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venerdì 13 novembre 2015

La legge del mercato: un nuovo film dalla Francia riflette sulla crisi del lavoro





In Italia è uscito con il titolo La legge del mercato, il titolo anglofono è The measure of a man e quello internazionale recita A simple man: tutti titoli adatti per descrivere, in poche parole, quello che sarà il contenuto dell'ultimo lavoro di Stèphane Brizé grazie al quale Vincent Lindon ha vinto il premio per la migliore interpretazione maschile all'ultima edizione del festival di Cannes. Lindon è qui Thierry Taugordeau, un uomo sulla cinquantina, sposato e con un figlio disabile. L'attore presta il suo volto e il suo sguardo ad una persona che procede per inerzia, che ha perso il lavoro presso un'impresa in cui ha svolto l'attività per venticinque anni, ha poi frequentato molti corsi di formazione, ma non riesce a ricollocarsi nel mondo professionale. Fino a che, un giorno finalmente, trova un impiego come addetto alla sicurezza in un supermercato. Accetta, anche se si tratta di fare un passo indietro di carriera, ma il problema non sarà questo: il vero problema si porrà nel momento in cui Thierry dovrà denunciare i suoi stessi colleghi oppure le persone che non hanno abbastanza denaro per pagare i prodotti che vorrebbero acquistare.

Lo spettatore entra lentamente nella vita del protagonista e nella società capitalistica: la quotidianità di Thierry si va a scontrare con la crisi economica che colpisce, in maniera indistinta, giovani e meno giovani, professionisti e operai. Una lentezza quasi agonizzante che si allinea alla freddezza delle inquadrature, delle luci e dei paesaggi, tipici di quelle aree metropolitane in cui la povertà si sta divulgando, portando via sogni, sicurezze e voglia di vivere.

Grigio è il volto di Thierry, grigi i volti delle altre persone, tutti attori non professionisti per ricreare sullo schermo la verosomiglianza delle situazioni che si vogliono denunciare; i luoghi fisici sono spesso strade in cui l'uomo cerca un lavoro, le agenzia di collocamento, il supermercato, tutti “non-luoghi” come li definisce Marc Augè, ovvero luoghi di transito dove gli individui camminano, si spostano in cerca di qualcosa oppure dove trascinano la propria esistenza senza creare legami affettivi profondi. Nemmeno in famiglia, Thierry può garantire la propria presenza, o per lo meno una presenza serena: prima perchè è rimasto senza sostentamento e poi perchè si trova a dover affrontare un dilemma etico molto grave.

Il dilemma è, ovviamente, posto anche al pubblico: cosa faremmo al posto di Thierry di fronte a una persona povera che ruba la merce al supermercato? Come dire a un nostro collega che verrà lincenziato, quando sappiamo bene cosa significhi rimanere senza un posto?

L'empatia e l'dentificazione sono meccanismi che dovrebbero scattare grazie all'Arte cinematografica: e forse il regista ha usato il proprio mezzo per far riflettere sulla tragedia che molti, troppi stanno vivendo sulla priopria pelle, anche se i proclama dei governi raccontano una storia molto diversa. Nel film viene rappresentata la solidarietà tra poveri e la guerra tra poveri e, al di sopra di tutti, il Mercato, il Denaro, le nuove divinità a cui siamo costretti ad immolarci anche a scapito della nostra dignità: le telecamere sono appostate ovunque, spiano e registrano ogni parola e ogni movimento, estensione di un Potere occulto, strisciante e imperante. Niente più tempo libero, svaghi, giochi: tutto è ridotto alla sfida, all'eliminazione, alla concorrenza. Perchè in questo tipo di società non c'è più spazio per le relazioni dirette, per i sentimenti e neanche per la salute. Una persona è davvero soltanto considerata come “capitale umano”, per citare un film di Paolo Virzì, e non c'è bisogno di scomodare teorie marxiste o di ricordare Chaplin: basta guardarsi intorno.

Il finale della pellicola rimane aperto perchè siamo nel pieno della crisi, perchè ancora non è migliorato nulla e, perchè, forse nessuno di noi ha la risposta giusta alla domanda: sarei vittima o carnefice?




giovedì 17 settembre 2015

Non è tempo di annunci: le proposte #possibili sul caporalato




di Marco Omizzolo          (anche su www.possibile.it)







Tutti ora hanno scoperto che nelle nostre campagne esiste il caporalato. E tutti avanzano proposte risolutive del problema con una disinvoltura che lascia esterrefatti. Eppure il problema è noto da anni. La Flai-CGIL da tempo pubblica un dossier dal titolo Agromafie e caporalato con il quale fotografa il fenomeno dello sfruttamento e della riduzione in schiavitù di migliaia di lavoratrici e lavoratori agricoli, soprattutto migranti, denuncia il ricatto sessuale praticato in alcune aree del paese, in particolare in Sicilia, e raccoglie testimonianze anche nel Nord Italia dove ugualmente vige la regola della prevaricazione del più forte sul più debole. Il Nord Italia non è infatti esente dal fenomeno. Area dove la Lega è particolarmente forte, sostenuta anche da quei padroni che la sera urlano contro gli immigrati, ansiosi di accendere ruspe e falò, mentre la mattina raccolgono, coi loro furgoni, braccianti indiani, africani e italiani per farli lavorare nel loro campo a tre euro l’ora.
La pubblicistica in materia ha ormai raggiunto un livello di analisi senza dubbio rilevante. I dossier di Medici senza Frontiere, di Amnesty, della cooperativa In Migrazione, di Medu o di Filierasporca e non solo, hanno denunciato le condizioni di lavoro e di salute di migliaia di braccianti in Italia e le responsabilità di un sistema che comprende molti attori (Migranti e territori, Ediesse editore). Si consideri che il primo dossier di Medici senza frontiere è del 2005 e certo all’epoca la politica non è intervenuta nel merito del problema come poteva e doveva fare. I servizi di Fabrizio Gatti in Puglia già nel 2006 raccontavano l’inferno delle nostre campagne, dove si vive per lavorare e a volte si muore nel silenzio generale. Accade ancora oggi. Appena qualche giorno fa la notizia di un lavoratore migrante morto nelle campagne pugliesi di Rignano Garganico, caduto in uno dei 57 cassoni di pomodori che aveva raccolto durante il giorno. La vittima, originaria del Mali, aveva circa trent’anni e del cadavere per ora non c’è traccia, forse occultato dai caporali o dai padroni. Recentemente la sociologa Fiammetta Fanizza su La Gazzetta del Mezzogiorno si è correttamente domandata dove siano l’Inps, la Guardia di Finanza e gli ispettori del lavoro. Ha ragione Fanizza quando afferma che esiste una catena di caporalato che ha completamente occupato uno spazio di mercato. Ed è per questo che il complesso delle responsabilità e complicità va molto oltre i soli padroni, sfruttatori e trafficanti di uomini e di donne ma coinvolge esponenti politici, impiegati e funzionari pubblici, liberi professionisti, in particolare avvocati, consulenti del lavoro, ragionieri e commercialisti, insieme alla Grande Distribuzione Organizzata, troppo poco chiamata in causa.   

 

Le norme avanzate da tutti i governi nel corso degli anni hanno avvantaggiato il sistema dello sfruttamento, sino a renderlo vincente sul mercato locale e internazionale. Si sono continuati a dare finanziamenti pubblici ad aziende amministrate da truffatori, mafiosi e sfruttatori, si è eluso il problema del caporalato nonostante la relativa legge, impedendo che essa incidesse sui patrimoni dei padroni e delle aziende, si è agevolata la Grande Distribuzione Organizzata nascondendone la centralità, sinonimo di responsabilità diretta, nel sistema di produzione agricolo e di sfruttamento della relativa manodopera. I governi hanno attentamente evitato di attaccare padroni e caporali, e con le loro riforme hanno reso più difficile l’accesso alla giustizia da parte dei lavoratori vittime di questo sistema, delle associazioni e sindacati. La giustizia spesso non funziona e a farne le spese, ancora una volta, sono i più deboli e i più fragili. In provincia di Latina la coop. In Migrazione, ad esempio, ha aiutato un bracciante indiano a presentare denuncia nei confronti del suo datore di lavoro che per ben tre anni gli riconosceva appena 300 euro al mese per dieci ore di lavoro al giorno, sabato e domenica compresi. Sono trascorsi due anni e ancora si deve tenere la prima udienza. E nel frattempo quel lavoratore si è trasferito in altra regione, peraltro insieme ai due testimoni che faticosamente aveva cercato e trovato. È un caso banale ma eloquente. È quello che capita quando lo Stato abdica ai suoi doveri ed è attento solo a difendere imprenditori a prescindere dalle modalità della loro condotta imprenditoriale (etica ed economica) e dal funzionamento delle proprie strutture, soprattutto di quelle periferiche. Ora si apprende che il governo avrebbe dichiarato guerra al caporalato. Non può che essere un bene se ai proclami seguiranno atti concreti.
È tempo dunque di agire ma bisogna farlo con cognizione di causa, evitando scivoloni clamorosi come quello di chi avanza, come recentemente proposto da Roberto Saviano, modelli impresentabili e improponibili come quello californiano, in realtà fondato sullo sfruttamento dei migranti, soprattutto messicani, e sul caporalato. Un sistema figlio della ristrutturazione post-fordista dei sistemi produttivi, come afferma la sociologa Alessandra Corrado, e della trasformazione dei rapporti sociali. Nel modello californiano, solo per informare Saviano, il ricorso al lavoro immigrato si configura come una “necessità strutturale”, come afferma lo studioso Berlan sin dal 2002, in cui i lavoratori devono essere disponibili quando richiesto dalle esigenze della produzione, che non sono programmabili in quanto mutevoli nel tempo e soggetti a variabili non determinabili. Insomma si lavora secondo le necessità proprie della produzione con salari che variano di conseguenza. Una produzione flessibile che rende precario e sfruttato il lavoratore. Un modello da tenere lontano da questo paese.
Esistono però alcune proposte dalle quali partire per un ragionamento nel merito e qualificato. Proposte già avanzate e pubblicate, per esempio nel volume Expo della dignità di Catone e Boschini (Novecento editore).
La prima è di natura politica e prevede di stare al fianco dei lavoratori, di chi vive ogni giorno sul proprio corpo lo sfruttamento, ovunque esso si manifesti, e reagire contro i responsabili (non solo i padroni e i caporali ma anche i molti consulenti del capitale) con una determinazione nuova, ad oggi ancora solo annunciata.
Secondo poi, sebbene il reato penale di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” del 2011 sia una vittoria storica fondamentale, esso colpisce i “caporali” e non i datori di lavoro responsabili dello sfruttamento. Il “caporalato” è solo una delle forme dello sfruttamento lavorativo; questo strumento normativo deve essere migliorato. Senza questo cambio di prospettiva, si rischia di arrestare un caporale (italiano o straniero) per sostituirlo con uno nuovo, a vantaggio di imprese che violano i diritti umani insieme a quelli dei lavoratori. Questa proposta forse vedrebbe la netta opposizione di molte categorie datoriali, attente a difendere il made in Italy nelle nostre piazze ma meno i diritti dei lavoratori alle loro dipendenze, ma qualcuno in questa battaglia bisognerà pure con determinazione convincere o scontentare. E ancora, il Decreto legislativo n.109 del 16 luglio 2012 ha introdotto alcune aggravanti al crimine di impiego di lavoratori migranti irregolari, tra cui il caso di “condizioni lavorative di particolare sfruttamento”, e la sanzione accessoria del pagamento del costo di rimpatrio. In realtà, la Legge ha omesso di adottare alcune misure non penali contro i datori di lavoro raccomandate dall’Unione Europea, tra cui l’esclusione dai sussidi pubblici, inclusi i finanziamenti europei, l’esclusione dalla partecipazione ad appalti pubblici, la chiusura degli stabilimenti o ritiro delle licenze e l’imposizione dell’obbligo del pagamento delle retribuzioni arretrate ai lavoratori migranti irregolari. Tali mancanze mettono in discussione il reale effetto protettivo della Legge italiana sui diritti dei lavoratori migranti irregolari, e oggi ne paghiamo le conseguenze.
Un’altra proposta potrebbe riguardare la promozione di un DDL sul mercato del lavoro agricolo, affinché possa essere gestito in modo pubblico e trasparente, e mediante il coinvolgimento dell’Inps fare incontrare in tempi brevi e in modo efficace domanda e offerta. Una proposta di buon senso che il Ministro Poletti potrebbe fare sua.
Sarebbe utile anche il pieno ed effettivo recepimento nella legislazione nazionale delle disposizioni in materia di parità di trattamento sia relativamente all’accesso alle prestazioni assistenziali che a quelle alla sicurezza sociale e la cancellazione definitiva della Bossi-Fini è poi di fondamentale importanza.
Infine, importante sarebbe la riconduzione del reato di caporalato nel 416bis. L’associazione mafiosa è evidente nel momento in cui le modalità di reclutamento e sfruttamento dei lavoratori ne comportano la subordinazione attraverso atti violenti, minacce, percosse continue, reiterate e non contrastate. La politica deve rispondere presto a questa sfida assumendosi una responsabilità storica senza precedenti. Sarà ora la volta buona? L’eventuale fallimento dell’occasione che in queste ore pare aprirsi può comportare una grande reazione civile del mondo del lavoro; una mobilitazione che manifesti tutta l’indignazione di chi ogni giorno è costretto a trascinare sui campi agricoli le catene di questa nuova forma di schiavitù. Proposte insomma che un governo attento dovrebbe cogliere, come dice di voler fare, e sulle quali si potrebbe avviare una riflessione qualificata e ampia. Perché si liberi questo paese dal giogo della schiavitù, dello sfruttamento e delle mafie, e sia resa giustizia a quei lavoratori e lavoratrici morte nei campi agricoli per aver obbedito al loro caporale o padrone. Per loro dovremmo agire quanto prima, andando ben oltre i proclami e gli annunci.


giovedì 2 aprile 2015

Brescia: il caso dei permessi di soggiorno (e una sentenza positiva)





E' diventato un vero e proprio caso quello che è accaduto a Brescia nei giorni scorsi e si tratta di una situazione ancora irrisolta: Mario Morcone - capo dipartimento Immigrazione del Ministero degli Interni -ha confermato che, per gli immigrati della provincia di Brescia, ci sono solo due possibilità su dieci di ottenere il permesso di soggiorno.

Si parla, in particolare, del permesso di un anno per attesa occupazione. Questo permesso non viene quasi mai rilasciato e il motivo è preciso e riguarda le tempistiche: la questura impiega mediamente più di dodici mesi per rinnovare il documento, quando la stessa legge Bossi-Fini stabilisce, invece, che il termine debba essere al massimo di 60 giorni. Il risultato è che l'80% delle domande da parte dei migranti viene respinto, quando la media italiana è del 20%.

Lo scorso 24 marzo è stato organizzato un presidio di protesta organizzato dalla CGIL, caricato dalla polizia e nella dichiarazione inviata al Ministero dell'Interno si legge: “ l'intervento violento della forza pubblica è stato ingiustificato e controproducente al fine del mantenimento dell'ordine pubblico, così come non è comprensibile la gestione complessiva dell'ordine pubblico che, anziché tendere a contenere e limitare situazioni di tensione, sta contribuendo in questo modo ad esarcebare un clima di tensione”.

La tensione continua perchè sono continuate le proteste dei migrati anche se le manifestazioni sono state vietate dal questore. Il prefetto, Narcisa Brassesco Pace, è indagato per aver chiesto ad un amico di far restituire al figlio la patente ritirata. E in tutto questo risuonano le parole di Salvini e Calderoli. “Noi lottiamo per un Paese normale secondo molti aspetti. Per esempio un Paese in cui non si tengano manifestazioni come quella di oggi a Brescia, dove 2000 immigrati hanno sfilato pretendendo il permesso di soggiorno” questo è Salvini. E ancora: “Viviamo in un Paese al contrario, mentre a Brescia gli immigrati e i centri sociali manifestavano per chiedere ancora più diritti per i clandestini, a Torino qualche centinaio dei soliti violenti si scontrava con le Forze dell'ordine”: slogan, confusione, allarmismi. E in questo Paese i diritti si “pretendono”...



Però vogliamo dare una buona notizia: si tratta della sentenza della Corte di Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza n. 5926 del 25 Marzo 2015.



Nel caso di specie l'interessato, immigrato privo di documenti di riconoscimento, recuperato in mare da un mezzo della Marina militare, impugna il decreto di trattenimento in centro di identificazione ed espulsione lamentando di essere stato immediatamente respinto senza che gli fossero fornite informazioni relative alla procedura di riconoscimento di protezione internazionale.

La Suprema corte accoglie il ricorso confermando che, sebbene nel nostro ordinamento non esista un obbligo formale a provvedere, tale necessità è ricavabile in via interpretativa dal combinato disposto di normativa nazionale ed europea in materia migratoria (nella specie, direttiva 2013/32/UE del 26 Giugno 2013).

Tale obbligo è sancito altresì dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. In definitiva “non può tuttavia continuare ad escludersi che il medesimo dovere sia necessariamente enucleabile in via interpretativa facendo applicazione di regole ermeneutiche pacificamente riconosciute, quali quelle dell'interpretazione conforme alle direttive europee in corso di recepimento e dell'interpretazione costituzionalmente orientata al rispetto delle norme interposte della CEDU, come a loro volta interpretate dalla giurisprudenza dell'apposita corte sovranazionale”. La presentazione di eventuale domanda di protezione internazionale impedirebbe di fatto al respingimento di operare. (www.StudioCataldi.it)

venerdì 21 marzo 2014

La X settimana contro il razzismo




Pubblichiamo per voi il lancio della X SETTIMANA CONTRO IL RAZZISMO, indetta dall'UNAR.


Come ogni anno, in occasione della Giornata mondiale per l’eliminazione delle discriminazioni razziali, che si celebra in tutto il mondo il 21 marzo, l’UNAR l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali del Dipartimento per le Pari Opportunità ha organizzato la Settimana di azione contro il razzismo, campagna di sensibilizzazione giunta ormai alla sua decima edizione, in programma dal 17 al 23 marzo 2014.

L’iniziativa prevede il lancio di una campagna di sensibilizzazione e di informazione con I’obiettivo di promuovere i valori del dialogo interculturale nell’opinione pubblica e, in particolare, fra i giovani. Durante la Settimana sono previste iniziative nel mondo della scuola, delle università, dello sport, della cultura e delle associazioni al fine di coinvolgere Ia cittadinanza sui temi della diversità e promuovere la ricchezza derivante da una società multietnica e multiculturale.

A tal proposito, in occasione del decennale, I’UNAR con la collaborazione dell’ANCI e del MIUR ha chiesto a tutti i Comuni, alle scuole, ai cittadini, un semplice gesto da compiere durante il 21 marzo, che testimoni I’adesione alla campagna, ovvero colorare di arancione la “propria città, la propria scuola” o realizzare momenti di incontro e di riflessione sui temi della prevenzione della discriminazione razziale e della tutela dei diritti umani.

Numerosissime le adesioni fino ad oggi, che porteranno oltre 150 comuni ed enti locali, e tantissime scuole ed associazioni a compiere iniziative simboliche all’insegna dell’arancione, scelto come colore distintivo della lotta al razzismo in Italia.

Ufficialmente la settimana prenderà il via lunedì 17 marzo alle ore 10, presso la facoltà di Economia dell’Università Sapienza di Roma con il convegno “I costi economici della discriminazione” con l’apertura dei lavori da parte di Giuseppe Ciccarone, Preside della Facoltà di Economia e di Marco De Giorgi, Direttore generale dell’UNAR. Il convegno sarà moderato da Barbara De Micheli della Fondazione Giacomo Brodolini.

Nel pomeriggio, sempre a Roma presso la Camera dei Deputati – Sala delle Colonne, Palazzo Marini è in programma il dibattito “Raccontare l’Italia che cambia con le migrazioni”, coordinato dall’on. Khalid Chaouki.

Il 18 marzo presso la camera di commercio di Napoli, CGIL CISL UIL della Campania, presentano i risultati dell’indagine conoscitiva sui fenomeni di discriminazione razziale “I nostri diritti sono anche i tuoi”. Il progetto, sostenuto dall’UNAR, vuole evidenziare le criticità avvertite e vissute dai cittadini immigrati presenti in Campania ed offrire uno strumento alle forze politiche, istituzionali e sociali, per avviare una discussione costruttiva su questi temi.

Nel corso della Settimana le amministrazioni comunali di Torino e Napoli hanno annunciato che illumineranno simbolicamente di arancione, rispettivamente, la Mole Antonelliana ed il Maschio Angioino. Stessa iniziativa a Piacenza e a Monserrato, mentre tantissimi edifici, piazze, biblioteche di comuni, grandi e piccoli, esporranno striscioni, bandiere o drappi arancioni, da Nord a Sud, da Treviso a Monteroni di Lecce.

La partecipazione delle amministrazioni comunali, testimonia quest’anno, tra le tantissime iniziative descritte nel programma, un segnale di forte volontà di integrazione, ad esempio con cerimonie di conferimento della cittadinanza onoraria ai giovani stranieri nati in Italia, organizzate, tra gli altri, dal comune di Torre Pellice (TO) e di Mandello del Lario (LC).

Anche lo SPRAR, il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, racconterà attraverso foto, video e parole le esperienze di convivenza tra rifugiati e cittadini italiani.

Dal mondo del calcio al mondo del lavoro, alla scuola, alla cultura e all’intrattenimento, tante le opportunità per riflettere su stereotipi, pregiudizi e discriminazione.

Il 20 Marzo alle ore 12, presso la Sala Monumentale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si svolgerà la conferenza stampa di lancio dell’Asta “Espelli il Razzismo dal Calcio” con le magliette di calciatori famosi. L’iniziativa realizzata grazie al supporto dell’Associazione Italiana Calciatori e Lega Calcio, si svolgerà alla presenza del Vicepresidente dell’Aic Simone Perrotta ed il ricavato sarà destinato a progetti di integrazione di bambini stranieri attraverso lo sport.

Nella Giornata mondiale contro il razzismo, il 21 marzo ci sarà una grande iniziativa pubblica a Torino, presso il Palazzo dei Senatori del Comune, con il convegno “Il razzismo in Europa e in Italia” organizzato da CIE in collaborazione con UNAR, in occasione della presentazione dello Shadow Report 2013 dell’ENAR. Al dibattito saranno presenti il Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, l’ex Ministra Cécile Kyenge Kashetu e il Direttore de La Stampa Mario Calabresi.

Sempre nella stessa giornata, a Torino, ci sarà la proiezione speciale per le scuole del Film “La mia Classe” di Daniele Gaglianone, mentre dall’altra parte della Penisola, nelle scuole di Marsala e di Agrigento, il comico di Zelig Salvatore Marino presenterà lo spettacolo “Abbronzato più o meno Integrato”.

La settimana inoltre vedrà un forte impegno dei giovani e delle seconde generazioni che, coordinati dalla Rete Near, improvviseranno eventi e flash mob in molti comuni di Italia.

La campagna di quest’anno all’insegna del colore “arancione” potrà essere testimoniata anche da singoli cittadini invitati ad indossare per un giorno un capo di abbigliamento di colore arancione, a utilizzare sui socialnetwork i tag #unar #noalrazzismo #coloradiarancione, ed a partecipare al concorso fotografico Istagram italia “Colora di arancione il tuo istagram”.

Per ulteriori informazioni sulle varie iniziative organizzate in tutta Italia, potete consultare il sito www.unar.it

sabato 2 febbraio 2013

Iscrizioni scolastiche on-line: intoppi, per i figli degli immigrati irregolari



Il Ministero dell'Istruzione, da quest'anno, ha introdotto una novità: l'iscrizione on-line per gli studenti che entrano, al primo anno, negli istituti scolastici italiani.
La procedura di iscrizione on-line dovrebbe sveltire il processo e dare un taglio netto alla burocrazia. ma nn è così perchè il sistema non funziona correttamente (si è intasato) ed, inoltre, molte famiglie non hanno la possibilità di usare un computer. ma si è verificato un problema ulteriore: i figli degli immigrati irregolari sono esclusi dalla possibilità di iscrizone alle scuole dell'obbligo perchè, senza il permesso di soggiorno, viene a mancare anche il codice fiscale. L'Agenzia delle Entrate, infatti, lo assegna solo dopo aver attestato la regolarità della persona immigrata.
Il Ministero ha diramato una nota nella quale si legge che i genitori irregolari di ragazzi stranieri devono recarsi direttamente presso le segreteria degli istituti che provvederanno ad acquisire le domande di iscrizione; nella nota si aggiunge che risulta valida un'unica registrazione per chi ha più figli da iscrivere.
La CGIL ha sostenuto che: "Mai prima d'ora in questo Paese era stato messo in discussione il diritto di tutti di andare a scuola".
Il Progetto Melting Pot Europa ha diffidato il MIUR, chiedendo un'immediata modifica del sistema affinche: " L'istruzione sia garantita a tutti i minori, su tutto il territorio nazionale, a prescindere dalla posizione di soggiorno dei loro genitori".
Interessante sottolineare anche che la prima segnalazione del problema, del malfunzionamento del sistema di iscrizione on-line, sia arrivata dalla rete studenti perchè nessuno dei ragazzi si è potuto iscrivere.

venerdì 18 gennaio 2013

L'Italia dei (tanti) doveri e dei (pochi) diritti

Il prossimo 24 febbraio si voterà in Italia. E siamo in piena campagna elettorale, ma tra le tante idee, proposte e promesse, si parla poco, pochissimo dei diritti delle persone. Se si affronta l'argomento è, più che altro, per parlare - quasi sempre senza argomentazioni, ma con una buona dose di slogan - delle unioni civili e, soprattutto, dei matrimoni omosessuali. L'ex premier, Mario Monti, ha dichiarato: che la famiglia debba essere costituita da un uomo e una donna e ritengo necessario che i figli debbano crescere con una madre ed un padre", il leader del PD, Pierluigi Bersani ha risposto: "Abbiamo approvato dopo lunga discussione una proposta che dice precisamente quello che faremo: una legge che riconosca le unioni civili omosessuali secondo il modello tedesco che non prevede l’adozione da parte delle coppie omosessuali, ma la possibilità di esercizio dalla potestà genitoriale per una persona e il riconoscimento di adozione del figlio di uno dei due membri della coppia. Credo sia una posizione aperta ma abbastanza prudenziale”.
Il dibattito è ancora aperto, ma questo è un esempio del "deserto dei diritti" che ancora copre il nostro Paese, come sostiene Stefano Rodotà. Ricordiamo, a questo proposito, che è stato da poco pubblicato il nuovo saggio del giurista intitolato Il diritto di avere diritto, Editori Laterza.

Il grande deserto dei diritti



di Stefano Rodotà, la Repubblica, 3 gennaio 2013

Si può avere una agenda politica che ricacci sullo sfondo, o ignori del tutto, i diritti fondamentali? Dare una risposta a questa domanda richiede memoria del passato e considerazione dei programmi per il futuro.

Ma bilanci e previsioni, in questo momento, mostrano un’Italia che ha perduto il filo dei diritti e, qui come altrove, è caduta prigioniera di una profonda regressione culturale e politica. Le conferme di una valutazione così pessimistica possono essere cercate nel disastro della cosiddetta Seconda Repubblica e nelle ambiguità dell’Agenda per eccellenza, quella che porta il nome di Mario Monti. Solo uno sguardo realistico può consentire una riflessione che prepari una nuova stagione dei diritti.

Vent’anni di Seconda Repubblica assomigliano a un vero deserto dei diritti (eccezion fatta per la legge sulla privacy, peraltro pesantemente maltrattata negli ultimi anni, e alla recentissima legge sui diritti dei figli nati fuori del matrimonio). Abbiamo assistito ad una serie di attentati alle libertà, testimoniati da leggi sciagurate come quelle sulla procreazione assistita, sull’immigrazione, sul proibizionismo in materia di droghe, e dal rifiuto di innovazioni modeste in materia di diritto di famiglia, di contrasto all’omofobia. La tutela dei diritti si è spostata fuori del campo della politica, ha trovato i suoi protagonisti nelle corti italiane e internazionali, che hanno smantellato le parti più odiose di quelle leggi grazie al riferimento alla Costituzione, che ha così confermato la sua vitalità, e a norme europee di cui troppo spesso si sottovaluta l’importanza.

La considerazione dei diritti permette di andare più a fondo nella valutazione comparata tra Seconda e Prima Repubblica, oggi rappresentata come luogo di totale inefficienza. Alcuni dati. Nel 1970 vengono approvate le leggi sull’ordinamento regionale, sul referendum, il divorzio, lo statuto dei lavoratori, sulla carcerazione preventiva. In un solo anno si realizza così una profonda innovazione istituzionale, sociale, culturale. E negli anni successivi verranno le leggi sul diritto del difensore di assistere all’interrogatorio dell’imputato e sulla concessione della libertà provvisoria, sulla delega per il nuovo codice di procedura penale, sull’ordinamento penitenziario; sul nuovo processo del lavoro, sui diritti delle lavoratrici madri, sulla parità tra donne e uomini nei luoghi di lavoro; sulla segretezza e la libertà delle comunicazioni; sulla riforma del diritto di famiglia e la fissazione a 18 anni della maggiore età; sulla disciplina dei suoli; sulla chiusura dei manicomi, l’interruzione della gravidanza, l’istituzione del servizio sanitario nazionale. La rivoluzione dei diritti attraversa tutti gli anni ’70, e ci consegna un’Italia più civile.

Non fu un miracolo, e tutto questo avvenne in un tempo in cui il percorso parlamentare delle leggi era ancor più accidentato di oggi. Ma la politica era forte e consapevole, attenta alla società e alla cultura, e dunque capace di non levare steccati, di sfuggire ai fondamentalismi. Esattamente l’opposto di quel che è avvenuto nell’ultimo ventennio, dove un bipolarismo sciagurato ha trasformato l’avversario in nemico, ha negato il negoziato come sale della democrazia, si è arresa ai fondamentalismi. È stata così costruita un’Italia profondamente incivile, razzista, omofoba, preda dell’illegalità, ostile all’altro, a qualsiasi altro. Questo è il lascito della Seconda Repubblica, sulle cui ragioni non si è riflettuto abbastanza.
Le proposte per il futuro, l’eterna chiacchiera su una “legislatura costituente” consentono di sperare che quel tempo sia finito?

Divenuta riferimento obbligato, l’Agenda Monti può offrire un punto di partenza della discussione. Nelle sue venticinque pagine, i diritti compaiono quasi sempre in maniera indiretta, nel bozzolo di una pervasiva dimensione economica, sì che gli stessi diritti fondamentali finiscono con l’apparire come una semplice variabile dipendente dell’economia. Si dirà che in tempi difficili questa è una via obbligata, che solo il risanamento dei conti pubblici può fornire le risorse necessarie per l’attuazione dei diritti, e che comunque sono significative le parole dedicate all’istruzione e alla cultura, all’ambiente, alla corruzione, a un reddito di sostentamento minimo. Ma, prima di valutare le questioni specifiche, è il contesto a dover essere considerato.

In un documento che insiste assai sull’Europa, era lecito attendersi che la giusta attenzione per la necessità di procedere verso una vera Unione politica fosse accompagnata dalla sottolineatura esplicita che non si vuole costruire soltanto una più efficiente Europa dei mercati ma, insieme una più forte Europa dei diritti. Al Consiglio europeo di Colonia, nel giugno del 1999, si era detto che solo l’esplicito riconoscimento dei diritti avrebbe potuto dare all’Unione la piena legittimazione democratica, e per questo si imboccò la strada che avrebbe portato alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Questa ha oggi lo stesso valore giuridico dei trattati, sì che diviene una indebita amputazione del quadro istituzionale europeo la riduzione degli obblighi provenienti da Bruxelles a quelli soltanto che riguardano l’economia. Solo nei diritti i cittadini possono cogliere il “valore aggiunto” dell’Europa.

Inquieta, poi, l’accenno alle riforme della nostra Costituzione che sembra dare per scontato che la via da seguire possa esser quella che ha già portato alla manipolazione dell’articolo 41, acrobaticamente salvata dalla Corte costituzionale, e alla “dissoluzione in ambito privatistico” del diritto del lavoro grazie all’articolo 8 della manovra dell’agosto 2011. Ricordo quest’ultimo articolo perché si è proposto di abrogarlo con un referendum, unico modo per ritornare alla legalità costituzionale e non bieco disegno del terribile Vendola. Un’agenda che riguardi il lavoro, oggi, ha due necessari punti di riferimento: la legge sulla rappresentanza sindacale, essenziale strumento di democrazia; e il reddito minimo universale, considerato però nella dimensione dei diritti di cittadinanza. E i diritti sociali, la salute in primo luogo, non sono lussi, ma vincoli alla distribuzione delle risorse.

Colpisce il silenzio sui diritti civili. Si insiste sulla famiglia, ma non v’è parola sul divorzio breve e sulle unioni di fatto. Non si fa alcun accenno alle questioni della procreazione e del fine vita: una manifestazione di sobrietà, che annuncia un legislatore rispettoso dell’autodeterminazione delle persone, o piuttosto un’astuzia per non misurarsi con le cosiddette questioni “eticamente sensibili”, per le quali il ressemblement montiano rischia la subalternità alle linee della gerarchia vaticana, ribadite con sospetta durezza proprio in questi giorni? Si sfugge la questione dei beni comuni, per i quali si cade in un rivelatore lapsus istituzionale: si dice che, per i servizi pubblici locali, si rispetteranno “i paletti posti dalla sentenza della Corte costituzionale”, trascurando il fatto che quei paletti li hanno piantati ventisette milioni di italiani con il voto referendario del 2011.

Queste prime osservazioni non ci dicono soltanto che una agenda politica ambiziosa ha bisogno di orizzonti più larghi, di maggior respiro. Mostrano come un vero cambio di passo non possa venire da una politica ad una dimensione, quella dell’economia. Serve un ritorno alla politica “costituzionale”, quella che ha fondato le vere stagioni riformatrici.

giovedì 10 gennaio 2013

Disoccupazione giovanile al massimo storico


I dati Istat, secondo i rilevamenti fatti tra ottobre 2012 e gennaio 2013, rivelano una situazione grave per quanto riguarda il tema del lavoro.
Il problema riguarda tutti: uomini, donne, giovani e mano giovani. Ma, in particolare, il tasso della disoccupazione giovanile ( per la fascia di teà tra i 15 e i 24 anni) è arrivato al 37,1% con un aumento dei disoccupati, rispetto all'anno scorso, del 28,9%. Ovvero le persone senza lavoro sono 644.000 in più con tre milioni di precari.
Secondo l'Istat i dati sulla disoccupazione risentono, soprattutto, della permanenza al lavoro degli occupati più anziani a causa dell'inasprimento delle regole di accesso alla pensione. Il Ministro dell'Economia, Vittorio Grilli, ha commentato la notizia con queste parole: “ E' chiaro che anche l'occupazione soffre, è un dato ovviamente negativo, ma atteso”; mentre il segretario generale delle CGIL, Susanna Camusso, sostenendo che mancano le risorse per gli ammortizzatori sociali, ha aggiunto: “ la scelta di non occuparsi né di politiche industriali né di politiche dei redditi e di sostegno ai redditi più deboli determina una crescente crisi dell'occupazione e del sistema produttivo”.
Come ha ricordato Roberto Benigni durante lo spettacolo televisivo sulla Costituzione italiana, ricordando l' Articolo 1, il lavoro è parte integrante dell'identità di una persona, è la sua stessa essenza. Togliere la speranza e la sicurezza lavorativa, soprattutto ai giovani, vuol dire togliere il futuro all'intero Paese.

Da qualche mese è uscito nelle sale cinematografiche un film intitolato Workers, pronti a tutto,di Lorenzo Vignolo, che parla proprio del tema della disoccupazione e del precariato.
Come spesso accade alla filmografia italiana, si tende a parlare con gli schemi e gli stilemi della commedia di argomenti seri e importanti. In questo caso la trama è costituita da tre episodi: il primo, dal titolo Badante, racconta la vicenda di Giacomo che, per riuscire a pagare l'affitto, accetta di fare da accompagnatore ad un paraplegico cocainomane e burbero; il secondo, Cuore di toro, vede come protagonista Italo che, per conquistare l'amata, si finge chirurgo, quando invece è l'addetto della raccolta di liquido seminale in un allevamento di tori; il terzo episodio, Il trucco, in cui Alice, pur di guadagnare qualcosa, finisce a truccare i morti in un'agenzia di pompe funebri.
Il ritmo della narrazione è incalzante e non poteva mancare una colonna sonora adeguata (bandjo, pianoforti, tamburi) dato che il regista viene dalla direzione di videoclip. Battute sferzanti, ironia e cinismo caratterizzano questo racconto che, però, resta troppo superficiale e stereotipato. Se il Cinema vuole fare critica sociale, allora è preferibile tornare al vecchio e caro Ken Loach dei primi anni anche se  la commedia all'italiana può ricordare, ai distratti, che i giovani italiani non sono poi così...”choosy”.