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martedì 15 dicembre 2015

America latina: i diritti negati. Che cosa fare?



di Mayra Landaverde



In questi giorni di cortei, presidi e riunioni ho notato che tanti compagni si chiedono se davanti a tutte queste tragedie sia davvero utile continuare nella lotta. La lotta contro il razzismo, la corruzione, l'indifferenza ecc.

I risultati sono spesso scarsi o nulli. La stanchezza si fa molto presente fra noi.

Ieri, durante un corso, una partecipante ha chiesto al relatore cosa fare.

Sì, cosa fare? Andare in manifestazione? Realizzare uno striscione? Fare uno sciopero della fame? Incatenarsi davanti a qualche palazzo istituzionale?

Io non credo che nessun attivista o nessun docente abbia una risposta concreta.

E anche a me viene una stanchezza terribile quando vedo al nostro presidio per i nuovi desaparecidos - ogni giovedì - la gente che passa e non si ferma, non ci guarda e tante volte non accetta nemmeno il nostro volantino.

Sono tutti impegnati a faregli acquisti di Natale.

Come potrebbero essere interessati a dei ragazzi che ormai sono morti e sepolti in fondo al Mediterraneo? A chi potrebbe mai interessare la sorte di migliaia di centroamericani dispersi da qualche parte in Messico? Chi vorrebbe mai sapere di tutti i messicani che muoiono abbandonati nel deserto o annegati nel Río Bravo per attraversare la frontiera con gli Stati Uniti?

Non interessa a nessuno. Perché non li vedono. Perché sono numeri, cifre da telegiornale. Statistiche.

Allora, chiedono i compagni. Che cosa fare?

Facciamoglieli vedere. Proprio davanti ai loro occhi. Portiamoli qui nel centro città.

Il 25 aprile scorso , come Rete per i Nuovi Desaparecidos, abbiamo deciso di creare cartelli con le foto dei ragazzi algerini e tunisini dispersi nel Mediterraneo. Poche volte nella mia vita mi sono commossa in questo modo. La gente ha cominciato ad applaudire mentre noi camminavano in silenzio con i cartelli e quei volti appesi al collo , volti di persone di cui non si sa più nulla da anni.

Sono spariti, sono desaparecidos.

Noi li stiamo cercando! Vogliamo sapere dove sono. Non li portiamo per fare qualsiasi cosa.

Li portiamo perché le loro famiglie li cercano ma non possono essere qui. Perché ci hanno affidato questo grandissimo impegno e noi lo abbiamo accettato. Io l'ho accettato perché sono madre e non riesco nemmeno a immaginare la disperazione del non sapere dove sia finito mio figlio.

Che cosa fare chiedono i compagni.

Bene, prendete una di queste foto e cercateli con noi.

Ieri, 14 dicembre 2015, giornata importante a Milano, mentre si ricordava la strage di Piazza Fontana, abbiamo deciso di continuare ancora col nostro presidio, ma non da soli. Ora ci sono anche Torino, Palermo e Roma. E la stanchezza si sente già meno.

Facciamoci contagiare dai movimenti dell'America Latina. Noi siamo stanchi, ormai è da giugno che organizziamo questo presidio.

La carovana di madri centroamericane in cerca dei loro figli e figlie dispersi in Messico lo fanno da 11 anni. Saranno stanche anche loro, certo.

Ma stanno cercando i loro cari e vanno avanti, nessuno le ferma, neanche il governo messicano che ci ha provato in tutti i modi, negando il loro ingresso nel paese. Nessuno le ha fermate. Nemmeno quando trovano i propri figli. Emeteria Martínez cercò per 21 anni sua figlia. E continuò ad accompagnare le altre mamme anche dopo aver trovato la figlia.

Questo movimento ha trovato finora 200 persone e soltanto quest'anno ne sono già stati ritrovati altri quattro.

Ecco cosa fare.

Facciamoci contagiare da loro, dalla loro inesauribile voglia di cambiare il mondo.


giovedì 3 dicembre 2015

“So Dukhalma – Quello che mi fa soffrire”, il nuovo rapporto dell’Associazione 21 luglio sul disagio interiore dei minori e delle famiglie rom

Come vivono i minori rom all’interno di un ghetto, isolati dal centro abitato e senza spazi per giocare ed esprimere la propria personalità? Quali disagi provocano la povertà, la discriminazione della società e la mancanza totale di stimoli e riconoscimenti all’interno del proprio contesto abitativo?
Sono questi gli interrogativi alla base di “So Dukhalma – Quello che mi fa soffrire, il nuovo rapporto dell’Associazione 21 luglio sul disagio interiore dei minori e delle famiglie rom residenti negli insediamenti istituzionali che verrà presentato giovedì 10 dicembre alle ore 17.30, presso l’aula V della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università la Sapienza di Roma (città universitaria), in Piazzale Aldo Moro, 5.
La ricerca ha sviluppato un’indagine su un campione di minori tra gli 8 e i 15 anni che vivono nel “villaggio della solidarietà” di Castel Romano, comparando dati e osservazioni con le famiglie rom che vivono in abitazioni convenzionali.
 
Interverranno alla presentazione del rapporto:
 
Carlo STASOLLA, presidente dell’Associazione 21 luglio
Natale LOSI, antropologo-medico e direttore della Scuola Quadriennale di Psicoterapia Etno Sistemico Narrativa di Roma
Angela TULLIO CATALDO, autrice della ricerca, Associazione 21 luglio
 
Ai partecipanti sarà distribuita copia gratuita del reportage fotografico ispirato alla ricerca, “So Dukhalma –Quello che mi fa soffrire“.
La ricerca è stata realizzata con il sostegno della Fondazione Bernard Van Leer.
L’autrice del testo, Angela Tullio Cataldo, ha condotto la ricerca con il supporto di Luca Facchinelli, Cristiana Ingigneri, Emiliana Iacomini e sotto la supervisione scientifica di Natale Losi, direttore della Scuola Quadriennale di Psicoterapia Etno Sistemico Narrativa di Roma.
Le fotografie del reportage sono state scattate da
Stefano Sbrulli, photoreporter e digital designer, presso il “villaggio della solidarietà” Castel Romano e presso le famiglie rom residenti in abitazioni private a Roma.

venerdì 13 novembre 2015


L'ASSOCIAZIONE PER I DIRITTI UMANI



Associazione per i Diritti Umani




PRESENTA



il saggio “Egitto, democrazia militare”

di Giuseppe Acconcia





mercoledì 18 NOVEMBRE, ore 19

presso



BISTROT DEL TEMPO RITROVATO

Via Foppa, 4 (MM Sant'Agostino) MILANO





L’Associazione per i Diritti Umani organizza l'incontro nell'ambito della manifestazione “D(I)RITTI AL CENTRO!”.



Presentazione del saggio il saggio “Egitto, democrazia militare” di Giuseppe Acconcia, Exòrma edizioni.







Il saggio:

L'incoronazione dell'ex generale Abdel Fattah al-Sisi come nuovo presidente egiziano ha chiuso tre anni rivoluzionari che hanno cambiato il Paese. Il racconto dal basso delle rivolte di piazza descrive un Egitto straordinario, diviso tra modernità e tradizione, dalla repressione di migranti e minoranze, alla punizione collettiva delle tribù del Sinai, dagli operai delle fabbriche di Suez al massacro di Rabaa al-Adaweya.





Coordina: Alessandra Montesanto, Vicepresidente Associazione per i Diritti Umani





giovedì 12 novembre 2015

Hate crimes in Europe: il caso della morte di Pavlos Fyssas

di Cinzia D'ambrosi


Il caso della morte di Pavlos Fyssas

Questo breve articolo presenta il caso della morte di Pavlos Fyssas avvenuta il 17 Settembre 2013 e le ragioni per cui il suo processo attuale e' importante non solo per la Grecia, ma per l'intera Europa. La morte di Pavlos Fyssas, a causa di un fatto di razzismo, ha dell' implicazioni molto profonde perche' tocca le fondamenta del sistema giudiziario a cui noi, in quanto cittadini ed individui, facciamo riferimento.

Pavlos Fyssas, 34enne attivista della sinistra e musicista hip-hop, e' stato accoltellato a morte da alcuni membri della Golden Dawn (partito dell'estrema destra) nel distretto di Keratsini ad Atene. Era con degli amici in un caffe' a guardare una partita di calcio, quando uno di questi ha fatto un' osservazione contro il Golden Dawn che purtroppo fu sentita da un membro proprio di quel partito che sedeva al tavolo accanto. Costui si è subito messo in contatto tramite cellulare con dei membri della Golden Dawn che in breve tempo, numerosi e con la polizia DIAS in motocicletta hanno circondato il caffe'. Pavlos stava cercando di aiutare i suoi amici a lasciare la scena quando è stato attaccato.

Per la prima volta e' in corso un processo d'omicidio contro i membri della Golden Dawn. Sin dal suo inizio ci sono state molte controversie, tra cui il fatto che il processo si stia svolgendo nella piu' grande prigione della nazione, Korydallos, in periferia d' Atene ed in una zona che ha molte affiliazioni di destra. Tutti i testimoni, inclusi il padre di Pavlos Fyssas ed i suoi avvocati, sono stati intimiditi ed anche attaccati. Ottenere un giudizio giusto e quindi ottenere una vittoria contro il razzismo e' d'importanza notevole cosi' come poter incoraggiare altre vittime a farsi venire avanti e denuniciare. Perdere il processo vorrebbe dire ristabilire il potere delle destre sul sistema giudiziario.




Didascalia:

Il processo e' controversialmente in corso nel Korydallos, la piu' grande prigione della Grecia. Foto di Cinzia D'Ambrosi.






The Case of Pavlos Fyssas death

This brief article is an introduction to the case of Pavlos Fyssas death on the 17th Septmber 2013 and why its current trial is very important not just for Greece but for Europe. Pavlos Fyssas death following a racist incidence has profound implications because it touches the foundations of the Justice System which we, as individuals and societies, rely on. It is also an example of courage.

Pavlos Fyssas, a 34-year-old left-wing activist and hip-hop artist, was stabbed to death by Golden Dawn supporters in the Keratsini district of Athens. He was with friends in a coffee shop and one of his friends made a remark against the Golden Dawn. It was overheard by someone on a nearby table, who called by cell phone members of the Golden Dawn and DIAS motorbike police. Soon the coffee shop was surrounded by numerous Golden Dawn members. Pavlos was trying to help his friends to escape when he was knifed and died at the scene. The trial against the perpetrators, members of the Golden Dawn is the first of the kind. The trial is being controversially held in the country's biggest jail, Korydallos prison and in an area known for far right affiliation. All the witnesses, including the father of Pavlos Fyssas, the boy who was killed have been intimidated at the start of the trial. Reaching a just verdict is a victory over racism and an encouragement for the many victims to come forward. Losing will only re-initiate the discourse of government and far right affiliations, and overall a defeat on our Justice System.




martedì 10 novembre 2015

Fotografia: libertà di espressione, etica e e diritto alla dignità




L' Associazione per i Diritti umani ha partecipato al Festival di Fotografia etica che si è svolto a Lodi dal 10 al 25 ottobre.

Come ogni anno la manifestazione ha proposto al pubblico molte esposizioni di autori italiani e stranieri che lavorano sull'atualità, calandosi nelle situazioni più gravi che attanagliano l'umanità: conflitti, razzismi, malattie, miseria, per citarne solo alcune. Durante le giornate dedicate alla fotografia, gli organizzatori organizzano anche approndimenti e interviste; quest'anno abbiamo assistito ad un convegno dal titolo “Etica e fotografia: un rapporto complesso” alla presenza di Elio Franzini, Sandro Jovine, Gianmarco Maraviglia, Pirtro Collini, Lucy Conticello, Marco Capovilla e Emanuela Mirabelli.



Riportiamo, per voi, alcuni interventi.



Elio Franzini inizia citando Walter Benjamin il quale soteneva che la fotografia non ci fa cogliere il senso della realtà perchè è una risproduzione della stessa. Restituendo una interpretazione della realtà, non si consegna una verità reale. Ma la dimenticanza consiste nel fatto che la fotografia è una RAPPRESENTAZIONE per cui, quando si parla di fotografia o di un'immagine con una valenza comunicativa, la loro caratteristica è quella di racontare qualcosa che sta dietro, che rinvia ad un senso che non si esaurisce con l'immagine in sé. Per questo motivo tali immagini possono avere anche una certa pericolosità per il pubblico: qual è, infatti, il loro limite? C'è un limite per la rappresentazione?

C'è un modo etico POSITIVO che è quello di far intuire la storia sottostante; in questo caso l'immagine è simbolica, è una struttura di rinvio a qualcos'altro. Ma c'è anche un modo etico NEGATIVO: qui il fotografo deve chiedersi se la realtà ripresa è comunicativa oppure se è irrapresentabile. Alcuni oggetti non andrebbero ripresi perchè offenderebbero la sensibilità degli spettatori? Kant risponde a questa domanda, ponendo un limite soggettivo alla rappresentazione: non possiamo rappresentare ciò che ingenera in noi disgusto (che è un rifiuto anche fisico perchè i nostri sensi non accettano quell'immagine).

La risposta del filosofo, però, non è del tutto soddisfacente perchè c'è un altro problema: Lessing, già nel '700, scrive un Manifesto dell'immagine moderna in cui la rappresentabilità o meno di una scena dipendeva dai segni da cui era costituita. I segni dell'immagine sono icnici (non diacronici) per cui noi spettatori non recepiamo l'immagine come brutta o violenta. Ciò significa che il mondo delle immagini è pericoloso quando rappresenta lo sgardevole perchè l'immagine stessa non ha intrinsecamente quei segni che fanno accettare allo spetttaore ciò che è disturbante.
E' anche vero, d'altra parte, che il disgustante mette in luce la nostra mancanza di accettazione del Male. Il pittore Paul Klee si chiedeva: bisogna che tutto sia conosciuto? La risposta del Prof. Franzini è: “Io non lo credo”.



Pietro Collini lancia alcune provocazioni. Vedere, registrare, mostrare: questo sarebbe il motto del bravo fotografo. Ma questo non è possibile perchè l'obiettività assoluta non esiste, dato che – attraverso il background culturale, la fede politica o la religiosità – il fotografo è condizionato dalla propria vita, dalle esperienze, dalle opinioni e da questo nascono le manipolazioni delle immagini e dell'opinione pubblica.
Trovare sempre temi e stili nuovi: questo è l'imperativo della fotografia moderna e questo ha generato anche un'ansia nel professionista che – soprattutto da quando la fotografia si è accostata alla politica – ha iniziato ad usare maggiormente la tecnica (luci e colori), finendo col distaccarsi progressivamente dalla documentazione della realtà.



Marco Capovilla fa riferimento ai principi etici del giornalismo perchè anche la Fotografia deve adottarne i principi e le logiche. Esiste un codice di autodisciplina (che non è una legge dello Stato) affidato alle associazioni di categoria (la deontologia professionale), secondo cui anche il fotografo deve aderire ai fatti, deve essere onesto e imparziale, autonomo e indipendente e deve avere umanità nei confronti dei soggetti deboli rappresentati e consapevolezza della responsabilità sociale del proprio operato. Questo principi, come sappiamo, vengono spesso disattesi e con la fotografia è più facile violarli perchè le immagini sono maggiormente manipolabili grazie alla tecnologia.


Gianmarco Maraviglia dirige una rivista che si chiama “ECHO” perchè i grandi eventi di attualità lasciano un'eco per cui lui e i suoi collaboratori raccontano le conseguenze di tali eventi.
Racconta di un progetto intitolato “Break the silence” realizzato in Egitto, un paio di anni fa. Per realizzarlo ha ascoltato molto musica hip hop, ha seguito i ragazzi che usano gli skates e fanno parkour, ha frequentato il modo dei tatuatori: ha, cioè, ripreso un mondo underground egiziano, strettamente legato alla rivoluzione e ha dimostrato, con i suoi scatti, che quei giovani stavano mettendo in atto non tanto una rivoluzione politica, ma una rivoluzione socila,e culturale e di impegno civile.

Poco prima della sua partenza per l'Egitto, racconta Maraviglia, riceve una telefonata di intimidazione da parte dei Fratelli musulmani. Lui parte ugualmente e realizza il progetto. Viene contattato, dopo qualche tempo, dal Washington Post che pubblica le sue foto e, nel giro di qualche minuto, il suo account di Facebook viene riempito di insulti, soprattutto in linga araba. Cos'era successo? Era successo che la testata principale egiziana, El Watan, aveva preso le foto del Washington Post, modificate, manipolando titolo e articolo e aveva strumentalizzato politicamente il reportage.

Il fotografo racconta anche di un'esperienza professionale sui rifugi siriani di origine armena. Per realizzare questo progetto, ha cercato alcuni sopravvissuti alla battaglia di Kessab ed entra in contatto con persone che erano riuscite a scappare grazie all'aiuto di un'associazione: tra queste c'era un ragazzino che gli racconta la propria storia terribile. Appena usciti dalla ONG, il ragazzino gli passa un numero di telefono per prendere un appuntamento da soli: durante l'incontro dà al fotografo una versione totlamente diversa. Racconta che, in realtà, lui era scappato per sfuggire all'esercito di Assad che aveva messo in mano a tutti i bambini e ragazzi un fucile, ma lui non voleva andare a combattere al confine con la Turchia.

Questo esempio mette in luce il serio problema della propaganda.














martedì 3 novembre 2015

America latina: i diritti negati



LA 72”



di Mayra Landaverde


Situato nel comune di Tenosique, Tabasco, "Il rifugio 72 casa per gli immigrati" dà loro uno spazio che ospita temporaneamente le difficoltà della strada. Qui ci si aspetta il treno “La Bestia” si riposa, si mangia. Si tengono anche delle visite mediche per chi ne abbia bisogno. Qui è un rifugio anche per nascondersi dalla criminalità organizzata.


Ma questo luogo, che dovrebbe essere di passaggio, per molti alla fine diventa una sorta di limbo dove si aspetta: si aspetta il denaro inviato dalle famiglie, si aspetta di trovare un lavoro, si aspetta di guadagnare forze. La vita in "La 72" prende per questa parte di migranti un'atmosfera di una calma domesticità in cui è difficile andarsene, dinamiche in cui questi uomini (la maggior parte degli ospiti sono maschi) ormai si erano abituati. Un vero rifugio dove fanno amicizia, dove mangiano insieme agli altri, dove ognuno si racconta. Ma alla fine tutti partono sempre con la speranza di riuscire ad arrivare dall’altra parte della frontiera e compiere il sogno americano.

* Questa serie di scatti fotografici di OLIVIA VIVANCO ha vinto il terzo posto nel XXXII Concorso di fotografia antropologica “Migrazioni” della Scuola Nazionale di Antropologia e Storia, l’INAH e il Ministero per la cultura e le arti.




 
 
 
 
 




Olivia Vivanco è nata a Città del Messico. Ha un diplomato alla Scuola Nazionale di Arti Plastiche e fotografia dell’UNAM e un Seminario di fotografia contemporanea 2007 svolto nel Centro de la imagen.


Ha esposto il suo lavoro in luoghi come il Museo dell'Università del Chopo, CNDH, ENAH, Centro de la imagen, Festival internazionale della della fotografia latina nel 2006 e nel 2007 a Parigi e nella Sala della fotografia documentaria per i diritti umani, l'infanzia e la gioventù in Colombia. Ha pubblicato in riviste Mexicanisimo, Picnic Bizco Magazine, Spleen Journal, Registro e Voces de Altaïr. Insegna presso l'Università del Claustro di Sor Juana. Ha ottenuto una borsa di studio nel 2010 per promuovere progetti culturali.


giovedì 29 ottobre 2015

Le moschee segrete in Grecia - Hidden mosques in Greece

di Cinzia D'Ambrosi



Seguendo l'Imam della comunita' sudanese, sono arrivata davanti a due luoghi chiusi dalle autorita' greche. Mentre tentavo di leggere il foglio della polizia attaccato alla porta, una donna inizia a gridare contro di noi. Mi viene detto che non e' inusuale.
Hassan, un rifugiato dal Sudan dice: 'Le autorita' hanno chiuso la moschea. Ci hanno detto delle scuse. Ci hanno detto che i vicini hanno fatto denuncia per via della nostra musica. Non abbiamo mai suonato musica.'
Habiba, originaria del Marocco, dice: 'Talvolta entro in un negozio ed il proprietario mi grida di lasciare il negozio immediatamente perche' non servono donne con il foulard.'
Ci sono circa un milioni di musulmani in Grecia. Approssimativamente 600,000 musulmani vivono in Atene. Come tanti altri che risiedono in Europa, hanno difficolta' a praticare la loro religione. Vorrebbero praticare la loro fede in un posto ufficiale di culto, pero' non e' ammesso costruire una moschea in Atene ed in Grecia. Le comunita' musulmane sono costrette a pregare in posti segreti ed informali come, ad esempio, i garages.
 


A former garage underneath a building serves as an illegal mosque in Neos Kosmos, which it has been called Al Salam Mosque. Copyright: Cinzia D'Ambrosi.    
Questo luogo, che un tempo serviva come garage, e' stato trasformato in una moschea informale e 'segreta' (non apertamente annunciata) riferita come moschea Al Salam. Copyright: Cinzia D'Ambrosi


Alongside the Imam of the Sudanese community in Athens, I walked to two sites, basements garages, been shut by the Greek authorities. Even lingering outside the door of one of these sites, a woman started to shout at us. I was later told that this is not unusual.
Hassan, a refugee from the Sudanese community says: 'The authorities have closed the mosque. We have been given excuses. They told us that the neighbours complained of our music. We don't play music.'
Habiba, originally from Morocco, says 'Sometimes I am shouted at and told to leave the premises of a shop because I wear a head scarf''.
Anisur, from Bangladesh : 'Officials don' t make it easy for us. We are treated differently.'
There are around one million Muslims in Greece and approximately 600,000 Muslims who live in Athens. Like many who live in other European countries, face difficulties in practising their religion. They would like to express their faith through prayer in an appropriate place of worship, however there is no official mosque in Athens or Greece. Up until now, the Muslim communities are forced to pray in hidden informal spaces such as disused garages and basement spaces.





lunedì 26 ottobre 2015

Sisi, Mustafa e gli altri


di Monica Macchi



Per la festa dell’Eid el Adaa di quest’anno il presidente egiziano Abd al-Fattah al-Sisi ha graziato molti detenuti politici tra cui alcuni giornalisti di Al Jazeera e pochi giorni fa in un’intervista con Wolf Blitzer alla CNN ha detto “Non voglio esagerare, ma vi assicuro che l'Egitto gode di una libertà senza precedenti nei media”.



In realtà Bassem Youssef si è visto cancellare il suo spettacolo “Al-Barnamig” dopo un episodio sulle elezioni presidenziali con annessa una multa di 50 milioni di ghinee. Ora vive all'estero e non è tornato in Egitto neppure per il funerale del padre per paura di essere arrestato…e nel frattempo continua a essere denigrato come “traditore”. E molti altri giornalisti come Reem Magued, Yosri Fouda e Dina Abdel Rahman sono stati licenziati con l’accusa nemmeno tanto velata di aver criticato il governo mentre nell’ultimo anno numerosi giornali tra cui Al-Watan, Al-Masry Al-Youm, Sawt Al-Oma e Al-Sabah sono stati confiscati dalle autorità. Secondo le cifre fornite dal Sindacato dei giornalisti ci sono 32 giornalisti ancora in carcere, tra cui il fotogiornalista Shawkan di cui ci siamo già occupati qui. (http://peridirittiumani.blogspot.it/2015/01/mahmoud-abou-zeid-alias-shawkan-un.html).



Ma anche la tv è nel mirino: la serie “Il popolo di Alessandria” è stata cancellata, perché critica la polizia egiziana prima della rivoluzione del 25 gennaio. E non sono solo i giornalisti e gli scrittori (Belal Fadl su tutti) ad essere sotto controllo... Ahmed El-Merghany, è stato cacciato dalla sua squadra Wadi Degla per aver criticato Sisi sulla sua pagina di Facebook…ebbene ha dovuto pubblicamente chiedere scusa per tornare a giocare perché tutti i calciatori egiziani hanno attuato una sorta di boicottaggio rifiutandosi di averlo in squadra.


Ma ci sono anche sparizioni misteriose come quella di Mostafa Massouny, un video-maker scomparso dal 26 giugno dal centro del Cairo. I suoi familiari e amici non sono riusciti a trovarlo da nessuna parte, negli ospedali, negli obitori, nelle carceri e nelle stazioni di polizia ma hanno saputo che è stato “oggetto di indagine” da parte del NSA (Agenzia di Sicurezza Nazionale) presso la sede di Lazoghly Square. Il Ministero degli Interni nega qualsiasi coinvolgimento ma dice che “stanno indagando”. L’associazione Freedom for the Brave ha iniziato una campagna per far luce sul caso di Massouny sotto l’hashtag “Dov’è Massouny?” (# ماصوني_فين) documentando almeno 163 casi di sparizioni forzate e detenzione illegale da parte delle forze di sicurezza solo negli ultimi due mesi.
 
 
 

lunedì 19 ottobre 2015

I muri di Tunisi: la Tunisia prima e dopo la rivoluzione



Associazione per i Diritti Umani
PRESENTA

 
il saggio “I MURI DI TUNISI. Scritti e immagini di un Paese che cambia”, di Luce Lacquaniti

ed. Exòrma

 

giovedì 22 OTTOBRE, ore 19

presso

 
CENTRO ASTERIA

(Piazza Carrara 17.1 (ang Via G. da Cermenate,2 MM Romolo) Milano
 

L’Associazione per i Diritti Umani organizza l'incontro nell'ambito della manifestazione “D(I)RITTI AL CENTRO!”.
 

Presentazione del saggio “I MURI DI TUNISI. Scritti e immagini di un Paese che cambia”, di Luce Lacquaniti

ed. Exòrma

Il saggio, a partire dai graffiti realizzati sui muri della città di Tunisi, permette di fare un viaggio in un Paese in grande via di trasformazione politica, culturale e sociale. Si parlerà della Tunisia anche alla luce dell'attacco terroristico e del Premio Nobel per la pace.
 

Coordina: Alessandra Montesanto, Vicepresidente Associazione per i Diritti Umani

venerdì 16 ottobre 2015

La crisi dell'attività agricola nelle opere di Moira Ricci



Un progetto intitolato “Capitale terreno” racchiude due mostre interessanti dell'artista Moira Ricci, nata nella campagna maremmana e da sempre fedele alla cultura della (sua) terra. Moira Ricci è presente a Milano – presso lo Spazio Oberdan, fino al 18 ottobre 2015 – con due lavori: Da buio a buio e Dove il cielo è più vicino in cui, attraverso fotografie, video, installazioni, raccoglie narrazioni, racconti popolari, testimonianze di un mondo, quello contadino, in via di estinzione. La sua arte fa riflettere sulle nuove forme di economia, sulla fine della tradizione, sulla crisi contemporanea, attraverso metafore e suggestioni che affondano le radici nel Passato e nell'attualità.



Abbiamo rivolto alcune domande a Moira Ricci e la ringraziamo.






Qual è il filo conduttore tra la civiltà contadina e la contemporaneità?



Ogni civiltà nasce contadina. Mi sembra che l'economia mondiale, basata su un capitalismo che pensa solo ai consumi, non sia più in grado di preservare non solo la libertà degli individui e il loro benessere, ma anche la salute del pianeta stesso. Sarebbe prezioso recuperare un po' della consapevolezza contadina per ritrovare un equilibrio tra gli uomini e il mondo che abitano.



Quanto è importante il recupero della Memoria per porre le basi di un futuro di uguaglianza e di giustizia (anche nella redistribuzione dei prodotti della terra)?



Penso che sia fondamentale tener conto della memoria. Se si conoscesse bene la storia, non si continuerebbe a sbagliare.



Quale sarà il futuro dell'attività agricola in Italia?



Purtroppo io ho una visione pessimistica per l'imminente futuro. Adesso siamo dentro al passaggio da un'era all'altra e l'impatto con il cambiamento è stato forte. Credo che sarà un periodo lunghissimo e molto doloroso. Anche l'agricoltura in questo momento è in piena crisi grazie alle leggi sempre più stupide da parte dei governi e delle multinazionali e grazie al quasi totale disinteresse sull'argomento da parte dei mezzi d'informazione.




Ci può anticipare una leggenda che ha raccolto durante le ricerche che ha effettuato per il suo lavoro?

 

Quelle che ho conosciuto durante le ricerche sono “l'uomo-cavallo” che aveva una metà del corpo somigliante ad un equino e “la donna col foco al culo” (scusate il termine ma la chiamavano così), una signora che, a seguito dell'incendio alla sua casa nella collina vicino a casa mia, è scesa di corsa giù verso il mare tutta infuocata. Era diventata un personaggio pauroso per i bambini della zona degli anni '50-'60 perchè gli adulti usavano questa storia per intimorirli. Le storie di cui parlo invece in mostra sono le uniche quattro che conoscevo fin da piccola.

giovedì 15 ottobre 2015

I muri di Tunisi: la Tunisia prima e dopo la rivoluzione


Associazione per i Diritti Umani




PRESENTA



il saggio “I MURI DI TUNISI. Scritti e immagini di un Paese che cambia”, di Luce Lacquaniti

ed. Exòrma

 




giovedì 22 OTTOBRE, ore 19

presso



CENTRO ASTERIA

(Piazza Carrara 17.1 (ang Via G. da Cermenate,2 MM Romolo) Milano





L’Associazione per i Diritti Umani organizza l'incontro nell'ambito della manifestazione “D(I)RITTI AL CENTRO!”.



Presentazione del saggio “I MURI DI TUNISI. Scritti e immagini di un Paese che cambia”, di Luce Lacquaniti

ed. Exòrma



Il saggio, a partire dai graffiti realizzati sui muri della città di Tunisi, permette di fare un viaggio in un Paese in grande via di trasformazione politica, culturale e sociale. Si parlerà della Tunisia anche alla luce dell'attacco terroristico e del Premio Nobel per la pace.



Coordina: Alessandra Montesanto, Vicepresidente Associazione per i Diritti Umani



Vite in sospeso - Lives in limbo



di Cinzia D'Ambrosi





La vita di coloro che cercano esilio e si sono rifugiati in Europa spesso si blocca nel processo burocratico, nei meccanismi di difesa, nei confini, in attesa di avere un permesso permanente e di poter continuare la propria vita. Quando riusciamo veramente a capire cosa significhi rimanere in balia di questo procedimento, possiamo capire che la situazione è dura. Possiamo poi percepire le discriminazioni e la mancanza di umanita' in molti casi: le detenzioni, i permessi, le firme settimanali, le attese prolungate che durano anni in completa balia di un sistema non funzionante e discriminatorio. Le storie raccolte sono ripetibili – l'attesa prolungata nei centri d'accoglienza, nelle detenzioni e il non poter contribuire e vivere la propria vita. Alcune comunita' sono anche piu' vulnerabili di altre, in particolare coloro che sono visibilmente diversi per la loro religione o etnia. Spesso le comunita' africane sono quelle piu' soggette a malestie, discriminate ed anche attaccate.

La foto che sto condivendo appartiene ad Ahmed, un rifugiato, originario del Sudan. Trascorre le sue giornate nel centro Sudanese dove si sente protetto. Non puo' lavorare e non ha il permesso di poter lasciare la Grecia. Da molto tempo e' in questa situazione di limbo. Come tanti altri nella comunita' e' stato fermato dalla polizia e portato nella loro centrale, solo per lasciarlo li' per ore. Ahmed dice che e' fortunato se non viene riportato nel centro di detenzione!




Didascalia della foto:

'Anche se hai il foglio rosa, non puoi lavorare o lasciare il paese. Te lo possono togliere ogni momento e poi ritorni nei centri di detenzione. Questo succede spesso, particolarmente con noi, rifugiati del Sudan, perche' siamo spesso portati in una centrale di polizia.' Ahmed, Atene, Giugno 2015.



Hate Crimes in Europe!

By Cinzia D'Ambrosi



Many refugees and asylum seekers have their lives stalled for years whilst in the process of being granted asylum or permit to stay. When we truly understand the meaning of this, we can grasp the hard-stance. The detention, the shelters, the lack of a permit to work, the charitable donations to get by. For many of the refugees and asylum seekers this life in limbo goes on for years upon years. Racism, discrimination is intertwined in many layers of this system. The stories being collected are of an endless fight for survival, whilst in accommodation centres, shelters for prolonged periods of time. Some communities face further challenges as being singled out for their race or religion. The black communities are often the most verbally and physically harassed, discriminated and even attacked. Thus, having no residence permit and in a limbo situation leave these communities in greater vulnerability for becoming a target of hate crimes.

The photo that I am sharing belongs to Ahmed, a refugee originally from Sudan taken in a Sudanese centre in Athens, Greece. Ahmed like so many others in the centre has been waiting for a permit that would allow him to work for a very long time. He spends his days in the centre where he feels safe. Like so many others in the community he has often been picked up from the police and taken to the police station only to be released many hours later. If he is not like, he will be then sent back to a detention camp.






Caption of the photo:

'Even if you have the pink paper, you cannot apply for work or leave the country. It can be revoked at any time and then you are back in the detention centres. This happens frequently, particularly with us, refugees from Sudan, because we are often randomly taken to a police station'. Ahmed, Athens, June 2015

mercoledì 7 ottobre 2015


Associazione per i Diritti Umani




PRESENTA



Continuare a parlare di Medioriente: come sta cambiando lo scenario e quali le conseguenze per il resto del mondo. Focus SIRIA





GIOVEDI 8 OTTOBRE, ore 19

presso



CENTRO ASTERIA

Piazza Carrara 17.1 (Ang. Via G. da Cermenate, 2. MM ROMOLO, FAMAGOSTA )
Milano





Milano, 15/9/2015 L’Associazione per i Diritti Umani organizza l'incontro intitolato “Continuare a parlare di Medioriente: come sta cambiando lo scenario e quali le conseguenze per il resto del mondo. Focus SIRIA”, nell'ambito della manifestazione “D(I)RITTI AL CENTRO!”.



Presentazione del documentario “Young Syrian Lenses” alla presenza dei registi Ruben Lagattola e Filippo Biagianti e di Monica Macchi, esperta di mondo arabo.

Il documentario:

“Prima di essere media attivisti, siamo tutti ribelli, il nostro impegno nella rivoluzione si è evoluto nell’informazione”. Parla così il reporter Karam Al Halabi, uno dei protagonisti del documentario girato in Syria da Lagattolla fra il 30 Aprile e il 9 Maggio 2014 e sostenuto da Amnesty International sezione Italia.

L’intento del documentario è infatti proprio quello di filmare l’attività dei ragazzi che lavorano nei network di informazione, documentare il loro lavoro di fotografi e di raccontare la realtà siriana con un approccio il più possibile umano. Il progetto “Young Syrian Lenses” è stato portato avanti e concluso senza nessun budget, in maniera totalmente indipendente e volontaria e viene ora diffuso in tutta Italia con l'obiettivo di raccontare la storia di questi reporter e di far conoscere in modo chiaro e approfondito la situazione della Siria.



Inaugurazione della mostra fotografica “Volti della Syria” di Salvatore Di Vinti



La mostra:

Volti della Syria” di Salvatore Di Vinti, volontario di “Insieme si può fare”. Attraverso le immigini Salvatore Di Vinti racconta i due viaggi fatti con l’associazione per portare aiuti umanitari al popolo siriano.



Coordina: Alessandra Montesanto, Vicepresidente Associazione per i Diritti Umani










giovedì 1 ottobre 2015

Una nuova rubrica: Hate crimes in Europe!




Cari amici, cari lettori,

con piacere oggi vi proponiamo una nuova rubrica intitolata HATE CRIMES IN EUROPE!. Sarà tenuta, il giovedì ogni due settimane, da Cinzia D'Ambrosi (www.cinziadambrosi.com), fotoreporter di origine italiana che vive a Londra. Di seguito la presentazione del progetto.



Ringraziamo molto Cinzia D'Ambrosi per aver accettato la collaborazione con l'Associazione per i Diritti Umani.



Hate crimes in Europe!



Hate crimes in Europe! e' composto da una serie di reportages che trattano di crimini d'odio in Europa. Il progetto e' nato dal desiderio di documentare e rendere visibile l'enormita' dei crimini d'odio e cio' che pericolosamente rappresentano.

L'intento e' quello di approfondire questa tematica tramite le storie di coloro che sono state vittime e di evidenziare anche i riscontri negativi che questi eventi creano su di loro e sulla societa' in generale. Hate crimes in Europe! investiga e documenta, infatti, non solo le storie delle vittime ma anche i luoghi dove questi crimini sono piu' frequenti. Il progetto si svolge attraverso un percorso d'immagini raccolte nei luoghi europei dove il sorgere di movimenti di estrema destra, la poverta' ed enormi cambiamenti politici, economici o sociali hanno inciso a tal punto da diventare fulcro di molti episodi d'odio.



Cinzia D'Ambrosi freelance fotogiornalista ha dato vita al progetto in Grecia dove ha riscontrato l'esistenza di attacchi e pregiudizi verso coloro che hanno cercato rifugio nel Paese, dopo essere scappati da zone di guerra, in particolare dall'Africa sub-sahariana. Scioccata, ha intervistato e fotografato rifugiati sudanesi, eritrei e di altri Paesi africani.

Ha constatato, inoltre, che i crimini sono notevolmente aumentati in tutta l'Europa. Attacchi a moschee in Bulgaria da membri dell'estrema destra, in Germania, l'ascesa dell' UKIP in Inghilterra, e il dilagare dei partiti di estrema destra in altre aree europee non hanno fatto altro che moltiplicare le manifestazioni di violenza nei confronti di migranti e di profughi. Questi sono attacchi rivolti verso coloro che 'rappresentano' uno stereotipo e gli stereotipi formano pregiudizi che sfociano, troppo spesso, nella violenza fisica e verbale.

L'intento di Hate crimes in Europe! È quello di voler abbattere gli stereotipi e di formare una società accogliente e rispettosa.



Images copyright Cinzia D'Ambrosi


Badara Sila sta ricevendo un trattamento medico da parte di una ONG per disturbi da stress dopo aver subito un attacco atroce da alcuni membri del Golden Dawn in Grecia. Le violenze lo hanno costretto a rimanere in ospedale per alcune settimane.




Badara Sila is now receiving treatment from an NGO for anxiety and stress disorder after he was victim of an atrocious attack by members of the Golden Dawn in Greece

which left him for weeks in hospital.




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Hate crimes in Europe!

The Other Europe is a collection of photo stories that expose the increasing number of hate crimes.

Crimes of hatred and prejudice are becoming more common by the day. Europe seems to have forgotten its recent history and to be heading towards reaping itself in a loop. Attacks to Mosques in Bulgaria from members of the far right party Attak, Neo Fascist Pegida in Germany burning down hostels where refugees have been given shelter, UKIP in UK proclaiming Britishness, Golden Dawn in Greece attacking black communities and anyone that is not Greek, and the inhuman treatment of refugees seeking shelter in Europe are tell-tales of rising prejudices and hate in European countries. These are some of the escalating events that have reached the headlines, but everyday, increasingly, people become victim of attacks, hate speeches and discrimination. Unfortunately, most of these crimes go unreported.

The root causes for these crimes are subject to debates and research, however the escalating events in the Middle East, the tragedies of war, foreign interventions, the shootings at the French satirical newspaper Charles Hebdo, the current fighting of ISIS and the refugee crisis that is enveloping Europe have all fuelled the emergency of racial and religious hate crimes. This has often translated into a political and media rhetoric that targets migrants, refugees, ethnic minorities and the black communities, those that practice the Islamic faith given rise to extreme right thinking but also to prejudices and discrimination. Thus, it comes into play stereotypes; for example those that practice the Islam faith are more easily suspected of terrorism, or black young people are more likely to be be subjected to stop and search from the police than white young people. The economic downfall and consequetenly a greater inequality in society are also contributing to these events. To a large externd, the countries with an increased number of hate crimes are those where there have been greater changes economically and have had a greater involvement in the wars in Afghanistan, Iraq and presently in Syria.

As a photojournalist, I am very keen on reporting on hate crimes with the aim to highlight with my work this pressing and important issue and I believe that story telling in a visual manner provides a greater immediacy from the public. The objective is to create a body of work on an European level constructed by various stories based on victims of hate crimes to bring forth the effects that those have on people, but also to achieve a greater understanding of these crimes and ways to denounce them. The project will have a portal with interactive based levels where public can listen to audio interviews, follow photo-essays and videos. The web site will be the key element for information on the project, thus I am hoping for involvement from charities and NGO's on the level that will be able to support and grow the project network and thus increase awareness of this issue. Unless these incidents are tackled at the very beginning raising awareness and proactively denounce them, there will be no end to them. Thus, sensibilize on ground with a campaign that is visually conveying with photo stories of those that have been hit hard by prejudice and hate becomes poignant as it will sensibilize the public on reporting hate crimes. There is a desperate need for this to happen. Europe as a whole has a need to counteract these incidents with a firm position. What it does happen in one country is not disjointed to the others; what happens with Golden Dawn in Greece is not separated from what is happening with Pegida in Germany.

The Photo Stories

The photo stories will be exploring stories based on those that have fallen victim of hate crimes, investigate on the root causes, and highlight the environments which have become hots spots in the dissemination of hate crimes in Europe. Stories will be investigating key angles for instance racism, Islamophobia, ethnicity. The plan is to work in countries, cities and particular areas where there is a greater appeal of far right ideologies and where there is a greater need for intervention.

Greece is one of these countries, which is suffering from severe austerity measures and rising racism. Greece is one of the main entry gates into Europe for refugees fleeing their home countries on the search for safety. In Greece however, refugees are faced with deficiencies in the asylum procedure and appalling detention and living conditions. Without housing, legal papers or support, they are faced with increasing and often violent racism. The black communities are the most targeted by blatant acts of racism, random attacks from members of the Golden Dawn, and or from the police. Despite the severity of the cases which include murder, state and police seem unwilling to address the issue. This project is shedding a light on the crimes committed and the frequent daily occurrences of racism and discrimination among the black refugee communities in Greece.

Vision

The vision is to develop this work on an European level documenting the lives of people that have been negatively impacted by hate crimes with their photo stories. The objective is to highlight the need for intervention; the need to educate, to eradicate the roots for hate and to investigate where these are more frequent in order to understand the environments and the impact of media, politics etc on the occurrence of these crimes. I am researching and beginning to liase with NGOs, charities and foundations that work towards raising awareness of hate crimes. Some of the ideas being generated is to construct regular blogs, Seminars, Workshops and Exhibitions. But also approaching print, online media and broadcasting and the social channels. This to generate and build the necessary profile to reach out to a large amount of people.

It will be amazing to create photo stories in real time so that there will an online stream of the photo-essays as they happen. There are a lot of possible ideas that can be developed, but some of these look at working on an Interactive Web Documentary based presentation so that the photo stories are presented in various interconnected platforms so that they can interact with the public in audios, videos, multimedia and stills to enhance the story telling experience and responsiveness. This is quite strong possibility. I have already approached a Producer who is keen on producing this Interactive Web platform for the project.