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mercoledì 9 dicembre 2015

Generazione Rosarno: dalla violenza alla legalità



Continuiamo ad occuparci di lotta alle mafie e vi proponiamo il libro intitolato Generazione Rosarno di Serena Uccello, per Melampo edizioni.




Si può nascere in una famiglia di 'ndrangheta eppure scegliere una strada alternativa e rigettare la violenza? Si può amare un padre in carcere e riuscire lo stesso a prenderne le distanze, immaginando per sé un destino diverso, di libertà e di rispetto vero? Vive e pulsa in questo libro una scuola superiore in cui vengono abbattuti antichi e nuovi pregiudizi e privilegi, dove non esistono figli di boss né figli di collaboratori o di testimoni di giustizia, dove mille ragazzi e ragazze si ritrovano ogni mattina tutti uguali, senza dover sopportare il peso delle storie personali. Dove una leggerezza gentile e sconosciuta è capace di generare nuova cultura. Una scuola che è un autentico fortino piantato in una periferia geografica e sociale, da cui insegna le opportunità e le promesse del mondo. Si chiama Rosarno ma diventa alla fine simbolo di tutto il Sud.






L'Associazione per i Diritti umani ha intervistato per voi l'autrice e la ringrazia.



Il libro è ambientato in Calabria, una terra bellissima e difficile. Quali sono i tratti della cultura tradizionale in cui affondano le radici della mentalità mafiosa?


Questa domanda richiede un’analisi di tipo antropologico che non sono in grado di fare, non ne ho gli strumenti, né la formazione. Posso però dare una chiave di lettura di tipo storico e sociale per spiegare perché la ‘ndrangheta è cresciuta così tanto in questi anni, in una situazione di sostanziale silenzio. In questo senso la spiegazione è l’isolamento della Calabria. Isolamento geografico e culturale, appunto. Prendo in prestito il procuratore Giuseppe Pignatone, già capo della Procura di Reggio Calabria, oggi capo della procura di Roma: “la società calabrese è realmente isolata dal resto del paese. Non esiste la Calabria, ma esistono le Ca­labrie: la provincia di Reggio è totalmente diversa da quella di Cosenza o dall’alto Catanzarese. L’isolamento tra le diverse province e dell’intera regione è innanzitutto fisico. La rete via­ria inadeguata, i cantieri dell’A3, le carenze della rete ferrovia­ria, lo sbarramento fisico dello Stretto amplificano l’isolamento geografico”. All’isolamento geografico c’è poi da aggiungere quello informativo. Negli ultimi anni sui giornali di ’ndran­gheta si è scritto, forse poco o forse in modo discontinuo, titoli e commenti e inchieste. Ma prima? Prima di Duisburg, la strage di Duisburg, quella in cui, nell’agosto del 2007, furono uccise sei persone, o prima di più recenti ope­razioni che hanno portato, soprattutto in Lombardia e nel nord Italia, all’arresto di centinaia di persone? Qualche titolo di tan­to in tanto e poco altro. Di fatto ha ragione il procuratore capo di Roma quando parla di “cono d’ombra” ricordando come “l’agenzia Ansa sia a Catanzaro, la sede Rai a Cosenza” e che “nessuna testata nazionale ha una redazione in Calabria”, men­tre “il quotidiano più diffuso, la Gazzetta del Sud è un giornale di Messina che pubblica pagine sulla Calabria”.

Quindi non saprei esattamente dire in quali tratti della cultura tradizione affondi la mentalità mafiosa, posso però dire che la mentalità mafiosa si nutre dell’isolamento e dell’assenza di cura da parte dello Stato e in questo isolamento cresce.



Da dove può o deve ripartire la cultura della legalità?


Il mio libro è sostanzialmente ambientato in una scuola. Un scuola sotto molti aspetti speciale perché è riuscita a compiere la sfida della inclusione. A far convivere cioè i figli di vittime, con i figli dei boss, con figli dei collaboratori. A far loro condividere tempo, spazio e sogni. Ecco la cultura della legalità deve, secondo me, essere meno slogan, meno pratica convegnistica, e più pedagogia del Bene. Come dice la ricercatrice Ombretta Ingrascì la pedagogia bianca che si oppone a quella nera della violenza.


Come si svolge la lotta alle mafie a Rosarno (e in altri luoghi)?


La lotta alle mafie è stata a lungo repressione. E l’aspetto repressivo è e deve restare centrale. In questi anni sono stati raggiunti risultati importantissimi. Tuttavia i risultati si sono cominciati a vedere anche su lungo periodo quando accanto alla repressione c’è la formazione. In questo caso uso le parole della scrittrice Evelina Santangelo che ho intervistato per il libro: “Non è un caso, credo, che in Sicilia il momento di maggiore forza della lotta alla mafia sia stato quando si è creata una saldatura tra il braccio operativo di chi deve condurre l’attività investigativa e repressiva e il mon­do della formazione. Perché è evidente che la lotta alla mafia è lotta alla sottocultura mafiosa. E questa lotta si può condurre solo se c’è collaborazione tra tutte le forze in campo”.



Quanto sono importanti le donne nel tramandare il valore della vita ?


Le donne sono fondamentali. Così come sono loro a tramandare il codice della violenza dai padri ai figli, sono loro che sempre in nome dei figli possono rompere la catena del sangue. E in questi ultimi anni in Calabria ma non solo abbiamo avuto diversi esempi. Penso a Lea Garofalo, ma anche a Maria Concetta Cacciola, che purtroppo hanno pagato con la vita la loro scelta di rottura. Ma penso anche a Giusy Pesce che invece è riuscita a salvare se stessa e i suoi figli scegliendo la strada della collaborazione.

Questo sono le sue parole che spiegano più di mille analisi.

Se io non cambio strada e non li porto con me, quando uscirò il bambino potrebbe già essere in un carcere mino­rile, e comunque gli metteranno al più presto una pistola in mano; le due bimbe invece dovranno sposare due uomi­ni di ’ndrangheta e saranno costrette a seguirli. Io voglio provare a costruire un futuro diverso per loro... Io potrei anche cavarmela con qualche anno di carcere ma nessuno libererebbe i miei figli da un destino già segnato. Quando il mio bambino, una volta, ha detto che da grande avrebbe voluto fare il carabiniere, suo zio l’ha preso a botte, poi gli ha promesso che una pistola gliel’avrebbe regalata lui... Un giorno che io gli chiesi a mio figlio ‘Che cosa vuoi fare quando sei veramente grande?’ E lui mi rispose ‘Il carabi­niere’, loro lo aggredirono: ‘Che stai dicendo, scemo, stor­to!’, tipo loro hanno questo carattere, parlavano così, con i bambini hanno una delicatezza particolare”.



Qual è l'operato dei giudici e delle istituzioni per salvare i giovani che appartengono a famiglie malavitose?


Anche in questo caso voglio rispondere raccontando un aneddoto che riporto nel libro. Un pomeriggio un piccolo gruppo di studenti del liceo Raffaele Piria di Rosarno sta partecipando a un seminario tenuto da Michele Prestipino allora procuratore aggiunto a Reggio Calabria, oggi a Roma. I ragazzi stanno lavorando su un libro, un romanzo La vita obliqua di Enzo Siciliano. E quel giorno in particolare stanno discutendo della vendetta, esattamente di qual è la differenza tra chiedere giustizia invece di vendetta. A un certo punto Prestipino si rivolge ad un ragazzo in prima fila e dice: “Vieni Carmelo, tu che pensi?”. Carmelo si avvicina e Prestipino lo tira a sé allungandogli un braccio sulle spalle. Il movimento di entrambi è spontaneo. E mi colpisce molto. Mi colpisce perché Carmelo è Carmelo Bellocco. Anche i Bellocco sono una famiglia sminuzzata tra morti, latitanti ed ergastolani. Alcuni di questi arresti portano pure la firma di Prestipino, così la na­turalezza con cui il primo ha accolto il secondo e il secondo si è fatto accogliere mi appare inedita e mi appare straordinaria. Ho così compreso che solo l’accoglienza può far passare il messaggio che non esiste una predestinazione al Male ma che ognuno può riscattare se stesso. L’accoglienza e anche il sostegno.





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martedì 8 settembre 2015

La cooperativa “Giovani in vita” ottiene l'attenzione delle istituzioni





In merito alla notizia sulle minacce da parte della mafia nei confronti della Cooperativa “Giovani in vita” (leggi precedente nostro post), pubblichiamo il seguente comunicato:



Il Vice Presidente della Regione Calabria Antonio Viscomi, insieme all’Assessore alle Politiche Sociali Federica Roccisano, oggi 31/08/2015 a Sinopoli a manifestare solidarietà alla Coop. Soc. Giovani in Vita



Ad attirare l’attenzione delle Istituzioni sono state le ultime vicende che hanno interessato la Cooperativa Sociale Giovani in Vita diretta da Domenico Luppino:

  • in data 11 agosto presso i terreni sequestrati alla Famiglia Oliveri e ricadenti in agro del comune di Anoia, la Cooperativa ha subito il furto di un mezzo agricolo depositato all’interno di un capannone;
  • il 19 agosto incendiati alcuni alberi di ulivo di proprietà del direttore generale Domenico Luppino;
  • in data 25 agosto, di nuovo presso i terreni di Anoia, ennesimo atto intimidatorio con esplicita minaccia di morte nei confronti del direttore generale Domenico Luppino.

L’incontro di oggi, presso la sede della Cooperativa, ha posto in evidenza le difficoltà oggettive della Cooperativa nell’operare in un contesto non facile. Ricordiamo, infatti, che la cooperativa opera su territori confiscati alla ‘ndrangheta.

I rappresentanti istituzionali Viscomi e Roccisano hanno espresso la loro vicinanza al direttore e ad alcuni dei collaboratori presenti riconoscendo il valore etico e sociale dell’operato di Giovani in Vita; hanno inoltre mostrato interesse e disponibilità a valutare le possibili iniziative volte a tutelare chi opera su terreni confiscati alla ‘ndrangheta.

Finalmente una risposta da parte delle Istituzioni che hanno il Dovere di sostenere attivamente, e non solo formalmente, tutte quelle realtà tanto positive quanto fragili che affondano le proprie radici in un contesto che da sempre tende ad isolarle.

sabato 29 agosto 2015

Storia di una cooperativa sociale minacciata dalla mafia






27 agosto 2015: l'ennesima intimidazione. questa volta una minaccia di morte rivolta al direttore generare della Cooperativa Giovani in Vita, Domenico Luppino. 


 
 




La Cooperativa Sociale Giovani in Vita conta oggi 26 soci ed è nata nel nell'ambito del PON Sicurezza e Sviluppo nel Mezzogiorno d'Italia 2002-2006 come risultato di un progetto del Consorzio di nove comuni della Piana di Gioia Tauro denominato "Impegno Giovani" di cui faceva parte il comune di Sinopoli, allora amministrato da Domenico Luppino (oggi Direttore Generale della Cooperativa) e da questi fortemente voluta anche per dare una risposta concreta alle diverse intimidazioni subite da parte della criminalità organizzata.



La Cooperativa aveva ed ha come principale finalità il recupero di soggetti svantaggiati attraverso l'offerta di un'opportunità di lavoro sia nel settore agricolo, con la coltivazione e produzione sui terreni confiscati alla 'ndrangheta, sia nel campo dei servizi offerti anche e soprattutto ad altri imprenditori agricoli vittime della mafia che hanno difficoltà a reperire le maestranze disposte a lavorare sui loro terreni.   





La cooperativa opera su un totale di circa 700 ettari di terreni coltivati a uliveto, agrumeto e seminativo divisi tra confiscati, sequestrati o di proprietà di altre aziende agricole private. Risale al 2008 l’assegnazione dei primi terreni (circa trenta ettari) confiscati ad alcune famiglie malavitose dei comuni di Oppido Mamertina e Varapodio, entrambi in prov. di Reggio Calabria, e Limbadi (provincia di Vibo Valentia) e di Sinopoli stesso. La nostra scelta di offrire un'opportunità LEGALE di lavoro a uomini e donne del posto, ha da sempre riscontrato l'opposizione da parte di molte persone e talvolta anche da parte di taluni che, in maniera nemmeno tanto velata e seppur lontani dalla 'ndrangheta, ci hanno "suggerito" di "lasciar perdere" perché "contro certe realtà è una battaglia persa" (cit. testuale). Per non parlare poi dei vari attentati, furti, incendi e quant'altro, che la Cooperativa, e ancor più il direttore Luppino, hanno subito sistematicamente in oltre dieci anni di attività. 



L'idea che ci spinge, però, ad andare avanti sulla nostra strada, e anzi a cercare sempre nuove opportunità di crescita e miglioramento per il nostro territorio, è la convinzione che solo attraverso la creazione di occasioni di lavoro, alternative al profitto "facile" proposto dalle organizzazioni criminali, riusciremo ad essere uomini e donne veramente liberi, anzi, come ci piace dire...



uomini e donne ‘NDRANGHETA FREE



Ecco perché da alcuni anni, ormai, abbiamo intrapreso un nuovo impegno confezionando la marmellata prodotta con le arance, i limoni, le clementine e gli altri frutti dei terreni confiscati e l'imbottigliamento dell'olio, fino a poco tempo fa venduto sfuso all'ingrosso, realizzato con le olive raccolte nei terreni di Sinopoli, Oppido Mamertina e Limbadi.



Nonostante gli svariati tentativi di impedirci o quantomeno ostacolarci nel nostro lavoro, stiamo proseguendo con fermezza sulla nostra strada e stiamo portando avanti il nostro progetto. Anzi, il nostro impegno nella ricerca di nuove opportunità di lavoro per la crescita della Cooperativa stessa e quindi degli uomini e delle donne che la compongono, è sempre maggiore. Ecco perché da meno di un anno abbiamo aperto un nostro punto vendita a Firenze ed un altro è in fase di apertura a Messina; abbiamo anche avviato un laboratorio di pasticceria e prodotti da forno sempre a Firenze e stiamo collaborando con Associazioni, Cooperative e altre realtà pubbliche e private di rilevanza anche nazionale e internazionale.



Giovani in Vita, solo per parlare degli ultimi anni, si è resa promotrice di alcune importanti iniziative sociali quali la costituzione di una Rete di Imprese denominata Calabria Solidale (un progetto di Chico Mendes Coop. Scarl di Milano) – rete di produttori calabresi che promuovono i principi di legalità, trasparenza, solidarietà, rispetto del lavoro, tutela dell’ambiente e del territorio e che mette in relazione piccoli agricoltori di una delle regioni italiane con maggiori difficoltà di sviluppo con i consumatori solidali – e di una Cooperativa di Comunità (TENORCA Terre Normanne di Calabria) finalizzata al recupero dal rischio di estinzione di un intero Comune, quello di Arena in provincia di VV, e al recupero di una specie di legume, il fagiolo Zicca Janca, coltura che sta scomparendo; la sottoscrizione di un Patto di Collaborazione con la "Misericordia di Firenze" per la fornitura a titolo gratuito delle eccedenze alimentari e dei prodotti in scadenza per la redistribuzione alle persone in difficoltà; un accordo di collaborazione con Emergency, finalizzata alla fornitura di prodotti alimentari e al riconoscimento di una parte del ricavato delle vendite alla stessa Associazione; una collaborazione con l’Associazione "SOS Rosarno" finalizzata all'impiego di migranti africani ospiti della tendopoli di San Ferdinando.


La Cooperativa ha anche avviato rilevanti rapporti commerciali con realtà quali SIAF, importante azienda pubblico-privata specializzata nelle forniture per le mense scolastiche e ospedaliere, e CTM Altromercato, la principale organizzazione di fair trade presente in Italia (con circa 300 Botteghe del Mondo) e tra le principali a livello internazionale.




https://www.facebook.com/pages/Cooperativa-Giovani-In-Vita-RC/344764342204778?ref=aymt_homepage_panel

mercoledì 25 giugno 2014

Rosarno: il lavoro degli stagionali


 

Piana di Gioia Tauro, Calabria. Un viaggio che inizia tanti anni fa per documentare il lavoro di “Medici senza Frontiere” e che testimonia la quotidianità dei lavoratori stagionali, migranti e non solo: un posto caldo per dormire, un vestito smesso, qualche ora di lavoro sottopagato, ma pur sempre lavoro...

E una convivenza possibile tra immigrati - dall'Africa e dall'Europa dell'Est - e rosarnesi.

Tutto questo e molto di più nel documentario intitolato Rosarno di Greta De Lazzaris.

Abbiamo intervistato per voi la regista che ringraziamo.




Il progetto del documentario inizia nel 2003, prima che i fatti di cronaca rimbalzassero sui giornali: cos'è cambiato, in questi anni, sia nella vita dei migranti che riescono ad arrivare in Italia, sia nella mentalità degli italiani?

 

Per quello che riguarda Rosarno in particolare, purtroppo si può dire che nulla è cambiato. Se negli anni prima della “rivolta” i migranti vivevano nelle fabbriche abbandonate, nelle case abbandonate delle campagne, sotto i ponti, senza luce ne acqua, oggi vengono accolti nelle tendopoli installate dal Governo l’anno successivo agli scontri. Queste tendopoli, costosissime, sono poi state subito abbandonate dalle autorità e non sono più in grado di garantire le minime esigenze abitative e igieniche. Le tendopoli possono risolvere un emergenza, non possono diventare una soluzione definitiva di accoglienza. E comunque non ce ne sono abbastanza, molti ragazzi rimangono fuori. Quest’inverno ancora e’ morto di freddo un ragazzo della Liberia, aveva 32 anni e dormiva in una macchina. La mentalità degli italiani nel loro confronto non e’ cambiata.

Pero se nulla e’ cambiato, la rivolta a Rosarno e’ servita almeno a risvegliare le conscienze. C’è sicuramente più solidarietà oggi a Rosarno, che nel 2003 e vorrei sottolineare il lavoro enorme dell’associazione SOS Rosarno di Giuseppe Pugliese che segue i migranti a sempre.


Vogliamo ricordare i motivi per cui tante persone lasciano i propri Paesi d'origine? Da cosa fuggono e cosa cercano?


Sono semplicemente persone che fuggono dalle guerre, dalla povertà, dai regimi, dalle minaccie alle liberta individuali Ma in fondo, da cosa fuggono importa poco. Alcuni fuggono semplicemente dalla miseria, e anche se non sono vittime e non sono in reale pericolo fuggono da una vita che non lascia prospettive per il futuro come é giusto che sia.


Quali sono le considerazioni dei migranti che si ritrovano a lavorare come stagionali, in condizioni di sfruttamento? Chi si arricchisce con la fatica dei migranti?


I migranti tendono ad essere omertosi sulle loro condizioni di vità e di lavoro. Sono facilmente ricattabili, hanno paura, e sono spesso pronti alle peggiori umiliazioni pur di non dover tornare al pasese di origine. Ribellarsi è rischioso. Ci sono i caporali, la malavita, le minaccie. Chi si arrichisce é la grande distribuzione, le multinazionali, non certo il piccolo produttore, che, anche se diventando anche lui “sfruttatore” il suo malgrado, subisce la Politica agricola europea.


Nove anni per montare tutto il materiale ripreso dal 2003/2004: perchè tanto tempo? E quali sono le sue riflessioni su ciò che ha visto e sulle testimonianze raccolte?


Non ho impegnato nove anni per fare il film. L’ho lasciato da parte per tutto questo tempo. E stato un lavoro che ho covato per tanto tempo, un pò come la “rivolta” è stata covata per tanto tempo. Quando sono stata a Rosarno per la prima volta nel 2003, ero sicura che questa situazione sarebbe esplosa, ma me lo aspettavo molto prima, perche mi sembrava impossibile umanamente, resistere e soptavvivere in tali condizioni. Pero il motivo principale, che mi ha impedito di montare subito, è stato che mi sembrava che le immagini che ero riuscita a raccogliere, e quelle che mi era stato “consentito” di riprendere, erano troppo lontane ancora della crudelta quotidiana della quale sono stata testimone per 2 mesi.


Com'è la convivenza tra immigrati e rosarnesi, oggi?


Oggi, grazie anche al lavoro delle associazioni di volontari, ho citato ad esempio SOS Rosarno di Giuseppe Pugliese, la convivenza e nettamente migliorata. Ma i problemi gravi persistono. Rosarno è una città che soffre. È una citta nella quale la miseria della nostra economia globalizzata,si è venuta ad aggiungere ad una miseria pre-esistente.


domenica 20 ottobre 2013

Lea Garofalo: un'eroina contemporanea



E' Denise che ci invitati qui per dire Ciao alla sua mamma, e a lei vogliamo dare un forte abbraccio”, queste le parole di Don Ciotti in occasione del funerale civile per Lea Garofalo,
una cerimonia laica per la testimone di giustizia, ammazzata brutalmente il 24 novembre 2009 dal suo ex compagno e boss mafioso, Carlo Cosco.
Il corpo della donna fu ritrovato in un campo vicino a Monza, a novembre dello scorso anno e la figlia, Denise - ora in un luogo sconosciuto perchè soggetta ad un regime di protezione - ha voluto che il funerale fosse celebrato nella città di Milano perchè è qui che Lea si era rifatta una vita, scappando da Petilia Policastro (in provincia di Crotone) dove la sua famiglia gestiva gli affari della 'ndrangeta.
Le parole e le note delle canzoni di Vinicio Capossela, di Rino Gaetano, di Vasco Rossi; le bandiere colorate con il volto di questa eroina contemporanea; i cartelli che inneggiano alla giustizia e alla legalità: questi simboli e segnali di riconoscenza hanno abbracciato la salma della donna insieme a tantissime persone, di tutte le età, che hanno voluto darle l'ultimo saluto. E poi le letture, impressionanti, che restano come testamento morale e come mònito per tutti, come quella pagina di diario, datata 18 agosto 1992, in cui Lea scriveva: “ Non ho mai avuto affetto e amore da nessuno. Sono nata nella sfotuna e ci morirò. Oggi però ho la speranza per andare avanti e si chiama Denise. Avrà tutto quello che non ho mai avuto nella vita”.

Durante il funerale, che si è svolto ieri, sabato 19 ottobre 2013 in Piazza Beccaria, sono stati distribuiti dei segnalibri perchè, ha spiegato il sacerdote fondatore di Libera: “ Vogliamo riaffermare il potere dei segni contro i segni del potere. Il segnalibro riafferma l'importanza della cultura contro la mentalità mafiosa”. Il sacerdote, alla fine dell'incontro e con le lacrime agli occhi, ha gridato: “ Non basta parlare di verità, dobbiamo cercarla...Abbiamo tanto dolore dentro perchè non ce l'abbiamo fatta a salvarla” , ma sabato abbiamo preso tutti un impegno che è quello di non lasciare mai sola Denise e di ripartire per cercare di riaffermare non solo la verità, ma per combattere la “mafiosità” che, a volte, è anche dentro di noi, e troppo spesso si trova intorno a noi.
La voce di Denise rieccheggia nella piazza, una voce spezzata dal pianto che dice: “ Per me,oggi, è un giorno molto difficile, ma la forza me l'hai data tu, mamma. Se è successo tutto questo è solo per il mio bene e non smetterò mai di ringraziarti”.

martedì 2 aprile 2013

Una proposta in più per combattere il caporalato


Nel mese di luglio 2012 la Direttiva europea che dichiara guerra al caporalato è diventata legge. Con questo procedimento si vuole colpire il sistema organizzato di sfruttamento e di illegalità che lede la dignità di moltissimi lavoratori stranieri (e, in alcuni casi, anche italiani).
Il processo che ha portato all'approvazione della nuova norma risale a due anni fa quando - grazie alla ribellione di un gruppo di migranti nella cittadina di Rosarno, in Calabria - si arrivò all'arresto di una trentina di caporali e il problema emerse tra le notizie di cronaca e di politica.
Il decreto - presentato prima in Parlamento europeo e poi accettato dal Consiglio dei ministri italiano - prevede un inasprimento delle pene (che attualmente sono: arresto da tre mesi a anno, multa di 5.000 euro a lavoratore, sanzioni amministrative per l'imprenditore e espulsione per il lavoratore), ma riporta un'aggiunta significativa: la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno semestrale per gli immigrati che denunceranno i datori di lavoro nero. La norma riguarda, in particolare, gli assistenti agli anziani, le colf, gli operai, i muratori e i braccianti agricoli.
In questi giorni, a questo proposito, l'assessore comunale all'integrazione di Prato, Giorgio Silli, ha deciso di far affiggere, per le strade della città, un manifesto con una chiaro appello alla denuncia e utile per rompere il muro dell'omertà: “Le leggi italiane ti permettono di avere un permesso di soggiorno protetto se denunci lo sfruttamento”, questo il testo dei cartelli affissi.
L'idea è nata dopo che un cittadino cinese - gravemente infortunato durante il lavoro e abbandonato dal datore di lavoro - si era rivolto all'ufficio del Servizio Immigrazione del comune toscano per chiedere protezione. Un secondo cittadino, suo connazionale, si è fatto avanti, sostenendo di lavorare per 1 euro all'ora per turni di dodici ore, ovviamente senza alcuna garanzia. I manifesti verranno tradotti in diverse lingue e le denunce dovranno essere fatte in Questura.
Un'iniziativa che, forse, potrà realizzare il sogno di Jerry Essan Masslo: “Pensavo di trovare in Italia uno spazio di vita, una ventata di civiltà, un'accoglienza che mi permettesse di vivere in pace e di coltivare il sogno di un domani senza barriere né pregiudizi”, come si legge nella quarta di copertina del saggio intitolat Le Rosarno d'Italia. Storie di ordinaria ingiustizia, di Stefania Ragusa, edizioni Vallecchi.


mercoledì 20 marzo 2013

Il rogo di Cosenza: deceduti tre immigrati



All'inizio del mese di marzo è accaduto un fatto tragico, passato in sordina tra le notizie di cronaca: due uomini marocchini e una donna tunisina sono stati trovati morti carbonizzati in un casolare alla periferia di Cosenza, in Calabria.
Cercavano di vivere nell'edificio abbandonato, ormai da tempo utilizzato dai senzatetto e la causa del loro decesso è stata un allacciamento abusivo alla rete elettrica per far funzionare due piccole stufe con cui cercavano di riscaldarsi.
Viene subito da pensare anche a quei 13mila profughi del piano “Emergenza Nord Africa” che sono stati richiusi, per due anni, in alloggi privati senza alcun tipo di assistenza e che ora, alla fine del “piano”, sono stati liquidati con 500 euro e rischiano di ritrovarsi nelle stesse condizioni degli immigrati che hanno perso la vita a Cosenza.
Molte associazioni, operatori del volontariato e attivisti hanno organizzato un Sit-in di solidarietà verso queste persone che vivono in condizioni di estrema povertà, sventolando uno striscione con scritto: “ Milioni di euro per l'accoglienza agli immigrati e ancora si muore nelle case abbandonate. Vergogna.”
Il sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto, per l'occasione, ha parlato di “un momento di rispettosa riflessione e di insegnamento collettivo su quanto il senso di solidarietà debba avere per ognuno di noi una valenza di rilevante responsabilità individuale”, ma più incisive sono state le parole di un altro sindaco, quello di Acquaformosa, Giovanni Manoccio: “ ...Da anni conosciamo storie di pura disperazione di uomini, donne e bambini che hanno attraversato il deserto e poi il Mediterraneo con le zattere della morte alla mercè di uomini e di organizzazioni criminali disposte a tutto; abbiamo conosciuto le storie personali di tanti nostri fratelli africani, i loro sogni e le speranze dei loro bambini, la loro fragilità economica e sociale. E' difficile oggi, in presenza di una storia di povertà ed emarginazione, fare analisi politiche e sociali. E' difficile spiegare che la donna perita a Cosenza assieme a due uomini non è una profuga dell'emergenza Nord Africa della primavera 2012, bensì una donna che, assieme ai suoi figli, da circa 20 anni viveva nella precarietà più assoluta, con i figli anch'essi vittime della povertà e dell'emarginazione. Tutto ciò è una sconfitta di tutti noi. E' la sconfitta di una società che non riesce ad uscire fuori dalle paure e dagli egoismi, di una società che non include ma esclude chi sia povero o diverso o extracomunitario e che si accorge della sofferenza solo ed esclusivamente in questi momenti per poi rimuovere il tutto in poche ore. Quante parole si spenderanno in questi giorni?”.
E concludiamo con la frase di un immigrato senegalese, fermo davanti al casolare: “In Italia c'è chi perde tempo e chi muore”.