Visualizzazione post con etichetta Mali. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Mali. Mostra tutti i post

sabato 12 dicembre 2015

Stay human, Africa: il terrorismo in Mali


di Veronica Tedeschi
 

Il 20 novembre, ad una settimana esatta dopo la strage di Parigi, alcuni uomini armati hanno fatto irruzione all’Hotel Radisson blu di Bamako, la capitale del Mali. L’albergo è il più famoso della città e da sempre è frequentato da diplomatici e uomini d’affari occidentali; al momento dell’attacco l’hotel era pieno per il 90% della sua accoglienza totale, con circa 140 clienti e 30 dipendenti.

Dopo un assedio di otto ore, le forze di sicurezza maliane e internazionali sono intervenute per liberare i cento ostaggi; il bilancio è di 22 persone morte, compresi gli assalitori.

La rivendicazione dell’attacco è stata fatta dal gruppo Mourabitoun, affiliato ad Al Quaeda e che si sarebbe recentemente unito all’Isis.

Il presidente Boubacar Keïta, ha condannato “Nella maniera più ferma possibile, questo atto barbaro che non ha niente a che vedere con la religione”. Il presidente francese, Francois Hollande, ha dichiarato: “Dobbiamo dimostrare la nostra solidarietà al Mali, un Paese amico” e ha invitato i francesi a Bamako a raggiungere l'ambasciata e a mettersi al sicuro, e tutti i cittadini francesi nei Paesi a rischio ad adottare precauzioni. 




Il Mali, purtroppo non è nuovo ad attacchi del genere, nonostante non se ne senta parlare in Occidente; in passato gli attacchi degli estremisti islamici erano concentrati nel nord del Paese ma a partire dal 2015 si sono diffusi anche al centro e poi al sud, fino ad arrivare al confine con la Costa d’Avorio e il Burkina Faso.

Nel mese di marzo Bamako è stata ancora una volta la protagonista di un attentato in un ristorante nel quale sono morte cinque persone.

Il 10 giugno scorso, uomini armati hanno attaccato le forze di sicurezza a Misseni, città al confine con la Costa d’Avorio e, infine, ad agosto è stata attaccata la città di Sévaré, nella regione di Mopti, a nordest di Bamako.

Solo nel 2015 gli attentati in Mali sono, quindi, stati quattro ma le violenze nell’ex colonia francese sono cominciate già nel 2013 quando i soldati tuareg sono tornati nel nord del Paese dopo la guerra in Libia, creando un movimento nazionale con lo scopo di combattere il governo di Bamako e conquistare l’indipendenza della regione settentrionale dell’Azawad. Questo conflitto ha portato ad un colpo di Stato e, infine, alla proclamazione dell’indipendenza dell’Azawad nell’aprile del 2012.

Il susseguirsi di violenze ha causato l’intervento delle truppe francesi e africane.

Ad oggi, in Mali, sono quindi presenti truppe francesi, malesi, internazionali e tedesche. Il 25 novembre, infatti, anche la Germania ha annunciato l’invio di 650 soldati a sostegno della missione francese in Mali.
 
 




Nel mirino dell’interesse internazionale è ora presente l’ex colonia francese, ma vedere nell’aumento degli attacchi terroristici in Mali solo un altro pezzo del puzzle del terrorismo islamico sarebbe un errore. L’aumento di gruppi nel Paese è soprattutto il prodotto di condizioni storiche locali e non di un’ideologia imposta dall’esterno. Il terreno è fertile in Mali, come nel resto dell’Africa, per il reclutamento di chi vuole la violenza.

Gli stati africani, già alla prese con la povertà e gli esperimenti di democrazia, non dispongono dell’arsenale e delle competenze in materia di sicurezza per opporre la resistenza necessaria a tentativi di condizionamento.


Dopo l’11 settembre americano e il 13 novembre francese nessuno è al sicuro dal terrorismo?

Forse sì, ma ci sono molti motivi per dubitarne.  La vulnerabilità di un Paese varia in base al livello di sviluppo dello stesso, al suo grado di organizzazione e reattività dei servizi di intelligence.

Per comprende meglio questo concetto, basta pensare alla situazione della Somalia, la quale non riesce a stare a galla di fronte alla minaccia del gruppo jihadista Al Shabab; stiamo parlando di uno stato fallito a causa della lunga guerra civile che l’ha invaso per anni, di uno stato corrotto e non in grado di proteggere la sua popolazione.

La situazione in Mali non può essere paragonata a quella somala ma entrambi questi stati hanno alla base molta debolezza e necessità di aiuti esterni tanto da rendere i rispettivi governi vulnerabili a violenze e attacchi esterni.


 

sabato 22 agosto 2015

La ricostruzione dei mausolei in Mali




di Veronica Tedeschi




Il 19 luglio è stata completata la ricostruzione di otto mausolei di Timbuctù (in Mali) andati distrutti nel 2012. Il progetto di restauro è stato coordinato dall’Unesco (l’Agenzia Onu per l’educazione, la scienza e la cultura) e nella sua totalità costerà 11 milioni di dollari, donati in parte dall’Unione Europea e in parte dalla Svizzera; seguirà a questi primi otto, la ristrutturazione di altri 6 mausolei che sarà completata entro fine anno.   
 
 

Soprannominata «La città dei 33 santi», Timbuctu fiorì tra il XV e il XVI secolo come centro carovaniero e di propagazione dell’Islam in Africa. Tipici sono i suoi monumenti come le tre moschee storiche Djingareiber, Sidi Yahiya e Sankoré, gli antichi portali, le case dei primi esploratori, il pozzo costruito nel punto in cui, mille anni fa, una donna tuareg – narra la leggenda – trovò l’acqua che ha dato ricchezza e potenza alla città del deserto. Ma è anche l’atmosfera che si respira. «Sembra deserta – osserva una guida turistica in un’intervista all’agenzia Ansa -, poi ogni tanto qualcuno fa “capolino” e, piano piano, cominci ad avvertire uno sguardo da dietro le tipiche finestrelle antiche a grata che impediscono di vedere l’interno, ma dalle quali si può osservare perfettamente l’esterno.” Durante il periodo di occupazione della città i combattenti jihadisti hanno vandalizzato e distrutto moschee e mausolei considerati non rispondenti all’ortodossia islamica e hanno bruciato alcuni manoscritti.

Grazie all’ intervento francese che ha respinto a Nord gli Jihadisti, oggi in città si respira un’aria diversa e, molto lentamente, anche il turismo sta riprendendo. La ricostruzione dei mausolei rappresenta chiaramente la volontà della popolazione di non voler perdere la propria cultura e di non arrendersi alla volontà dell’Islam estremista.

Il vostro lavoro è una lezione di tolleranza, dialogo e pace. Si tratta di una risposta agli estremisti e la sua eco può essere udita ben oltre i confini del Mali”, ha affermato Irina Bokova, direttrice generale dell’Unesco, annunciando che l’Unesco ha fatto ricorso alla Corte Penale Internazionale contro i distruttori dei mausolei.
 
 
 


mercoledì 17 dicembre 2014

Zoom on: MALI

 
 

ZOOM ON

Fotografi dal Mali







Dal 13 al 21 dicembre ore 10:00 - 19:00 in Via dei Transiti 12 - Milano (MM Pasteur)






T12-lab (
http://www.t12-lab.it/web/) insieme alle Associazioni Abarekà e Verdi Acque di Milano – Associazione Terzo Tropico di Bologna, e con la collaborazione del Consolato Generale del Mali, l’Associazione dei Maliani in Italia e il Centre Culturel Medina Bamako presenta la mostra: ZOOM ON.



Tre importanti fotografi Fatoumata Diabate, Harandane Dicko, Amadou Keita, presentati a Milano in anteprima, che si focalizzano su tre diverse tematiche: il ruolo della moda; l’importanza e le difficoltà connesse al reperimento dell’acqua e l’uso delle zanzariere nella prevenzione della malaria.



E’ possibile acquistare le foto e sostenere così il progetto dell’Associazione Terzo Tropico di Bologna per l’acquisto di macchine fotografiche digitali e stampanti inkjet da distribuire ai giovani maliani e rafforzare lo sguardo africano su sé stessi: è da sottolineare come da anni i “Rencontres de Bamako” sono un punto di riferimento geografico e culturale per l’arte visiva e cinematografica dell’area subshariana anche se ancora poco conosciuti in Europa.


lunedì 28 gennaio 2013

Medici Senza Frontiere: continua l'attività in Mali, nell' area di Konna

L'èquipe di Medici Senza Frontiere (MSF) garantisce assistenza medica in Mali e nelle altre  zone coinvolte nel conflitto (Mauritania, Buokina Faso, Niger) con 450 operatori umanitari maliani e internazionali. Ma non è per nulla facile aiutare le popolazioni, ricevere nuovi rifornimenti ed entrare nelle zone off-limit perchè controllate dall'esercito o da diversi gruppi armati.
Alcuni giorni fa, l'organizzazione medico-sanitaria aveva chiesto, alle autorità civili e militari maliane e al governo francese, di poter accedere all'area di Konna, tra il Nord e il Sud del Paese, dove si susseguono combattimenti e bombardamenti. E' necessario, ovviamente, prendersi cura dei feriti, ma è preoccupante anche la situazione dei bambini che devono essere vaccinati contro il morbillo.
La mattina del 24 gennaio, due medici e due infermieri sono riusciti ad entrare a Konna. Dario Bertetto, capo missione di MSF in Mali, ha dichiarato che: " Le strutture sanitarie sono vuote, non ci sono nè pazienti nè personale sanitario"; si stanno preparando, quindi, delle cliniche mobili per fornire l'assistenza sanitaria di base e attività nutrizionali adeguate.


sabato 19 gennaio 2013

Algeria: colpita Al Quaeda. Strage di ostaggi

Un gruppo terroristico vicino ad Al Quaeda, tre giorni fa, ha assaltato un centro petrolifero della Bp, vicino ad Amenas, nel sud est del Paese, non lontano dal confine con la Libia.
Come molti organi di stampa hanno riportato (anche se, in Italia, la politica estera non è presa mai abbastanza in considerazione), all'interno dell'impianto per l'estrazione del gas erano stati presi, come ostaggi, cittadini di varie nazionalità: belgi, norvegesi, giapponesi, americani, francesi e britannici. 
Il blitz operato dall'esercito algerino, che ha bombardato l'area, ha avuto come conseguenza l'uccisione di trentacinque ostaggi stranieri e di quindici rapitori, tra cui il capo del commando jihadista. L'intervento dell'esercito sarebbe avvenuto mentre i terroristi stavano spostando le persone rapite in un altro luogo, usandole come scudi umani.
Secondo gli esperti, l'attacco all'impianto petrolifero sarebbe stato una rappresaglia del terrorismo islamico per l'intervento militare francese in Mali e per l'umiliazione degli algerini, che si sono trovati costretti a cedere lo spazio aereo ai velivoli francesi.
Intanto, anche in Italia si discute se intervenire nella "guerra umanitaria", dando appoggio logistico alle operazioni militari in corso.
Le forze diplomatiche delle comunità internazionali, per risolvere al più presto la situazione, dovrebbero iniziare a capire quali siano i reali interessi delle popolazioni maliane (al di là delle questioni ideologico-religiose), lavorare - a livello locale - per un arricchimento culturale e civile, nel rispetto dei diritti umani e con l'impegno di coinvolgere, in questa direzione di crescita e di cambiamento, le risorse interne e le autorità sul territorio. 



giovedì 17 gennaio 2013

Nord del Mali: emergenza civili

Negli ultimi giorni il conflitto, in Mali, ha visto una forte intensificazione: gli aerei francesi, con la cosiddetta "Operazione Serval", hanno bombardato le zone di Gao e Kidal; i gruppi armati islamisti, per prendere il controllo della città di Konna, hanno ucciso almeno sei civili; altre vittime sono state fatte per la conquista di Diabaly, un'altra città a 400 km a nord della capitale Bamako.
Il 20 dicembre scorso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva autorizzato l'invio di alcune truppe dell'Africa occidentale - tra cui quelle del Niger e della Nigeria - per contrastare le azioni dei terroristi, degli estremisti e dei gruppi armati. Le conseguenze di questa situazione si sono verificate immediatamente: si sono, infatti, registrati molti casi di vendetta sui collaborazionisti con lapidazioni, ritorsioni e un aumento fortissimo della violenza. 
Amnesty International ha chiesto alla comunità internazionale di favorire il dispiegamento di osservatori sui diritti umani, rivolgendo una particolare attenzione all'uso di bambini soldato. Ha, inoltre, chiesto alle forze militari francesi di dare il maggiore preavviso possibile alla popolazione in vista degli attacchi.
Intanto sono già quasi mezzo milione i maliani che hanno trovato rifugio in Niger, Mauritania, Burkina Faso e Algeria: tra loro, soprattutto, bambini e donne.