma­ti­ca­mente sorda.


venerdì 9 ottobre 2015

La missione europea contro gli scafisti


La seconda fase della missione europea contro gli scafisti, che prevede il sequestro e la distruzione dei barconi in acque internazionali, "partirà il 7 ottobre" la seconda fase della missione europea contro gli scafisti, che prevede il sequestro e la distruzione dei barconi in acque internazionali: lo ha annunciato nei giorni scorsi l'Alto rappresentante della politica estera Ue, Federica Mogherini,in visita alla sede della missione,a Roma. "La decisione politica è presa,gli assetti sono pronti". L'operazione si chiamerà "Sofia,come la bimba nata su una nave" per "dare un segnale di speranza".


In questa occasione ripubblichiamo una nostro contributo con gli interventi di Mario Poeta e Stefano Liberti, autori del documentario Maybe Tomorrow che ci aiuta ad approfondire la situazione.

Il prodotto dei due giornalisti si inserisce nel progetto Access to Protection del Consiglio Italiano dei Rifugiati . Maybe tomorrow vuol dire “Forse domani” ed è la frase che i migranti si sentono continuamente ripetere, per mesi e mesi, mentre aspettano il “foglio di via”.


Come nasce il progetto di Maybe tomorrow?



Il progetto nasce all'interno di un progetto europeo sull'accoglienza e il salvataggio in mare e, nell'ambito di questo progetto, abbiamo realizzato un documentario breve che cerca di raccontare l'operazione Mare Nostrum, iniziata nel 2013 e condotta per tutto il 2014 dalla Marina militare: abbiamo seguito come vengono intercettati i barconi, come vengono svolti i soccorsi e anche cosa avviene dopo.

Quale può essere il bilancio dell'operazione Mare Nostrum?

Per quello che abbiamo visto noi è un bilancio positivo perchè, nel corso di tutta l'operazione, sono stati soccorsi e portati a terra 170.000 rifugiati e, se non ci fosse stata l'operazione, i morti sarebbero stati di maggior numero; ricordiamo che Mare Nostrum è stata lanciata subito dopo la duplice tragedia dell'ottobre 2013, con un totale di 600 migranti deceduti in mare.

L'operazione ha anche ovviato a un problema fondamentale, ovvero al fatto che – quando si vanno a vedere le nazionalità delle persone che partono e vengono tratte in salvo – si capisce che quelle persone provengono da Paesi in guerra o sono perseguitate per questioni politiche per cui, una volta arrivate in Italia, ottengono la protezione internazionale. Mare Nostrum ha, quindi, svolto le funzioni di una specie di canale umanitario per questi profughi di guerra.

Il sistema di richiesta di asilo, in Italia, funziona?

l'Italia è un Paese di transito e gli immigrati preferiscono andare in Nord Europa dove viene garantita una migliore qualità della vita.



Quindi non si può e non si dovrebbe parlare di “emergenza”...



Non proprio; la gran parte delle persone che arriva in Italia, infatti, non chiede asilo perchè, una volta ottenuto, non c'è un follow up: non vengono garantiti percorsi di inserimento, formazione, coabitazione come, invece, avviene in altri Paesi.

Chi arriva tende a non farsi prendere le impronte digitali e a cercare di richiedere l'asilo politico in Paesi dove il sistema è più accogliente.

Parlare di “emergenza immigrazione” consente di non realizzare mai un sistema strutturato di accoglienza. L'emergenza è qualcosa che avviene e che non è prevedibile. In realtà i flussi migratori verso l'Italia esistono da più di vent'anni e sono facilmente prevedibili anche i numeri che interessano questi flussi per cui parlare di emrgenza consente anche di speculare su questo fenomeno: dare appalti in deroga, superare le normative. Quindi poter lucrare.




Come si svolge la prima accoglienza in Italia?



Sempre per quello che abbiamo visto, chi ha i mezzi finanziari per andarsene, cerca di andare via prima di essere identificato; chi non li ha (come i cittadini dell'Africa subsahariana) viene inserito in un sistema di prima accoglienza molto carente nel quale, per mesi e mesi, non viene informato dei propri diritti e delle tempistiche che riguardano la sua situazione.

Pensiamo anche ai minori stranieri non accompagnati (MSNA): vengono trasferiti in strutture temporanee, in attesa di essere affidati a un tutore per poi iniziare la procedura di richiesta di asilo, cosa che richiede almeno sei mesi di tempo. Questi minorenni vivono in una specie di limbo, di indeterminatezza e non ne capiscono il motivo perchè pensano di essere arrivati in un posto dove i loro diritti vengono garantiti e invece non è così.





domenica 13 settembre 2015

Centri di raccolta, docce e wifi. Belgrado si apre ai profughi



di Leo Lancari     (da Il Manifesto)

Serbia. 7 mila solo la scorsa notte. Il premier Vucic: «Sbagliato costruire muri»

Un altro passo impor­tante lungo la rotta bal­ca­nica l’hanno fatto. Un altro paese è stato attra­ver­sato da sud a nord nel lungo cam­mino verso l’Europa. Alle spalle si sono lasciati la Mace­do­nia, che dopo averli chiusi in gab­bia sigil­lando la sua fron­tiera con la Gre­cia, sabato notte ha final­mente fatto mar­cia indie­tro per­met­ten­do­gli di arri­vare in Ser­bia, nuova tappa di que­sto assurdo rea­lity della dispe­ra­zione.
Del resto non li ferma nes­suno. E loro arri­vano a migliaia: le auto­rità di Bel­grado hanno con­tato 23 mila rifu­giati nelle ultime due set­ti­mane. 7 mila solo nella notte tra sabato e dome­nica scorsi, quando Sko­pje ha final­mente ria­perto il con­fine. Arri­vano in treno, in auto­bus (il governo mace­done ne ha messi 70 a dispo­si­zione) e in taxi. Chi può noleg­gia una mac­china, la carica all’inverosimile di donne, vec­chi e bam­bini e corre verso la nuova fron­tiera: l’obiettivo adesso è l’Ungheria, la porta dell’Europa, ma è quello più dif­fi­cile.
In vista della nuova ondata di pro­fu­ghi Buda­pest sta infatti acce­le­rando la costru­zione del muro di 175 chi­lo­me­tri lungo il con­fine serbo e nei giorni scorsi ha ordi­nato il tra­sfe­ri­mento a sud di alcune migliaia di agenti di poli­zia. I rifu­giati si tro­ve­ranno così di fronte un muro fatto di acciaio, filo spi­nato e per­fino lamette insieme a un eser­cito di poli­ziotti in tenuta anti­som­mossa. Il Paese è «sotto un attacco orga­niz­zato», ha detto nei giorni scorsi Janos Lazar, vice­pre­mier del governo di Vik­tor Orbàn. E, come se non bastasse, per far capire ancora meglio che aria tira per que­sti dispe­rati in fuga da guerra e dai taglia­gole dell’Is ha aggiunto che gli agenti sono stati adde­strati per fron­teg­giare «migranti sem­pre più aggres­sivi che arri­vano con richie­ste sem­pre più decise».
«Europa sve­gliati!», tito­lava l’altro giorno un suo edi­to­riale il fran­cese Le Monde ricor­dando come quella dell’immigrazione sia una crisi che si dipana alle nostre fron­tiere da più di due anni .«Sotto i nostri occhi ma senza che abbiamo voluto vedere che si aggra­vava di mese in mese». Chi non fa più finta di non vedere (almeno per ora), e (sem­pre per ora) sem­bra muo­versi in con­tro­cor­rente rispetto alle iste­ria xeno­fobe di altri Paesi, è pro­pria la Ser­bia. Anzi­ché chiu­dersi Bel­grado ha aperto le sue porte alle migliaia e migliaia di dispe­rati che in que­ste ore stanno entrando nel Paese alle­stendo quat­tro nuovi cen­tri di acco­glienza (due a Pre­sevo e Miro­to­vac, a sud e due a Kani­jia e Subo­tic, a nord vicino al con­fine con l’Ungheria). Un altro cen­tro verrà invece aperto nei pros­simi giorni nella capi­tale, lungo l’autostrada per l’aeroporto. Come in Mace­do­nia anche qui a tutti i rifu­giati verrà con­cesso un per­messo di sog­giorno di 72 ore, rin­no­va­bile, per lasciare il Paese. Nel frat­tempo sem­pre nella capi­tale sono stati aperti dieci punti di assi­stenza igie­nica dove i pro­fu­ghi pos­sono tro­vare toi­lette e docce per lavarsi, insieme a una cen­tro infor­ma­zione for­nito di rete WiFi dove i pro­fu­ghi pos­sono richie­dere noti­zie su come pre­sen­tare domanda di asilo e rice­vere assi­stenza legale e psi­co­lo­gica. «La nostra rispo­sta alla crisi migra­to­ria non sono i man­ga­nelli o gli ordi­gni assor­danti, né l’erezione di muri», ha com­men­tato il vice­mi­ni­stro del lavoro e degli affari sociali Nenad Iva­ni­se­vic annun­ciando per i pros­simi giorni un nuovo piano del governo per i migranti. Iva­ni­se­vic ha ripe­tuto un con­cetto espresso nei giorni scorsi dal pre­mier serbo Alek­san­dar Vucic, anche lui cri­tico nei con­fronti di Buda­pest per la scelta di costruire il muro.
Scelte, quelle serbe, che hanno per­messo a Bel­grado di incas­sare i rin­gra­zia­menti dell’Unione euro­pea per il modo in cui affronta la crisi migranti, oltre alla pro­messa di nuovi aiuti eco­no­mici.
Ieri la que­stione pro­fu­ghi è stata affron­tata anche da un ver­tice a tre che si è tenuto a Sko­pje tra i mini­stri degli esteri di Mace­do­nia, Alba­nia e Bul­ga­ria, che hanno chie­sto all’Unione euro­pea una rispo­sta rapida a quanto sta acca­dendo lungo la rotta balcanica.

sabato 12 settembre 2015

Milano e la marcia delle donne e degli uomini scalzi: Milano sa da che parte stare!

"Quella dell'Europa è una grossa operazione di marketing" sulla pelle dei migranti: questa una delle dichiarazioni del giornalista Maso Notarianni, ieri sera alla marcia delle donne e degli uomini scalzi a MILANO. Tanta, tantissima gente! Una risposta chiara alle istituzioni, ai governi, alla comunità internazionale.
Basta con i migranti di seria A e di serie B. Siamo tutti esseri umani e tutti devono veder garantiti i diritti universali.
Oggi siamo davvero orgogliosi della nostra città.

(Queste sono solo le prime foto della manifestazione fantastica di questo 11 settembre, in ricordo della data nefasta del 2001. Post dedicato ad Aylan e ad Abba)













giovedì 10 settembre 2015

Partecipiamo al presidio per dire BASTA alle STRAGI nel MEDITERRANEO !



L'Associazione per i Diritti Umani ha partecipato al presidio che, ogni giovedì, si tiene a Milano, in Piazza della Scala, a partire dalle ore 18.30.

Il presidio, organizzato da MilanoSenzaFrontiere, ha lo scopo di far riflettere su ciò che sta accadendo in Europa e nel mondo; di aprire le coscienze a nuove forme di accoglienza; di far capire ai politici quali sono le conseguenze di leggi e disposizioni errate; di dare dignità ai corpi delle persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo; di stare vicini, anche solo virtualmente, alle famiglie delle vittime e dei dispersi.

Di seguito pubblichiamo alcune fotografie del presidio, fatte dalla nostra associazione, e invitiamo tutti coloro che abitano a Milano a partecipare. Grazie.
 







I rifugiati in cammino abbattono il “Muro di Dublino”. Il commento del Centro Astalli





La colonna di bambini, donne e uomini nel cuore dell’Europa sono quel canale umano che con caparbietà i siriani hanno costruito per sopperire alla mancanza di canali umanitari. La forza di questa gente dà a tutti noi una lezione di civiltà”. Così P. Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli, commenta la decisione di Austria e Germania di aprire le frontiere e accogliere i migranti in cammino dall’Ungheria.

Oggi assistiamo alla caduta del cosiddetto”
muro di Dublino
”, grazie alla volontà e alla determinazione di un popolo in cammino per ottenere quanto viene chiesto incessantemente da anni a un’Europa sorda: pace e libertà.

L’Europa centrale in queste ore sta vivendo la medesima situazione che da anni ormai Italia, Spagna e Grecia si trovano ad affrontare riguardo agli arrivi di migranti forzati da paesi come Eritrea, Somalia, Nigeria dove conflitti atroci, terrorismo e persecuzioni, troppo spesso trascurati dal racconto mediatico, costringono le persone alla fuga.

Il Centro Astalli esorta le istituzioni nazionali ed europee a rendere strutturali e attivi sul lungo periodo 
canali umanitari sicuri
.
Chiede inoltre la
 sospensione definitiva della Convenzione di Dublino e l’istituzione al suo posto di meccanismi di quote permanenti per un'equa distribuzione dei rifugiati tra tutti gli Stati membri visti umanitari europei
.

Invita inoltre la società civile a trasformare l’emotività e la commozione di questi giorni in atteggiamenti costrutti e fattivi  per
 un’accoglienza nei territori che sia dignitosa e rispettosa dei diritti dei rifugiati.


martedì 1 settembre 2015

Turchia / Siria: Ankara viola il diritto umanitario?




Gravi accuse alla Turchia: istituzioni turche avrebbero consegnato sei Kurdi siriani alle milizie islamiche del Fronte Al Nusra



L'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) ha chiesto al governo turco di prendere posizione sulle gravi accuse secondo cui le autorità turche avrebbero consegnato sei Kurdi feriti alle milizie islamiche del fonte al Nusra. Contemporaneamente l'APM si è rivolta al Comitato Internazionale della Croce Rossa affinché cerchi i sei Kurdi scomparsi e scopra se davvero la Turchia ha violato in modo così eclatante il diritto umanitario dei popoli.

Il Consiglio esecutivo del cantone siriano di Afrin, abitato in maggioranza da Kurdi, ha pubblicato ieri 27 agosto una dichiarazione nella quale accusa le autorità turche di aver consegnato ancora lo scorso 25 luglio 2015 sei combattenti delle unità di difesa civile kurde (YPG) alle milizie islamiche del Fronte al-Nusra, affiliata siriana di al-Qaeda. I sei combattenti kurdi sarebbero stati feriti in battaglia contro le milizie dell'IS e si sarebbero trovati in Turchia per le cure mediche.

L'APM chiede al governo di Ankara di comunicare immediatamente dove si trovano attualmente i sei uomini scomparsi. Secondo le accuse, Ahmad Sherko, Omer Qadir, Reber Sheikho, Ahmad Helum, Jamal Ahmad e Bashir Mohammad sarebbero stati consegnati ai miliziani di al-Nusra da uomini delle forze di sicurezza turche nelle vicinanze del valico di Bab al-Hawa. Il valico di confine di Bab al-Hawa unisce la provincia turca di Hatay alla provincia siriana di Idlib e da luglio 2012 è controllato dalle milizie del fronte al-Nusra e da altre milizie islamiche sostenute dal governo turco contro il regime di Damasco.

Le unità di difesa civile (YPG) operanti nella Siria settentrionale sono composte perlopiù da Kurdi e grazie agli immensi sacrifici della popolazione civile sono le uniche unità che, indipendentemente dall'appartenenza etnica e religiosa, riescono ancora a difendere con successo la popolazione civile dal radicalismo dell'IS.

Afrin, Kobane e Cezire sono le tre enclave a maggioranza kurda della Siria che nel 2012 si sono dichiarate autonome rispetto sia al regime di Damasco sia all'opposizione di stampo islamico. Afrin si trova nella parte più nordoccidentale della Siria ed è costantemente sotto la minaccia e l'assedio di diversi gruppi armati di stampo radical-islamico. Si stima che Afrin abbia circa 700.000 abitanti, di cui molti sono profughi kurdi e arabi provenienti da Aleppo.

Vedi anche in
gfbv.it: www.gfbv.it/2c-stampa/2015/150806it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/2015/150730it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/2015/150727it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/2015/150624it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/2015/150611it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/2015/150609it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/2015/150522it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/2015/150320it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/2015/150128it.html | www.gfbv.it/3dossier/kurdi/indexkur.html | www.gfbv.it/3dossier/kurdi/kurtur-it.html
in www:
http://it.wikipedia.org/wiki/Yazidi | http://it.wikipedia.org/wiki/Kurdistan


venerdì 10 aprile 2015


L'Associazione per i Diritti Umani

in collaborazione con il Centro Asteria

PRESENTA



DIRITTI AL CENTRO:
MILANO, CROCEVIA D'EUROPA



Alla presenza di: MONICA MACCHI (esperta di mondo arabo), CHIARASTELLA CAMPANELLI (editrice Il Sirente – direttrice collana Altriarabi/migranti), MARTA MANTEGAZZA, ANNA PASOTTI, ALESSANDRA PEZZA, ANNA RUGGIERI (autrici del progetto “Siriani in transito)

(E con una sorpresa in video)



DOMENICA 12 APRILE



ORE 17.30

presso



CENTRO ASTERIA

Piazza Carrara 17.1, ang. Via G. Da Cermenate (MM Romolo, Famagosta)



L’Associazione per i Diritti Umani presenta il terzo appuntamento della serie di incontri dal titolo “DiRITTI AL CENTRO”, che affronta, attraverso incontri con autori, registi ed esperti, temi che spaziano dal lavoro, diritti delle donne in Italia e all’estero, minori, carceri, immigrazione...

In ogni incontro l’Associazione per i Diritti Umani attraverso la sua vicepresidente Alessandra Montesanto, saggista e formatrice, vuole dar voce ad uno o più esperti della tematica trattata e, attraverso uno scambio, anche con il pubblico, vuole dare degli spunti di riflessione sull’attualità e più in generale sui grandi temi dei giorni nostri.



In questo incontro dal titolo “Milano, crocevia d'Europa” si parlerà dei profughi siriani (e non solo) che arrivano nella città di Milano per poi cercare di recarsi in Nord Europa (Svezia, Germania) per ricongiungersi ad altri familiari, per avviare un nuovo percorso di vita dopo aver vissuto la guerra e le sue tragiche conseguenze. Si parlerà del romanzo “Il silenzio e il tumulto” dello scrittore siriano Nihhad Sirees e verrà presentata la mostra fotografica “Siriani in transito”.



IL LIBRO:

Fathi, scrittore osteggiato dal regime e dal Leader della nazione (Sirees non dirà mai il nome del Paese nel quale si svolge la vicenda, a causa degli ovvi rischi – censura e arresto), uscendo di casa si trova coinvolto nelle celebrazioni dei vent’anni dalla presa del potere del Presidente. Una folla oceanica, chiassosa, imperversa per le strade della città alzando al cielo migliaia di ritratti del Leader, quasi fosse un Dio in terra.




L' AUTORE

Nihad Sirees, scrittore siriano, fuggito dalla Siria nel 2012, racconta nel suo libro, “Il silenzio e il tumulto” – pubblicato dalla casa editrice Il Sirente e tradotto da Federica Pistono (traduttrice di un altro libro fondamentale per comprendere la Siria contemporanea, “La conchiglia” di Mustafa Khalifa, ed Castelvecchi) –, la storia di Fathi Shin, alter ego di Nihad.


LA MOSTRA FOTOGRAFICA

Tre mediatrici interculturali frequentando i centri di accoglienza per i siriani a Milano come operatrici e volontarie, sono diventate testimoni dirette dell’assurdo viaggio a cui l’UE costringe i siriani in fuga dalla guerra, già provati da anni di conflitto e di esilio nei paesi limitrofi. Di fronte a storie simili e uniche al contempo, unite tutte dal non avere eco, è emersa l’esigenza di dar voce a queste persone per portare informazione sul viaggio da loro compiuto.