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lunedì 28 dicembre 2015

L'appello di Abdullah Kurdi (il padre del piccolo Aylan), l'Europa e le migrazioni


Continuano a susseguirsi i naufragi dei migranti in mare e, tra loro, anche tanti, troppi bambini. Nel 2015 il numero dei bambini che hanno perso la vita nel Mediterrabneo è raddoppiato rispetto all'anno precedente ed è salito a 3200, oltre 700 dallo scorso gennaio: questi sono i dati riportati dalla fondazione Migrantes. Anche il mare Egeo è diventato, purtroppo, un cimitero d'acqua a dimostrazione del fatto che l'Europa - in terra e in mare – non è ancora in grado di gestire la criminalità dei viaggi, dare vera accoglienza ai profughi e ai rifugiati, salvare vittime innocenti, come ha sottolineato, pochi giorni fa Monsignor Gian Carlo Perego – Direttore generale di Migrantes: “ L'Europa sembra ora, a fronte della minaccia terroristica, giustificare i muri e la chiusura delle frontiere...L'accoglienza ai nostri porti, anziché in centri di accoglienza aperti, sembra affidarsi ancora una volta a centri chiusi, gli 'hotspots', come dimostra il Centro di accoglienza di Lampedusa: più di 20.000 persone arrivate al porto e trasferite al Centro, chiuso ad ogni ingresso e uscite”, parole dure alle quali ha aggiunto: “ le istituzioni Ue e Stati devono correggere le lacune nel funzionamento degli hotspot, incluso stabilire le necessarie capacità ricettive per raggiungere gli obiettivi e concordare rapidamente un preciso calendario affinchè anche gli altri hotspot diventino operativi”.



Intanto, per chi ancora non lo avesse ascoltato, riproponiamo l'importante appello di Abdullah Kurdi, il padre del piccolo Aylan, il bambino siriano di tre anni, annegato nel Mar Egeo, tra Grecia e Turchia, insieme al fratellino Galip e alla madre Rehan.
 
 
 
 
 




venerdì 25 dicembre 2015

Quel pranzo di Natale nel carcere di Opera



Nella Casa di reclusione di Opera, lo scorso 23 dicembre, si è tenuto un pranzo molto speciale: uno chef stellato ha cucinato varie prelibatezze per i detenuti e i loro familiari.

Anche se apprezziamo il gesto professionale e umano dello chef e delle altre persone famose coinvolte nell'iniziativa intitola "L'ALTrA cucina... per un pranzo d'amore",
 
non vogliamo citarle perchè a noi interessa altro: interessa sottolineare i motivi che stanno alla base di questa scelta illuminata, da parte del Direttore dell'istituto di pena, e le conseguenze positive. La giornata è poi proseguita con un concero di Edoardo Bennato, preso il teatro dell'istituto. Tornando al motivo della bella iniziativa: immaginiamo che sia stato quello di offrire ai reclusi un momento diverso dalla quotidianità, uno spazio per riabbracciare i cari, stare in compagnia e riflettere, tutti insieme, sul senso vero e profondo della nascita di Gesù: un uomo che ha incarnato i peccati degli altri uomini, che ha pagato per tutti, ma che poi è tornato alla vita. Le conseguenze: la gioia di tutte le persone, libere e non, che si sono ritrovate insieme a condividere il pane, simbolo di pace. Ma non è tutto: a servire il pranzo sono state le vittime di alcuni reati commessi dai detenuti. Una decisione meritevole, un esempio grande di capacità di perdono. Si deve andare avanti, cercando di mettersi nei panni dell'Altro, anche quando l'errore è stato enorme. Ci vuole tempo, tanto tempo per capire, perdonare. Ci vuole tempo, tanto tempo anche per riscattarsi.

Il dono più bello? La presenza dei bambini che, con il loro chiasso, le loro domande, il loro entusiasmo hanno ridato la voglia di continuare a stare dentro e ad aspettare fuori, con la fiducia nel sapere che non è poi tutto sprecato.


L'iniziativa è stata replicata in altre quattro carceri per le detenute e i detenuti e i loro familiari.

mercoledì 4 novembre 2015

Bambini siriani orfani detenuti illegalmente nelle prigioni a Kos




Una nostra lettrice, che ringraziamo molto, ci ha segnalato il seguente appello per i bambini siriani orfani, detenuti illegalmente nelle prigioni dell'isola greca di Kos e gli articoli di approfondimento che potete leggere cliccando sui link a seguire.


The Greek Ambassador to the UK

Stop putting unattended children into prison in squalid conditions without access to clean water and food. The Prison cells are like medieval dungeons with excrement on the floor. This is a totally unacceptable situation.

Why is this important?


The treatment of the children in this way contravenes article 37 of the United Nations charter for children. This treatment will result in long term physical, psychological and emotional damage to the children. It is not how a westernised nation should behave.




Per approfondire ancora l'argomento, eccovi due link importanti (e una petizione):

 

http://www.independent.co.uk/news/world/europe/refugee-crisis-orphans-locked-up-in-medieval-prisons-alongside-adult-criminals-on-greek-island-of-a6694521.html



sabato 17 ottobre 2015

Accesso ai servizi sanitari in Africa

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



di Veronica Tedeschi




La cartina qui in alto rappresenta l’accesso ai servizi sanitari in tutta l’Africa.


Inutile precisare che la situazione è critica per la maggior parte dei territori africani, soprattutto considerando il confronto con i Paesi europei in cui la percentuale del grafico è del 100% e questo indica che l'accesso è ottimale, o quasi.


Come si può notare, gli Stati che si trovano in condizioni più gravi interessano l’Africa subsahariana: le motivazioni sono molteplici, ma sicuramente le guerre civili che dilaniano questi Paesi non permettono la crescita istituzionale e sanitaria.



I pochi ospedali esistenti sono situati solo nelle grandi città, dove c’è sovraffollamento ed inoltre si presentano come agglomerati molto estesi e privi di qualsiasi struttura.

I medici sono circa 0,8 per mille abitanti e tutte le spese sono a carico dei malati, spesso bambini, donne in gravidanza e anziani.

Anche i farmaci hanno un costo alto e, nella maggior parte dei casi, sono di qualità scadente; altro problema è che molti farmaci provengono dall’Occidente e quindi non sono adatti per le malattie tropicali (uno studio del 1999, infatti, evidenzia che solo 13 dei 1233 farmaci in commercio in Africa sono creati per curare malattie tropicali).

 
 
A tutto questo si aggiunge che il 52% del continente africano non dispone di acqua potabile e il 90% delle malattie viene trasmesso proprio attraverso l'acqua.

Chi ci rimette, naturalmente, è la popolazione civile che, nella maggior parte dei casi, è costretta a scappare e a migrare illegalmente nei territori limitrofi.

 







lunedì 12 ottobre 2015

Cyberbullismo: da “Una vita da Social” a “Scelgo io!”. Ecco tutte le iniziative in Italia



(da www.intreccio.eu)





Concorsi, incontri, nuove guide e nuova campagna di comunicazione; ecco gli appuntamenti lanciati in tutt’Italia per navigare sicuri in Rete, dove gli unici veri protagonisti sono soprattutto gli studenti di ogni ordine e grado.

I Supererrori. Le regole del supernavigante” è uno dei progetti contro il cyberbullismo, a firma di “Generazioni Connesse” il Safer Internet Centre italiano, lanciato in occasione di “Tutti a scuola 2015”, l’iniziativa coordinata dal Miur, ministero dell’Istruzione. Attraverso sette mini spot, colorati e divertenti, i ragazzi possono imparare velocemente le regole per una sicura navigazione in Internet. Il linguaggio e la semplicità del messaggio rende l’iniziativa utile anche ai più piccoli. Il primo dei sette cortometraggi sarà lanciato sui canali social di “Generazioni Connesse” e le storie saranno impersonate da sette personaggi.

 
 
Di fondamentale importanza, anche contro il cyberbullismo, è inoltre la Helpline, la piattaforma di Telefono Azzurro costituita dalla linea telefonica gratuita 1.96.96, attiva 24 ore al giorno, e la chat online a disposizione di bambini, adolescenti e adulti, attiva tutti i giorni dalle 8 alle 22 (sabato e domenica dalle 8 alle 20). È possibile, segnalare anche in maniera anonima i contenuti illegali o potenzialmente dannosi, presenti sul web, attraverso due Hotlines direttamente collegate con la Polizia Postale – www.stop-it.it di Save the Children e “Clicca e segnala” di Telefono Azzurro su www.azzurro.it. Completa il progetto il portale Skuola.net, la scuola virtuale più frequentata dagli studenti italiani, che dedicherà un intero canale tematico agli oltre 3 milioni di studenti che ogni mese accedono al sito.
 



Per gli studenti di tutte le scuole d’Italia arriva infine “Scelgo io!”, il concorso di selezione di scrittura creativa, arti visive e multimediali dove una giuria valuterà i lavori e sceglierà i migliori.



Altra iniziativa, mirata alla lotta contro il cyberbullismo, che chiama a raccolta alunni delle scuole secondarie di primo e secondo grado, insegnanti e genitori, è “Una Vita da social”, la campagna itinerante giunta alla terza edizione, organizzata della Polizia postale, in collaborazione con il ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e Skuola.net. Gli incontri avverranno sul truck, un camion allestito come un’aula multimediale dove gli esperti della polizia Postale incontreranno i giovani e i loro insegnanti e genitori nelle maggiori piazze di 58 città italiane.


Da non dimenticare il 9 febbraio 2016 la tredicesima edizione Safer Internet Day, celebrata in tutto il mondo. Il tema di quest’anno sarà: “Gioca la tua parte per un internet migliore” e lo scopo è quello di costruire un Internet migliore per tutti, ma soprattutto i bambini e i giovani .

martedì 6 ottobre 2015

Te lo ricordi il TTIP?




di Mayra Landaverde



Me lo ricordo il TTIP messicano. Si chiamava TLC “Tratado de Libre Comercio” .
Lo avevano scritto sui libri che usavamo alle elementari. Libri che lo Stato distribuiva gratuitamente a tutti i bambini e bambine del Paese. Il Messico ha una popolazione attuale di 119.715.000 persone.
Nel 1994, quando è entrato in vigore il TLCAN (Tratado de Libre Comercio con America del Norte) eravamo in 93.059.000, di cui un buon 28% era costituito da bambini. Io avevo 9 anni e frequentavo la scuola pubblica dove si sono incaricati di lavarci per bene i nostri piccoli cervelli. Ci dicevano che il TLC avrebbe portato tantissimi vantaggi al nostro Paese, avrebbe creato posti di lavoro, si sarebbero abbassati i prezzi della merce, avremmo avuto un’ ampia scelta dei prodotti più svariati che non immaginavamo neanche. Insomma questo TLC era proprio una figata!
E così andavamo in giro tutti quanti a parlare bene del TLC perché avrebbe portato un sacco di cose belle in Messico, saremmo diventati moderni come i nostri carissimi vicini statunitensi.
Si! Meno male che il Presidente della Repubblica, Ernesto Zedillo, firmò questo trattato con gli Stati Uniti e il Canada: ci voleva proprio, visto che ci leccavamo ancora le ferite del cambio di moneta del 1992 grazie al Presidente Carlos Salinas de Gortari. Ci voleva proprio una bella notizia. Col cambio della moneta i miei genitori hanno perso la casa e non sono più riusciti a pagare la macchina. Era una macchina bellissima, moderna perché eravamo benestanti. Eravamo.
Il clima del Paese era di una depressione collettiva, tutti gli adulti erano tristi, avevano perso le case, il lavoro, le macchine. Tutto. Così lo Stato pensò bene di dire a tutti i bimbi che questo TLC avrebbe fatto ritornare il sorriso sulla faccia dei nostri genitori. Tornavamo a casa entusiasti a parlare di questo trattato che il nostro lungimirante Presidente stava proprio per firmare.
Non vedevamo l’ora di poter comprare tutte le cose che qua non c’erano. Beh, la verità è che qua le cose c’erano, eccome. Ma non è lo stesso: sapete il fascino dei prodotti che vengono dagli Stati Uniti, sì sì proprio loro...Gli Stati Uniti di America, quelli dei Mc Donald’s, dei Burger King dei Kentucky Fried Chicken. Stavano arrivando! Loro, quelli di Monsanto e il loro maiz transgenico.
Mi ricordo benissimo la prima volta che sono entrata a Wal Mart. Mi sono trovata con una scelta ampissima di prodotti che guardavamo solo nei film: pizze surgelate, hamburger surgelati, involtini primavera surgelati. Un mondo del surgelato in questi corridoi lunghissimi illuminati in un modo strano, un po’ come i casinò con delle luci che ti fanno perdere la percezione del tempo. Quando stai lì, vuoi solo comprare cibo. Mi ricordo ancora quanto ero rimasta stupita di queste angurie luccicanti e perfette, tutte ma proprio tutte erano della stessa uguale misura e stavano benissimo sugli scaffali. I pomodori erano rossi rossi e luccicanti, le carote le uve, le mele. Era tutto luccicante e perfetto. C’erano anche gli avocadi, sì, avocadi israeliani. Ma, aspetta la parola avocado viene dal nahuatl ahuacatl lingua degli aztechi. Perché l’avocado è messicano,è nostro. Invece gli avocadi di Wal mart venivano da Israele. Niente di sorprendente per una città come la mia dove c’è un grande parco di nome Ben Gurion.
Dal 1994 in poi il Messico si è riempito di questi grandi supermercati e si è anche riempito di obesità e diabete.
Tutto è cominciato negli anni '90 quando Wal Mart acquisì il 50% dei supermercati diciamo messicani Bodegas Aurrera che comunque sono stati fondati da uno spagnolo. Con l’entrata in vigore del TLC, Wal Mart è riuscito a comprare tutto: Aurrera, Superama, Sam’s, Suburbia e Vip’s e ha gradualmente aperto i Wal mart Supercenter e i Sam’s Club. Tutti supermercati all’ingrosso di cibo spazzatura.
Nel mondo ci sono 670 millioni di obesi. Messico al primo posto. Anche in obesità infantile.
Prendiamo un esempio. Una delle bibite più famose in Messico, escludendo ovviamente la Coca Cola è questa: Manzana Lift. Fra gli ingredienti ci sono in ordine: acqua, zucchero e succo di mela, lo dice il nome stesso della bibita manzana che vuol dire mela. Peccato che il succo di mela sia solo l’1%. La bibita ha 144 kcal. Considerando che a pranzo ne bevi al meno 2 se non 3 bicchieri… ecco che arriva il diabete. Il 99% della popolazione messicana (sì avete letto bene!) consuma Coca cola quotidianamente. Cioè, ogni messicano ne beve almeno 775 bottiglie all’anno, ½ litro al dì. Quando abitavo ancora in Messico bevevo almeno 2 lt di Coca cola al giorno. Mi costava di meno dell’acqua. Perché noi compravamo a Wal mart i pacchi giganteschi di Coca cola. Mio nonno è diabetico ed io ho avuto dei seri problemi gastrointestinali da giovanissima.
La principale causa di morte nel mio Paese è il diabete, segue l’obesità.
Il Messico è maiz. Noi siamo il popolo del maiz. Io non riesco proprio a concepire la mia vita senza. E’ sempre stato il sostento e la base dell’alimentazione dei popoli azteca, maya, zoque, zapoteca, purhèpecha, totonaca ecc.
E voi penserete che mai e poi mai potremmo importare il maiz.
Il TLCAN ha permesso, per fare soltanto un esempio, a Monsanto di venderci il loro maiz transgenico. A partire dal 1994 l’importo di maiz statunitense è aumentato fino ad arrivare a 6 milioni di tonnellate.
Nel 1995 il bilancio destinato all’agricoltura era del 6.4%. Nel 2000 del 2.9%. Lo Stato ha lasciato morire di fame ai 25 milioni di contadini che vivevano grazie alla coltivazione di maiz. Ora tutte queste persone sono diventate consumatrici di maiz contaminato e più del 75% vive sotto la soglia di povertà.
Si, me lo ricordo bene il TTIP.


giovedì 10 settembre 2015

Partecipiamo al presidio per dire BASTA alle STRAGI nel MEDITERRANEO !



L'Associazione per i Diritti Umani ha partecipato al presidio che, ogni giovedì, si tiene a Milano, in Piazza della Scala, a partire dalle ore 18.30.

Il presidio, organizzato da MilanoSenzaFrontiere, ha lo scopo di far riflettere su ciò che sta accadendo in Europa e nel mondo; di aprire le coscienze a nuove forme di accoglienza; di far capire ai politici quali sono le conseguenze di leggi e disposizioni errate; di dare dignità ai corpi delle persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo; di stare vicini, anche solo virtualmente, alle famiglie delle vittime e dei dispersi.

Di seguito pubblichiamo alcune fotografie del presidio, fatte dalla nostra associazione, e invitiamo tutti coloro che abitano a Milano a partecipare. Grazie.
 







L'indignazione tardiva per i bambini deceduti e l'annuario italiano dei Diritti Umani 2015



La foto del bimbo profugo morto in spiaggia ispira una tardiva indignazione di molti media e politici. Gli stessi che dicono “facciamo qualcosa”, non fecero qualcosa quando l’Europa e gli USA provocavano le guerre all’origine delle tragedie migratorie. I fatti del 1989-1991, con il crollo del sistema sovietico, ebbero come con-causa scatenante una crisi di flussi migratori certamente molto diversa da quella attuale per origine, motivi e composizione, ma simile per forza d’urto. Se la pressione continuerà in questi prossimi mesi (e continuerà) l’Europa ne risulterà ancora una volta cambiata. [Videoeditoriale di Pino Cabras]    


Alla Camera dei deputati la presentazione dell'Annuario italiano dei diritti umani 2015 mercoledì 16 settembre 2015








La Presidente della Camera dei deputati, On Laura Boldrini, presenterà a Palazzo Montecitorio l'Annuario italiano dei diritti umani 2015 (Marsilio Editori), curato dal Centro di Ateneo per i Diritti Umani dell'Università di Padova, mercoledì 16 settembre 2015, alle ore 15.00, Sala Aldo Moro.

L'evento è organizzato dall'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati con la collaborazione del Centro dell'Ateneo patavino.

Programma

SALUTI

Laura Boldrini, Presidente della Camera dei deputati

INTERVENTI INTRODUTTIVI

Luigi Manconi, Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica

Renata Bueno, Componente del Comitato permanente per i diritti umani della III Commissione (Affari esteri e comunitari) della Camera dei deputati

Antonio Papisca, Professore emerito dell’Università di Padova e Direttore dell’Annuario italiano dei diritti umani

INTERVENTI

Marco Mascia, Direttore del Centro di Ateneo per i Diritti Umani, Università degli Studi di Padova

Judith Sunderland, Direttrice associata per l’Europa e l’Asia centraledi Human Rights Watch

MODERA

Giovanni Anversa, Giornalista



indicando data e orario dell’evento

L’ ingresso sarà consentito fino alle ore 14.45

Per gli uomini sono obbligatorie giacca e cravatta

Risorse


Pubblicazioni



Documenti


Presentazione dell'Annuario italiano dei diritti umani 2015, Roma, 16 settembre 2015, programma

I rifugiati in cammino abbattono il “Muro di Dublino”. Il commento del Centro Astalli





La colonna di bambini, donne e uomini nel cuore dell’Europa sono quel canale umano che con caparbietà i siriani hanno costruito per sopperire alla mancanza di canali umanitari. La forza di questa gente dà a tutti noi una lezione di civiltà”. Così P. Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli, commenta la decisione di Austria e Germania di aprire le frontiere e accogliere i migranti in cammino dall’Ungheria.

Oggi assistiamo alla caduta del cosiddetto”
muro di Dublino
”, grazie alla volontà e alla determinazione di un popolo in cammino per ottenere quanto viene chiesto incessantemente da anni a un’Europa sorda: pace e libertà.

L’Europa centrale in queste ore sta vivendo la medesima situazione che da anni ormai Italia, Spagna e Grecia si trovano ad affrontare riguardo agli arrivi di migranti forzati da paesi come Eritrea, Somalia, Nigeria dove conflitti atroci, terrorismo e persecuzioni, troppo spesso trascurati dal racconto mediatico, costringono le persone alla fuga.

Il Centro Astalli esorta le istituzioni nazionali ed europee a rendere strutturali e attivi sul lungo periodo 
canali umanitari sicuri
.
Chiede inoltre la
 sospensione definitiva della Convenzione di Dublino e l’istituzione al suo posto di meccanismi di quote permanenti per un'equa distribuzione dei rifugiati tra tutti gli Stati membri visti umanitari europei
.

Invita inoltre la società civile a trasformare l’emotività e la commozione di questi giorni in atteggiamenti costrutti e fattivi  per
 un’accoglienza nei territori che sia dignitosa e rispettosa dei diritti dei rifugiati.


martedì 8 settembre 2015

Expo in città: a Milano due mostre di Sara Montani sul tema "La carta dei diritti"






14 - 19 settembre 2015 | La Carta dei Diritti | Centro dell’Incisione Alzaia Naviglio Grande
9 - 16 ottobre 2015
| La Carta dei Diritti. Arte e Diritti | Casa dei Diritti - Comune di Milano



La Carta dei Diritti, mostra personale dell’artista e operatrice culturale Sara Montani, è la terza tappa di un progetto articolato in quattro momenti espositivi per raccontare attraverso l’arte gli articoli fondamentali della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948: due mostre in successione che, partendo da memorie di giochi infantili, ci parlano del rapporto tra arte e diritti: diritto alla vita, alla famiglia, al gioco, alla libertà.

Dopo le precedenti esposizioni tenutesi presso la Galleria delle Lavagne e la Biblioteca Sormani di Milano, Sara Montani presenta una selezione di incisioni calcografiche su fogli di grande formato realizzate dall’artista attraverso le tecniche dell’acquaforte, della cera molle e del monotipo, insieme ad alcuni libri d’artista. Vesti, abiti e presenze vegetali: questi alcuni dei soggetti a cui l’artista ricorre per portare avanti la sua riflessione e la sua poetica.

La personale, a cura di Luca Pietro Nicoletti e inserita nel progetto Expo in Città supportato dal Comune e dalla Camera di Commercio di Milano, si tiene presso lo storico Centro dell’Incisione Alzaia Naviglio Grande, ospitato all’interno di una casa del XVII secolo affacciata sul Naviglio. Con inaugurazione lunedì 14 settembre alle ore 18, La Carta dei Diritti sarà aperta al pubblico fino al 19 dello stesso mese in Alzaia Naviglio Grande 66.



I temi proposti saranno oggetto della tavola rotonda che si terrà presso la Sala del Grechetto della Biblioteca Sormani il giorno 28 settembre alle ore 18.15; modererà Vittorio Schieroni (Made4Art), interverranno Luca Pietro Nicoletti (storico dell’arte), Sara Montani (artista), Monia Pavone (stampatrice), Susanna Vallebona (edizioni Esseblu), Anna Maria Gandolfi (Gaia Edizioni).

14 - 19 settembre 2015 | Inaugurazione lunedì 14 settembre, ore 18
La Carta dei Diritti | Centro dell’Incisione Alzaia Naviglio Grande
Alzaia Naviglio Grande 66, 20144 Milano
Un evento: Expo in Città
Da martedì a sabato ore 16 - 19
Tel. / fax: 02.58112621

sabato 5 settembre 2015

La paura degli studenti del Darfur





di Veronica Tedeschi




Nei Paesi Occidentali parlare di violenza nelle scuole contro bambini o ragazzi crea sempre stupore e incredulità, tanto da trasformare la notizia in un corposo servizio giornalistico che sarà in grado di oscurare le altre notizie per giorni.

Ed è corretto così, la violenza sui bambini deve creare stupore; in alcuni stati africani, però, questo tipo di emozioni non esiste, l’incredulità si è trasformata in rassegnazione, in quanto tali metodi sono diventati di routine in scuole e università.



Il governo alimenta un clima di paura e razzismo nelle università, in particolare a Khartoum e Omdurman. Dalla fine di aprile i giovani originari del Darfur sono vittime di una campagna di arresti indiscriminati, violenze e abusi sessuali portata avanti dai servizi di sicurezza legati al partito di governo” scrive Nuba Reports sulla situazione nelle università del Sudan. Il presidente sudanese Omar al Bashir il 2 giugno ha cominciato un nuovo mandato senza però avviare un dialogo con le forze di opposizione e questo basterà a non migliorare la situazione.



Le conseguenze di tali soprusi sono molteplici, gli stessi bambini e ragazzi possono diventare crudeli diventando a loro volta dei bulli o ancora, la violenza nelle scuole è spesso associata alla discriminazione contro gli studenti provenienti da famiglie povere, da gruppi emarginati o con particolari caratteristiche. Parliamo di violenze verbali ma anche fisiche o sessuali, come nel caso dei giovani del Darfur; la violenza sessuale e di genere è spesso diretta contro le ragazze ad opera di insegnanti e compagni di classe maschi.



Come accennato per la situazione del Sudan, tali violenze sono favorite dall’incapacità dei governi di mettere in atto misure legislative in grado di proteggere gli studenti dalle discriminazioni e dalle violenze. Inoltre, le scuole sono le prime istituzioni che risentono dei problemi che affliggono l’intera comunità in quanto composte da soggetti particolarmente vulnerabili e considerate moralmente e culturalmente importanti all’interno di una società.

Se a questo problema si associa anche il tasso di bambini che non frequenta le scuole, la situazione peggiora a vista d’occhio. In Africa occidentale e centrale si registra il tasso più alto al mondo: circa uno su tre, il 28%. Nel resto del continente, sono almeno 10 milioni i piccoli in età scolastica che rimangono a casa. Questa situazione e la sua non variabilità dipende dal riaccendersi dei conflitti e da altre difficoltà legale alla lontananza delle scuole o alla mancanza di risorse a famiglie estremamente povere.  




Le cose che si potrebbero fare sono tante ma per l’attuazione di queste proposte è fondamentale l’appoggio dei governi e la volontà di chi sta a capo della comunità.

La soluzione più semplice potrebbe essere promulgare leggi che proibiscano le punizioni corporali nelle scuole e nelle strutture educative messe in atto sia da insegnanti che da altri soggetti come i servizi di sicurezza - per riprendere ciò che accade nelle università sudanesi - e mettendo in atto dei meccanismi in grado di raggiungere questo risultato. Parallelamente si potrebbero creare dei canali accessibili e adeguatamente pubblicizzati che consentano a bambini e famiglie di denunciare le violenze in maniera sicura e anonima.

Ancora, creare programmi ad hoc che riguardino l’interno ambiente scolastico e che comprendano ogni questione rilevante, compresa la risoluzione non violenta dei conflitti e politiche anti-bullismo.

Per quanto riguarda il problema della non frequenza dei bambini è necessario ora più che mai mettere tra le priorità dei governi centro africani l’istruzione, ad oggi sottovalutata e considerata di scarsa importanza.

I conflitti in atto in Sudan, Congo o Tanzania non devono influire sull’istruzione, le scuole dovrebbero essere considerate “zone bianche”, da non toccare ed evitare di coinvolgere in ogni tipo di ostilità. 


Inoltre, un altro piccolo passo potrebbe essere quello di inserire all’interno dei villaggi e dei paesi le scuole che, nella maggior parte dei casi, si trovano fuori dal villaggio, molto lontane e difficilmente raggiungibili a piedi.

Ci sono diverse cose che si possono fare, manca solo la volontà dei Governi ad una rivalutazione delle priorità da affrontare e una completa attuazione di una normativa adeguata.
 
 
 

lunedì 24 agosto 2015

Ecco perché una semplice zanzariera può salvare molte vite






Fratelli Dimenticati insegna ai bambini come utilizzare le zanzariere per la prevenzione della malaria in India.



Cosa succede se ti punge una zanzara? Per noi, in Italia, è solo un gran fastidio! Ma in alcuni paesi, tra cui l'India, può essere un grave problema. È con questo concetto che Fratelli Dimenticati ha scelto di far riflettere su un tema che ci tocca, soprattutto durante il periodo estivo.


I rimedi contro le punture degli insetti in Italia sono davvero molti: dagli spray anti-zanzare alle pomate, le soluzioni per evitare le punture sono pressoché infinite. Ma in India? Secondo i dati forniti da
Fratelli Dimenticati, l’India è uno dei 106 paesi al mondo in cui la malaria rappresenta un grave problema, si stima che circa il 70% della popolazione sia a rischio di contrarre la malattia. La principale causa di diffusione è la puntura della zanzara anofele, le altre sono legate alla sua riproduzione: le piogge copiose creano delle pozze d'acqua che diventa stagnante, l’igiene è scarsa, in molti luoghi non esistono i bagni e tantomeno un adeguato sistema fognario. Per fare un paragone, si pensi che in Italia, le punture di zanzara non sono più pericolose dagli anni '70, mentre in India, ancora oggi, basta una puntura per mettere in serio pericolo la vita di una persona e in taluni casi a portarla alla morte.


La zanzara anofele morde principalmente nel cuore della notte e all'alba, momento in cui si è già in un sonno profondo e non ci si può difendere. Ammalarsi di malaria in India significa avere delle conseguenze fisiche e psicologiche, spesso i bambini devono stare a casa da scuola per 2 settimane e prima di poter affrontare l'apprendimento scolastico con mente lucida hanno bisogno di circa un mese. Ma il problema si fa ancora più grave se la malaria colpisce un adulto, o peggio il capofamiglia, in questo caso può accadere di restare senza salario, c'è il pericolo di contrarre debiti, sia per le medicine che semplicemente per comprare del cibo. Inoltre le persone che si ammalano spesso non hanno la possibilità di curarsi, non solo per la mancanza di ospedali o ricoveri nelle vicinanze, ma anche perché non esistono mezzi adeguati per spostarsi su lunghe distanze e non ci sono strade di comunicazione adeguate per il soccorso.                  



La soluzione proposta da Fratelli Dimenticati è la zanzariera: un semplice oggetto, per noi molto conosciuto, ma poco utilizzato in India per questioni economiche o di ignoranza. La fondazione ha scelto di parlare ai bambini, trasmettendo loro un forte segnale che potesse contribuire a salvare le loro vite e quelle delle loro famiglie. Ha distribuito quante più zanzariere da letto possibile ai bambini nelle scuole, anche nelle zone rurali e più povere, insegnando loro come utilizzarle affinché al loro ritorno a casa potessero illustrarne l'utilità anche in famiglia. I bambini sono stati invitati a riflettere sulle conseguenze che la malattia potrebbe avere e si sono mostrati entusiasti di portare il nuovo messaggio alle loro famiglie. Sono così divenuti veicolo di informazioni essenziali al fine della prevenzione della malaria.


Fratelli Dimenticati si batte da diversi anni per l'aiuto alle popolazioni povere e dal 2012, con il progetto
“Malaria, No Grazie!”, è riuscita consegnare 5585 zanzariere da letto ad altrettanti bambini e alle loro famiglie, in 58 missioni negli Stati del Jharkhand, Chattisgarh, Punjab, Assam e Meghalaya. Le zanzariere sono state acquistate da produttori locali, in questo modo si è contribuito allo sviluppo economico dell'area.






Per informazioni:

Marta Perin


cell. 348.240.66.56



Elisa Sisto

elisa.sisto@mocainteractive.com

tel. 0422.174.35.74

venerdì 21 agosto 2015

Zigulì. La mia vita dolceamara con un figlio disabile





"Metà di quello che ho scritto è uscito in una notte. Il resto sul tram, mentre andavo al lavoro" racconta Massimiliano Verga, padre di Jacopo, Cosimo e Moreno, un bellissimo bambino di otto anni, nato sano e diventato gravemente disabile nel giro di pochi giorni. "Così ho raccolto gli odori, i sapori e le immagini della vita con mio figlio Moreno. Odori per lo più sgradevoli, sapori che mi hanno fatto vomitare, immagini che i miei occhi non avrebbero voluto vedere. Ho perfino pensato che fosse lui ad avere il pallino della fortuna in mano, perché lui non può vedere e ha il cervello grande come una Zigulì. Ma anche ai sapori ci si abitua. E agli odori si impara a non farci più caso. Non posso dire che Moreno sia il mio piatto preferito o che il suo profumo sia il migliore di tutti. Perché, come dico sempre, da zero a dieci, continuo a essere incazzato undici. Però mi piacerebbe riuscire a scattare quella fotografia che non mi abbandona mai, quella che ci ritrae quando ci rotoliamo su un prato, mentre ce ne fottiamo del mondo che se ne fotte di noi." Dalla quarta di copertina del libro Zigulì. La mia vita dolceamara con un figlio disabile, di Massimiliano Verga (Mondadori).




L'Associazione per i Diritti Umani ha intervistato per voi l'autore e lo ringrazia moltissimo per il suo racconto e la sua testimonianza.



Quando siete venuti a conoscenza della disabilità di vostro figlio, come avete iniziato a “prepararvi” alla situazione?


Preparati mai. Moreno ha quasi 12 anni e c'è stato un percorso di conoscenza e, rispetto all'inizio, è tutta un'altra cosa, anche per merito suo.

Di fronte a una disabilità o fragilità, nessuno può avere l'arroganza o la presunzione di sentirsi preparato.

Moreno è nato sano, poi si è ammalato di un “qualcosa” che non so, a un mese di vita: è stato ricoverato in patologia neonatale ed è tornato a casa con gli esiti che ho raccontato nel libro. Non abbiamo una diagnosi e il fatto che Moreno non sarebbe più stato il bambino che ho cominciato a conoscere quando è nato, l'abbiamo saputo il giorno della dimissione e dopo alcuni mesi abbiamo scoperto che Moreno era anche non vedente.


Voi familiari avete fatto un percorso psicologico oppure avete affrontato tutto da soli?


Non abbiamo fatto nulla: io no, ma credo nemmeno la mamma (io e la mamma non viviamo più insieme). Anche i fratelli di Moreno non sono seguiti perchè è una situazione che hanno imparato a gestire con loro stessi in modo relativamente sereno.

Sono contrario ad un percorso che possa etichettarli e farli sentire i “fratelli di” quando, invece, stanno cercando di uscirne per conto loro.


Quali sono i sentimenti che ha provato da quando è nato Moreno e quali quelli che prevalgono?


Sono molto banale in questo, ma uno su tutti è l'amore. Poi, certo, c'è un contorno di rabbia e di frustrazione legato a quell'impreparazione di cui parlavamo prima.



Siete aiutati da servizio sanitario e dalle istituzioni?

Sono abbastanza fortunato rispetto alle altre realtà che conosco di situazioni di abbandono. E' noto che le istituzioni siano molto deficitarie, ma ho avuto fortuna nel senso che, fin dall'inizio, abbiamo trovato una brava fisioterapista che da subito ha seguito Moreno e anche il servizio scolastico è stato buono perchè alla materna ho trovato delle maestre molto attente. Adesso Moreno frequenta una scuola speciale in cui i bambini hanno una disabilità grave e mi trovo benissimo; avrà capito che sono favorevole alle scuole speciali perchè ci sono dei bambini che possono essere accolti solo in luoghi costruiti e pensati per loro.


Stanno aiutando Moreno a diventare più autonomo?


La parola “autonomo” per Moreno è una parola grossa perchè non lo sarà mai: ha bisogno che ci sia sempre una persona a mezzo metro da lui, ma il fatto che abbia imparato a riconoscere un water, che salga sul camper da solo, che si muova nello spazio in modo più sicuro lo devo alla testa dura mia e di sua madre, alla scuola, alla terapista e a tutti coloro che lo seguono.


Gli altri due fratelli come si rapportano a Moreno?


Chiaro che per loro è molto difficile. Moreno è un “alieno”: non parla, urla, sbatte. E' molto difficile avvicinarsi e interagire con lui.

I fratelli hanno delle modalità differenti legate non tanto all'età (il grande ha 13 anni e il più piccolo ne ha 8), ma perchè il grande ha visto nascere Moreno e ha vissuto insieme a noi e insieme a lui gli anni più duri e, quindi, prova sentimenti diversi rispetto al fratello piccolo che si è trovato un fratello “alieno” senza provare lo shock della scoperta della sua disabilità.



Perchè ha deciso di raccontare la vostra storia pubblicamente?


Zigulì era il mio diario nel quale mi sono sfogato, nel giro di una notte, come è scritto in quarta di copertina. Quando l'ho ripreso in mano ho pensato, forse con un po' di presunzione, che potesse essere utile per qualcun altro.

L'idea che quei sentimenti e quei frammenti potessero essere condivisi da altri genitori mi ha portato a pubblicarlo. Il riscontro è enorme e non me lo aspettavo: ricevo tantissime mail, ho fatto un centinaio di incontri pubblici, mi invitano. Mi sembra di aver raccontato qualcosa che appartiene a tante persone ma io, forse, ho avuto un pizzico di coraggio in più nel raccontare la realtà per quella che è.


Parliamo, infine, del tema dell'accettazione...


L'accettazione non riguarda il bambino, riguarda i genitori: tu devi imparare ad accettare te stesso come genitore di quel bambino.

Il bambino, ovviamente, è accettato, è tuo figlio, ma il genitore deve fare i conti con se stesso e questo è l'aspetto che a volte, purtroppo, crea atteggiamenti di chiusura. Peggio ancora nei casi in cui i genitori sono lasciati da soli per cui per loro è ancora più difficile: su questo dovremmo lavorare come comunità.





venerdì 7 agosto 2015

Migrants in Calais Desperately Rush the Channel Tunnel to England, Night After Night

(dal New York Times)

The sun had barely set when a 23-year-old Eritrean woman who gave her name as Akbrat fell into step with dozens of other men and women and started scaling the fence surrounding the entrance to the French side of the Channel Tunnel.
The barbed wire cut her hands, but she did not feel the pain. The police seemed to be everywhere. She thought of her 5-year-old son back in Africa and ran, zigzag through the falling shadows, once almost colliding with an officer in a helmet.
Then she was alone. She slipped under the freight train and waited, clambering out just as it began moving.
But before she could hurl herself onto the train bed transporting trucks filled with Britain-bound produce, a French officer caught up with her, she recalled in an interview on Thursday. Blinded by tear gas, she stumbled and bruised her right ankle. After being ejected from the complex around the tunnel, it took her five hours to limp the nine miles back to the refugee camp of makeshift shelters that its 3,000 inhabitants call the “jungle.”

You’re lucky you weren’t killed,” someone told her.
I’m not lucky,” she responded. “I’ll be lucky when I’m in England.”
The desperate scene playing out each night and day in Calais, with migrants trying to vault fences or cut their way through them and climb onto trains or into trucks going across the Channel to England, is just one chapter in a painful drama playing out across Europe.
For many of the migrants who have been coming to the Continent from Africa, the Middle East and beyond, Calais, a mere 21 miles from the white cliffs of Dover, is their last stop. If they make it across to Britain, many believe they will have reached safety and a better life. Some are attracted to Britain because they speak some English, others because they see better job prospects there than on the Continent. A few even cite a strong pound.
Those who make it as far as this port city often express striking and implacable certainty about their right to go the rest of the way, having come so far.
Nursing her sprained ankle outside the tent she shares with a dozen of other men and women, Akbrat lamented the fact that she would have to rest for a few days before making another attempt. “I’ve crossed the sea and walked for many months,” she said. “I am not giving up now.”

Like others here, she declined to give her full name or have her photograph taken for fear of jeopardizing her chances of slipping across the border undetected.
Akbrat arrived in Calais five days ago. But she has spent much of her life as a refugee. When she was 13, her father was killed, a political assassination in Eritrea, she said. Her mother fled with her and her two sisters to Sudan. When her mother died seven months ago, Akbrat left her son with her aunt and began her own journey to Turkey and then across the Mediterranean to Greece. She hopes to bring her boy to Britain once she has papers and has found work, she said.
I thought I would die on that boat,” she said. “Until I die, I will try to go to England.”
Like Akbrat, many migrants here try every night, sometimes several times, undeterred by injury or the deaths of others. They set off late in the afternoon, walking three or four hours to the freight train terminal. There they await sunset, sometimes around campfires, before hauling themselves over the fences in large groups in the hope that some will slip through police lines.
Ten migrants have died over the past six weeks, said Chloé Lorieux, a nursing student who volunteers for the charity Médecins du Monde and helps at a clinic in the camp. This month, she said, a woman lost her baby after her water broke prematurely when she tried to climb onto a train. Many here have multiple scars from barbed wire or police batons and, in the worst cases, multiple broken bones from being hit by a departing train.
We see terrible injuries every day,” Ms. Lorieux said.

But every night a few make it. How many, no one can say; estimates range from a handful to 40 people. That is what keeps them going, said Mima, 26, a university graduate from Ethiopia, who began his journey in June last year, fleeing a jail sentence as a member of an opposition party. He paid traffickers — brokers, he calls them — $5,000 his mother had saved up for him to make it across Sudan, Libya and the Mediterranean to Italy. Half of the 243 people on the rickety boat died during the crossing to Europe, he said.
The U.K. is not paradise, it’s not heaven, I know that,” he said. “I know it’s not safe to jump on a moving train. But we have no choice. If you had a choice, why would you do this?”
A Syrian man, Yusuf, 40 said he had much the same feeling. He came from Dara’a, and said he was a lawyer who supported the democratic movement and was forced to flee.
We come here because this is the only road to England,” he said. “Every day we go to the train. Whenever we try, we are pushed back by the police. They come at us with their dogs, their tear gas, but we go every night.”
He has not told his family the conditions he is living in, he said — unwashed and exhausted and with hardly any money left because he has paid most of it to smugglers. “Many Syrians are cultivated, we are educated, we want to go to an educated place, and I can already speak a little English,” he said.

When there are troubles in Afghanistan, as there are now with the Taliban’s return to several areas, the numbers of Afghans in the sprawling refugee camp in the Calais dunes rise. Syrian refugees are there in large numbers, and there are some Iraqis. Sudanese have come, as well as Somalis. A couple of years ago there were more people from Burundi and Rwanda, aid workers said.

Set on the edge of Calais in a dusty patch of land with no trees for shade, the refugee camp resembles camps throughout the underdeveloped world, or worse. It has just 30 toilets for 3,000 migrants; international humanitarian standards would dictate one for every group of 20, Ms. Lorieux said.

For a long time, there was not even any water, but now spigots have been set up in several sections of the camp. Jean-François Corty of Médecins du Monde calls it a “tolerated slum.”


domenica 26 luglio 2015

Cento morti sulle coste libiche

(da Avvenire.it)




Almeno un centinaio di morti sono stati raccolti nei giorni scorsi sulle spiagge e nel mare di Tajoura, in Libia. Tra di loro donne e bambine. I corpi sono stati portati nell’ospedale di Tripoli. La notizia è stata lanciata ieri da Migrant Report, organo di informazione con base maltese ed è rimbalzata sui siti di news dell’Africa subsahariana, area da cui proverrebbero le vittime. La fonte citata è un portavoce del dipartimento libico della migrazione. Le autorità, riporta il sito, non sono ancora in grado di comunicare con certezza né il numero esatto dei corpi né la nazionalità delle vittime. Ma se le cifre fossero confermate, sarebbe la tragedia migratoria più grave dopo la morte di almeno 800 persone nel Canale di Sicilia, avvenuta il 18 aprile scorso.


È quasi certo che si tratti dei resti del naufragio di un’imbarcazione (un gommone, probabilmente, dato il numero dei morti) partita dalla città libica, posta a una decina di chilometri da Tripoli, uno dei punti di partenza principali di chi tenta di entrare in Europa. Possibili conferme arrivano dal sacerdote eritreo don Mosè Zerai, riferimento per i profughi del Corno d’Africa diretti in Italia, che racconta di un’imbarcazione salpata il 5 o il 6 luglio scorso, ma di cui mancano informazioni sull’arrivo. Don Zerai conferma la presenza a bordo di molte donne e bambini.


Oggi arriverà a Messina la nave privata My Phoenix, dei coniugi maltesi Catambrone, con a bordo 414 migranti soccorsi in mare. Le partenze dalle coste libiche stanno ormai avvenendo solo su gommoni. Una scelta, quella dei trafficanti dettata in parte dalla contingenza, dato che è sempre più difficile recuperare barconi e pescherecci. Ma ci sono anche altre ragioni, come conferma il Consiglio Italiano per i Rifugiati: «I gommoni sono più economici, e quindi consentono ai trafficanti di aumentare il margine di guadagno. Sono più facili da recuperare, anche sui mercati internazionali. Inoltre i natanti gonfiabili sono quasi invisibili ai radar, sono meno agevoli da intercettare. Ma sono anche le minacce di distruggere le imbarcazioni in Libia a spingere i trafficanti ad adoperarli». I gommoni, inoltre, salpano in massa: «Se partono in tanti è più difficile reagire. Per i prossimi giorni dobbiamo aspettarci altre partenze di questo tipo».


Questi gommoni sono pensati per ospitare una trentina di persone: i trafficanti ci caricano sopra tra i cento e i centoventi migranti. Ma c’è anche un ulteriore aspetto che desta particolare preoccupazione: per i gommoni non servono scafisti. «Non sono necessarie competenze particolari come per le imbarcazioni più grandi. A volte ci sono migranti che già hanno esperienza, altre volte fanno una rapida prova in acqua. Spesso in questi casi chi guida ottiene uno sconto sul passaggio o la gratuità. Ma non servono grandi incentivi: tutti vogliono lasciare la Libia il prima possibile».


Ancora Migrant Report segnala la scoperta di tre corpi nel deserto libico, presso la città di Sabha. Si tratta di una coppia nigeriana e di un terzo uomo di nazionalità incerta. Una ventina di altri corpi sarebbero invece presso l’obitorio dell’ospedale locale. Si tratta di persone cadute nella rete di finti trafficanti che rapiscono i migranti per estorcere denaro alle loro famiglie. Secondo alcuni testimoni, il riscatto richiesto oscilla tra i 200 e gli 8.000 dollari. «Quando il denaro non arriva – dice una fonte locale di Migrant Report – gli ostaggi vengono torturati. A volte vengono uccisi e i loro corpi vengono gettati sul bordo della strada, nel deserto».

sabato 27 giugno 2015

Bambini soldato in Sud Sudan



di Veronica Tedeschi





Bambini drogati e imbottiti di stupefacenti per non farli arrendere durante lo scontro.

I più sfortunati nascono già in una delle fazioni ribelli, come se il loro destino fosse segnato, in altri casi, da giovanissimi vengono sottratti alle loro famiglie per essere cresciuti in contesti di guerra e sofferenza.

Questa è la situazione di molti dei bambini che vengono ingaggiati come soldati senza averne la consapevolezza; in alcune rare situazioni, si pensa che alcuni di questi aderiscano come volontari per motivi legati alla sopravvivenza, alla fame o al bisogno di protezione.

I bambini diventano i soldati migliori per diversi motivi: non concepiscono il livello di gravità della situazione, hanno dimensioni piccole e sono veloci, sono in grado di infilarsi in tombini, fori e quant’altro. Infine, non si schiereranno mai per la fazione concorrente, se gli prometti, o minacci, qualcosa faranno quello che gli dici a prescindere. Le bambine, sebbene impiegate in misura minore, spesso sono usate per scopi sessuali, ma anche per cucinare o piazzare esplosivi, non devono essere pagate e non si ribellano.



Lo scorso 22 febbraio è stata la Giornata internazionale contro l’uso dei bambini soldato, una piaga che sta minando psicologicamente intere future generazioni. Il problema non riguarda solo l’Africa, sono 22 i Paesi in tutto il mondo che utilizzano bambini soldato durante le loro guerre, tra questi troviamo il Sud Sudan (Stato indipendente dal 2011) ripiombato nella guerra civile da più di un anno.

Il 21 febbraio, un giorno prima della Giornata internazionale, uomini armati sono entrati nel paese e hanno rapito 89 ragazzini dal campo profughi di Malaki, nella regione settentrionale dell’Alto Nilo.

Secondo la Bbc, i soldati hanno circondato i campi profughi, cercando tenda per tenda, e prelevando con la forza i ragazzi di età superiore ai 12 anni.

Il 10 febbraio, pochi giorni prima, l’Unicef aveva organizzato a Pibor, nel Sud Sudan orientale, la cerimonia di disarmo nella quale furono liberati circa 300 bambini tra gli 11 e i 17 anni. Questo fu il terzo rilascio di bambini a seguito di un accordo di pace tra la fazione e il governo. L’Unicef, il Government's National Disarmament e il Demobilization and Reintegration Commission (NDDRC), ancora oggi, stanno lavorando insieme per prendersi cura dei bambini e reintegrarli di nuovo nelle loro comunità.
Cobra Faction, la fazione di ribelli che rilasciò questi bambini, nel suo gruppo armato detiene ancora fino a 3.000 bambini soldato.


Il rapimento e lo sfruttamento di bambini nell’atto di conflitti è considerato una violazione del diritto umanitario internazionale, che è quella parte di diritto che definisce le norme da rispettare in tempo di conflitto armato e le regole che proteggono le persone che non prendono, o non prendono più, parte alle ostilità e pongono limiti all'impiego di armamenti, mezzi e metodi di guerra.

Non solo, anche lo Statuto della Corte Penale internazionale (il tribunale per i crimini internazionali), include, fra i crimini di guerra nei conflitti armati, l’arruolamento di ragazzi minori di 18 anni o il fatto di farli partecipare attivamente alle ostilità.

Anche nella storia passata i ragazzi sono stati usati come soldati, ma negli ultimi anni questo fenomeno è in netto aumento perché è cambiata la natura della guerra, diventata oggi prevalentemente etnica, religiosa e nazionalista. Chi combatte non si cura delle Convenzioni di Ginevra e spesso considera anche i bambini come nemici. Secondo uno studio dell’Unicef, all’inizio del secolo le vittime civili rappresentavano il 5% delle vittime di guerra, oggi quasi il 90%.



Le regole di diritto internazionale, sia umanitario che penale, come si è visto, puniscono duramente questi comportamenti ma, nonostante questo, tali pratiche continueranno fino a quando non saranno duramente imposte sanzioni contro gli Stati sostenitori di queste pratiche, come, per esempio, il Sud Sudan.