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domenica 12 luglio 2015

Sarajevo al centro della Storia e dell'Europa




In questo periodo sta girando nelle sale italiane un film interessante, che riporta al centro della memoria e della riflessione la città di Sarajevo e quell'area balcanica di cui poco si parla, ma che è stata ed è ancora al centro della Storia europea e non solo.


I ponti di Sarajevo è un'opera collettiva che ha visto al lavoro molti registi italiani e stranieri: Aida Becìc con il suo “Album”; Leonardo di Costanzo e “ L'avamposto”; Jean Luc Godard ha diretto “ Les ponts des souspirs”; Kamen Kalev di “Ma chére nuit”; Isild Le Besco con “Little boy”; Sergei Loznistsa e “Reflexions”; Vincenzo Marra regista de “Il ponte”; Ursula Meier di “ Silence mujo”; Vladimir Perisic con “Our Shadows will”; Cristi Puiu con “”Revellion”; Angela Schanelec regista di “Princip, Texte”; Marc Recha che ha diretto “Zan's journey”; e Teresa Villaverde con il suo “Sara et sa mére”.
I tredici autori, coordinati dal giornalista e storico del cinema Michel Frodon, accompagnano gli spettatori nella città dove, il 28 giugno 1914, fu assassinato l'arciduca Francesco Ferdinando, erede dell'impero austro-ungarico: l'episodio è considerato la causa scatenante della Prima Guerra Mondiale. Questo momento del Passato apre la narrazione con il cortometraggio di Kalev e con la parte intitolata L'avamposto di Di Costanzo in cui viene denunciata la follia della guerra e l'ingiustizia della logica militaresca; l'unica regista della Bosnia Erzegovina, Aida Begìc, sfoglia l'album della città nell'arco di quei cento anni che separano la Grande Guerra e il Presente; un lungo piano sequenza, anche dalle tinte leggere, caratterizza l'opera di Cristi Puiu che, spostandosi con la cinepresa da un albero di Natale verso la camera da letto di due anziani coniugi, affronta il tema della xenofobia.

Questi solo alcuni esempi dei registri e della sensibilità con cui gli autori, partendo dalla stessa città, hanno creato un ponte tra Europa occidentale ed Europa orientale. Gli episodi cinematografici sono legati dai disegni di Francois Schuiten che, poeticamente, raffigurano mani intrecciate. I ponti – fisici e mentali – si possono costruire ed abbattere; le mani accarezzano o usano violenza. L'intento di questo film è quello di ricostruire speranza, collettività, rispetto sulle macerie di quella parte del nostro continente ancora ferita.





Dedichiamo questo post ai cittadini di Srebrenica, ricordando che quest'anno ricorre il 20mo anniversario del massacro di Srebrenica che è stato, a tutti gli effetti, un atto di genocidio e crimine di guerra avvenuto durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina.

Migliaia di musulmani bosniaci furono uccisi l'11 luglio 1995 da parte delle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladić, con l'appoggio dei gruppi paramilitari guidati da Željko Ražnatović[5], nella zona protetta di Srebrenica che si trovava al momento sotto la tutela delle Nazioni Unite.


giovedì 4 giugno 2015

Democrazia, libertà e violenza




L'Associazione per i Diritti Umani parteciperà al dibattito sul film Il fondamentalista riluttante, della regista Mira Nair nell'ambito del cineforum intitolato “Democrazia, libertà e violenza: Le contraddizioni della società plurale” organizzato dall' Università Milano Bicocca. L'iniziativa è promossa e organizzata dal Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale. Ore 14.30 presso Auditorium “Guido Marinotti”, Via Vizzola, 5 Milano.
 






I prossimi appuntamenti delle proiezioni e dei dibattiti saranno: 9 luglio con il film A come Srebrenica di Roberta Biagiarelli; 8 ottobre L'Onda di Dennis Gansel; 17 novembre Reducted di Brian De Palma; La corte di babele di Julie Bertuccelli. Ore 15.30, sempre presso Auditorium Marinotti.



L'iniziativa prevede anche incontri di approfondimento, anche perchè nasce subito dopo l'attentato alla redazione di Charlie Hebdo a Parigi. I seminari proposti muovono da una riflessione che vuole andare oltre la “questione islamica” per focalizzarsi, invece, sul “vivere insieme” e su come sia possibile costruire davvero una società plurale e rispettosa di tutti. Alcuni seminari di approfondimento saranno:



9 luglio ore 10.30 in occasione del 20mo anniversario del genocidio di Srebrenica e del 100mo anniversario del genocio degli armeni: Il genocidio del secolo breve. Comprendere l'incomprensibile. Edificio U6, aula Martini



16 settembre ore 14.30: La società plurale oltre la tolleranza

Edificio U6, aula Martini



Libertà di espressione e rispetto delle religioni: le forme di auto-limitazione nelle democrazie liberali, ore 14.30

Edifizio U6, aula Martini





L'Associazione per i Diritti Umani vi terrà informati (anche sulla sua partecipazione ad altri incontri di questo bel programma), ma per ulteriori informazioni scrivere a:



seminari@interdipartimentali2015@unimib.it

mercoledì 22 aprile 2015

Armenia: tra le polemiche, noi parliamo di cultura



Da quando Papa Francesco, in occasione della Santa Messa, ha ricordato la Storia del XX secolo, affermando che per il popolo armeno si deve parlare di genocidio, si sono scatenate le polemiche e la diplomazia. Durante la celebrazione il Pontefice ha detto: “ Anche oggi avvengono genocidi come quello contro gli armeni...La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come 'il primo genocidio del XX secolo; essa ha colpito il vostro popolo armeno, prima nazione cristiana, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci” e , a questa dichiarazione, si è poi aggiunta la voce del portavoce della sala stampa vaticana, Padre Lombardi, che ha voluto sottolineare che Papa Francesco: “ha fatto riferimento alla dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e Karekin, cioè ha usato il termine genocidio mettendosi in continuità con un uso già compiuto di quella parola, ha sottolinenato la contestualizzazione storica, ricordando che era uno di tante altre cose orribili successe nel secolo scorso e che stanno succedendo ancora”.

Importante ricordare che, proprio in questi giorni, il Parlamento europeo abbia approvato una risoluzione che riconosce il genocidio degli armeni e che sia stata istituita una giornata europea del suo ricordo.

Il Presidente turco, Yayyp Recep Erdogan, risponde a tutto questo ignorando la risoluzione europea e affermando che dietro ad essa ci siano “fanatismo culturale e religioso”, nonostante la Turchia sia, dal 2005, in negoziato per l'adesione all'Unione europea.



Ma noi preferiamo parlarvi della ricca e profonda cultura armena e lo facciamo segnalandovi le fiabe di Hovhannes Tumanian.



 



Tumanian nasce alla fine dell'800 nella famiglia di un sacerdote; tutta la sua opera è legata al folklore armeno dal quale ha attinto temi e personaggi che si possono paragonare a quelli delle favole e delle fiabe europee (Nazar ricorda Don Chichotte, Il re macina assomiglia a Il gatto con gli stivali). Ma la produzione letteraria di Tumanian è molto vasta: ha scritto saggi, poesie, racconti, ballate. E' stato impegnato sempre nel sociale e il suo è stato un apporto fondamentale nell'aiuto ai sopravvissuti al genocidio.

La raccolta italiana (con testo a fronte) delle sue fiabe si intitola “Nazar il prode”, dal titolo della fiaba più famosa, ed è a cura della Sinnos editrice per la collana Zefiro. I personaggi , come sempre avviene nelle fiabe, ricalcano valori e tipi umani: il ricco e il povero, l'umile e il potente, il coraggio e la viltà, la saggezza e l'ingenuità. Le storie, le avventure e le esperienze riportano ad una cultura antica e genuina. I testi sono arricchiti dalle coloratissime illustrazioni degli alunni del Centro di Educazione Artistica della città di Erevan, capitale dell'Armenia.

La cultura (l'arte, la letteratura, la musica) è parte integrante dell'identità armena, identità che si basa principalmente sulla religione e sull'alfabeto. Ecco l'importanza dei riferimenti continui alla fede cristiana e alla lingua, scritta e parlata. In appendice al testo è possibile trovare alcune informazioni interessanti sulla cultura e sulle tradizioni di questo piccolo-grande Paese.

domenica 30 marzo 2014

Genocidio Rwanda: per parlare alle nostre coscienze



Sono trascorsi vent'anni dal genocidio e da una guerra civile che fece circa un milione di vittime in Rwanda: una corte di Parigi ha emesso la prima sentenza nei confronti dell'ex capo dell'intelligence del governo ruandese dell'epoca e capitano della guardia presidenziale, Pascal Simbikangwa, condannandolo a 25 anni di carcere per complicità in genocidio e crimini contro l'umanità.

Noi vogliamo riportare alla memoria quel genocidio con la recensione di un libro: Nostra Signora del Nilo di Scholastique Mukasonga (uscito in Italia il 20 febbraio per i tipi di 66thand2nd), libro che ha ottenuto il premio Ahmadou Kourouma al Salone del libro di Ginevra e, nel novembre 2012, il premio Renaudot. 

Nostra signora del Nilo è il nome di un istituto scolastico, di un liceo femminile situato non lontano dal Grande fiume dove si erge la statua della Madonna nera. Siamo in Rwanda, negli anni'70, e in quell'istituto studiano allieve, spesso figlie di uomini potenti: avvocati, ministri, uomini d'affari. Intorno a quell'istituto si muovono, le suore, la madre superiora e il cappellano, ma anche il sindaco della città di Nyaminombe e le guardie comunali che insegnano e predicano alle ragazze i valori dell'onestà, della purezza e della castità. Gloriosa, Frida, Goretti, Godelive, Immaculée: questi i nomi di alcune di loro, ma nel gruppo, ci sono anche Virginia e Veronica, due giovani di etnia tutsi, ammesse alla scuola grazie alla quota “concessa” dagli hutu, l'etnia dominante. 


Un anno scolastico è un'occasione di confronto (o di scontro): un'impudenza, infatti, sfocerà nell'odio razziale è sarà uno dei primi segnali che porteranno al genocidio del 1994, nel periodo tra aprile e luglio, quando gli estremisti hutu, per preservare il loro potere, organizzarono l'immenso massacro.

Le ore di religione erano ovviamente affidate a padre Herménégilde. A suon di proverbi, dimostrava che i ruandesi avevano sempre adorato un unico Dio, un Dio che si chiamava Imana e che somigliava come un fratello gemello allo Jahvè degli ebrei della Bibbia. Gli antichi ruandesi erano, senza sapere di esserlo, dei cristiani che aspettavano con impazienza l'arrivo dei missionari per farsi battezzare, ma il diavolo era giunto a corrompere la loro coscienza”: questo è un brano del romanzo, scritto con un linguaggio semplice, ma efficace, che ripercorre la Storia passata e recente di un Paese sempre dilaniato da conflitti interetnici e religiosi e lacerato dal colonialismo.

Un testo che racconta di una terra bellissima su cui gli Uomini hanno seminato razzismo e sopraffazione, rabbia e fanatismo: ma una speranza, nel racconto, c'è e si chiama solidarietà.


lunedì 27 gennaio 2014

Un genocidio quasi dimenticato

In attesa dell'importante intervista che pubblicheremo domani, oggi - in occasione della Giornata internazionale della Memoria - vi riproponiamo due video sul genocidio degli armeni, per ricordare, oltre all'Olocausto degli ebrei, anche altri drammi che hanno , purtroppo, segnato il '900.
I due filmati - interessanti sia dal punto di vista del contenuto sia da quello artistico - sono stati realizzati da un ragazzo che frequenta la scuola media, in onore della sua nonna armena: per conoscere, per capire, per divulgare la Storia. Storia che appartiene a tutti.


(Ricordiamo che tutti i nostri contributi video sono anche disponibili sul canale dedicato YOUTUBE dell'Associazione per i Diritti Umani)

venerdì 20 settembre 2013

Un genocidio dimenticato

Quest'estate abbiamo conosciuto Pietro, un ragazzino che frequenta una scuola media di Milano. La mamma di Pietro ha origini armene e lui ha voluto approfondire una parte di Storia poco studiata e riportare alla memoria collettiva il dramma di un genocidio dimenticato. Pietro ha realizzato un interessantissimo lavoro audiovisivo per la sua scuola e ha voluto condividerlo con noi. 
Ringraziamo tanto Pietro e la sua famiglia.
Questo materiale è pubblicato anche sulla pagina Youtube dell'Associazione per i Diritti Umani









domenica 24 marzo 2013

Il genocidio ignorato degli hazara in Pakistan


Dopo più di un secolo di crimini sistematici come il genocidio, la schiavitù, gli abusi e le violenze sessuali, i crimini di guerra e le discriminazioni, essere Hazara appare ancora oggi un crimine in Paesi come l’Afghanistan e il Pakistan. Solo Sabato 16 Febbraio 2013, infatti, più di trecento uomini, donne e bambini sono stati uccisi o feriti in un attacco terroristico nella città di Quetta. Questo attacco segue un altro attentato avvenuto il 10 Gennaio nella stessa città, attacco che ha provocato la morte di più di cento persone. In questi ultimi anni, più di mille persone appartenenti all’etnia Hazara sono state uccise in simili attacchi organizzati in questo Paese. Oggi, nella loro stessa terra, in Afghanistan, le persone appartenenti a quest’etnia non sono al sicuro.
Attraverso la conferenza che si è tenuta a Bologna il 17 marzo scorso, organizzata dalla Rete Internazionale del Popolo Hazara, si è cercato di capire cosa sta accadendo in quell'area del mondo.
Innanzitutto bisogna partire - come ha sottolineato la giornalista Laura Silvia Battaglia nel suo intervento - da un'informazione corretta. I giornalisti devono documentarsi meglio, studiare e, possibilmente, conoscere le persone e le situazioni di cui scrivono o parlano perchè solo la conoscenza può aiutare a capire le cose.
In particolare, questo discorso vale per la stampa italiana che non si occupa mai abbastanza di politica internazionale e, per quanto riguarda, ad esempio, la politica interna riguardo al tema dell'immigrazione, ne parla sempre in termini di “sicurezza”. Per questi motivi, in Italia, non si hanno molte notizie certe sulla situazione in Afghanistan o in Pakistan e, in rete, si trovano spesso soltanto informazioni scritte in inglese.
Chi riporta le informazioni da quei paesi si dimentica che, al loro interno, ci sono realtà etniche diversissime e che questa diversità non poggia soltanto su motivazioni religiose, ma anche su vicende storiche e disuguaglianze culturali; dimenticando questo, le varie etnie spariscono dalle cartine geografiche, dai discorsi geopolitici e dal mondo dell'informazione. La giornata organizzata dalla Rete Internazionale del Popolo Hazara aggiunge alcuni tasselli di conoscenza e di approfondimento per colmare questi vuoti, queste lacune.
Adelaide Zambusi, coordinatore regionale presso UNHCR Italia, ha ricordato che:
Costituiscono genocidio, secondo la definizione adottata dall'ONU, "Gli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso". Anche la sottomissione intenzionale di un gruppo a condizioni di esistenza che ne comportino la scomparsa sia fisica sia culturale, totale o parziale, è di solito inclusa nella definizione di genocidio.
Il termine, derivante dalla greco γένος (ghénos razza, stirpe) e dal latino caedo (uccidere), è entrato nell'uso comune ed ha iniziato ad essere considerato come un crimine specifico, recepito nel diritto internazionale e nel diritto interno di molti Paesi.
L' 11 dicembre 1946, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite riconobbe il crimine di genocidio con la risoluzione 96 come "Una negazione del diritto alla vita di gruppi umani, gruppi razziali, religiosi, politici o altri, che siano stati distrutti in tutto o in parte". Il riferimento a "gruppi politici", un'aggiunta rispetto alla proposta di Lemkin, non era gradito all'Unione Sovietica, che fece pressioni per una formulazione di compromesso. Nel dicembre del 1948 fu adottata, con la risoluzione 260 A (III), la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio che, all'articolo II, definisce il genocidio come:
Uno dei seguenti atti effettuato con l'intento di distruggere, totalmente o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale:

  • Uccidere membri del gruppo;
  • Causare seri danni fisici o mentali a membri del gruppo;
  • Influenzare deliberatamente le condizioni di vita del gruppo con lo scopo di portare alla sua distruzione fisica totale o parziale;
  • Imporre misure tese a prevenire le nascite all'interno del gruppo;
  • Trasferire forzatamente bambini del gruppo in un altro gruppo.

Basir Ahang, giornalista e attivista dei Diritti Umani, ha, invece, sottolineato che questo incontro è stato organizzato anche: “... per il diciottesimo anniversario dell'assassinio di Baba Mazari, l'uomo che perse la sua vita perché credeva nell'uguaglianza e nella giustizia per tutti i cittadini dell'Afghanistan, l'uomo che desiderava che l'essere Hazara non rappresentasse più un crimine. Per due secoli gli Hazara hanno vissuto diversi tipi di crimine come il genocidio, la pulizia etnica, la schiavitù e l'emigrazione forzata. Io non capisco come mai il genocidio degli Hazara venga ignorato dai principali mezzi di comunicazione. I giornali non se ne occupano quasi mai e quando lo fanno parlano di uccisione di sciiti e non di uccisione di Hazara. Ancora non so se questa politica dell'informazione sia da attribuire a un qualche tipo di falsificazione o semplicemente all'ignoranza. Forse non sanno che il motivo per il quale gli Hazara vengono uccisi dai terroristi sia in Pakistan che in Afghanistan è proprio il fatto che loro sono Hazara, facilmente distinguibili dagli altri per via dei loro tratti asiatici. Gli Hazara non vogliono ricorrere alle armi, alla violenza e alla guerra perché credono ancora che il miglior modo di trovare la pace sia la tolleranza e perché pensano che il miglior modo per convivere con gli altri sia accettarsi e rispettarsi reciprocamente. Oggi siamo qui per parlare di tutto questo, siamo qui per dire che anche gli Hazara fanno parte della società umana ed hanno il diritto di vivere in pace. Siamo qui anche per chiedere ai nostri amici italiani di esserci a fianco proprio come oggi, in questa ricerca della pace”.
Terminiamo con la lettera aperta che i poeti di tutto il mondo hanno scritto al Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, al Presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso e al Presidente degli Stati Uniti Barack Obama:
Egregi Signori,
Dopo più di un secolo di crimini sistematici come il genocidio, la schiavitù, gli abusi e le violenze sessuali, i crimini di guerra e le discriminazioni, essere Hazara appare ancora oggi un crimine in paesi come l’Afghanistan e il Pakistan. Solo Giovedì 10 Gennaio 2013, infatti, più di cento Hazara sono stati uccisi in un attacco terroristico nella città di Quetta, in Pakistan. In questi ultimi anni, più di mille persone appartenenti all’etnia Hazara sono state uccise in simili attacchi organizzati nello stesso paese.
Oggi, nella loro stessa terra, in Afghanistan, le persone appartenenti a quest’etnia non sono al sicuro. Ogni anno sono esposte agli attacchi dei Kuchi afghani che godono del supporto dei Talebani e del governo afghano. Le loro strade vengono bloccate da Talebani armati, le loro auto vengono fermate e i passeggeri uccisi. Nel centro dell’Afghanistan, dove una gran parte della popolazione Hazara è marginalizzata, non hanno nemmeno accesso a diritti basilari. Ancora oggi essi sono esposti agli attacchi dei Talebani. Il risultato è che circa un milione di Hazara sono fuggiti in numerosi paesi come rifugiati o richiedenti asilo, il più delle volte vivendo in terribili condizioni umane e psicologiche.
La popolazione indigena Hazara rappresentava circa il 67% della popolazione dell’Afghanistan prima del XIX Secolo. Nel corso di questo secolo hanno sofferto il genocidio e la schiavitù e sono stati obbligati con la violenza ad abbandonare le loro terre, situate nel sud del moderno Afghanistan. Più del 60% di questa popolazione venne uccisa e migliaia di loro furono venduti come schiavi.
L’intera storia del XX secolo in Afghanistan è stata contrassegnata dalle uccisioni e dalle discriminazioni nei confronti di questo popolo. Il 10 e 11 Febbraio 1993 in un’area di Kabul chiamata Afshar, il governo dei Mujaheddin e i suoi alleati massacrarono migliaia di donne, uomini e bambini di etnia Hazara. Nell’Agosto del 2008, inoltre, i Talebani uccisero più di 10 000 Hazara nella città di Mazar-i-Sharif. Simili massacri si diffusero velocemente anche in altre parti del paese. La distruzione di simboli e patrimoni artistici e culturali Hazara, nonché la creazione e diffusione di un falso percorso storico attribuito loro, sono state altre strategie adottate, oltre ai già sopracitati crimini, al fine di eliminare l’esistenza di quest’etnia.
Per esempio nel Marzo del 2001, come è noto, i Talebani distrussero le antiche statue di Buddha a Bamiyan, simboli della storia e della cultura Hazara, nonché uno dei capolavori più importanti del patrimonio dell’umanità. Tale è la storia di questi ultimi due secoli di crimini contro il popolo Hazara.
Per queste ragioni, noi poeti di tutto il mondo dichiariamo la nostra solidarietà al popolo Hazara e chiediamo ai leader di tutto il mondo di tenere in considerazione i seguenti punti al fine di assicurare la sicurezza e la salvaguardia del popolo e della cultura Hazara:

1. Dichiarare uno stato di emergenza riguardante la situazione degli Hazara autorizzato dalla Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio.
2. Esercitare pressione sul governo dell’Afghanistan e sul governo del Pakistan, richiedendo la cessazione immediata degli atti di discriminazione contro gli Hazara, nonché la cessazione del loro supporto a gruppi terroristici.
3. Richiedere agli Stati parte della Convenzione sui rifugiati la protezione dei richiedenti asilo Hazara e la concessione del diritto d’asilo.
4. Istituire una Commissione internazionale di verità che indaghi sui crimini contro il popolo Hazara.
5. Aprire un’indagine presso le Corti e i Tribunali Internazionali come ad esempio la Corte Penale Internazionale.
6. Richiedere alle truppe internazionali presenti in Afghanistan di assicurare la sicurezza delle persone di etnia Hazara.
7. Richiedere ai media internazionali di riferire ed indagare sui crimini e le violenze contro il popolo Hazara in Pakistan e in Afghanistan.








martedì 19 marzo 2013

A teatro per Una cena armena



Da un anno è in scena, nei teatri italiani, lo spettacolo intitolato Una cena armena, a cui sarà possibile assistere dal 21 al 23 marzo al Teatro Tieffe-Menotti di Milano.
Il testo della pièce - prodotta da Màlbeck Teatro e Compagnia della Luna - è scritto da Paola Ponti con la consulenza dell'artista armena Sonya Orfalian autrice del volume “La cucina d'Armenia. Viaggio nella cultura culinaria di un popolo”, contenente un centinaio di ricette, frutto di una lunga ricerca storica ed etnografica.
La regia è di Danilo Nigrelli, sul palco insieme a Rosa Diletta Rossi. Sono loro due, infatti, i protagonisti: un uomo, Aram e una ragazza, Nina.
Una tempesta di neve costringe la giovane donna a chiedere rifugio nella casa dell'uomo, forse un caso o forse no. Ma quell'abitazione, all'apertura del sipario, è disabitata. Un tappeto di abiti, disposti per terra con cura; corde appese a tiranti colorati che pendono dall'alto a diverse altezze; come cadono dall'alto anche alcune valigie, una è aperta, ma anch'essa vuota. 
Il vuoto è proprio il tema principale del racconto, un vuoto che i due personaggi cercano di riempire, a fatica, con i loro ricordi, con la loro irrequietezza. Un vuoto lasciato dal genocidio del popolo armeno per mano dei turchi, nel 1915. Un pezzo di storia relativamente recente, che molti ancora non conoscono e largamente rimossa dalla diplomazia internazionale.
La notte sogno di cucinare prelibatezze e di portarle nel deserto, dove facevano camminare i prigionieri”, dice Aram; “Gli uccelli. Qualcuno c'era a vegliare i morti. Le rondini hanno visto”, dice Nina: sì, perchè Aram e Nina, in realtà, hanno un Passato comune: lui vuole riportarlo alla Memoria e lei è desiderosa di capire. Lui, figlio della diaspora armena e lei, sua nipote.
Il racconto è diviso in quadri intervallati da brevi stacchi musicali; il testo è coraggioso e viene accompagnato da una regia coinvolgente che restituisce la tensione emotiva delle due generazioni a confronto. I dialoghi frammentati sottolineano la paura di riaprire le ferite, ma insieme, l'urgenza di guardare l'orrore per non ripeterlo.

martedì 22 gennaio 2013

Proibire le colture alimentari sui terreni avvelenati dalla camorra

La criminalità organizzata sta perpetrando un genocidio per aver sversato tonnellate di rifiuti tossici nelle campagne di molte province campane e non solo.

Migliaia sono le persone che si ammalano e muoiono per aver ingerito cibi contaminati dalle acque di falda di queste zone.


Firmando questa petizione chiederai al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, ai Ministri dell'Interno, delle Politiche Agricole, dell'Ambiente e della Salute di 

• individuare le aree insistenti sulle falde acquifere compromesse
• delimitare le aree siti di discariche legali e di sversamenti abusivi garantendo che all'interno della distanza di sicurezza sia impedita la coltivazione agricola
• destinare i terreni insistenti sulle falde acquifere compromesse e limitrofi a siti di discariche legali e di sversamenti abusivi, alle sole colture non alimentari come canapa, sugherete, faggete per la produzione di carta e qualsiasi altra coltivazione compatibile con il clima del territorio
• rendere disponibili fondi europei per incentivare, in collaborazione con le organizzazioni agricole, i proprietari dei terreni alla coltivazione di prodotti non alimentari, e operando per costituire l'indispensabile filiera produttiva.

L'introduzione di questo limite servirà a salvare in futuro molte vite umane, che inconsapevolmente acquistano e consumano prodotti ortofrutticoli provenienti da coltivazioni attigue a discariche, legali o abusive, irrigate con l'acqua di falde irreversibilmente contaminate.

La norma potrà inoltre agire da deterrente nei confronti di chi, dietro offerta di denaro, accetterà di ospitare sui propri terreni nuove discariche abusive. 

Per firmare la petizione, potete andare sul sito www.change.org