C'eravamo anche noi e diamo la nostra testimonianza di questo bel momento di partecipazione con le nostre immagini, ringraziando chi c'era e chi non ha potuto esserci. E le dedichiamo a chi, oggi, si trova su altri fronti di resistenza.

"...Non si potrà avere un globo pulito se gli uomini sporchi restano impuniti. E' un ideale che agli scettici potrà sembrare utopico, ma è su ideali come questo che la civiltà umana ha finora progredito (per quello che poteva). Morte le ideologie che hanno funestato il Novecento, la realizzazione di una giustizia più giusta distribuita agli abitanti di questa Terra è un sogno al quale vale la pena dedicare il nostro stato di veglia".
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sabato 25 aprile 2015
Milano: medaglia d'oro per la Resistenza
Oggi, 25 aprile 2015, Milano ci ha fatti sentire orgogliosi di appartenere a questa città: per il 70mo anniversario della Liberazione, tanti, tantissimi sono scesi in piazza. Una manifestazione, nel primo tratto, composta e rispettosa poi, via via sempre più musicale e colorata. Bandiere, striscioni, cartelli, facce, sorrisi, colori. Questi sono i milanesi, gli stranieri, gli italiani che vogliamo vedere: di tutte le età, di tutte le nazionalità, di tutti i generi, di tutte le estrazioni INSIEME per ricordare un Passato che ha posto le basi per la nostra vita e per i valori di libertà, giustizia e democrazia.
C'eravamo anche noi e diamo la nostra testimonianza di questo bel momento di partecipazione con le nostre immagini, ringraziando chi c'era e chi non ha potuto esserci. E le dedichiamo a chi, oggi, si trova su altri fronti di resistenza.
C'eravamo anche noi e diamo la nostra testimonianza di questo bel momento di partecipazione con le nostre immagini, ringraziando chi c'era e chi non ha potuto esserci. E le dedichiamo a chi, oggi, si trova su altri fronti di resistenza.
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martedì 21 aprile 2015
La rimozione forzata della memoria
di
Angelo D'Orsi (da
Il Manifesto)
«Ad
Auschwitz, uno dei monumenti più notevoli tra quelli
dedicati alle varie comunità degli internati è il
cosiddetto "Memoriale Italiano"».Vogliono
spostarlo da quel luogo. . Perchè no.
Ad
Auschwitz, uno dei monumenti più notevoli tra quelli
dedicati alle varie comunità degli internati è il
cosiddetto «Memoriale Italiano». Un paio di anni or
sono le autorità polacche decisero di chiuderlo
al pubblico, nel silenzio del governo italiano,
e dell’Aned, in teoria proprietaria
dell’opera. Pochi mesi fa la sovrintendenza del campo,
ormai museo, ha deciso di procedere alla rimozione
del Memoriale. La sua colpa? Quella di ricordare che nei
lager non furono soltanto deportati e sterminati
gli ebrei, ma gli slavi, i sinti, i rom, i comunisti
insieme a socialdemocratici e cattolici,
gli omosessuali, i disabili. Quel Memoriale
opera egregia, alla cui ideazione, su progetto dello
studio BBPR (Banfi Belgiojoso Perussutti Rogers,
il prestigioso collettivo milanese di cui
faceva parte Ludovico Belgiojoso, già internato
a Buchenwald) collaborarono Primo
Levi, Nelo Risi, Pupino Samonà, Luigi Nono…, ha dei «torti»
aggiuntivi, come l’accogliere fra le sue tante decorazioni
e simbologie anche una falce e martello,
e una immagine di Antonio Gramsci, icona di tutte le
vittime del fascismo.
Ora,
ai governanti polacchi, desiderosi di rimuovere
il passato, disturbano quei richiami, agli ebrei il fatto
che il monumento metta in crisi «l’esclusiva» ebraica
relativa ad Auschwitz. Ed è grave che una città
italiana, Firenze, si sia detta pronta ad accoglierlo.
Contro questa scellerata iniziativa si
sta tentando da tempo una mobilitazione
culturale, che si spera possa avere un riscontro
politico forte e oggi su questo si svolgerà nel
Senato italiano una iniziativa di denuncia
promossa da Gherush 92-Committee for Human Right e
dall’Accademia di Belle Arti di Brera. Spostare quel
monumento dalla sua sede naturale, equivale a
trasformarlo in mero oggetto decorativo, mentre
esso deve stare dove è nato, per il sito per il quale fu pensato,
a ricordare, proprio là, dietro i cancelli del
campo di sterminio, cosa fu il nazismo e il suo
lucido progetto di annientamento, che, appunto, non
concerneva solo gli ebrei, collocati in fondo
alla gerarchia umana, ma anche tutti gli altri popoli,
giudicati essere «razze inferiori» come gli slavi,
o i nemici del Reich, comunisti in testa, o ancora gli
«scarti» di umanità, secondo le oscene teorie degli
«scienziati» di Hitler.
Insomma, la rimozione del Memoriale, è una rimozione della memoria e un’offesa alla storia. Ebbene, l’atteggiamento dell’Aned e delle Comunità israelitiche italiane, che o hanno taciuto, o hanno approvato la rimozione del Memoriale (in attesa della sua sostituzione con un bel manufatto politicamente adattato ai tempi nuovi), appare grave.
E in qualche modo richiama le polemiche di questi giorni relative alla manifestazione romana del 25 aprile.
Premesso che la cosa «si svolgerà di sabato», e dunque, come ha pretestuosamente precisato il presidente della Comunità israelitica romana, gli ebrei non avrebbero comunque partecipato, la denuncia che «non si vogliono gli ebrei», è un rovesciamento della verità: non si vogliono i palestinesi. Ed è grave l’assenza annunciata dell’ANED, per la prima volta, anche se la bagarre si è scatenata sull’assenza della «Brigata Ebraica». La quale ha le sue origini remote niente meno in Vladimir Jabotinsky, sionista estremista di destra con legami negli anni ’30 mai smentiti con Mussolini, che convinse le autorità britanniche, nella I guerra mondiale, a dar vita a una Legione ebraica. Nel II conflitto mondiale, fu Churchill a lasciarsi convincere a organizzare un Jewish Brigade Group, inquadrato nell’esercito britannico: 5000 uomini che operarono in particolare nell’Italia centrale, contribuendo alla liberazione di Ravenna e di altri borghi. Ebbe i suoi morti, e le sue glorie. Bene dunque celebrarla. Ma non fu né avrebbe potuto avere un ruolo eminente, come sembrerebbe a leggere certe dichiarazioni. Ma il fuoco mediatico supera il fuoco delle armi. E che dire di ciò che avvenne dopo? Come storico ho il dovere di ricordarlo. Quei soldati divennero il nucleo iniziale delle milizie dell’Irgun e del Haganah — quelle che cacciarono i palestinesi nella Nakba — e poi dell’esercito del neonato Stato di Israele, al quale offrirono anche la bandiera.
Si capisce l’imbarazzo dell’Anpi di Roma, tra l’incudine e il martello. Ma quando leggo che il suo presidente afferma che «i palestinesi non c’entrano con lo spirito della manifestazione», mi vien voglia di chiedergli se gli amici di Netanyahu c’entrino di più. Altri hanno dichiarato in questi giorni che bisogna lasciar parlare solo chi ha fatto la guerra di liberazione; ma se così intanto andrebbero cacciati dai palchi tanti tromboni in cerca di applausi; e soprattutto se si adotta questa logica è evidente che tra poco non ci sarà più modo di festeggiare il 25 aprile, perché, ahimè, i partigiani saranno tutti scomparsi.
E allora — visto l’articolo 2 dello Statuto dell’Anpi che rivendica un profondo legame con i movimenti di liberazione nel mondo — come non dare spazio a chi oggi lotta per liberarsi da un regime oppressivo, discriminatorio come quello israeliano, rappresentato ora dal governo di destra di Netanyahu? Chi più dei palestinesi ha diritto oggi a reclamare la «liberazione»? E invece temo si vada verso questo (addirittura in queste ore in forse a Roma) e i prossimi 25 Aprile ingessati e reistituzionalizzati.
Insomma, la rimozione del Memoriale, è una rimozione della memoria e un’offesa alla storia. Ebbene, l’atteggiamento dell’Aned e delle Comunità israelitiche italiane, che o hanno taciuto, o hanno approvato la rimozione del Memoriale (in attesa della sua sostituzione con un bel manufatto politicamente adattato ai tempi nuovi), appare grave.
E in qualche modo richiama le polemiche di questi giorni relative alla manifestazione romana del 25 aprile.
Premesso che la cosa «si svolgerà di sabato», e dunque, come ha pretestuosamente precisato il presidente della Comunità israelitica romana, gli ebrei non avrebbero comunque partecipato, la denuncia che «non si vogliono gli ebrei», è un rovesciamento della verità: non si vogliono i palestinesi. Ed è grave l’assenza annunciata dell’ANED, per la prima volta, anche se la bagarre si è scatenata sull’assenza della «Brigata Ebraica». La quale ha le sue origini remote niente meno in Vladimir Jabotinsky, sionista estremista di destra con legami negli anni ’30 mai smentiti con Mussolini, che convinse le autorità britanniche, nella I guerra mondiale, a dar vita a una Legione ebraica. Nel II conflitto mondiale, fu Churchill a lasciarsi convincere a organizzare un Jewish Brigade Group, inquadrato nell’esercito britannico: 5000 uomini che operarono in particolare nell’Italia centrale, contribuendo alla liberazione di Ravenna e di altri borghi. Ebbe i suoi morti, e le sue glorie. Bene dunque celebrarla. Ma non fu né avrebbe potuto avere un ruolo eminente, come sembrerebbe a leggere certe dichiarazioni. Ma il fuoco mediatico supera il fuoco delle armi. E che dire di ciò che avvenne dopo? Come storico ho il dovere di ricordarlo. Quei soldati divennero il nucleo iniziale delle milizie dell’Irgun e del Haganah — quelle che cacciarono i palestinesi nella Nakba — e poi dell’esercito del neonato Stato di Israele, al quale offrirono anche la bandiera.
Si capisce l’imbarazzo dell’Anpi di Roma, tra l’incudine e il martello. Ma quando leggo che il suo presidente afferma che «i palestinesi non c’entrano con lo spirito della manifestazione», mi vien voglia di chiedergli se gli amici di Netanyahu c’entrino di più. Altri hanno dichiarato in questi giorni che bisogna lasciar parlare solo chi ha fatto la guerra di liberazione; ma se così intanto andrebbero cacciati dai palchi tanti tromboni in cerca di applausi; e soprattutto se si adotta questa logica è evidente che tra poco non ci sarà più modo di festeggiare il 25 aprile, perché, ahimè, i partigiani saranno tutti scomparsi.
E allora — visto l’articolo 2 dello Statuto dell’Anpi che rivendica un profondo legame con i movimenti di liberazione nel mondo — come non dare spazio a chi oggi lotta per liberarsi da un regime oppressivo, discriminatorio come quello israeliano, rappresentato ora dal governo di destra di Netanyahu? Chi più dei palestinesi ha diritto oggi a reclamare la «liberazione»? E invece temo si vada verso questo (addirittura in queste ore in forse a Roma) e i prossimi 25 Aprile ingessati e reistituzionalizzati.
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domenica 12 aprile 2015
La RESISTENZA al femminile
Si sta avvicinando il 25 aprile e quest'anno ricorrono i 70 anni dalla liberazione dell'Italia dal nazifascismo, ma molte altre resistenze sono ancora in corso. Anche le donne hanno partecipato ( e partecipano oggi) alla Resistenza di allora: sono le storie, le vicende delle nostre mamme, nonne, bisnonne e di tutte coloro che hanno fatto parte, ad esempio, dell'UDI – Unione Donne Italiane – e che hanno contribuito, come partigiane, alla fruizione della libertà e dei diritti che sono anche nostri, grazie al loro coraggio e al loro impegno.
Si celebrano, queste grandi donne, allo Spazio WOW Fumetto di Milano con una mostra intitolata proprio “Donne resistenti”, un'esposizione di graphic-novel che sarà aperta al pubblico fino al 26 aprile 2015.
Le artiste Giuliana Maldini, Elena Terrin, Mariagrazia Quaranta, Marilena Nardi narrano le storie importanti, e forse poco conosciute ancora, di Onorina Brambilla Pesce, Iride Imperioli e poi di Tina Anselmi. Il fumettista Reno Ammendolea, in collaborazione con Marsia Modola, presenta il lavoro intitolato “ Bruna e Adele 70 anni dopo” in cui si ricordano i Gruppi di Difesa della Donna attraverso gli occhi di una ragazzina di diciassette anni che, grazie ai ricordi della nonna, scopre le conquiste e le lotte della resistenza al femminile. E ancora: il percorso che portò, a poco tempo di distanza da quelle battaglie, al diritto di voto.
Per il giorno di chiusura del percorso è prevista la proiezione del documentario “La donna nella Resistenza” di Liliana Cavani.
Un modo originale e nuovo di raccontare la Storia, anche quella che non si studia molto sui libri; un percorso utile per i giovani e i meno giovani che, insieme, possono raccontarsi e conoscersi meglio attraverso la condivisione di ideali e di valori positivi.
WOW Spazio Fumetto
Viale Campania 12, Milano
Ingresso libero
ma-ve: 15-19 e sab-dom:15-20
venerdì 25 aprile 2014
Una questione privata (anzi no)
25 aprile: nella giornata per la festa della Liberazione dal nazifascismo vogliamo ricordare un romanzo che, più di molte narrazioni, ha parlato della Resistenza senza retorica, con spietata lucidità, intrecciando una vicenda privata alla grande Storia.
Stiamo
parlando de Una questione
privata di Beppe Fenoglio,
un libro “costruito con la geometrica tensione d'un romanzo di
follia amorosa e cavallereschi inseguimenti come l'Orlando Furioso, e
nello stesso tempo c'è la resistenza proprio com'era, di dentro e di
fuori, vera come non mai era stata scritta, serbata per tanti anni
limpidamente dalla memoria fedele e, con tutti i valori morali, tanto
più forti quanto impliciti, e la commozione e la furia”. Con
queste parole un altro autore importantissimo, Italo Calvino, nella
prefazione a Il sentiero dei
nidi di ragno, presenta il
testo di Fenoglio, in cui Milton, il protagonista, è
accecato
dall'amore per Fulvia e ossessionato dal dubbio del tradimento con
Giorgio, il suo migliore amico. Tra fango e nebbia Milton vuole
cercare Giorgio e, con lui, la verità e scopre che l'uomo è stato
rapito ad Alba dai fascisti: Milton, allora, organizza uno scambio
facendo prigioniero un sergente nemico che, però,si troverà
costretto ad uccidere. Milton non si rassegna: torna alla villa con
la speranza di incontrare di nuovo la sua amata, ma trova una colonna
nazista che lo costringe ad una fuga disperata... fino all'epilogo.
Nel XI
capitolo Milton dice: “Vengo da Santo Stefano, per una questione
privata”: da qui Calvino, dopo la morte prematura di Fenoglio,
decide di dare al libro il titolo Una
questione privata, libro
che, infatti, fu pubblicato postumo nel 1963.
Il
viaggio, come viaggio mentale e di formazione, è sicuramente uno dei
topoi narrativi. E poi l'amore, un amore malato, un'ossessione, come
puo' esserlo anche quello verso un'ideologia; e la Resistenza che fa
da contesto storico alla vicenda ed è raccontata nella maniera più
sincera e umana possibile. I partigiani sono, prima di tutto, persone
con pregi e difetti, punti di forza e fragilità. E, infine, Fulvia:
Fulvia, la donna, la speranza. La speranza (e la volontà) di trovare
la verità, di trovare un senso per la vita umana e per la Storia.
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