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giovedì 17 settembre 2015

Non è tempo di annunci: le proposte #possibili sul caporalato




di Marco Omizzolo          (anche su www.possibile.it)







Tutti ora hanno scoperto che nelle nostre campagne esiste il caporalato. E tutti avanzano proposte risolutive del problema con una disinvoltura che lascia esterrefatti. Eppure il problema è noto da anni. La Flai-CGIL da tempo pubblica un dossier dal titolo Agromafie e caporalato con il quale fotografa il fenomeno dello sfruttamento e della riduzione in schiavitù di migliaia di lavoratrici e lavoratori agricoli, soprattutto migranti, denuncia il ricatto sessuale praticato in alcune aree del paese, in particolare in Sicilia, e raccoglie testimonianze anche nel Nord Italia dove ugualmente vige la regola della prevaricazione del più forte sul più debole. Il Nord Italia non è infatti esente dal fenomeno. Area dove la Lega è particolarmente forte, sostenuta anche da quei padroni che la sera urlano contro gli immigrati, ansiosi di accendere ruspe e falò, mentre la mattina raccolgono, coi loro furgoni, braccianti indiani, africani e italiani per farli lavorare nel loro campo a tre euro l’ora.
La pubblicistica in materia ha ormai raggiunto un livello di analisi senza dubbio rilevante. I dossier di Medici senza Frontiere, di Amnesty, della cooperativa In Migrazione, di Medu o di Filierasporca e non solo, hanno denunciato le condizioni di lavoro e di salute di migliaia di braccianti in Italia e le responsabilità di un sistema che comprende molti attori (Migranti e territori, Ediesse editore). Si consideri che il primo dossier di Medici senza frontiere è del 2005 e certo all’epoca la politica non è intervenuta nel merito del problema come poteva e doveva fare. I servizi di Fabrizio Gatti in Puglia già nel 2006 raccontavano l’inferno delle nostre campagne, dove si vive per lavorare e a volte si muore nel silenzio generale. Accade ancora oggi. Appena qualche giorno fa la notizia di un lavoratore migrante morto nelle campagne pugliesi di Rignano Garganico, caduto in uno dei 57 cassoni di pomodori che aveva raccolto durante il giorno. La vittima, originaria del Mali, aveva circa trent’anni e del cadavere per ora non c’è traccia, forse occultato dai caporali o dai padroni. Recentemente la sociologa Fiammetta Fanizza su La Gazzetta del Mezzogiorno si è correttamente domandata dove siano l’Inps, la Guardia di Finanza e gli ispettori del lavoro. Ha ragione Fanizza quando afferma che esiste una catena di caporalato che ha completamente occupato uno spazio di mercato. Ed è per questo che il complesso delle responsabilità e complicità va molto oltre i soli padroni, sfruttatori e trafficanti di uomini e di donne ma coinvolge esponenti politici, impiegati e funzionari pubblici, liberi professionisti, in particolare avvocati, consulenti del lavoro, ragionieri e commercialisti, insieme alla Grande Distribuzione Organizzata, troppo poco chiamata in causa.   

 

Le norme avanzate da tutti i governi nel corso degli anni hanno avvantaggiato il sistema dello sfruttamento, sino a renderlo vincente sul mercato locale e internazionale. Si sono continuati a dare finanziamenti pubblici ad aziende amministrate da truffatori, mafiosi e sfruttatori, si è eluso il problema del caporalato nonostante la relativa legge, impedendo che essa incidesse sui patrimoni dei padroni e delle aziende, si è agevolata la Grande Distribuzione Organizzata nascondendone la centralità, sinonimo di responsabilità diretta, nel sistema di produzione agricolo e di sfruttamento della relativa manodopera. I governi hanno attentamente evitato di attaccare padroni e caporali, e con le loro riforme hanno reso più difficile l’accesso alla giustizia da parte dei lavoratori vittime di questo sistema, delle associazioni e sindacati. La giustizia spesso non funziona e a farne le spese, ancora una volta, sono i più deboli e i più fragili. In provincia di Latina la coop. In Migrazione, ad esempio, ha aiutato un bracciante indiano a presentare denuncia nei confronti del suo datore di lavoro che per ben tre anni gli riconosceva appena 300 euro al mese per dieci ore di lavoro al giorno, sabato e domenica compresi. Sono trascorsi due anni e ancora si deve tenere la prima udienza. E nel frattempo quel lavoratore si è trasferito in altra regione, peraltro insieme ai due testimoni che faticosamente aveva cercato e trovato. È un caso banale ma eloquente. È quello che capita quando lo Stato abdica ai suoi doveri ed è attento solo a difendere imprenditori a prescindere dalle modalità della loro condotta imprenditoriale (etica ed economica) e dal funzionamento delle proprie strutture, soprattutto di quelle periferiche. Ora si apprende che il governo avrebbe dichiarato guerra al caporalato. Non può che essere un bene se ai proclami seguiranno atti concreti.
È tempo dunque di agire ma bisogna farlo con cognizione di causa, evitando scivoloni clamorosi come quello di chi avanza, come recentemente proposto da Roberto Saviano, modelli impresentabili e improponibili come quello californiano, in realtà fondato sullo sfruttamento dei migranti, soprattutto messicani, e sul caporalato. Un sistema figlio della ristrutturazione post-fordista dei sistemi produttivi, come afferma la sociologa Alessandra Corrado, e della trasformazione dei rapporti sociali. Nel modello californiano, solo per informare Saviano, il ricorso al lavoro immigrato si configura come una “necessità strutturale”, come afferma lo studioso Berlan sin dal 2002, in cui i lavoratori devono essere disponibili quando richiesto dalle esigenze della produzione, che non sono programmabili in quanto mutevoli nel tempo e soggetti a variabili non determinabili. Insomma si lavora secondo le necessità proprie della produzione con salari che variano di conseguenza. Una produzione flessibile che rende precario e sfruttato il lavoratore. Un modello da tenere lontano da questo paese.
Esistono però alcune proposte dalle quali partire per un ragionamento nel merito e qualificato. Proposte già avanzate e pubblicate, per esempio nel volume Expo della dignità di Catone e Boschini (Novecento editore).
La prima è di natura politica e prevede di stare al fianco dei lavoratori, di chi vive ogni giorno sul proprio corpo lo sfruttamento, ovunque esso si manifesti, e reagire contro i responsabili (non solo i padroni e i caporali ma anche i molti consulenti del capitale) con una determinazione nuova, ad oggi ancora solo annunciata.
Secondo poi, sebbene il reato penale di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” del 2011 sia una vittoria storica fondamentale, esso colpisce i “caporali” e non i datori di lavoro responsabili dello sfruttamento. Il “caporalato” è solo una delle forme dello sfruttamento lavorativo; questo strumento normativo deve essere migliorato. Senza questo cambio di prospettiva, si rischia di arrestare un caporale (italiano o straniero) per sostituirlo con uno nuovo, a vantaggio di imprese che violano i diritti umani insieme a quelli dei lavoratori. Questa proposta forse vedrebbe la netta opposizione di molte categorie datoriali, attente a difendere il made in Italy nelle nostre piazze ma meno i diritti dei lavoratori alle loro dipendenze, ma qualcuno in questa battaglia bisognerà pure con determinazione convincere o scontentare. E ancora, il Decreto legislativo n.109 del 16 luglio 2012 ha introdotto alcune aggravanti al crimine di impiego di lavoratori migranti irregolari, tra cui il caso di “condizioni lavorative di particolare sfruttamento”, e la sanzione accessoria del pagamento del costo di rimpatrio. In realtà, la Legge ha omesso di adottare alcune misure non penali contro i datori di lavoro raccomandate dall’Unione Europea, tra cui l’esclusione dai sussidi pubblici, inclusi i finanziamenti europei, l’esclusione dalla partecipazione ad appalti pubblici, la chiusura degli stabilimenti o ritiro delle licenze e l’imposizione dell’obbligo del pagamento delle retribuzioni arretrate ai lavoratori migranti irregolari. Tali mancanze mettono in discussione il reale effetto protettivo della Legge italiana sui diritti dei lavoratori migranti irregolari, e oggi ne paghiamo le conseguenze.
Un’altra proposta potrebbe riguardare la promozione di un DDL sul mercato del lavoro agricolo, affinché possa essere gestito in modo pubblico e trasparente, e mediante il coinvolgimento dell’Inps fare incontrare in tempi brevi e in modo efficace domanda e offerta. Una proposta di buon senso che il Ministro Poletti potrebbe fare sua.
Sarebbe utile anche il pieno ed effettivo recepimento nella legislazione nazionale delle disposizioni in materia di parità di trattamento sia relativamente all’accesso alle prestazioni assistenziali che a quelle alla sicurezza sociale e la cancellazione definitiva della Bossi-Fini è poi di fondamentale importanza.
Infine, importante sarebbe la riconduzione del reato di caporalato nel 416bis. L’associazione mafiosa è evidente nel momento in cui le modalità di reclutamento e sfruttamento dei lavoratori ne comportano la subordinazione attraverso atti violenti, minacce, percosse continue, reiterate e non contrastate. La politica deve rispondere presto a questa sfida assumendosi una responsabilità storica senza precedenti. Sarà ora la volta buona? L’eventuale fallimento dell’occasione che in queste ore pare aprirsi può comportare una grande reazione civile del mondo del lavoro; una mobilitazione che manifesti tutta l’indignazione di chi ogni giorno è costretto a trascinare sui campi agricoli le catene di questa nuova forma di schiavitù. Proposte insomma che un governo attento dovrebbe cogliere, come dice di voler fare, e sulle quali si potrebbe avviare una riflessione qualificata e ampia. Perché si liberi questo paese dal giogo della schiavitù, dello sfruttamento e delle mafie, e sia resa giustizia a quei lavoratori e lavoratrici morte nei campi agricoli per aver obbedito al loro caporale o padrone. Per loro dovremmo agire quanto prima, andando ben oltre i proclami e gli annunci.


mercoledì 5 novembre 2014

Si torna a parlare di caporalato





Abbiamo ricevuto, cari lettori, questa comunicazione e questo invito che vi giriamo.




Si torna a parlare di caporalato e sfruttamento dei lavoratori migranti, in prevalenza indiani sikh, nelle campagne pontine in provincia di Latina. Dopo la visita dello scorso 14 giugno quando, insieme ad altri colleghi parlamentari, mi recai a Sabaudia e d’intorni per incontrare i braccianti, dopo l’interrogazione parlamentare che ne seguì ( e che trovate qui di seguito), venerdì 7 novembre affronteremo la questione in un convegno organizzato dalla Caritas diocesana di Latina.

Khalid Chaouki
 
 
Lavoro nero: tra sfruttamento e caporalato nelle campagne pontine
Latina - Venerdì 7 Novembre 2014 ore 17,00
Curia Vescovile, Piazza Paolo VI, via Sezze 16
Convegno organizzato dalla Caritas Diocesana di Latina - Terracina - Sezze – Priverno e dall’associazione Progetto Diritti
Intervento di apertura
Mariano Crociata Vescovo di Latina - Terracina - Sezze – Priverno
Proiezione tratta dal documentario "Padrone bravo" prodotto dalla Cooperativa Parsec, sulla condizione di sfruttamento dei migranti nell'Agro pontino
Introduce la tavola rotonda Elio Zappone, Sportello legale Immigrati della Caritas Diocesana di Latina - Terracina - Sezze - Priverno, gestito in collaborazione con Progetto Diritti
Modera Arturo Salerni: Comitato Singh Mohinder per la tutela dei lavoratori stranieri vittime di infortuni sul lavoro
Partecipano:
Khalid Chaouki: Commissione Esteri della Camera dei Deputati
Rita Visini: Assessore della Regione Lazio alle Politiche Sociali
Daria Monsurrò: Sostituto Procuratore della Repubblica di Latina
Mario Angelelli: Presidente di Progetto Diritti
Eugenio Siracusa: Segretario organizzativo Flai Latina
Saverio Viola: Direttore Provinciale Coldiretti Latina
Marco Omizzolo: Direttore editoriale di ISTISSS - Responsabile scientifico dell'associazione “In Migrazione”
È stato invitato Filippo Bubbico Vice Ministro dell’Interno
Sono stati invitati il Prefetto di Latina, il Questore di Latina, il Presidente della Provincia di Latina, i Sindaci dei Comuni della Provincia, il Dirigente dello Sportello Unico Immigrazione.


 
 

mercoledì 17 luglio 2013

Festival della libera circolazione e un appello importante



16-17 luglio ad Altamura; 19-20 luglio a Matera. Queste le date per la nuova edizione del Festival della libera circolazione che, insieme a La carovana dello ius migrandi, si propone di affermare un cambiamento autentico per ridare slancio, unità e visibilità al movimento antirazzista e ai diritti dei migranti.
Promosso da Rete Primo marzo, dal settimanale on-line Corriere immigrazione, con l'apporto dell'Osservatorio Migranti Basilicata, il Festival prende in considerazione molte questioni urgenti, tra le quali: la cittadinanza, l'asilo, il permesso di soggiorno, i diritti politici, il lavoro e lo studio dei cittadini stranieri, i luoghi di detenzione per i migranti, le politiche di controllo delle frontiere, il ruolo dei media, il razzismo e il caporalato. Gli argomenti verranno approfonditi attraverso incontri, workshop, proiezioni e dibattiti. Per il programma completo della manifestazione, si può consultare il sito: www.liberacircolazione.it
In particolare, per venerdì 19 luglio dalle 17.30 alle 19.30, è previsto un incontro con i movimenti antirazzisti e per i diritti dei migranti del Sud Italia, a Matera. Il tema è stato anticipato durante un'assemblea che si è svolta un paio di settimane fa a Firenze, organizzata dall'associazione Prendiamo la parola: l'intento è stato quello di costruire una manifestazione nazionale, che si svolgerà il prossimo autunno, per l'affermazione dei diritti di tutti e di tutte.
Riportiamo l'appello proposto dalle associazioni che hanno preso parte all'assemblea di Firenze che, anche noi, riteniamo utile e importante

APPELLO PER LA COSTRUZIONE DI UN PERCORSO
PER UNA MANIFESTAZIONE NAZIONALE CONTRO IL RAZZISMO
E PER I DIRITTI DEI E DELLE MIGRANTI

Negli ultimi anni l'aggravarsi di una crisi economica di cui non si intravede la fine ha fatto crescere le contraddizioni e il disagio sociale. Le discriminazioni e la mancanza di diritti sono sempre più evidenti e contestualmente sono aumentate le manifestazioni di razzismo, sia a livello istituzionale che nella società.

Per questo, il 6 luglio associazioni, esponenti di partiti, organizzazioni sindacali e singole persone si sono riuniti in un’assemblea per discutere ed elaborare una proposta di piattaforma in grado di tenere conto e di valorizzare le numerose esperienze di lotta e di vertenzialità maturate in questi anni nei territori. L’obiettivo – ambizioso ma necessario – è di coinvolgere tutte le soggettività democratiche e tutti i cittadini e le cittadine nella costruzione di un percorso comune di mobilitazione per la convocazione di una manifestazione nazionale – contro il razzismo e per i diritti dei e delle migranti - che possa stimolare, favorire e sostenere lo sviluppo della coscienza civile e di difesa dei diritti per tutti/e sul territorio.

La proposta che facciamo è una proposta aperta, non intende e non può essere esaustiva ma vuole essere uno stimolo per favorire percorsi di convergenza, perché crediamo sia necessario unire le forze per dare una prospettiva alla difesa dei diritti dei e delle migranti e contrastare ogni forma di razzismo e discriminazione.

Non si tratta solo di diritti dei e delle migranti, ma di una prospettiva di diritti per tutta la società, da costruire insieme a partire dalle seguenti parole chiave, qui sviluppate solo parzialmente e in forma sintetica come base di discussione:

Razzismo 
Denunciamo e combattiamo il razzismo istituzionale e diffuso e ogni forma di discriminazione verso tutte le minoranze. L’esasperazione indotta dalla crisi sta pericolosamente riproponendo e fomentando sentimenti xenofobi e razzisti.

Diritti
Chiediamo l’immediato riconoscimento della cittadinanza italiana per i bambini e le bambine nati/e o cresciuti/e in Italia e, una modifica complessiva della legge che faciliti l’ottenimento della cittadinanza, semplificando l’iter burocratico e superando le restrizioni esistenti. Chiediamo il diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni amministrative per i e le migranti residenti in Italia. Chiediamo il diritto alla casa e l’abolizione delle restrizioni nei requisiti per l’abitabilità, che va riconosciuta a pieno titolo in tutte le strutture. Chiediamo il pieno diritto alla salute come diritto soggettivo e di eguale fruibilità.

Lavoro
Rivendichiamo il diritto al lavoro previsto dalla costituzione e parità di diritti nei posti di lavoro, superando le discriminazioni, valorizzando le competenze e il know-how dei migranti, a partire dal riconoscimento dei titoli di studio. Chiediamo la regolarizzazione di tutti e tutte coloro che vivono e lavorano in questo paese. Chiediamo l’abolizione del contratto di soggiorno che altro non è che uno strumento di ricatto e di maggiore precarietà per i/le migranti. Va combattuto lo sfruttamento tramite il lavoro nero e le tante forme di precarietà legali e semi-legali diffuse in particolare nel lavoro agricolo, nel settore della logistica, nell’edilizia, nel turismo e nel lavoro domestico, dando risposte concrete alle tante lotte che si sono susseguite negli ultimi anni, a partire da quelle in seguito alle sanatorie, che hanno generato solo truffe, ingiustizie e soprusi.

Asilo
Serve una legge che garantisca un vero sistema di accoglienza con strutture, risorse e strumenti adeguati e che rimuova gli ostacoli e i limiti nella procedura per l’ottenimento dell’asilo attraverso l’introduzione di una legge che prenda spunto dalla legislazione avanzata esistente in altri paesi europei in materia di protezione internazionale. Per il superamento dei vincoli imposti dalla Convenzione di Dublino e per l’introduzione dell’asilo europeo.

Libertà di circolazione e Politica di ingresso
Chiediamo l’abrogazione della legge Bossi-Fini, del cosiddetto “pacchetto sicurezza” e di tutte le norme punitive dei e delle migranti contenute in quel decreto e l’introduzione di norme che consentano l’ingresso legale in questo paese, superando la logica dei flussi, nella quale si stanno invece introducendo ulteriori restrizioni. Contro la politica dei respingimenti e gli accordi bilaterali in materia.

Luoghi di reclusione
I CIE, nei quali le condizioni di detenzione sono ulteriormente peggiorate, vanno chiusi. Denunciamo anche la situazione nei tanti altri luoghi in cui i e le migranti vengono reclusi. Pensiamo ad esempio agli aeroporti, ai posti di frontiera, ecc.

Memoria e identità
Affinché le identità non si cristallizzino in forme escludenti ma si arricchiscano delle identità plurali, multiformi e meticce che oggi popolano l'Italia. Affinché la memoria delle ingiustizie originate dal razzismo, da politiche discriminatorie e dalla negazione dell’identità di interi popoli non venga cancellata, ma sia la base per uno sguardo non indulgente sul passato e per la costruzione di un futuro basato sul rispetto reciproco, la parità di diritti e la giustizia sociale.
Proponiamo di avviare da subito una discussione che consenta di organizzare delle assemblee o iniziative a livello cittadino nella seconda settimana di settembre. In queste sedi locali si potranno sviluppare ed articolare meglio i temi proposti in vista di un nuovo appuntamento nazionale per sabato 21 settembre a Firenze, con l’obiettivo di convocare una manifestazione nazionale entrò la prima quindicina di novembre.
Dalla discussione è emerso che le importanti iniziative già convocate, come la manifestazione del 28 settembre a Brescia e la manifestazione nazionale per il diritto all’abitare del 19 ottobre, vanno valorizzate come appuntamenti importanti su cui convergere nell’ambito di un percorso complessivo di mobilitazione e di lotta da costruire insieme.