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venerdì 27 novembre 2015

Migrazioni: dall’attualità alla graphic novel







martedì 1 dicembre ore 17,30
Migrazioni: dall’attualità alla graphic novel
con Chiarastella Campanelli, Edda Pando, Alessandra Montesanto
a cura di Associazione per i Diritti Umani
www.peridirittiumani.com

Presentazione del libro di Jérôme Riullier “Se ti chiami Mohamed”, edizioni Il Sirente. Ispirandosi al giornalismo investigativo, Jérôme Riullier racconta di vite precarie, di frequenti umiliazioni, di una complessa tessitura di rapporti che i tanti Mohamed hanno mantenuto con il paese d’origine e con quello d’accoglienza. Racconti autentici, lontani dai cliché, di grande forza emotiva, che abbracciano vari temi, dalla ricerca identitaria all’integrazione, dall’esclusione sociale al razzismo, proponendo dubbi e interrogativi che coinvolgono oggi più che mai ogni cittadino europeo. “Se ti chiami Mohamed” ha ottenuto nel 2012 il dBD Award per il miglior fumetto reportage.
Chiarastella Campanelli, responsabile della casa editrice Il Sirente, spiegherà la scelta di tradurre e pubblicare questo testo che affronta i temi descritti attraverso la forma letteraria della graphic novel. Edda Pando, responsabile dell’associazione Arci Todo Cambia e attivista, si occuperà degli  aspetti più politici e giuridici legati ai temi delle migrazioni.


Introduce e coordina Alessandra Montesanto, vicepresidente dell’Associazione per i Diritti Umani.

venerdì 8 maggio 2015

Gli ospedali psichiatrici giudiziari, in graphic novel




Per Antonio, 25 anni, quell'edificio fortificato nella prima periferia della sua città è sempre stato, semplicemente, "il manicomio". La scoperta di quello che avviene dentro quelle mura, le vite delle persone (gli internati, ma non solo) che lì dentro passano la maggior parte delle loro giornate, e la scoperta di tutte le tensioni e i conflitti che gli si muovono intorno, lo porterà a trasformare la sua paura iniziale in una consapevolezza necessaria, ma non sempre piacevole.


Abbiamo rivolto alcune domande a Antonio Recupero che ringraziamo.


Il libro nasce da una sua esperienza personale: ce ne vuole parlare?


Quando mi sono laureato avevo 25 anni, e facevo parte di uno degli ultimi scaglioni tenuti alla leva obbligatoria. Come moltissima altra gente, senza particolari spinte ideologiche, optai per il servizio civile sostitutivo, considerandola una alternativa “comoda”. Riuscii ad essere assegnato presso un circolo ARCI della mia città, Barcellona Pozzo di Gotto, alle cui attività partecipavo abitualmente. Come scoprii, questo non mi dava diritto a nessun trattamento di favore (per fortuna, dico ora). Tra le varie attività in cui venne richiesto il mio impegno, ci fu quella della risocializzazione di alcuni gruppi di internati dell’OPG locale. Io a malapena sapevo cosa era un OPG, e nell’accezione comune lo si definiva abitualmente “il manicomio”. E’ ovvio quindi che la cosa mi spaventò non poco all’inizio. Ma la conoscenza della realtà dell’OPG, e degli internati come uomini vivi, pensanti, con fantasie, desideri e pulsioni che i farmaci riuscivano a malapena a mascherare e mai a sopprimere, mi ha fatto cambiare prospettiva molto in fretta. Le loro storie, anche se spesso terribili, erano affascinanti, e meritavano di andare oltre le mura e le sbarre che li contenevano.



Quali sono le condizioni, all'interno dell'OPG, sia per gli internati sia per gli operatori?


Gli OPG, come la galera, sono istituzioni totalizzanti, al di là delle loro finalità. Chi ci è costretto, ma anche chi ci lavora, si ritrova a vivere in una realtà assoluta e distante anni luce da quella che consideriamo abitualmente “la società civile”. Per alcuni internati, la privazione della libertà è quanto di più antiterapeutico possa esserci, e credo di poter dire questo sulla scorta di quanto emerso negli anni: valutazioni di pericolosità sociale rilasciate con leggerezza e in maniera preventiva e presuntiva hanno di fatto condannato ad un ergastolo bianco decine, se non centinaia, di persone che avrebbero potuto condurre vite normali con l’aiuto delle giuste terapie e con sostegno specialistico, e che invece hanno avuto la sorte di commettere un reato, spesso lieve, per via di una situazione di alterazione psichica. E se la malattia mentale (che una volta giuridicamente, comportava la c.d. incapacità di intendere e di volere, e quindi la non punibilità) diventa un motivo di colpa in sè e comporta pene più severe del normale, è evidente che vi è di fondo una aberrazione sia giuridica che umana. Chi si trova a lavorare a contatto con gli internati, che per primi patiscono questa situazione aberrante, rischia, come provato scientificamente, di sviluppare a sua volta situazioni di alterazione psicologica, stress e ansie, che si risolvono a volte in situazioni di abuso, a volte invece in una empatica incondizionata e acritica. E difficilmente si riesce a concepire, in entrambi i casi una nuova vita fuori dall’istituzione, per quanto intensamente la si desideri.


Quali segni ha lasciato, dentro di lei, quell'esperienza?


Sicuramente una maggiore consapevolezza di un fenomeno che è stato per troppo tempo ignorato per questioni di comodo, o peggio strumentalizzato da varie parti politiche. Proprio per questo ho voluto concentrarmi sulle persone, sul lato umano della questione, tralasciato con troppa frequenza.



 Quali sarebbero le attività di risocializzazione dedicate ai ricoverati? E risultano efficaci?


Intanto qualunque esperienza possa ridurre il senso di emarginazione e di coercizione è sicuramente utile. Parlare agli internati, portarli fuori dalle mura in cui si sentono costretti, concedergli qualche “fuga” se vogliamo metterla così. E in ogni caso la prima attività di risocializzazione e di terapia per gli internati è sempre il lavoro, perché è l’elemento che permette alle persone di costruire qualcosa nella loro vita, e di entrare in una fase “progettuale” della loro vita privata e sociale.



Parliamo anche dei disegni di Jacopo Vecchio che accompagnano i testi e della scelta di unire immagini e parole…


Con Jacopo si è creata subito una buona sintonia sulla storia, e ha saputo centrare immediatamente le fisicità di molti personaggi, associandoli perfettamente al loro carattere e, in alcuni casi, alla patologia che si portavano appresso. Nei primi studi aveva lavorato con uno stile molto complesso, fortemente caratterizzato, per poi invece scegliere di personalizzarlo di più, lavorando in sottrazione e arrivando ad una sintesi più efficace e meno appariscente. Nelle scene in cui appaiono gli internati, la linea chiara lascia spazio a delle sfumature di grigio che vanno ad accrescere la profondità delle scene. Il risultato è sotto gli occhi del lettore, che viene catturato immediatamente anche a livello visivo nei punti in cui il focus narrativo è più intenso. La scelta del fumetto ha permesso di raccontare questa realtà particolare con un approccio diverso, e il talento di Jacopo ha valorizzato particolarmente questa scelta.

lunedì 11 febbraio 2013

E' Stato la mafia: spettacolo teatrale (e un concorso in ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e una graphic novel)



E' possibile assistere, nei teatri italiani, allo spettacolo E' Stato la mafia di e con Marco Travaglio, per la regia di Stefania De Santis, in cui il giornalista - con il suo solito sarcasmo - elenca una raffica di informazioni sulla collusione tra i vertici dello Stato e quelli della mafia.
Solo due poltrone rosse vanno a formare una scenografia minimalista che lascia spazio all'ascolto delle parole e alla riflessione. L'arrangiamento musicale di Valentino Corvino accompagna, a tratti,  i monologhi di Travaglio, intervallati dagli interventi di Isabella Ferrari che recita versi di artisti, politici e intellettuali che, in passato, hanno lottato contro la mafia e la corruzione del pensiero, dei comportamenti, delle scelte: Gaber, pasolini, Calamandrei, Pertini...per citarne solo alcuni.
Un coro, un controcanto, quello dell'attrice, che fa tirare per un attimo un sospiro di sollievo e suscita l'emozione della nostalgia dal momento in cui - dagli anni '90 ad oggi, sia a destra, sia a sinistra - l'affresco del nostro Paese è diventato sempre più desolante.

In occasione dello spettacolo, Il Fatto Quotidiano lancia il CONCORSO "UN RICORDO DI GIOVANNI FALCONE e PAOLO BORSELLINO". I lettori possono mandare un articolo, un racconto, un pensiero di massimo 3000 battute, all'indirizzo email:  e.liuzzi@ilfattoquotidiano.it entro il 22 febbraio alle ore 12. 
I primi dieci selezionati vinceranno un biglietto per lo spettacolo insieme ad una copia del libro PROMEMORIA e alla pubblicazione sul sito www.fattoquotidiano.it

Per chi ancora non lo conoscesse, segnaliamo un fumetto, o meglio una graphic novel, dal titolo Per questo mi chiamo Giovanni di Claudio Stassi, tratto dall'omonimo romanzo di Luigi Garlando, edito da Rizzoli.
Giovanni è un bambino siciliano che frequenta la scuola, a Palermo, e non ha il coraggio di affrontare Tonio, un compagno prepotente, che tratta male tutti coloro che non lo assecondano. 
Il papà di Giovanni, per il decimo compleanno del ragazzino, gli regala una giornata speciale: una gita attraverso la città, attraverso le strade, le piazze, gli edifici mentre gli racconta la storia del guidice Giovanni Falcone.
Gli acquarelli di Stassi - tenui nei colori e delicati nei tratti - contrastano con la drammaticità del male raccontato, ma sottolineano la bellezza e la poesia del rapporto padre-figlio: di un padre che - attraverso la vicenda del giudice Falcone - insegna al figlio i valori della coerenza, dell'onestà e il rispetto per la legalità e per la vita.