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lunedì 2 novembre 2015

Erdoğan, la guerra ai media




Di Enrico Campofreda (da Agoravox.it)



 
 
Mattinata d’occupazione a Istanbul al quartier generale della Koza İpek Holding’s media (quotidiani Bugün e Millet, più Bugün Tv e Kanaltürk). La polizia è giunta in forze alle quattro del mattino, s’è introdotta nell’edificio che ospita le redazioni, ha oscurato i canali televisivi (“cari telespettatori non sorprendetevi se fra poco vedrete la polizia nei nostri studi” annunciava il conduttore), impedito l’uscita dei giornali. Applicava un’ordinanza del tribunale che pone la struttura sotto la “tutela” di Turkuvaz Media Group, un editore filogovernativo che diventa fiduciario, e di fatto censore, del gruppo concorrente accusato di sostegno al terrorismo. I cronisti ancora presenti nelle redazioni sono diventati ostaggio degli agenti in borghese, mentre a quelli accorsi in sostegno veniva impedito l’accesso nel luogo di lavoro. Quando la tensione è salita sono stati bersagliati con gas lacrimogeni e urticanti e cannonate d’acqua assieme a decine di cittadini radunati per protesta sotto la sede. Mahmut Tanal, un avvocato del partito repubblicano, ha provato a mediare col capo dell’antisommossa presente in strada, non c’è stato nulla da fare. Agli scontri, peraltro sedati dopo non molto, sono seguiti fermi e arresti.
Il conflitto con l’apparato mediatico vicino al movimento gülenista Hizmet è in atto da tempo, ma non è l’unico perché nel mirino di Erdoğan c’è ormai ogni voce d’informazione che si smarca dal coro d’appoggio e propaganda al suo sistema di potere. Il recente rilascio del direttore del quotidiano Zaman, Bulent Kenes, è solo un diversivo, visto che l’attacco alla libertà di stampa è totale e senza precedenti. Ovvero riporta alla Turchia piegata dalla tipologia di dittatura militare e fascistoide del buio trentennio Sessanta-Ottanta. L’hanno sottolineato alcuni deputati del partito repubblicano che denunciavano la totale illegalità dell’azione poliziesca anche nei loro confronti, visto che gli è stato comunque impedito l’accesso all’edificio della holding dove s’erano recati per osservare quanto stesse accadendo. “Questo è stato di polizia” ha tagliato corto il parlamentare del Chp Barış Yarkardaş. Mancano quattro giorni all’apertura delle urne e il partito di maggioranza (Akp), che ha evitato volutamente qualsiasi tentativo d’accordo con altre formazioni, sceglie di giocarsi il tutto per tutto. Punta a recuperare terreno, per quanto i sondaggi non gli siano favorevoli. Dicono che rischia di subire un ulteriore calo di consensi dopo la flessione dello scorso giugno che l’ha privato di quegli ottanta deputati (ottenuti dall’Hdp, che riunisce filo kurdi e sinistra) con cui ambiva di trasformare la nazione in Repubblica presidenziale.
Il piano erdoğaniano sembra sfuggire di mano al presidente, lanciato in un’escalation di autoreferenzialità autoritaria. Ai suoi acuti repressivi o, come ritengono vari commentatori, in sintonia con essi, s’aggiungono le trame oscure che diffondono terrore. La repressione, di cui la quotidianità è costellata con persecuzioni e divieti, trova nella libertà d’espressione un bersaglio macroscopico, ma cerca vittime egualmente in oppositori e avversari politici: dai kurdi, guerriglieri e pacifisti alla Demirtaş, ai gruppi marxisti armati e non, agli ex alleati seguaci dell’autoesiliato imam Gülen. L’abisso della paura introdotta dalle bombe sposta lo scontro sul terreno psicologico, lo trasferisce su un livello nel quale solo la coscienza socio-politica unita alla forza d’animo di attivisti e militanti, votati peraltro a diventare bersagli, può tenere. Uno scontro impari, perché punta a creare defezioni fra i cittadini che reclamano democrazia e un’azione politica normale, basata sul dibattito, la dialettica, la critica. Nel delirio d’onnipotenza che caratterizza la sua azione Erdoğan cerca d’impedirlo. A ogni costo. Polarizza e spacca il Paese, non combatte il terrore, cavalca i timori, chiede una delega per andare avanti da solo contro tutti.
 
 

mercoledì 22 aprile 2015

Armenia: tra le polemiche, noi parliamo di cultura



Da quando Papa Francesco, in occasione della Santa Messa, ha ricordato la Storia del XX secolo, affermando che per il popolo armeno si deve parlare di genocidio, si sono scatenate le polemiche e la diplomazia. Durante la celebrazione il Pontefice ha detto: “ Anche oggi avvengono genocidi come quello contro gli armeni...La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come 'il primo genocidio del XX secolo; essa ha colpito il vostro popolo armeno, prima nazione cristiana, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci” e , a questa dichiarazione, si è poi aggiunta la voce del portavoce della sala stampa vaticana, Padre Lombardi, che ha voluto sottolineare che Papa Francesco: “ha fatto riferimento alla dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e Karekin, cioè ha usato il termine genocidio mettendosi in continuità con un uso già compiuto di quella parola, ha sottolinenato la contestualizzazione storica, ricordando che era uno di tante altre cose orribili successe nel secolo scorso e che stanno succedendo ancora”.

Importante ricordare che, proprio in questi giorni, il Parlamento europeo abbia approvato una risoluzione che riconosce il genocidio degli armeni e che sia stata istituita una giornata europea del suo ricordo.

Il Presidente turco, Yayyp Recep Erdogan, risponde a tutto questo ignorando la risoluzione europea e affermando che dietro ad essa ci siano “fanatismo culturale e religioso”, nonostante la Turchia sia, dal 2005, in negoziato per l'adesione all'Unione europea.



Ma noi preferiamo parlarvi della ricca e profonda cultura armena e lo facciamo segnalandovi le fiabe di Hovhannes Tumanian.



 



Tumanian nasce alla fine dell'800 nella famiglia di un sacerdote; tutta la sua opera è legata al folklore armeno dal quale ha attinto temi e personaggi che si possono paragonare a quelli delle favole e delle fiabe europee (Nazar ricorda Don Chichotte, Il re macina assomiglia a Il gatto con gli stivali). Ma la produzione letteraria di Tumanian è molto vasta: ha scritto saggi, poesie, racconti, ballate. E' stato impegnato sempre nel sociale e il suo è stato un apporto fondamentale nell'aiuto ai sopravvissuti al genocidio.

La raccolta italiana (con testo a fronte) delle sue fiabe si intitola “Nazar il prode”, dal titolo della fiaba più famosa, ed è a cura della Sinnos editrice per la collana Zefiro. I personaggi , come sempre avviene nelle fiabe, ricalcano valori e tipi umani: il ricco e il povero, l'umile e il potente, il coraggio e la viltà, la saggezza e l'ingenuità. Le storie, le avventure e le esperienze riportano ad una cultura antica e genuina. I testi sono arricchiti dalle coloratissime illustrazioni degli alunni del Centro di Educazione Artistica della città di Erevan, capitale dell'Armenia.

La cultura (l'arte, la letteratura, la musica) è parte integrante dell'identità armena, identità che si basa principalmente sulla religione e sull'alfabeto. Ecco l'importanza dei riferimenti continui alla fede cristiana e alla lingua, scritta e parlata. In appendice al testo è possibile trovare alcune informazioni interessanti sulla cultura e sulle tradizioni di questo piccolo-grande Paese.

venerdì 14 giugno 2013

La Turchia e il diritto di espressione



La notte tra, martedì e mercoledì scorso, è stata ancora una notte di scontri in Turchia.
I manifestanti sono per lo più giovani sotto i trent'anni e anche intellettuali che, in un primo momento, avevano speranto che Erdogan potesse rappresentare un buon compromesso tra le forze religiose e conservatrici e quelle laiche e filoccidentali. Ma ora si sono uniti alle voci del dissenso, soprattutto dopo che il Premier ha ribadito che il progetto urbanistico di Piazza Taksim - da cui è partita la rivolta - andrà avanti lo stesso. Linea dura confermata anche dal sindaco della città di istanbul, Huseyin Avni Mutlu, che ha affermato: “Continueremo ininterrottamente con le nostre misure, fino a quando elementi marginali saranno resi inoffensivi”. E le misure, fino alle tre dell'altra notte, sono state ancora i lanci di lacrimogeni, mentre, all'alba, i bulldozer hanno portato via i detriti e scardinato le barricate.Intanto la protesta continua anche ad Ankara e, come a Istanbul, la polizia ha reagito con lanci di gas e cannoni ad acqua.
Dall'inizio di questa situazione, il 31 maggio, si contano quattro persone decedute, centinaia di feriti e oltre 70 arresti, tra cui avvocati-attivisti che Erdogan ha definito “vandali” e “terroristi”.
Ma tutto questo ancora non è sufficiente. Il Consiglio Supremo della Radio e della Televisione (Rtuk) turco - un organismo di controllo nominato dal governo - ha deciso di multare le piccole tv che hanno trasmesso in diretta le manifestazioni, adducendo come motivazione, il fatto che: “Hanno danneggiato lo sviluppo fisico, morale e mentale di bimbi e giovani”.
Come sta reagendo, q tutto ciò, la comunità internazionale?
Gli Stati Uniti hanno espresso preoccupazione ed esigono il rispetto della libertà di espressione, di assemblea e di associazione, oltre ad di avere una stampa libera ed indipendente.
Il portavoce del Cancelliere tedesco, Steffen Seibert, ha affermato che: “Solo il dialogo può servire a calmare la situazione in modo duraturo”.
In Italia, il Ministro degli Affari esteri, Emma Bonino, ha sostenuto che Piazza Taksim non è come Piazza Tahrir, in Egitto, e che il nostro Paese vuole una Turchia pienamente democratica in Europa. Ha, inoltre, aggiunto: “ L'adesione della Turchia all'UE può avere un effetto benefico per il Paese. Nelle piazze e nelle strade si sta svolgendo un esame di maturità del governo turco” e sottolineato che, da parte della polizia turca, c'è stata una reazione sproporzionata alle manifestazioni in Gezi Park.

martedì 4 giugno 2013

Cosa succede in Turchia?


Cosa sta succedendo in Turchia in questi ultimi giorni?
Succede che il Comune di Istanbul ha deciso di cancellare il Gezi Parki, l'unica zona verde nel centro cittadino, per costrure un gigantesco shopping-mall, un centro commerciale, un “non-luogo” come Gilles Deleuze definiva questi edifici dedicati allo shopping sfrenato. Succede che il progetto sia già stato approvato ma - per paradosso - non sia ancora arrivato, invece , il permesso per l'abbattimento degli alberi e così, abusivamente, gli operai abbiamo iniziato a raderli al suolo lo stesso. Succede che, venerdì 31 maggio, cinquantamila manifestanti si siano rovesciati in piazza Taksim e dintorni per contestare questo progetto urbanistico e che siano stati attaccati dalla polizia.
Comitati di cittadini, singoli, personalità politiche, sindacati, esponeneti della cultura e dello spettacolo, forze di sinistra e correnti vicine all''islamismo: per la prima volta, tutti, tanti uniti per dichiarare il proprio dissenso nei confronti di questa decisione, che riguarda un bene pubblico e, più in generale, nei confronti delle politiche conservatrici del primo Ministro Recep Tayyip Erdogan, tra le quali si annoverano: la legge contro la vendita di alcolici dopo le 22 nei supermercati e la campagna di moralizzazione dei comportamenti pubblici.
La manifestazione contro la realizzazione del centro commerciale è iniziata con concerti improvvisati, danze, discorsi: un modo pacifico e democratico di esprimere, da parte dei cittadini, un parere su una decisione istituzionale. Molti hanno pronunciato frasi del tipo: “ Che il governo di dimetta”, sventolando bandiere e ritratti di Ataturk, padre della Repubblica laica moderna. Ma questa battaglia civile sta diventando sempre più politica (e manifestazioni antigovernative si stanno espandendo anche in altre città, quali Ankara e Smirne, anche grazie alla convocazione tramite i social network che erdogan ha definito “una minaccia per la società”.
La polizia ha attaccato i manifestanti di istanbul con manganelli, idranti e lacrimogeni; secondo Amnesty International ci sono stati oltre mille feriti, due morti e altri sono in pericolo di vita per ferite alla testa. Il portavoce della Ong, Riccardo Noury, ha infatti affermato: “ Pretendiamo dal Ministero della Sanità turco informazioni precise sul numero di persone rimaste ferite negli scontri e lanciamo un appello perchè ci sia uno stop nell'uso di gas lacrimogeni che sono la causa principale delle ferite riportate dai manifestanti”.
Da domenica la protesta ha cambiato registro: è diventata una protesta sonora. Le piazze e le strade di Istanbul, Ankara e Smirne sono state invase da automobilisti che hanno suonato il calcson ripetutamente, mentre sui balconi delle case le persone sbattevano pentole e coperchi. Suoni, parole, ma non la violenza.