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giovedì 11 settembre 2014

Yahya Hassan: se la poesia si fa dissenso


Yahya Hassan ha solo diciotto anni e ha le idee molto chiare. Non sopporta l'ipocrisia. Non tollera l'ipocrisia dell'Islam - la sua ex religione - e nemmeno quella dell'Occidente.

Il ragazzo vive in Danimarca, ma è di origini palestinesi: la sua è una famiglia trapiantata in nord Europa, una famiglia palestinese che si è spesso macchiata di un'educazione rigida e violenta, donne umiliate, furti, droga e altro ancora. Una famiglia che ora vive in un Paese aperto, laico e ricco dove, però, anche qui spesso viene a mancare la comunicazione per lasciare il posto alla dannata globalizzazione.


Hassan ha deciso di esprimere il proprio dissenso attraverso il linguaggio della poesia: un linguaggio spesso feroce e irriverente, tanto caustico che il giovane autore è stato vittima di un'aggressione in una stazione di Copenaghen, i fondamentalisti gli hanno lanciato una fatwa e ora vive sotto scorta. I suoi versi sono raccolti nel testo, edito da Rizzoli, che prende il titolo dal suo stesso nome: caratteri bianchi e grandi su sfondo nero per essere il più chiaro possibile.

Chiare, nelle sue liriche, sono le sue opinioni: la Danimarca è il Paese di quelle vignette di Kurt Westergaard che, nel 2005, scatenarono un inferno e per poco una guerra; la Danimarca è il Paese dei grandi magazzini Fakta e del commercio; è un Paese a volte accogliente, a volte ancora poco inclusivo nei confronti degli stranieri, soprattutto se di fede musulmana. Ma poi c'è una durissima critica proprio verso questa religione, di cui Hassan mette in evidenza tutte le contraddizioni: è una religione che non sta al passo con i cambiamenti della modernità oppure è una religione che vieta di cibarsi di maiali, ma accetta che l'uomo sia aggressivo verso mogli e figli.

Il testo fa riflettere anche sul fatto che molti ragazzi di origini straniere non parlano la lingua del Paese dei loro genitori, non conoscono la storia e la cultura di quel Paese e questo provoca una frattura insanabile con alcuni problemi di identità.

Molte, quindi, le questioni di attualità affrontate dal codice narrativo poetico. La scelta di questo modo di comunicare è dovuta al fatto che, quando era più piccolo, l'autore si era avvicinato al rap - quel mix di parole ritmate tanto care ai giovani che hanno urgenza di esprimere il loro desiderio di ribellione e la loro critica verso ciò che li circonda - ma per Hassan era poco convincente e troppo superficiale. E, forse, per alcuni anche le sue considerazioni sono superficiali, ma il ragazzo è ancora giovane e non è detto che tutto ciò che scrive sia solo uno sfogo. Leggiamolo, quindi, con attenzione e poi ognuno deciderà come interpretare quei versi.

martedì 31 dicembre 2013

L’Angelus del Papa di tutti



Papa Francesco mette d’accordo tanti: i cattolici, ma anche i fedeli di altre confessioni, come i migranti di Lampedusa o di Ponte Galeria che a lui si sono appellati in nome dell’umanità che dovrebbe appartenere a tutti. E proprio agli immigrati sono andati il pensiero e la preghiera dell’Angelus di domenica 29 dicembre 2013.

“In terre lontane anche quando trovano lavoro - e non sempre - non sempre i profughi e gli immigrati incontrano accoglienza vera, rispetto, apprezzamento dei valori di cui sono portatori. Le loro legittime aspettative si scontrano con situazioni complesse e difficoltà che sembrano a volte insuperabili”: questo un brano del discorso del pontefice, parole lucide e prive di retorica che ritornano a far riflettere sugli ultimi tragici fatti di cronaca, che per noi lettori è soltanto, appunto, “cronaca”, ma per molti richiedenti asilo e aiuto è speranza di vita. “Pensiamo al dramma di quei migranti e rifugiati che sono vittime del rifiuto, dello sfruttamento, che sono vittime delle persone e del lavoro schiavo”: qui il Papa sottolinea, senza reticenze, quali sono i problemi e le difficoltà di chi lascia il proprio Paese d’origine, affronta un viaggio spesso spaventoso, si affida agli estranei e cerca la sopravvivenza. Uomini, donne e anche bambini. Non fa sconti, il Papa, nel ricordare le responsabilità e diventa portavoce di quegli uomini, di quelle donne e di quei bambini.

Ma l’Angelus è stato rivolto anche agli altri “esiliati”, quelli che non sono poi così lontani, che magari sono all’interno delle nostre stesse famiglie, nei nostri palazzi, nelle strade che percorriamo ogni giorno: sono quelli che Papa Francesco ha definito “esiliati nascosti. Gli anziani, per esempio, che a volte vengono trattati come presenze ingombranti”. A loro possiamo aggiungere anche i senzatetto e tutti quei poveri che non si meritano tanta indifferenza.

La società è, o potrebbe ritornare a farsi famiglia: una comunità dovrebbe reggersi sull’ attenzione e sulla reciprocità. E il discorso di un uomo non solo di Chiesa, ma di un uomo semplicemente religioso può contribuire a ricordarlo anche a chi, come chi scrive, è laico e crede ancora nei valori e nei diritti universali.

domenica 20 ottobre 2013

Lea Garofalo: un'eroina contemporanea



E' Denise che ci invitati qui per dire Ciao alla sua mamma, e a lei vogliamo dare un forte abbraccio”, queste le parole di Don Ciotti in occasione del funerale civile per Lea Garofalo,
una cerimonia laica per la testimone di giustizia, ammazzata brutalmente il 24 novembre 2009 dal suo ex compagno e boss mafioso, Carlo Cosco.
Il corpo della donna fu ritrovato in un campo vicino a Monza, a novembre dello scorso anno e la figlia, Denise - ora in un luogo sconosciuto perchè soggetta ad un regime di protezione - ha voluto che il funerale fosse celebrato nella città di Milano perchè è qui che Lea si era rifatta una vita, scappando da Petilia Policastro (in provincia di Crotone) dove la sua famiglia gestiva gli affari della 'ndrangeta.
Le parole e le note delle canzoni di Vinicio Capossela, di Rino Gaetano, di Vasco Rossi; le bandiere colorate con il volto di questa eroina contemporanea; i cartelli che inneggiano alla giustizia e alla legalità: questi simboli e segnali di riconoscenza hanno abbracciato la salma della donna insieme a tantissime persone, di tutte le età, che hanno voluto darle l'ultimo saluto. E poi le letture, impressionanti, che restano come testamento morale e come mònito per tutti, come quella pagina di diario, datata 18 agosto 1992, in cui Lea scriveva: “ Non ho mai avuto affetto e amore da nessuno. Sono nata nella sfotuna e ci morirò. Oggi però ho la speranza per andare avanti e si chiama Denise. Avrà tutto quello che non ho mai avuto nella vita”.

Durante il funerale, che si è svolto ieri, sabato 19 ottobre 2013 in Piazza Beccaria, sono stati distribuiti dei segnalibri perchè, ha spiegato il sacerdote fondatore di Libera: “ Vogliamo riaffermare il potere dei segni contro i segni del potere. Il segnalibro riafferma l'importanza della cultura contro la mentalità mafiosa”. Il sacerdote, alla fine dell'incontro e con le lacrime agli occhi, ha gridato: “ Non basta parlare di verità, dobbiamo cercarla...Abbiamo tanto dolore dentro perchè non ce l'abbiamo fatta a salvarla” , ma sabato abbiamo preso tutti un impegno che è quello di non lasciare mai sola Denise e di ripartire per cercare di riaffermare non solo la verità, ma per combattere la “mafiosità” che, a volte, è anche dentro di noi, e troppo spesso si trova intorno a noi.
La voce di Denise rieccheggia nella piazza, una voce spezzata dal pianto che dice: “ Per me,oggi, è un giorno molto difficile, ma la forza me l'hai data tu, mamma. Se è successo tutto questo è solo per il mio bene e non smetterò mai di ringraziarti”.