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sabato 21 novembre 2015

L'urlo contro il regime: gli antifascisti italiani in Tunisia tra le due guerre





L'urlo contro il regime: gli antifascisti italiani in Tunisia tra le due guerre è l'ultimo saggio di Leila el Houssi, docente presso l'Università di Firenze e coordinatrice organizzativa del Master Mediterranean studies presso la Facoltà di Scienze Politiche. In questo suo ultimo lavoro
affronta il tema dell'antifascismo italiano in Tunisia tra le due guerre mondiali e rimette in discussione il luogo comune secondo cui la numerosa collettività italiana presente nel paese nordafricano fosse totalmente schierata col regime fascista. In realtà, contro la dittatura di Mussolini e la sua propaganda sorse una corrente di opposizione i cui protagonisti furono membri dell'élite borghese liberale di appartenenza massonica, militanti del movimento anarchico, esponenti della classe operaia organizzata nei partiti della sinistra socialista e comunista e aderenti a Giustizia e Libertà. Nacque così un dinamico laboratorio politico animato da giovani italo-tunisini che vide nei primi anni Trenta la costituzione della sezione tunisina della Lega italiana dei diritti dell'uomo (LIDU) e, in seguito, l'apporto di personalità politiche come Velio Spano e Giorgio Amendola inviati dal Centro estero del PCI per dare respiro internazionale al movimento antifascista di Tunisia. Le vicende di questo nucleo antifascista sono state ricostruite attraverso l'analisi della stampa, della memorialistica e di una vasta documentazione reperita negli archivi tunisini, italiani e francesi.  
 
 
L'Associazione per i Diritti umani ha intervistato, per voi, Leila el Houssi e la ringrazia molto per queste sue parole.


Lei appartiene a due culture, quella tunisina e quella italiana. Quali sono le differenze e i punti di contatto?

Sono più numerosi i punti di contatto rispetto alle differenze. Sono entrambi Paesi mediterranei, sono vicini geograficamente e la cultura, quindi, è simile. Io non voglio vedere le differenze neanche a livello di popoli, forse sono altri che vogliono coglierle.
 
In che modo la comunità italiana si è integrata in Tunisia nel Passato? E, oggi, qual è il rapporto tra italiani e tunisini?
La comunità italiana si è storicamente inserita nel tessuto sociale tunisino già secoli fa e si tratta di un primo radicamento da parte di una immigrazione regionale (livornesi e siciliani) con delle peculiarità interessanti: i livornesi, ad esempio, erano di origine ebraica-sefardita ed erano una comunità nella comunità, mentre i siciliani – alla fine dell'800, a causa della povertà di un'Italia appena costituita – emigrarono in Nord Africa, in Libia e anche in Tunisia.
Nel corso del 1900 l'integrazione si è verificata anche a livello culturale, non solo territoriale: in molti testi, infatti, si racconta di come alcune comunità di siciliani parlassero una lingua mista di siciliano, arabo e francese.

Bourgiba e Ben Ali: è cambiato qualcosa, in termini di migrazione italiana, sotto questi regimi?

All'indomani dell'indipendenza tunisina, ottenuta nel '56 con Bourgiba, molti italo-tunisini dovettero emgrare verso la Francia. Negli ultimi vent'anni c'è stata un'immigrazione più legata ad aspetti economici: molti italiani, per esempio, hanno investito capitali in aziende tunisine oppure si sono trasferiti nel Paese alla fine della carriera professionale (questo è un fenomeno recente).

Cosa sta cambiando in Tunisia a livello sociale e culturale,a nche a seguito dei due attentati al Museo del Bardo e a Sousse?

Dal 2011 la Tunisia è cambiata molto: il Paese sta ancora percorrendo una transizione democratica perchè si tratta di un processo molto lungo e non facile: il processo è sottoposto a vari tentativi di destabilizzazione, pensiamo anche agli attentati politici del 2013, quando due esponenti sindacalisti sono stati assassinati. Ma è anche vero che la società civile sta lavorando per non essere vittima di queste destabilizzazioni; questo popolo ha vissuto anni e anni di dittatura, repressione e paura e non credo che voglia ritornare a vivere in quella situazione. Ormai la paura è stata spazzata via.

Come commenta l'assegnazione del Nobel per la Pace al quartetto tunisino?

Sono davvero molto felice. Credo che sia un riconoscimento importante perchè questo premio dà al popolo tunisino quella visibilità che merita perchè, per primo, ha rivoluzionato il proprio assetto politico in maniera tranquilla; e poi perchè è anche un riconoscimento, da parte della comunità internazionale, agli sforzi e ai sacrifici fatti per diventare anche un modello per l'intera area nord-africana e preservare tutto quello che è stato ottenuto fino ad ora.






sabato 25 aprile 2015

Milano: medaglia d'oro per la Resistenza

Oggi, 25 aprile 2015, Milano ci ha fatti sentire orgogliosi di  appartenere a questa città: per il 70mo anniversario della Liberazione, tanti, tantissimi sono scesi in piazza. Una manifestazione, nel primo tratto, composta e rispettosa poi, via via sempre più musicale e colorata. Bandiere, striscioni, cartelli, facce, sorrisi, colori. Questi sono i milanesi, gli stranieri, gli italiani che vogliamo vedere: di tutte le età, di tutte le nazionalità, di tutti i generi, di tutte le estrazioni INSIEME per ricordare un Passato che ha posto le basi per la nostra vita e per i valori di libertà, giustizia e democrazia.
C'eravamo anche noi e diamo la nostra testimonianza di questo bel momento di partecipazione con le nostre immagini, ringraziando chi c'era e chi non  ha potuto esserci. E le dedichiamo a chi, oggi, si trova su altri fronti di resistenza.

 
 




 
 














 




martedì 21 aprile 2015

La rimozione forzata della memoria



di Angelo D'Orsi (da Il Manifesto)




«Ad Auschwitz, uno dei monu­menti più note­voli tra quelli dedi­cati alle varie comu­nità degli inter­nati è il cosid­detto "Memo­riale Ita­liano"».Vogliono spostarlo da quel luogo. . Perchè no.

Ad Ausch­witz, uno dei monu­menti più note­voli tra quelli dedi­cati alle varie comu­nità degli inter­nati è il cosid­detto «Memo­riale Ita­liano». Un paio di anni or sono le auto­rità polac­che deci­sero di chiu­derlo al pub­blico, nel silen­zio del governo ita­liano, e dell’Aned, in teo­ria pro­prie­ta­ria dell’opera. Pochi mesi fa la sovrin­ten­denza del campo, ormai museo, ha deciso di pro­ce­dere alla rimo­zione del Memo­riale. La sua colpa? Quella di ricor­dare che nei lager non furono sol­tanto depor­tati e ster­mi­nati gli ebrei, ma gli slavi, i sinti, i rom, i comu­ni­sti insieme a social­de­mo­cra­tici e cat­to­lici, gli omo­ses­suali, i disa­bili. Quel Memo­riale opera egre­gia, alla cui idea­zione, su pro­getto dello stu­dio BBPR (Banfi Bel­gio­joso Perus­sutti Rogers, il pre­sti­gioso col­let­tivo mila­nese di cui faceva parte Ludo­vico Bel­gio­joso, già inter­nato a Buche­n­wald) col­la­bo­ra­rono Primo Levi, Nelo Risi, Pupino Samonà, Luigi Nono…, ha dei «torti» aggiun­tivi, come l’accogliere fra le sue tante deco­ra­zioni e sim­bo­lo­gie anche una falce e mar­tello, e una immagine di Anto­nio Gram­sci, icona di tutte le vit­time del fasci­smo.
Ora, ai gover­nanti polac­chi, desi­de­rosi di rimuo­vere il pas­sato, distur­bano quei richiami, agli ebrei il fatto che il monu­mento metta in crisi «l’esclusiva» ebraica rela­tiva ad Ausch­witz. Ed è grave che una città ita­liana, Firenze, si sia detta pronta ad acco­glierlo. Con­tro que­sta scel­le­rata ini­zia­tiva si sta ten­tando da tempo una mobi­li­ta­zione cul­tu­rale, che si spera possa avere un riscon­tro poli­tico forte e oggi su que­sto si svol­gerà nel Senato ita­liano una ini­zia­tiva di denun­cia pro­mossa da Ghe­rush 92-Committee for Human Right e dall’Accademia di Belle Arti di Brera. Spo­stare quel monu­mento dalla sua sede natu­rale, equi­vale a tra­sfor­marlo in mero oggetto deco­ra­tivo, men­tre esso deve stare dove è nato, per il sito per il quale fu pen­sato, a ricor­dare, pro­prio là, die­tro i can­celli del campo di ster­mi­nio, cosa fu il nazi­smo e il suo lucido pro­getto di annien­ta­mento, che, appunto, non con­cer­neva solo gli ebrei, col­lo­cati in fondo alla gerar­chia umana, ma anche tutti gli altri popoli, giu­di­cati essere «razze infe­riori» come gli slavi, o i nemici del Reich, comu­ni­sti in testa, o ancora gli «scarti» di uma­nità, secondo le oscene teo­rie degli «scien­ziati» di Hitler.

Insomma, la rimo­zione del Memo­riale, è una rimo­zione della memo­ria e un’offesa alla sto­ria. Ebbene, l’atteggiamento dell’Aned e delle Comu­nità israe­li­ti­che ita­liane, che o hanno taciuto, o hanno appro­vato la rimo­zione del Memo­riale (in attesa della sua sosti­tu­zione con un bel manu­fatto poli­ti­ca­mente adat­tato ai tempi nuovi), appare grave.

E in qual­che modo richiama le pole­mi­che di que­sti giorni rela­tive alla mani­fe­sta­zione romana del 25 aprile.

Pre­messo che la cosa «si svol­gerà di sabato», e dun­que, come ha pre­te­stuo­sa­mente pre­ci­sato il pre­si­dente della Comu­nità israe­li­tica romana, gli ebrei non avreb­bero comun­que par­te­ci­pato, la denun­cia che «non si vogliono gli ebrei», è un rove­scia­mento della verità: non si vogliono i pale­sti­nesi. Ed è grave l’assenza annun­ciata dell’ANED, per la prima volta, anche se la bagarre si è sca­te­nata sull’assenza della «Bri­gata Ebraica». La quale ha le sue ori­gini remote niente meno in Vla­di­mir Jabo­tin­sky, sio­ni­sta estre­mi­sta di destra con legami negli anni ’30 mai smen­titi con Mus­so­lini, che con­vinse le auto­rità bri­tan­ni­che, nella I guerra mon­diale, a dar vita a una Legione ebraica. Nel II con­flitto mon­diale, fu Chur­chill a lasciarsi con­vin­cere a orga­niz­zare un Jewish Bri­gade Group, inqua­drato nell’esercito bri­tan­nico: 5000 uomini che ope­ra­rono in par­ti­co­lare nell’Italia cen­trale, con­tri­buendo alla libe­ra­zione di Ravenna e di altri bor­ghi. Ebbe i suoi morti, e le sue glo­rie. Bene dun­que cele­brarla. Ma non fu né avrebbe potuto avere un ruolo emi­nente, come sem­bre­rebbe a leg­gere certe dichia­ra­zioni. Ma il fuoco media­tico supera il fuoco delle armi. E che dire di ciò che avvenne dopo? Come sto­rico ho il dovere di ricor­darlo. Quei sol­dati diven­nero il nucleo ini­ziale delle mili­zie dell’Irgun e del Haga­nah — quelle che cac­cia­rono i pale­sti­nesi nella Nakba — e poi dell’esercito del neo­nato Stato di Israele, al quale offri­rono anche la ban­diera.

Si capi­sce l’imbarazzo dell’Anpi di Roma, tra l’incudine e il mar­tello. Ma quando leggo che il suo pre­si­dente afferma che «i pale­sti­nesi non c’entrano con lo spi­rito della mani­fe­sta­zione», mi vien voglia di chie­der­gli se gli amici di Neta­nyahu c’entrino di più. Altri hanno dichia­rato in que­sti giorni che biso­gna lasciar par­lare solo chi ha fatto la guerra di libe­ra­zione; ma se così intanto andreb­bero cac­ciati dai pal­chi tanti trom­boni in cerca di applausi; e soprat­tutto se si adotta que­sta logica è evi­dente che tra poco non ci sarà più modo di festeg­giare il 25 aprile, per­ché, ahimè, i par­ti­giani saranno tutti scom­parsi.



E allora — visto l’articolo 2 dello Sta­tuto dell’Anpi che riven­dica un pro­fondo legame con i movi­menti di libe­ra­zione nel mondo — come non dare spa­zio a chi oggi lotta per libe­rarsi da un regime oppres­sivo, discri­mi­na­to­rio come quello israe­liano, rap­pre­sen­tato ora dal governo di destra di Neta­nyahu? Chi più dei pale­sti­nesi ha diritto oggi a recla­mare la «libe­ra­zione»? E invece temo si vada verso que­sto (addi­rit­tura in que­ste ore in forse a Roma) e i pros­simi 25 Aprile inges­sati e reistituzionalizzati.









domenica 12 aprile 2015

La RESISTENZA al femminile




Si sta avvicinando il 25 aprile e quest'anno ricorrono i 70 anni dalla liberazione dell'Italia dal nazifascismo, ma molte altre resistenze sono ancora in corso. Anche le donne hanno partecipato ( e partecipano oggi) alla Resistenza di allora: sono le storie, le vicende delle nostre mamme, nonne, bisnonne e di tutte coloro che hanno fatto parte, ad esempio, dell'UDI – Unione Donne Italiane – e che hanno contribuito, come partigiane, alla fruizione della libertà e dei diritti che sono anche nostri, grazie al loro coraggio e al loro impegno.
Si celebrano, queste grandi donne, allo Spazio WOW Fumetto di Milano con una mostra intitolata proprio “Donne resistenti”, un'esposizione di graphic-novel che sarà aperta al pubblico fino al 26 aprile 2015.
Le artiste Giuliana Maldini, Elena Terrin, Mariagrazia Quaranta, Marilena Nardi narrano le storie importanti, e forse poco conosciute ancora, di Onorina Brambilla Pesce, Iride Imperioli e poi di Tina Anselmi. Il fumettista Reno Ammendolea, in collaborazione con Marsia Modola, presenta il lavoro intitolato “ Bruna e Adele 70 anni dopo” in cui si ricordano i Gruppi di Difesa della Donna attraverso gli occhi di una ragazzina di diciassette anni che, grazie ai ricordi della nonna, scopre le conquiste e le lotte della resistenza al femminile. E ancora: il percorso che portò, a poco tempo di distanza da quelle battaglie, al diritto di voto.


 


Per il giorno di chiusura del percorso è prevista la proiezione del documentario “La donna nella Resistenza” di Liliana Cavani.
Un modo originale e nuovo di raccontare la Storia, anche quella che non si studia molto sui libri; un percorso utile per i giovani e i meno giovani che, insieme, possono raccontarsi e conoscersi meglio attraverso la condivisione di ideali e di valori positivi.








WOW Spazio Fumetto



Viale Campania 12, Milano



Ingresso libero



ma-ve: 15-19 e sab-dom:15-20

venerdì 27 marzo 2015

Rogo di libri? E' inaccettabile !



Domani 28 marzo alle 15 Forza Nuova intende allestire un banchetto in Piazza Oberdan, a Milano, sul quale distribuirà una lista di libri che a loro giudizio diffondono la cosiddetta "ideologia gender" tra i bambini, con esplicito invito ai genitori di bruciarli.
Si tratta di un gesto gravissimo che ricorda fin troppo da vicino le azioni dei nazisti:
gli antifascisti e antirazzisti milanesi non possono tollerare che nella nostra città vengano organizzati o suggeriti roghi di libri. Invitiamo, quindi, tutte e tutti a mobilitarsi con la presenza domani in Porta Venezia e dando la massima diffusione alla notizia attraverso tutti i canali disponibili (mailing list, facebook e twitter, contatto diretto).

Portate e dite di portare un libro dedicato ai temi della lotta al fascismo, al razzismo, all'omotransfobia.
In allegato l'articolo del "Giorno" sul banchetto di domani.



giovedì 26 marzo 2015

NO a manifestazioni nazifasciste in città




Appello al Prefetto di Milano Dott. Francesco Paolo Tronca, al Questore di

Milano Dott. Luigi Savina e al Sindaco di Milano Avv. Giuliano Pisapia:





Non è più tollerabile che Milano debba assistere ogni 29 Aprile alla parata

nazifascista che da anni deturpa la nostra città strumentalizzando il ricordo dei tragici episodi da noi duramente condannati, avvenuti quaranta anni fa, con l’uccisione del giovane Sergio Ramelli. Il 29 aprile prossimo ricorrerà il quarantesimo anniversario della morte di Sergio Ramelli.

L’esperienza degli anni passati lascia certamente presagire che tale pur

legittima manifestazione di ricordo sarà il pretesto, come avvenuto in occasione delle manifestazioni precedenti, per frange di neofascisti di tutta Italia, per inscenare l’ennesima parata militare con l’utilizzo e la magnificazione di simboli neonazisti e neofascisti. Naturalmente, non si vuole mettere in discussione il fondamentale principio di libertà di manifestazione del proprio pensiero sancito dall’art. 21 della nostra Carta Costituzionale.

È altresì vero, tuttavia, che tale principio incontra limiti ben precisi e

anch’essi sanciti per Legge laddove si risolva nella apologia del fascismo.
Tutti noi rivolgiamo un forte appello al Sindaco di Milano e invitiamo il Prefetto e il Questore perchè quest’anno, a soli quattro giorni dal settantesimo della Liberazione, a due giorni dalla Festa del Primo Maggio e dall’inaugurazione di EXPO 2015, con la presenza di un nutrito numero di rappresentanze internazionali, non si ripeta questa grave offesa a Milano Città Medaglia d’Oro della Resistenza e venga impedita l’ennesima manifestazione di aperta apologia del fascismo che si porrebbe in aperto contrasto con i principi sanciti dalla Costituzione repubblicana e con le leggi Scelba e Mancino.

Chiediamo pertanto, alla luce di quanto esposto, che la manifestazione e il corteo vengano vietati dalle Autorità competenti.

Milano, 23 marzo 2015





Sottoscrivono l’appello:

Associazione Nazionale Partigiani d’Italia – ANPI Provinciale di Milano;
Associazione Nazionale Perseguitati Politici Antifascisti – ANPPIA Milano;
Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna – AICVAS;
Associazione Nazionale Ex Deportati – ANED di Milano;
Associazione Nazionale Partigiani Cristiani – ANPC;


Associazione per i Diritti Umani;
Federazioni Italiane Associazioni Partigiane – FIAP Lombardia ;
Camera del lavoro Metropolitana di Milano – CGIL;
CISL Milano Metropoli;
UIL Milano e Provincia;
Partito Democratico Area Metropolitana di Milano;
Partito Comunista d’Italia – Milano;
Partito della Rifondazione Comunista – Federazione di Milano;
Sinistra Ecologia Libertà Milano – SEL;
ACLI Milano; ARCI;
Centro Puecher.

martedì 27 gennaio 2015

Deportati per omosessualità





Partiamo da un film: Paragraph 175 è un documentario, diretto da Rob Epstein e Jeffrey Friedman, che raccoglie la testimonianza di diversi uomini e donne che furono arrestati dai nazisti per omosessualità in base al paragrafo 175, la legge contro la sodomia del codice penale tedesco, che risaliva nella prima stesura al 1871, e che fu inasprito dai nazisti.
Tra il 1933 e il 1945, 100.000 persone furono arrestate in base al paragrafo 175.
Alcuni di essi vennero imprigionati, altri mandati in campo di concentramento. Solo 4.000 sopravvissero.
Fino al 2000 erano ancora in vita meno di dieci di questi uomini: cinque di loro raccontano, nel documentario, la propria esperienza. Queste testimonianze sono considerate le ultime del Terzo Reich.



 





L'elemento fondante della Shoà fu quello proprio di ogni forma di razzismo: l'intolleranza nei confronti dell' “Altro a sè” e questa intolleranza fu esasperata dal nazismo fino alle estreme conseguenze. “Altro da sè”, quindi, furono considerate, ad esempio, le persone appartenenti ad etnie “inferiori” (i Rom, Sinti e Caminanti ad esempio), oppure gruppi di individui, come gli omosessuali.



Secondo la mentalità nazista l'omosessualità era considerata una devianza sì e anche una malattia contagiosa (come ancora oggi si sente affermare da qualcuno), guaribile in pochi casi, almeno per coloro per la quale non era una condizione innata. Numerose le testimonianze di medici e di “pazienti” su esperimenti e test attraverso la somministrazione di ormoni; ma le “terapie” prevedevano anche incontri con prostitute o lavori forzati massacranti per vedere se potessero riportare all'eterosessualità.



All'interno dei campi di concentramento gli omosessuali venivano classificati secondo tre categorie: gli incalliti (quelli che amavano ricamare, come primo segno della loro “devianza”), gli irrequieti (quelli ambigui) e i problematici (ma recuperabili dal punto di vista psicologico). Gli omosessuali uomini a cui venivano somministrate dosi massicce di ormoni o sottoposte alle altre “cure” considerate efficaci, morirono in una percentuale dell'80% e il restante 20% non cambiò il proprio orientamento.



L'omosessualità maschile si differenziava da quella femminile in quanto “ad essere danneggiata è la fertilità poiché, usualmente, costoro non procreano...Il vizio è più pericoloso tra uomini piuttosto che tra donne”. Nel 1935, un anno prima la promulgazione delle leggi razziali, il governo nazista scrisse il Paragraph 175 e vi si legge: “ Un uomo che commetta un atto sessuale contro natura con un altro uomo o che permetta ad un altro di commettere su di sé atti sessuali contro natura sarà punito con la prigione. Qualora una delle due persone non abbia compiuto i ventun anni di età al momento dell'atto, la Corte può, specialmente nei casi meno gravi, astenersi dall'irrogare la pena”.



Ma ricordiamo che, alla base delle pratiche naziste contro l'omosessualità, vi era una concezione semplicistica e conservatrice della natura umana, strumentalizzata a fini politici e di gestione del potere: l'uomo doveva combattere e la donna generare affinchè il popolo tedesco potesse moltiplicarsi. Ecco perchè, a confermare questa ideologia aberrante, si legge nei documenti del Partito nazista: “ E' necessario che il popolo tedesco viva. Ed è solo la vita che può lottare perchè vita significa lotta. Si può lottare soltanto mantenendo la propria mascolinità e si mantiene la mascolinità con l'esercizo della disciplina specie in materia di amore. L'amore libero e la devianza sono indisciplina...Per questo respingiamo ogni forma di lascivia, specialmente l'omosessualità, perchè essa ci deruba della nostra ultima possibilità di liberare il nostro popolo dalle catene che lo rendono schiavo”.



In questa dichiarazione delirante, le parole “vita e amore” sono usate in maniera impropria: ed è questa la vera devianza.







venerdì 27 giugno 2014

Dire NO a violenze e razzismi



L'Associazione per i Diritti Umani ha aderito alla “Carovana delle culture” organizzata da: Convergenza delle culture Sanpapè, I cammini aperti Onlus, Associazione Unisono Spazio Baluardo, Studio 3R, Movimento alianza Pais. Una manifestazione che si è tenuta a Milano lo scorso 21 giugno per rispondere, con vitalità, alla violenza e al razzismo che serpeggiano in alcuni quartieri della città.

Vi proponiamo il video con alcune interviste ai partecipanti che abbiamo realizzato per voi. La musica in sottofondo ricorda proprio il carattere non violento e allegro della carovana perchè, come scritto anche sul volantino, è stata: “Un'onda di colori, voci ed espressioni diverse che portano equilibrio, felicità, evoluzione!”.


venerdì 25 aprile 2014

Festa della Liberazione

Lo spirito del 25 aprile 2014, oggi, a Milano era così:



 
 
 
 
 













Una questione privata (anzi no)




25 aprile: nella giornata per la festa della Liberazione dal nazifascismo vogliamo ricordare un romanzo che, più di molte narrazioni, ha parlato della Resistenza senza retorica, con spietata lucidità, intrecciando una vicenda privata alla grande Storia.

Stiamo parlando de Una questione privata di Beppe Fenoglio, un libro “costruito con la geometrica tensione d'un romanzo di follia amorosa e cavallereschi inseguimenti come l'Orlando Furioso, e nello stesso tempo c'è la resistenza proprio com'era, di dentro e di fuori, vera come non mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente dalla memoria fedele e, con tutti i valori morali, tanto più forti quanto impliciti, e la commozione e la furia”. Con queste parole un altro autore importantissimo, Italo Calvino, nella prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno, presenta il testo di Fenoglio, in cui Milton, il protagonista, è
accecato dall'amore per Fulvia e ossessionato dal dubbio del tradimento con Giorgio, il suo migliore amico. Tra fango e nebbia Milton vuole cercare Giorgio e, con lui, la verità e scopre che l'uomo è stato rapito ad Alba dai fascisti: Milton, allora, organizza uno scambio facendo prigioniero un sergente nemico che, però,si troverà costretto ad uccidere. Milton non si rassegna: torna alla villa con la speranza di incontrare di nuovo la sua amata, ma trova una colonna nazista che lo costringe ad una fuga disperata... fino all'epilogo.

Nel XI capitolo Milton dice: “Vengo da Santo Stefano, per una questione privata”: da qui Calvino, dopo la morte prematura di Fenoglio, decide di dare al libro il titolo Una questione privata, libro che, infatti, fu pubblicato postumo nel 1963.

Il viaggio, come viaggio mentale e di formazione, è sicuramente uno dei topoi narrativi. E poi l'amore, un amore malato, un'ossessione, come puo' esserlo anche quello verso un'ideologia; e la Resistenza che fa da contesto storico alla vicenda ed è raccontata nella maniera più sincera e umana possibile. I partigiani sono, prima di tutto, persone con pregi e difetti, punti di forza e fragilità. E, infine, Fulvia: Fulvia, la donna, la speranza. La speranza (e la volontà) di trovare la verità, di trovare un senso per la vita umana e per la Storia.

martedì 28 gennaio 2014

La shoah dei bambini





Continuiamo il nostro percorso sull'importanza della memoria con la segnalazione del libro intitiolato La Shoah dei bambini di Bruno Maida, edito da Einaudi. Il saggio è stato presentato lo scorso 19 gennaio presso la Casa della Cultura di Milano.

Un libro che riattraversa «con occhi di bambino» le tragiche vicende della persecuzione antiebraica: per i bambini «ariani», cresciuti nell'educazione al razzismo e alla guerra e, soprattutto, per i bambini ebrei, allontanati da scuola, testimoni impotenti della progressiva emarginazione sociale e lavorativa dei genitori, quando non della distruzione e dell'eliminazione fisica della propria famiglia. Da questa prospettiva - peculiare, e tuttavia indispensabile per comprendere l'essenza di una persecuzione razziale, dunque fondata propriamente sulla nascita - la storia che abbiamo alle spalle assume nuovi significati e stratificazioni. In bilico tra due registri - narrativo e storiografico - il libro si colloca in un filone d'indagine che vede crescere a livello internazionale l'interesse verso la storia dell'infanzia nel Novecento.



Abbiamo intervistato il Prof. Maida che ringraziamo molto per la sua disponibilità.



Ogni anno, il 27 gennaio, si parla della Giornata della memoria, ma che cos'è la memoria storica e quanto è importante per il Presente e per il Futuro dell'umanità?



La memoria non è la Storia, sono due cose differenti. La memoria è una fonte straordinaria per la Storia, per la possibilità di raccontarla, soprattutto nel caso della Shoah dove molte prove sono state cancellate e distrutte e, quindi, è molto difficile ricostruirne il processo.

 

Nel suo libro affronta il tema dell'Olocausto da un punto di vista inusuale: quello dei bambini. Perchè questa scelta?

 

Per due ragioni, fra le molte importanti: una è che la Shoah dei bambini è la Shoah. Perchè, se il tentativo era quello di distruggere completamente un gruppo, di annientarlo, uccidere i bambini era la condizione primaria. In secondo luogo, più in generale, perchè parlare dei bambini significa attribuire un protagonismo all'infanzia e, quindi, considerare i bambini non soltanto come oggetto della Storia, ma come soggetto protagonista della Storia.



Cosa significa essere genitori di bambini perseguitati?

 

Vuol dire, prima di tutto, essere perseguitati in prima persona e,quindi, essere soggetti che progressivamente si indeboliscono e perdono quella possibilità e capacità di proteggere, di difendere i propri figli. Nello stesso tempo significa, come è accaduto in quella vicenda, riuscire a far emergere straordinarie energie, oltre alla capacità di costruire quel simulacro di normalità nel clima di persecuzione e, così, di garantire ai propri figli una condizione meno brutta possibile.



Anche i bambini ariani, in fondo, sono stati vittime dell'educazione nazista...



Il nazismo educò alla morte, all'intolleranza, alla violenza. Sicuramente i bambini educati all'ideologia nazista furono anch'essi vittime, in molti modi differenti: lo furono perchè si formarono su alcuni sistemi di valori di quel genere, lo furono perchè costretti anche a combattere, lo furono anche senza essere ebrei perchè alcuni ariani vennero perseguitati e uccisi solo perchè considerati inferiori, pensiamo, ad esempio, ai bambini handicappati.

L'ideologia nazista, infatti, aveva al suo centro l'infanzia e si basava sulla distruzione di tutte quelle parti d'infanzia che non corrispondevano al suo modello.



Il suo saggio è molto documentato: dove ha reperito il materiale per prepararlo?

Questo lavoro si è costruito, soprattutto, come la raccolta di voci: voci di testimonianze orali, di raccolte, di documentazioni scritte. Le fonti principali sono state il Centro di documentazione ebraica di Milano e la Fondazione Spielberg che forniscono tantissime storie. Il mio obiettivo era ricostruire quella vicenda e, contemporaneamente, ridare voce pubblica a quei bambini.







venerdì 26 aprile 2013

Laura Boldrini, a Milano, per celebrare la festa della liberazione


Riportiamo, di seguito, il discorso del Presidente della Camera, Laura Boldrini, pronunciato ieri a Milano, in occasione della 68ma Festa della Liberazione. Un 25 aprile 2013, riscaldato dal sole, ma soprattutto da centinaia di persone colorate, attente, sorridenti, convinte che non si debba smettere di credere nei valori giusti, nella Costituzione, nell'impegno.

Laura Boldrini
Care amiche e cari amici,
è per me un grande privilegio rivolgermi a voi in questa Piazza e in questa città.
Ho sfilato nel corteo e ora vi vedo da qui. Siete tanti, siamo in tanti, tantissimi! E c’è ancora chi parla del 25 Aprile come di una ricorrenza stanca e invecchiata. E anche questa mattina c’è stato chi ha scritto che questa festa è morta. Vengano qui gli scettici, gli increduli! Questa festa è più viva che mai. È la festa di tutti. Di tutti gli italiani liberi.

Oggi festeggiamo la riconquista della libertà, il dono più prezioso per ogni essere umano. C’è gioia ma c’è anche commozione, perché il nostro pensiero va ai tanti che per farci questo dono, la libertà, hanno perso la vita, sono stati uccisi, torturati, internati nei campi di sterminio. Ed erano giovani, giovanissimi. Di diverso orientamento politico, di diversa fede religiosa. La Resistenza non fu di parte. Fu un moto popolare e unitario, per restituire dignità all’Italia intera.
Quando sono stata eletta presidente della camera, mi è stato regalato un libro che conoscete bene : “Le lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana”. Un libro straordinario perché non è scritto con la penna, è scritto con la vita. La vita di tante persone.
Quello che più mi colpisce di quelle lettere è l’età di chi le scrisse, a poche ore dalla morte. Quasi tutti attorno ai vent’anni. Tutti animati da una grande speranza per il futuro dell’Italia.
Vorrei che da qui, a tanti anni di distanza, a quei ragazzi della Resistenza inviassimo un grande applauso, che è il nostro grazie per tutto quello che hanno fatto, per noi e per l’Italia.
Durante la mia esperienza negli organismi internazionali ho conosciuto gli orrori della guerra, non me li hanno raccontati: nei Balcani come in Medio Oriente o in Africa, altre ragazze e altri ragazzi feriti, imprigionati, torturati. E se riescono a mettersi in salvo diventano rifugiati, persone costrette a fuggire dai loro paesi perché vittime di persecuzioni e di violenze.

Come Sandro Pertini, costretto dal fascismo a riparare in Francia, e molti altri italiani come lui.
Così sono quei giovani della primavera araba che hanno sfidato regimi dittatoriali che sembravano irremovibili e molti altri in tutto il mondo che continuano a farlo, rischiando la vita ogni giorno. Sono anche loro combattenti per la libertà. E alcuni vivono in casa nostra, che deve essere anche casa loro. Ce lo dice la Costituzione! Ce lo dicono i nostri ideali : libertà, uguaglianza, fraternità!
Mai più il fascismo. Mai più guerre. Questa l’invocazione dell’Italia libera, subito dopo il 25 Aprile. E questo monito avevano in testa i costituenti nel redigere la nostra carta fondamentale.
Oggi, insieme alla Liberazione, celebriamo i valori della Costituzione: il ripudio della guerra, l’uguaglianza, la giustizia sociale.

È una giornata di ricordo. Ma deve essere anche l’occasione per riflettere e per chiederci : da che cosa ci siamo liberati il 25 Aprile?
Da un regime politico totalitario, innanzitutto. Ma anche dai valori che propugnava.
Ci siamo liberati dal mito della nazione e del popolo come comunità chiusa, che deve essere “purificata” da coloro che possono infettarla : i dissenzienti, i diversi, i deboli, le minoranze etniche e religiose.

Ci siamo liberati dall’autoritarismo e dal conformismo.
Ci siamo liberati da una concezione del potere tutta basata sulla violenza, dall’idea di superiorità razziale, dall’espansionismo aggressivo.
Ci siamo liberati dalla celebrazione della virilità, del maschilismo, della riduzione della donna a “madre e sposa”, dalla sua esclusione dal mercato del lavoro, dalla società e dalla politica.
Da tutto questo ci siamo liberati!

E abbiamo abbracciato altri valori: quelli di una società pluralista, dei diritti individuali e collettivi, della cittadinanza attiva. Quelli del ripudio della guerra e della ricerca della pace tra i popoli. Quelli della liberazione delle donne e dell’uguaglianza di genere.
Sono gli stessi valori che troviamo scolpiti nella Dichiarazione universale dei diritti umani, che è per me l’espressione più alta della cultura antifascista.
Sono i nostri valori, i valori della repubblica italiana.

Guai però a considerarli acquisiti una volta per tutte. Essi sono continuamente minacciati da gruppi e organizzazioni neofasciste. Gruppi pericolosi, perché cercano di fare proseliti tra i giovani. Approfittano dello smarrimento di ragazze e ragazzi ai quali è stata sottratta la fiducia nel futuro.
Vi è un pullulare di siti Internet che inneggiano al fascismo e al nazismo, all’odio razziale e alla violenza contro le donne. Questo, in un paese civile, non è tollerabile !
Esiste una convenzione del consiglio d’Europa, ratificata dall’Italia, che impegna gli Stati a punire chi, anche attraverso la rete, diffonde materiale xenofobo e, per odio razziale, minaccia e insulta altre persone.

Questa Convenzione va applicata rigorosamente.
Ma serve anche altro. Serve una battaglia culturale, di idee, di valori. Parliamo con i nostri ragazzi, non lasciamoli in preda a questa sottocultura ; trasmettiamo loro, nel modo più semplice e più chiaro possibile, la bellezza di quei valori che ci vedono insieme oggi, su questa piazza e in tante altre piazze d’Italia.

E smentiamo quei luoghi comuni che continuano a scorrere come un veleno nelle vene della società. Capita ad esempio di ascoltare perfino esponenti della politica e della cultura, affermare che ci sarebbero differenze tra un fascismo “buono” e un fascismo “cattivo”. Il primo sarebbe il fascismo “con il senso dello Stato”, il fascismo “modernizzatore”, il fascismo ricco di valori – l’onore, la patria, la famiglia. Il fascismo “cattivo” sarebbe quello dell’alleanza con Hitler, delle leggi razziali, della guerra.
Queste idee vengono da lontano e hanno fatto breccia in una parte dell’opinione pubblica. Si sono perfino convertite in luoghi comuni, in chiacchiera da bar. Ma sono idee completamente sbagliate e bisogna dirlo con forza!
Bisogna dire che non è mai esistito un fascismo buono. Che il fascismo è stato un regime illegittimo perché nato dall’esercizio massiccio della violenza squadristica e da una pratica del potere basata sull’assassinio politico, sulla soppressione delle libertà individuali e collettive, sulla persecuzione degli oppositori, sulla manipolazione dell’informazione.
Ce ne siamo liberati, con il 25 Aprile del 1945 e con la Costituzione del ’48.

Ma il germe dell’autoritarismo è sempre pronto a diffondersi, soprattutto in tempi di crisi economica. Non possiamo dimenticare che tra le cause scatenanti il fascismo vi fu la disoccupazione di massa che fece seguito alla prima guerra mondiale. E che il partito di Hitler fu sospinto al potere da masse di popolo senza lavoro e senza reddito, dopo la grande crisi del ’29.
Anche oggi, in diversi paesi europei, maturano risposte autoritarie e illiberali alla grave crisi economica che comprime come in una morsa la vita di milioni di persone.
Dobbiamo quindi stare in guardia e respingere ogni insorgenza neofascista e ogni populismo autoritario.
Ma dobbiamo soprattutto, le istituzioni debbono – il parlamento, il governo, le regioni – dare lavoro ai giovani, aiutare i pensionati, sostenere le madri e i padri di famiglia che perdono il lavoro, gli artigiani e i piccoli imprenditori strangolati dalla crisi.

No. Nessuno deve essere lasciato solo. Anche così si difende la democrazia!
E la democrazia ha bisogno costantemente di essere difesa. Quante volte gli italiani sono stati chiamati, nella storia repubblicana, a difendere la libertà e le istituzioni democratiche!
È stato necessario, perché il fascismo ha lasciato una impronta profonda sulla vita della Repubblica.
La vita delle istituzioni italiane è stata particolarmente travagliata, molto più di tutte le altre democrazie europee. È stata attraversata in modo più violento che altrove dalle lacerazioni della guerra fredda. Minacciata più di altre dalla presenza inquietante di strutture parallele, da settori militari e civili infedeli,dal rumore di sciabole…

L’Italia è stata colpita ripetutamente dalla violenza politica, dal massacro indiscriminato di cittadini inermi, dall’attacco militare della mafia, dalla barbarie del terrorismo, dall’assassinio a tradimento di servitori dello stato e di politici, sindacalisti, giornalisti. Tanti, troppi, anche dopo la Resistenza, hanno continuato a morire per difendere la nostra libertà e la nostra democrazia. Ci inchiniamo ancora una volta alla loro memoria, abbracciamo le loro famiglie, sentiamo come fosse nostro il loro dolore.
Anche grazie al loro sacrificio, l’Italia ha superato con coraggio quella fase terribile della sua storia.

Ma si tratta di una ferita dolorosa. Una ferita ancora aperta. Tante, troppe di quelle vite perdute nelle piazze, sui treni, sugli aerei, non hanno ricevuto giustizia. In tanti, troppi casi le istituzioni non hanno saputo dare una parola di certezza sugli esecutori e sugli strateghi del terrore.
Questa mancanza di verità e giustizia è una sconfitta per le istituzioni.
Per questo, ci tengo a dire proprio oggi, 25 aprile, che mi unisco a quanti chiedono l’abrogazione completa e definitiva del segreto di stato per i reati di strage e terrorismo.
Perché in un paese civile la verità e la giustizia non si possono barattare e non si possono calpestare.

Vorrei concludere con le parole che Piero Calamandrei rivolse ai giovani, qui a Milano, dieci anni dopo la Liberazione. Era un discorso sulle origini della nostra Costituzione. “Se volete andare in pellegrinaggio – disse Calamandrei – nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate li, o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione”.
Grazie, per avermi invitato a questa bella manifestazione, per avermi accolto con tanto affetto, per avermi permesso, in questa giornata di festa, di stare qui con voi, a Milano, città medaglia d’oro della Resistenza.