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martedì 7 luglio 2015

I diritti civili LGBT in Italia e all'estero


 


Gay Pride”: molti pensano a parate chiassose e volgari. Invece sono manifestazioni gioiose e colorate che hanno un senso politico e sociale molto preciso: garantire i diritti fondamentali anche alle coppie omosessuali, spezzare una mentalità chiusa che spesso porta a comportamenti irrispettosi se non violenti, lasciare libertà di amare senza pregiudizi.

Lo scorso 27 giugno molte persone che fanno parte della grandissima comunità LGBT sono scese in piazza e hanno avuto modo anche di festeggiare: sì perchè in Irlanda – Paese a maggioranza cattolica – è stata approvata una legge che equipara il matrimonio omosessuale a quello etero e negli Stati Uniti, la Corte Suprema ha emesso una sentenza che fa Storia, rendendo legale l'unione tra gay.

La scelta di manifestare a fine giugno risale al 28 del mese del 1969, quando a New York, allo Stonewall Hill, un bar frequentato da persone omosessuali, fece irruzione la Polizia per identificare i presenti perchè, allora, compiere atti omosex era considerato un reato. La violenza delle forze dell'ordine scatenò una rivolta. Ieri come oggi: in Turchia, proprio in occasione della marcia, i manifestanti sono stati attaccati con gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e proiettili di gomma: le persone, riunitesi in Piazza Istiklal, hanno dovuto ripararsi in negozi e altri esercizi pubblici.

Per l'Italia – Paese ancora indietro sui temi dei diritti LGBT – vogliamo prendere ad esempio la città di Milano dove ha troneggiato uno striscione con la scritta “I diritti nutrono il pianeta” (per riprendere lo slogan di Expo). tantissimi i partecipanti e le associazioni presenti: Arcigay, Amnesty, Uaar. Riportiamo, infine, la dichiarazione dell'Assessore ai Lavori pubblici, Carmela Rozza: “ Nessuno di noi può imporre all'altro scelte diverse dalle sue. Secondo me, Milano è all'avanguardia rispetto ai diritti ma se non abbiamo una legge nazionale sui diritti delle coppie gay, questo non può che essere un Paese arretrato da questo punto di vista. Ma io sono convinta che la società italiana sia molto più avanti della classe politica”.

mercoledì 27 maggio 2015

La vita non facile dei diritti riscoperti dalle sentenze



di Luigi Ferrarella (da “Corriere della sera” 15 maggio 2015)





Quanti diritti ci possiamo permettere?


Quanti diritti ci possiamo permettere? Quale dose di giustizia può tollerare il nostro assetto sociale ed economico? Fino a pochi anni fa una domanda simile sarebbe suonata bestemmia. Ora, invece, viene implicitamente declinata ogni volta che dalle Corti (Corte costituzionale, Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, Corte di cassazione) arriva una sentenza all’incrocio di un dilemma: adesso tra rivalutazione delle pensioni e vincoli di bilancio, ma già in passato tra danni dell’inquinamento Ilva alla salute di Taranto e destino degli operai e dell’acciaio italiano, e prima tra ritmi giudiziari delle inchieste anticorruzione e invece esigenze extragiudiziarie di far aprire in tempo Expo 2015, o prima ancora tra impopolarità del tema carceri e condizioni inumane di vita di chi sta in prigione. E si può già scommettere riaccadrà nelle prossime sentenze che scioglieranno nodi sulle questioni di bioetica, o che metteranno il dito nel contrasto tra irrazionalità fiscali e esigenze dell’erario, o che incroceranno assetto degli statali e nuove regole per i dipendenti pubblici.
Sotto sotto, è come se ogni volta ribollisse questo non detto: quanti diritti ci possiamo permettere? Un retropensiero talmente sdoganato da nutrire reazioni sempre più insofferenti alle conseguenze di sentenze ripristinatorie di diritti, che sino a poco tempo fa sarebbero state percepite come ovvie riaffermazioni (di eguaglianza, dignità, equità sociale), e che invece adesso vengono vissute quasi come invasioni di Corti debordanti nel campo della politica, tapina perché commissariata dallo scippo giudiziario della sua facoltà di decidere tra più alternative possibili e di imporre questa scelta senza lacci e lacciuoli.
È un’insofferenza che trasuda già dalle parole usate da governo e parlamentari per definire la sentenza della Consulta sulle pensioni: «danno alla credibilità del Paese», verdetto che «scardina», decisione che (se applicata in toto) causerebbe conseguenze «immorali». Così, dopo ciascuna di queste sentenze, sempre più palese scatta il riflesso automatico di non applicarle, oppure — se proprio non è possibile disattenderle completamente — almeno di contenerle, di arginarne la portata, di neutralizzarne gli effetti, di mitridatizzarne le conseguenze. Plastico l’esempio delle condanne inflitte dalla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo all’Italia per le condizioni inumane e degradanti della detenzione nelle carceri: sentenze alle quali in questi mesi il governo ha ritenuto di adeguarsi con una legge su piccoli «rimedi compensativi» (8 euro al giorno per il passato, oppure lo scomputo di un giorno ogni dieci sulla pena ancora da scontare) dalle maglie normative però talmente strette che l’85 per cento delle domande avanzate a fine 2014 era stata dichiarata inammissibile, e soltanto l’1,2 per cento di richieste di risarcimento era stato accolto. E qualcosa del genere, in attesa che accada per le pensioni, sta avvenendo già in parte con la legge sulla tortura, in teoria introdotta sull’onda di un’altra condanna dell’Italia da parte di Strasburgo (stavolta per il G8 di Genova), ma in realtà parcheggiata (dopo approvazione in prima lettura) in un ramo del Parlamento con un testo di compromesso al ribasso.
Cambiano infatti i casi, ma il denominatore comune resta che la giurisdizione è sottoposta a una pressione sociale molto più insidiosa di passate grossolane ingerenze politiche: il mordere della crisi economica, la coperta corta dei bilanci statali, l’urgenza della disoccupazione, la disabitudine alla ricerca di soluzioni che non siano vendibili in pochi slogan, il fastidio per ciò che inevitabilmente complesso non sia tagliabile con l’accetta, tutto congiura a domandare alle Corti superiori (come in fondo già ai magistrati nei gradi inferiori) di subordinare le proprie decisioni a
«compatibilità» con equilibri di volta in volta politici-sociali-economici e di assumere come parametro la «sostenibilità» dei propri atti. Con la conseguenza che non sembra più strano dare esecuzione a queste sentenze soltanto se e nella misura in cui esse siano compatibili con i bilanci statali, o appaiano socialmente accettabili, o risultino «digeribili» dalle esigenze delle imprese, o siano in linea con il momento politico, o siano empatiche con le emozioni dei cittadini.
Il che illumina due sottovalutazioni. La prima, nel presente, è che il ritardo con il quale il Parlamento sta mancando di eleggere i due giudici costituzionali di propria competenza influisce e di fatto altera la vita della Consulta, dove indiscrezioni attribuiscono ad esempio la contestata sentenza sulle pensioni al voto con valore doppio del presidente tra 6 favorevoli e 6 contrari. La seconda sottovalutazione, in prospettiva, è di quanto la combinazione tra nuova legge elettorale e nuovo Senato possa sbilanciare, a favore delle artificiosamente rafforzate maggioranze politiche di turno, le quote di giudici costituzionali e di componenti laici che spetta al Parlamento eleggere rispettivamente alla Consulta e al Consiglio superiore della magistratura.



giovedì 9 aprile 2015

Libertà di espressione e molto altro: Cecilia Dalla Negra ci parla del World Social Forum



Cecilia Dalla Negra, di Osservatorio Iraq, ci ha parlato del Forum Sociale mondiale che si è tenuto a Tunisi e, in particolare dei settori da lei seguiti : libertà di espressione in Iraq e in altri Paesi, di democrazia e del popolo tunisino dopo l'attentato al museo del Bardo.



Ringraziamo la giornalista per questo intervento.



Come sempre ho partecipato al Forum di Tunisi come Osservatorio Iraq, insieme alla delegazione organizzata da “Un ponte per”: con noi c'era una vastissima rappresentanza della società civile irachena, con cui lavoriamo da tanti anni, che ha portato al Forum il suo punto di vista sulla situazione del Paese oltre a illustrare le tante campagne che porta avanti da anni per la protezione dell'ambiente, del patrimonio culturale, per la libertà di espressione e per i diritti delle donne. In particolare, ho seguito i lavori che riguardano la libertà di stampa e di espressione e anche le inziative della società civile davanti all'avanzata del terrorismo che è stato un tema molto presente nel Forum, anche perchè da pochi giorni Tunisi era stata colpita dall'attentato.

Ci sarebbe dovuta essere un'assemblea di convergenza per redigere la Carta dei movimenti sociali contro il terrorismo, ma su questo non si è trovato un vasto consenso: la presa di posizione dei movimenti sociali che si sono riuniti a Tunisi ha avuto, come momento di denuncia di quanto è accaduto, la manifestazione di apertura del 24 marzo che come slogan aveva: “ Popoli del mondo uniti contro il terrorismo”. Quel corteo ha espresso anche molti altri contenuti perchè c'era la volontà, da parte del popolo tunisino, di ribadire il proprio percorso per la costruzione della democrazia e, quindi, la volontà di non far diventare questo attacco terroristico uno strumento nelle mani del governo per restringere gli spazi di democrazia per gli attivisti; molti attivisti lo temono perchè il governo tunisino sta discutendo l'approvazione della nuova legge antiterrorismo.

Per quanto riguarda il Forum c'è stata una vastissima partecipazione: si parla di circa 50.000 persone e oltre 4.000 organizzazioni internazionali da tutto il mondo che non hanno fatto un passo indietro rispetto al timore di nuovi attacchi. Il clima era molto sereno e non c'è stata la militarizzazione che ci aspettavamo. Moltissimo spazio, quest'anno, è stato dato ai temi del “climate change” e, quindi, alla protezione dell'ambiente e lo slogan era: “Cambiare il sistema, non cambiare il clima”, un tema declinato a seconda di quelle che sono le priorità dell'area del Medioriente e del Nord Africa.

Si è parlato tantissimo di libertà civili, diritti e autodeterminazione e non sono mancate alcune contraddizioni, nel senso che la classica apertura a tutti i movimenti del Forum sociale ha portato frizioni, ad esempio per quanto riguarda l'attuale assetto della crisi siriana, tra giovani rivoluzionari e sostenitori del regime, così come non sono mancati accesi dibattiti tra islamisti e forze laiche.

Il Forum si conferma, ancora una volta, un laboratorio sociale importantissimo e un'occasione di incontro preziosissima: è stato estremamente interessante vedere seduti attorno a un tavolo attivisti iracheni, egiziani, tunisini che si confrontavano, dal loro punto di vista, su come contrastare il fenomeno del terrorismo di matrice islamica e l'avanzata di Daesh, non con risposte militari, ma attraverso proposte di dialogo e di convivenza. Pur sostenendo e condividendo la lotta della popolazione curda di di Kobane e comprendendo il suo diritto a chiedere l'aiuto militare, la società civile irachena vorrebbe affrontare alla radice le cause dell'adesione all'estremismo islamico e, cioè: la mancanza di un sistema di welfare, la scarsità di sistemi di educazione, il problema dello stato sociale. La proposta è quella di lavorare sul lungo periodo, sulla cultura, sull'accessibilità alle risorse, costruendo piccoli tasselli di convivenza. In particolare, la società civile chiede di smettere di credere alle rappresentazioni mediatiche, soprattutto occidentali, che dipingono quello iracheno come un conflitto settario o confessionale perchè l'Iraq è sempre stato un mosaico di civilità, di religioni e di culture che hanno convissuto in pace: le divisioni settarie, in realtà, sono state importate dall'Occidente.

Ritornando alla manifestazione del 24 marzo. La partecipazione internazionale è stata molto in secondo piano, invece mi ha colpito come la piazza fosse assolutamente tunisina e ci fosse un popolo molto determinato nel tenere la testa alta e dire: “Noi non abbiamo paura”. Si sfilava fino al Museo del Bardo, sotto una pioggia battente, ma la gente diceva che non aveva paura perchè aveva abbattuto il muro della paura nel 2011, facendo cadere la dittatura.

martedì 24 marzo 2015

Aggiornamento unioni omosessuali





La scorsa settimana è arrivato un segnale chiaro dall'Europarlamento in tema di unioni civili fra persone dello stesso genere. Con 390 voti favorevoli, 151 contrari e 97 astensioni è, infatti, passato il riconoscimento delle unioni civili e del matrimonio tra persone omosessuali. Per la nostra associazione è importante sottolineare che tale riconoscimento sia stato affermato come un “diritto dell'uomo”. Il passaggio si trova al punto 162 della relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo.

Pier Antonio Panzeri, firmatario della relazione, scrive: “Il Parlamento europeo prende atto della legalizzazione del matrimonio e delle unioni civili tra persone dello stesso sesso in un numero crescente di Paesi nel mondo, attualmente diciassette, incoraggia le istituzioni e gli Stati membri dell'Ue a contribuire ulteriormente alla riflessione sul riconoscimento del matrimonio o delle unioni civili tra persone dello stesso sesso in quanto questione politica, sociale e di diritti umani e civili”.

Secondo Daniele Viotti, co-presidente dell'Intergruppo LGBT al Parlamento europeo:

l'Europa ha fatto importanti passi in avanti sul fronte dei diritti LGBT e la parità di genere” anche se non mancano le polemiche da parte dei gruppi cattolici (come avvenuto anche durante la commissione in tema di interruzione di gravidanza) e da parte del Presidente di Arcigay, Flavio Romani, il quale ha affermato: “Ben vengano tutti gli inviti e le raccomandazioni, peccato però che non siano in nessun modo obbligatori per gli Stati membri dell'Unione europea. Anche ciò che è stato approvato va a finire nel cassetto delle belle intenzioni. Se poi gli Stati non vogliono mettere in atto questi inviti, sono liberi di farlo”.

Ricordiamo che l'Italia, rispetto ai 28 paesi membri dell'Unione, si trova tra i nove che ancora non prevedono alcun tipo di tutela dei diritti delle coppie omosessuali anche se, come detto, nella relazione di Panzeri, i governi e le istituzioni vengono incoraggiate a contribuire ulteriormente alla riflessione sul tema.

venerdì 20 febbraio 2015

Ho fatto della rabbia la mia spinta, così ho vinto contro il bullismo (da Nobullismo.it)



La mia storia ha inizio in prima media, quando d’un tratto hanno iniziato ad umiliarmi in ogni modo possibile e inimmaginabile. Niente violenza fisica, quella se la sono risparmiati, ma una violenza psicologica continua, che per quattro anni ho subito in silenzio. Ho sopportato tutto e i professori non facevano niente, guardavano e incolpavano me. Ecco allora la bocciatura e la rabbia. Tanta rabbia, non verso gli altri, ma verso me stessa, per aver acconsentito che mi trattassero cosi per tutto quel tempo.
E’ la rabbia che mi ha dato la spinta per reagire e rialzarmi.
Sono diventata più sicura, dura e cattiva con chi se lo meritava e ho fatto di tutto per riconquistare una parvenza della felicita che mi avevano strappato, come squali e ci sono riuscita.

Ho vinto io non il bullismo. A volte scherzando dico di aver giocato i miei Hunger Games e si, io li ho vinti. Mi ritengo fortunata di non avere le problematiche che purtroppo hanno ancora le ex vittime, come problemi di ansia, di insicurezza. Per altri è stato ed è difficile rialzarsi ed andare avanti.

Sono fortunata e ringrazio la rabbia costruttiva che mi ha guidata. A piccoli passi ho riconquistata un’autostima disintegrata e con pazienza l’ho ricomposta. Ho alti e bassi ma sto in piedi alla faccia dei miei ex bulli, sono felice e serena. La mia rivincita è ogni giorno, quando mi alzo dal letto e vado avanti con la mia vita,non mi volto certo indietro. Guardo avanti.

Penso che per risolvere il problema si dovrebbe sensibilizzare prima di tutto il corpo docente in materia e introdurre pene severe, visto che in alcuni casi ci sono stati dei suicidi che io definisco “omicidio premeditato”. Attuerei l’ergastolo, visto la gravità del bullismo, che induce al suicidio vittime innocenti.

Questa è la mia storia e adesso nessuno potrà farmi del male, sono rinata, e sono più forte che mai!

A tutti i ragazzi, usate la vostra rabbia, la vostra energia e le vostre emozioni come spinta per andare avanti, per superare i bulli e vincere la vostra battaglia. Non lasciate che vi fermino e vi facciano cadere.

giovedì 19 febbraio 2015

Giovani profughi si raccontano con la fotografia: “Between – In sospeso”



Parla di giovani profughi in cerca di un futuro, la mostra dal titolo Between – In sospeso della fotografa Nanni Schiffl-Deiler, allestita nel foyer del Goethe Institut Rom, a Roma dal 9 febbario al 9 aprile 2015.                          


Questa mostra evidenzia lo stato dei profughi come esseri umani che si sforzano di esprimere, malgrado tutta la delusione e la disperazione, il loro destino difficilmente sopportabile. Le fotografie di questi giovani rifugiati comunicano come si svolge la loro vita quotidiana: molto vuoto, molto disordine, pochi esseri umani, talvolta solo ombre, sempre nuove strade...”: queste alcune parole con cui Lothar Krappmann – membro del Comitato ONU sui diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza 2003/2011 – commenta il lavoro della fotografa tedesca.

I ragazzi e le ragazze non sono solo i soggetti delle immagini, illuminati da una luce caravaggesca e spirituale su fondo buio, ma sono anche coloro che hanno usato il mezzo fotografico per esprimere raccontarsi. Un racconto che unisce foto e parole: “ A tutt'oggi non mi è dato sapere se posso rimanere qui in Germania o meno. Così, ogni mia giornata è priva di un futuro perchè non mi è concesso concepirlo” dice Hossein dall'Afghanistan; “ ...Al momento non sto per niente bene perchè non sono soddisfatto del modo in cui sono costretto a vivere. Mi auguro che rpesto cambi qualcosa”, afferma Michel dalla Nigeria; “ Felicità significa per me essere spiritualmente liberi. Se sono libera, anche il mio cuore si affranca”, questa è l'opinione di Eva dall'Uganda.

Nanni Schiffl-Dieler, per questo progetto, è partita dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell'Uomo e ha voluto lavorare per e con i giovani profughi.



Eccovi la breve intervista che l'Associazione per i Diritti Umani ha fatto alla fotografa. (Ringraziamo anche la traduttrice Claudia Giusto)



Perchè la scelta di parlare dei profughi e dei rifugiati giovani?

Con questa mostra ho voluto richiamare l’attenzione sulla situazione dei profughi minorenni non accompagnati e adolescenti, perché sono proprio loro ad avere bisogno di maggiore protezione. Spesso purtroppo anche qui in Europa al loro arrivo non viene rispettata la convenzione ONU sui i diritti dell’infanzia, sottoscritta dagli stati membri dell’Unione Europea.

Come si è sviluppato il progetto fotografico?

Una fotocamera digitale compatta con il compito di fotografare semplicemente la loro quotidianità. In modo spontaneo, senza un vero tema. Abbiamo parlato dei muri, visibili e invisibili, di fronte ai quali costantemente si ritrovano. Per molto tempo durante i nostri incontri periodici abbiamo osservato le immagini e ne abbiamo discusso. Poi ho fatto loro delle domande e li ho ritratti.

Quali sono le aspettative e le difficoltà di queste persone (considerando anche le differenti aree di provenienza)?

Questi ragazzi desiderano una vita in libertà e sicurezza, un’istruzione, vogliono potersi costruire una famiglia. Tutte cose che fanno parte della dignità umana. Dopo una fuga spesso pericolosa e traumatica, le difficoltà hanno inizio con l’arrivo nella “Fortezza Europa”. Spesso questi ragazzi vengono sistemati in Centri di primo soccorso e accoglienza insieme agli adulti, devono studiare in condizioni molto difficili. L’obbligo di residenza non gli permette di muoversi liberamente. Solitamente devono vivere a lungo nella condizione di sospensione temporanea del provvedimento di espulsione (Duldung), il che comporta un grave peso psicologico. Particolarmente difficile è la situazione dei giovani africani, sempre più svantaggiati rispetto agli altri a causa del colore della loro pelle.

Qual è il loro rapporto con il Paese d'origine e i loro familiari?

La maggior parte di loro non ha più alcun contatto con famiglia, parenti e amici. È un argomento molto delicato, del quale per molto tempo non riescono neppure a parlare. Sentono la mancanza della loro terra di origine e delle persone che hanno lasciato. Alcuni di loro sono stati mandati via proprio dalla famiglia nella speranza di una vita migliore per loro.

Fotografie e parole: due modi diversi di esprimere emozioni...

È la mia prima mostra fotografica nella quale coniugo fotografia e testo. L’argomento è molto complesso e volevo esprimere insieme emozioni e fatti mettendoli sullo stesso piano. In particolare per me era importante far notare la discrepanza tra i Diritti dell’Uomo sanciti dall’ONU, che spettano ad ogni persona indifferentemente dalla razza, e le condizioni di vita nei paesi di origine. E volevo dare visibilità a questi ragazzi attraverso le loro immagini e le loro citazioni, mostrando come ogni profugo, anonimo nella massa, sia sempre una persona.




mercoledì 18 febbraio 2015

Dichiarazione di non sottomissione: Islam e laicità




di Monica Macchi



Occorre distinguere non tra credenti e non credenti

ma tra pensanti e non-pensanti”

Cardinal Carlo Maria Martini



La non sottomissione si regge

sul principio della separazione incondizionata

tra fede e diritto”

Fethi Bensalama


Sui principi non bisogna essere prudenti, ma riaffermarli,

per evitare i riflessi di autocensura e il trionfo degli estremisti”.

Malek Chebel, antropologo







Fethi Benslama, di origine tunisina, è psicoanalista ed insegna Psicoanalisi e Psicopatologia all'Università di Parigi VII Jussieu. Ha fondato nel 1990 la rivista Intersignes di cui oggi è Direttore ed è autore di numerosi libri: La nuit brisée (Ramsay, 1988), Une fiction troublante (Editiond de l'Aube, 1994), La psychanalyse à l'épreuve de l'Islam (Aubier, 2004) e Soudain la revolution (Denoel, 2011).



Questo breve testo sviluppa il MANIFESTO DELLE LIBERTA’ firmato il 16 febbraio 2004 a Parigi da un gruppo di intellettuali musulmani che si riconoscono nei valori della laicità e si oppongono all’ideologia dell’islamismo ed è costruito attorno a quattro istanze fondamentali.

La prima istanza sottolinea la polisemia del termine “islam” in quanto la radice trilittera S-L-M significa “guarire salvare, dare un bacio, riconciliare” e solo la decima forma “istaslama” significa “sottomissione”. Da questo derivano due importanti conseguenze: innanzitutto la differenza tra islam (scritto graficamente con la minuscola) inteso come religione e Islam (con la maiuscola) inteso come civiltà con molteplici culture ma soprattutto l’esigenza della liberazione dal paradigma identitario che legittima solo chi è assolutamente uguale a me.


Per questo occorre fare appello alla soggettività dell’individuo contro l’ipertrofia del comunitarismo e così la seconda istanza rivendica l’emancipazione femminile: infatti la donna incarnazione della “fitna”, la seduzione che diventa sedizione, rappresenta un’alterità interna minacciosa rispetto al “fahl” uomo stallone, destinato alla lotta, alla riproduzione e “dunque” alla guida della società ed alimenta l’ideologia della purezza. Secondo i firmatari del manifesto bisogna invece immettere “il disordine nella purezza” cioè il cosmopolitismo inteso come riconoscimento della dignità dell’altro come “non-simile” e come fondamento sia dell’uguaglianza che della libertà a cui sono dedicate la terza e la quarta istanza. E Benslama scrive: “l'avrete capito, se consideriamo che l'emancipazione delle donne è il punto dove si stringe e dove si dispiega il ventaglio dei problemi più cruciali per l'avvenire democratico del mondo musulmano è perchè il complesso religioso che organizza i rapporti di alterità nell'islam ha, più che altrove, inchiodato la posizione del genere femminile, con lo scopo di imporre il potere maschile”.

La terza istanza ammonisce che la libertà non può essere concessa ma deve essere conquistata attraverso l’azione trasformatrice a partire dai propri desideri e dalle proprie convinzioni: per questo sono necessari spazi in cui sperimentarla come ad esempio “l’Università delle libertà”, un’università popolare.

La quarta istanza cita esplicitamente il concetto di laicità per superare definitivamente il mito identitario riappropriandosi degli strumenti culturali, rifacendosi alla filosofia di Ibn Ruchd (Averroè) e Ibn Bajja (Avempace) che distingue tra reato e peccato fino alla teologia del sudanese Mahmoud Taha secondo cui l’atto di nascita dell’uguaglianza è la separazione tra spirituale e legislativo. Laicità questa che non è laicismo e non ha come obiettivo la distruzione dell’istituzione religiosa ma quello di limitare la pulsionalità e di costituire un luogo dove articolare le fratture.


domenica 4 gennaio 2015

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venerdì 19 dicembre 2014

Il massacro di bambini in Pakistan e l’infanticidio come arma di guerra




di Basir Ahang




Martedì 16 dicembre i Talebani hanno attacco una scuola militare in Pakistan uccidendo 132 bambini e nove persone dello staff. L'istituto si trova in Warsak Road nella zona nord occidentale di Peshawar ed è gestita dall'esercito pakistano per i bambini dei militari e dei civili.

Come affermato dagli stessi Talebani, la strage è stata pianificata in ogni dettaglio con l’obiettivo dichiarato di colpire duramente l’esercito al fine di vendicarsi dei recenti attacchi subiti dalle forze armate pakistane. In realtà la scelta di colpire una scuola non è determinata solo dal desiderio di vendetta.

Le scuole, infatti, sono da sempre state tra i principali obiettivi dei Talebani, perché un popolo istruito porterebbe all’automatica distruzione del terrorismo, il quale raccoglie i propri membri soprattutto nelle zone povere e a basso livello d’istruzione.

Durante il governo del generale Muhammad Zia-ul-Haq, ISI ”Inter-Services Intelligence” fondò poi moltissimi gruppi terroristici, come ad esempio la rete Haqqani, Lashkar-e Jhangvi e Sepahe-Sahaba per combattere contro l’India e ottenere il controllo dell’Afghanistan.

Anche il primo ministro del Pakistan Benazir Bhutto sostenne attivamente i talebani, sia politicamente che economicamente. Forse a quel tempo nessuno si sarebbe aspettato che un giorno, quegli stessi Talebani si sarebbero rivoltati contro di loro.

Negli anni ‘90 il generale Hamid Gul, capo dell’ISI, era orgoglioso di presentarsi pubblicamente come padre dei Talebani.

Oggi la bandiera del Pakistan è a mezz’asta anche al palazzo centrale dell’ISI, mentre i suoi stessi capi mantengono forti legami con i terroristi. Il Pakistan è un paese ormai fuori controllo. Il governo non è più in grado di controllare i gruppi terroristici da lui stesso creati e finanziati perché ormai i Talebani sono forti e indipendenti e hanno preso il controllo di vaste aree del paese ottendendo importanti finanziamenti da paesi come l’Arabia Saudita.

I Talebani che ieri hanno attaccato la scuola sono gli stessi che ogni giorno fanno strage di civili, tra i quali molte donne e bambini, in Afghanistan. Il Pakistan è oggi fulcro e centro di produzione del terrorismo e solo un’onesta strategia a livello internazionale potrebbe davvero cambiare le cose. Una strategia che differisca però da quella attuata in Afghanistan, dove il vero intento non era quello di cacciare i Talebani ma di proteggere gli interessi economici e politici.

In tutti i conflitti l’uccisione di bambini viene costantemente utilizzata come arma di guerra per ferire il nemico nel suo punto più debole, per mettere in ginocchio un paese distruggendone il futuro nel corpo e nello spirito. Quando nemmeno l’innocenza viene riconosciuta allora non esistono più tabù, tutto diventa possibile.

Questa è la guerra e così è sempre stata in ogni luogo del mondo, la religione in tutto questo non c’entra nulla ma viene strumentalizzata dagli stessi Talebani per obiettivi politici ed interessi economici.

venerdì 12 dicembre 2014

Secondo forum mondiale sui diritti umani: a Marrakech







Dal 27 al 30 novembre 2014 si è tenuto in Marocco, a Marrakech, il secondo Forum mondiale dei diritti umani, dopo la prima edizione brasiliana.
Diritti, democrazia e pluralismo al centro dei numerosi tavoli organizzati, ufficiali e ufficiosi che hanno proposto diversi approfondimenti tematici: la giustizia, l'immigrazione, le religioni, lo sviluppo, per citarne solo alcuni.
Hanno partecipato al Forum giornalisti, esponenti delle istituzioni, esponenti dell'associazionismo e molte personalità, tra cui Ban Ki Moon, Kofi Annan, Muhamad Yunus, Romano Prodi.
Il prossimo appuntamento, per la terza edizione, si svolgerà in Argentina e ricordiamo che il 10 dicembre è la Giornata Mondiale dei Diritti Umani.


L'Associazione per i Diritti Umani ha chiesto un commento sul Forum a Cecilia Dalla Negra, di OsservatorioIraq e la ringrazia per questo suo intervento.



Come è stato organizzato il Forum?

 

Il Forum era veramente imponente. Organizzato come un social-forum sui diritti umani declinati da tantissimi punti di vista; c'erano oltre 30 sottoforum tematici che spaziavano dall'ecologia ai diritti delle donne, ad esempio.

Io ero con la delegazione organizzata da Un ponte per e seguivo la cosa come OsservatorioIraq e ho partecipato alla parte dedicata all'informazione e alla libertà di espressione che era un evento autogestito da una coalizione di associazioni della società civile marocchina.



Cos'è emerso da questo focus sull'informazione?



E' stata l'occasione per mettere a confronto esperienza molto diverse, sia sulla sponda sud sia sulla sponda nord, di giornalismo dal basso, partecipativo e per declinare secondo i diversi aspetti regionali quello che è il diritto alla comunicazione che è stato riconosciuto essere una delle tante facce della lotta per i diritti umani: l'accesso, quindi, ad un'informazione che sia libera, imparziale e orizzontale.

Sulla sponda nord e su quella sud del Mediterraneo, in fondo, si condividono le stesse battaglie e si conferma un grandissimo attivismo da parte della società civile della sponda sud anche su questo tema.



In particolare, ha notizie sul forum dedicato alle donne?


Non molte perchè il Forum presentava grosse criticità anche perchè organizzato in un Paese dove i diritti umani non sono sempre garantiti.Ci sono state, però, delle voci contrastanti e alcune associazioni hanno anche deciso di boicottarlo.

Molte altre associazioni, invece, hanno colto l'occasione per prendere la parola ed esprimere il proprio punto di vista per cui, secondo me, è stato un importante passo avanti perchè le critiche anche al governo marocchino non sono mancate.






martedì 2 dicembre 2014

La fabbrica del panico



Dopo l'ingiusta sentenza Eternit pubblichiamo il video dell'incontro con Stefano Valenti autore del romanzo La fabbrica del panico, vincitore del Premio Campiello – Opera prima. L'incontro ha fatto parte della manifestazione “D(i)RITTI al CENTRO” organizzata dall'Associazione per i Diritti Umani. Una serata importante con temi di stretta attaulità, a iniziare dal tema del lavoro e dei diritti dei lavoratori, in particolare degli operai.



Un romanzo, la storia di un padre e di un figlio. Quel padre che lavorava nella fabbrica Breda e che si è ammalato per le esalazioni, ma che amava la pittura. E un figlio che parla di lui e dei diritti dei lavoratori.












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domenica 23 novembre 2014

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mercoledì 24 settembre 2014

Una mostra ripercorre la lotta per i diritti civili

©George Tames/The New York Times.



Grandi pannelli a parete si susseguono e ripercorrono la Storia: la Storia dei diritti civili negli Stati Uniti e nel mondo occidentale.

Per celebrare il 50mo anniversario dall'assegnazione del Nobel per la Pace a Martin Luther King, Milano dedica una grande, ricca mostra sulle lotte per affermare i diritti di tutte e di tutti. Freedom Fighters, questo il titolo dell'esposizione a Palazzo Reale, inaugurata il 22 settembre e che terminerà il 12 ottobre 2014.

Freedom Fighters è promossa dal Comune di Milano, dal Robert F. Center for Justice and Human Rights Europe in collaborazione con l'Ambasciata degli Stati Uniti, con la cura di Alessandra Mauro e Sara Antonelli.

Immagini iconiche dei più celebri fotografi ricordano la segregazione razziale negli anni'50, gli scontri di Birmingham, il movimento dei “Freedom Riders”; il ritorno di Martin Luther King dopo aver ricevuto il Premio Nobel, le riunioni dei fratelli Kennedy e i loro incontri con i movimenti di emancipazione. Elliot Erwitt, Eve Arnold, Bruce Davidson, Danny Lyon celebrano giustizia e libertà.


La mostra propone anche video di repertorio e documenti che dal 1776 – anno in cui il Comitato dei Cinque presenta la Dichiarazione di Indipendenza americana – testimoniano la Storia fino alla marcia su Washington.

Anche il Presidente della Repubblica, Giorgio napolitano, ha voluto commentare l'iniziativa culturale milanese con una lettera alla Presidente del Robert F. Center for Justice and Human Rights Europe, Marialina Marcucci, in cui si legge: “ La mostra offre un significativo stimolo a riflettere sul valore attuale delle posizioni allora assunte per la realizzazione di una società più giusta, inclusiva e solidale, ma anche sulle condizioni di quanti, in tutto il mondo, vedono tutt'ora calpestati i loro diritti”. L'assessore alla cultura di Milano, Filippo Del Corno, ha aggiunto: “ La fotografia diventa il linguaggio per raccontare il lungo e tortuoso cammino della battaglia per i diritti civili negli Stati Uniti. Una lotta che non è mai terminata né terminerà, negli Stati Uniti come dovunque perchè esisterà sempre un diverso, uno straniero, una minoranza da difendere e proteggere dall'arroganza di 'altri' e dei più forti”.

Dall'8 al 10 ottobre, inoltre, sempre nelle sale di Palazzo Reale, si terrà un'altra mostra, di artisti moderni e contemporanei, dal titolo I have a dream al termine della quale verrà indetta un'asta per finanziare il Centro Robert F. Kennedy. Le curatrici, Melissa Proietti e Raffaella A. Caruso, spiegano: “ I have a dream nasce come breve ed intensa ricognizione su come il sogno della democrazia, la battaglia per l'uguaglianza e i diritti condotta da John e Robert Kennedy e da Martin Luther King sia ancora viva nel ricordo ma anche nell'attaulità degli intenti ed abbia profondamente inciso su più generazioni di artisti. Si è inteso mettere a confronto gli artisti dell'immediato dopoguerra che hanno vissuto sulla loro pelle censure ed entusiasmi di rinnovamento e gli artisti che hanno negli occhi l'ennesimo oltraggio alla democrazia pepretrato con l'attentato alle Torri Gemelle. Si è loro chiesto di interpretare il tema in senso narrativo e metaforico, con la forza allusiva e primordiale dell'astrattismo, con le evocazioni simboliche di un figurativo sui generis dai tempi aperti della tradizione 'classica' o dai ritmi sincopati del pop, donando però sempre immagini di speranza, di denuncia e mai di violenza. Perchè l'arte è vita e bellezza. Maestri di ogni 'colore', timbro, formazione hanno regalato il loror entusiasmo, rivivendo memoarie e speranze, passato e futuro, in una miscellanea di sensazioni che solo il sogno fa vivere in una assurda e meravigliosa dimensione 'contemporanea'”.

giovedì 28 agosto 2014

L'appello per Gaza di MEDU, Medici per i Diritti Umani





Pubblichiamo anche noi l'appello ufficiale di Medici per i Diritti Umani con preghiera di divulgazione. Grazie. 

Alla luce dei gravi danni subiti da ospedali, cliniche e dal personale medico nella Striscia di Gaza, Medici per i Diritti Umani-Israele invia una comunicazione urgente al Procuratore Generale e al Ministro della Difesa:

Devono essere adottate tutte le misure di sicurezza per evitare di colpire il personale medico e di mettere in pericolo le strutture sanitarie mentre continuano i combattimenti nella Striscia di Gaza.
Roma, Tel Aviv, 24 luglio 2014 – Medici per i Diritti Umani Israele (Physicians for Human Rights Israele – PHR Israele) ha inviato il 22 luglio una lettera al Procuratore generale e al Ministro della Difesa di Israele, denunciando i danni subiti da numerose strutture sanitarie e dal personale medico e le difficoltà di evacuare i feriti nel corso degli attacchi militari a Gaza. La lettera, firmata da Ran Cohen, direttore esecutivo di PHR-Israele e dagli avvocati Tamir Blank e Adi Lustigmanù, afferma “ci rivolgiamo a voi alla luce dei tanti, dei troppi danni subiti sia al corpo che allo spirito dal personale medico nonché alle strutture nella Striscia di Gaza”. La lettera si aggiunge ad altri comunicati che PHR-Israele e altre organizzazioni hanno diffuso per contestare la politica di attacco a Gaza, i danni all’ospedale al-Wafa, e sottolineare l’urgente bisogno di mettere in atto un meccanismo che regoli l’evacuazione dei feriti.
A causa degli intensi combattimenti nella zona della Striscia di Gaza è difficile raccogliere informazioni sul terreno, ma secondo i dati che PHR-Israele ha ottenuto da varie fonti, tra cui la sezione di emergenza del Ministero della Sanità Palestinese a Ramallah, che opera in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, al 21 luglio 2014 sono stati danneggiati, direttamente o indirettamente, cinque ospedali, sei cliniche e i centri di primo soccorso nella Striscia di Gaza, 23 membri del personale medico sono stati feriti e tre sono stati uccisi (l’elenco completo è compreso nella lettera). Il danno più recente è stato registrato ieri presso l’ospedale della Mezzaluna Rossa Shuhadat di Al-Aqsa a Deir Al-Balah, apparentemente a causa di un colpo diretto sull’ospedale. Questo attacco ha causato la morte di cinque persone (tra cui dei medici), ha ferito circa 70 persone, e ha causato importanti danni strutturali all’edificio e due ambulanze sono state colpite mentre evacuavano dei feriti.
PHR-Israele sottolinea che le Convenzioni di Ginevra garantiscono protezione alle strutture e al personale medico mentre svolgono il loro ruolo. L’Alta Corte di Giustizia israeliana ha detto, in merito a queste misure di protezione, che, anche nel caso in cui vi sia una preoccupazione ben fondata che la struttura medica venga utilizzata impropriamente, questa non consente una violazione radicale dei principi umanitari. “Va ricordato che per alcuni pazienti non ci sono le condizioni pratiche per spostarli in un’altra struttura, a ciò si aggiungono le difficoltà dei civili nella Striscia di Gaza per i quali talvolta non è possibile l’evacuazione a causa di Hamas o delle circostanze oggettive provocate dal conflitto. Infine deve essere sempre accertato che una determinata struttura sanitaria abbia effettivamente fatto parte delle attività militari e che vi sia una necessità militare immediata di colpirla”.
I numerosi casi di danneggiamenti riportati in questo comunicato sollevano gravi preoccupazioni sul fatto che l’esercito non stia operando secondo le norme del diritto internazionale, o intenzionalmente e per “ordini superiori” o per il fatto che le direttive riguardanti le strutture mediche non sono state inserite nelle linee guida o restano inapplicate sul terreno.
Alla luce di questo, e al fine di evitare ulteriori danni alle strutture mediche e ai membri del personale sanitario, PHR-Israele chiede che l’esercito cessi di impegnarsi in operazioni che mettono illegittimamente in pericolo il personale medico, e chiede che nelle linee guida vengano inseriti i divieti e le limitazioni che si applicano alle strutture mediche e al personale. Inoltre, PHR-Israele esige che avvenga un ripensamento immediato, e che l’esercito programmi le proprie azioni in modo da ridurre al minimo la possibilità di altri danni di questo tipo in futuro, e che venga fatta una revisione retroattiva e che si tenga conto dei danni già inflitti.


Per ulteriori informazioni: Lital Grossman, Spokeswoman, Physicians for Human Rights – Israel 052-3112136 media@phr.org.il
Ufficio stampa MEDU – 3343929765 / 0697844892


sabato 16 agosto 2014

Coordinamento per la pace in Siria





Riceviamo e vi comunichiamo il comunicato stampa della nascita del Coordinamento per la pace in Siria nato a Roma lo scorso 12 luglio 2014.



"Il Coordinamento Nazionale per la pace in Siria, nasce come gruppo di lavoro e di cooperazione umanitaria, laica e indipendente. Vuole aiutare e sostenere il popolo siriano a risorgere dalla guerra. Il Coordinamento è formato da un gruppo di persone unite dal senso di responsabilità e dalla passione per questo paese. Si impegna ad aiutare chi desidera aiutare la Siria e i siriani. La nostra missione consiste nel contribuire in modo concreto e fattivo a creare un ponte diretto tra l’Italia e la Siria, assieme alle altre nazioni e organizzazioni amiche, avendo i civili al centro del nostro interesse. Siamo disponibili ad intervenire nelle emergenze e nella fase di ricostruzione e sviluppo nelle aree urbane e rurali devastate da quattro anni di guerra e terrorismo. La Siria culla delle civiltà orientali e occidentali, è un paese di antica tradizione culturale e religiosa. Da secoli vi convivono pacificamente insieme popoli, lingue e fedi, diventando per i paesi vicini un esempio da imitare. Da alcuni anni nel paese è in atto un piano di distruzione presentato sotto forma di lotta armata, la quale viene spacciata dai media e dalla propaganda antisirana come ribellione contro il potere costituito. Molto presto la guerriglia "contro Damasco" si è trasformata in uno scontro a base etnico-religiosa, per mano dei mercenari e jihadisti di vari gruppi armati provenienti da campi di addestramento, sostenuti e finanziati da forze regionali e internazionali, con l'obiettivo di creare caos e disordine. Una vera e propria invasione integralista che ha messo in serio pericolo tutto il Medio Oriente, in modo particolare le diverse comunità religiose, compiendo stragi di innocenti e provocando pesanti perdite di vite umane.

Una delle finalità principali del Coordinamento sarà sostenere i civili siriani appartenenti alle varie comunità religiose, facendoci voce delle loro necessità e bisogni. Tutti si riconoscono cittadini siriani anche se appartengono a religioni diverse, perché innanzitutto sono siriani. Cercheremo tramite l'informazione e i contatti di presentare all'opinione pubblica il vero volto confessionale della Siria, che fino ad oggi è stato garantito dalla laicità dello Stato. Una laicità che non ha nulla in comune con quella propagandata in occidente. Una Siria laica è l'unica garanzia nei confronti dei cittadini, intendendo per laicità una forma politica in cui sono ritenuti tutti uguali davanti alla legge al di là delle loro personali appartenenze politiche e religiose. Il Coordinamento Nazionale per la pace in Siria è e resterà accanto ai siriani, rispettando le diverse appartenenze politiche e religiose, nella lotta per difendere il loro Stato libero, sovrano, laico e indipendente, senza interferire nelle scelte politiche volute dal popolo tramite le elezioni.

Progetti per la Siria: non saranno precostituiti a pacchetto dall’Italia. Pertanto cercheremo di appoggiare le tante attività di soccorso e ricostruzione già presenti , dando spazio alle iniziative locali attraverso il contatto diretto con il territorio. Sarà compito del coordinamento verificare l’attendibilità dei progetti, con trasparenza e correttezza, verso chi aiuta e chi riceve aiuto. I progetti di ricostruzione hanno come obiettivi:
a) Il sostegno ai bambini, giovani e famiglie, e la promozione di attività lavorative con l’istituzione di micro-imprese. Uno degli intenti prioritari è sostenere chi lavora positivamente nell'educazione, perché la vera rinascita della Siria sarà possibile solamente se si saranno ricostruiti ponti di riconciliazione tra i cuori e rispetto reciproco, al contrario di chi sta lacerando le giovani generazioni crescendole nell'odio e addestrandole alla barbarie.

b) Il recupero del patrimonio storico-archeologico, e le infrastrutture delle città distrutte, sostenendo il processo di ricostruzione già avviato in alcune zone.


c) La guerra produce distruzione e morte, perciò vogliamo sostenere l’invio di volontari medici e personale sanitario, con i quali tenteremo di essere presenti nelle zone più disagiate per soccorrere i deboli e gli indifesi.


Il Coordinamento Nazionale per la pace in Siria, servirà a chiarire i tanti equivoci sulla crisi siriana. Purtroppo gli interessi dei potenti, appoggiati dai mezzi di comunicazione, sono tantissimi. Ognuno cerca di presentare i propri, camuffati da opere di solidarietà e di bene, facendo cadere nel tranello l’opinione pubblica. Pertanto saranno segnalate le varie iniziative per vagliarne la veridicità. Sarà cura del Coordinamento incoraggiare una informazione alternativa corretta e verificata attraverso fonti attendibili. Il Coordinamento proporrà importanti iniziative per far luce sulla Siria e far conoscere il dramma che vive ogni giorno la gente, spossata da quattro anni di guerra e dalle sanzioni internazionali che ne hanno devastato economia, infrastrutture, lavoro e ridotta alla penuria di ogni mezzo di sussistenza: la giornata di preghiera per la pace in Siria in continuità con quella convocata da Papa Francesco alla vigilia dell’attacco USA, flash mob davanti alle ambasciate con annesse manifestazioni pacifiche organizzate, diffusione di newsletter, incontri pubblici, articoli, sostegno all’attività dei siriani in Italia, in Europa e nel mondo, sensibilizzazione dei giornalisti, tavole rotonde, testimonianze, creazione di piccoli circoli locali per la Siria e tanto altro. Il tutto reperibile sul portale web:
www.syriapax.org "

giovedì 14 agosto 2014

Il Sudamerica a favore di Gaza




Netta condanna della strage di civili nella Striscia di Gaza da parte di Israele e tantissime mobilitrazioni popolari: così l'America latina si schiera a favore dei palestinesi.

Cuba, Equador, Venezuela, Argentina, e non solo.

Cuba – che ha rotto le relazioni diplomatiche con Israele già a seguito della guerra dello Yom Kippur – chiede alla comunità internazionale di fare pressioni su Tel Aviv per una tregua e “di far cessare immediatamente l'aggressione israeliana contro il popolo di Gaza”.

Il Cile – un Paese che siede tra i dieci membri a rotazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e nel quale risiedono una grande comunità di palestinesi e una cospicua minoranza ebraica – ha richiamato in patria i propri ambasciatori, così come hanno deciso di fare Perù e El Salvador.

Il Venezuela, attraverso una dichiarazione del Ministero degli Esteri, ha dichiarato: “la sua forte condanna per l'attacco criminale dello Stato di Israele che ha avviato una fase più elevata della politica e del suo sterminio genocida con l'invasione di terra del territorio palestinese, che uccide uomini, donne e bambini innocenti”. Il Venezuela, inoltre, ripudia “le campagne ciniche che cercano di condannare le parti allo stesso modo, quando è chiaro che moralmente non è paragonabile la situazione della Palestina occupata e massacrata rispetto allo Stato occupante, Israele, che ha anche una superiorità militare e agisce al di fuori del diritto internazionale”.

Il governo boliviano ha incluso Israele tra i propri “Stati terroristi” e quello argentino ha chiesto la fine immediata degli attacchi militari israeliani.

Il Presidente dell'Uruguay, José Mujica, ha chiesto il “ritiro immediato delle truppe israeliane e un 'cessate il fuoco' senza condizioni” nella Striscia.

Queste le voci unanime del sudamerica e, in aprticolare, degli Stati goveranti dalla sinistra. L'unica voce discordante è quella della Colombia, in cui il governo di centro-destra (vicino agli Stati Uniti e alleato di Israele) ha escluso di richiamare in patria il proprio ambasciatore.

venerdì 8 agosto 2014

I diritti umani...veleggiano!



Derive, tavole a vela, catamarani e cabinati hanno viaggiato nel mare, percorrendo un tratto delimitato da due boe: è successo lo scorso 25 luglio e questa veleggiata è molto speciale.

Si è svolta, infatti, a Lampedusa, Cala Pisana e vi hanno preso parte attiviste e attivisti di Amnesty International Italia per chiedere ai leader dell'Unione Europea più garanzie nel rispetto dei diritti dei migranti, dei rifugiati e dei richiedenti asilo politico. Il motto è stato: “ Prima le persone, poi le frontiere”.

Con questa iniziativa estiva, ma efficace, Amnesty ha voluto lanciare un messaggio chiaro: non si può restare in silenzio di fronte ai continui naufragi in cui perdono la vita centinaia di persone. Nemmeno i membri degli Stati della UE può farlo.

Come abbiamo documentato già più volte con i nostri articoli e con le nostre interviste, le politiche e le prassi dell'UE su immigrazione e asilo politico hanno avuto l'effetto di spingere i migranti ad intraprendere viaggi sempre più pericolosi: L'Europa deve, invece, essere in grado di garantire a queste persone canali sicuri e legali di accesso agli Stati Membri, anche assicurando la protezione internazionale a coloro che sono costretti a fuggire dai Paesi d'origine a causa di guerre e discriminazioni.

Durante la giornata del 25 luglio, sono state raccolte le firme per chiedere tutto questo alle autorità europee, sono state approntate attività educative sul tema dei diritti umani e anche i bambini sono stati coinvolti che – con l'aiuto della scuola di vela della Lega navale italiana – hanno scritto messaggi proprio sulle vele, firmandoli con le impronte delle mani.

Sono oltre 60 gli attivisti di Amnesty che stanno prendendo parte al quarto campo sui diritti umani a Lampedusa per chiedere ai leader dell'Unione europea di fare tutto ciò che è in loro potere affinché siano evitate morti in mare e per chiedere la protezione della vita e dei diritti dei migranti e dei rifugiati alla frontiera europea. Al campo di Lampedusa prendono parte anche Hussain Majid e Said Ismal Yaccub, due rifugiati della Nigeria e del Camerun approdati a Lampedusa nel 2011 dopo un viaggio in mare dalla Libia.


giovedì 7 agosto 2014

Convenzione per l'istituzione della Corte penale internazionale e altro



Cari lettori, su www.change.org è possibile firmare la petizione (e la lettera) che potete leggere qui di seguito. Noi dell'Associazione per i Diritti Umani lo abbiamo fatto. Fatela girare, grazie.


Gentile Presidente Renzi,

nel Suo discorso post primarie del dicembre 2013 Lei ha ricordato le tragedie del Rwanda e di Srebrenica. Ne fui colpito, positivamente, perché  finalmente un politico italiano dava importanza a quei fatti sempre lasciati ai margini delle cronache. Ma ricordare quelle tragedie ha delle conseguenze, quale il riconoscere il valore della giustizia. Per noi italiani, la giustizia internazionale è davvero molto importante. È stato il nostro Paese, nel 1998, a ospitare la convenzione per l'istituzione della Corte penale internazionale. In quell'occasione fu ribadito che nulla, neppure durante una guerra, può giustificare l'uccisione deliberata o indiscriminata di civili. Anche per questo motivo, credo Lei debba impegnarsi per riaffermare la giustizia internazionale. Le chiedo quindi se ha intenzione di convocare i rappresentanti diplomatici di Israele, Palestina e Siria, e chieder loro cosa stanno facendo per portare di fronte alla giustizia i responsabili di bombardamenti che hanno causato la morte di donne, bambini, malati. E, in mancanza di risposte convincenti, Le chiedo se è disposto a trarne le conseguenze politiche, cioè a protestare con decisione, richiamando – laddove ci sono – i nostri ambasciatori ed espellendo i rappresentanti di Paesi che non intendono perseguire i responsabili di crimini odiosi come l'uccisione di bambini. Può darsi che Lei non sia d'accordo, può darsi che, come tanti rappresentanti del governo italiano che l'hanno preceduta, Lei ritenga che la diplomazia debba muoversi in altri modi. Nel caso, però, La pregherei di evitare in futuro di riferirsi ancora alle vicende del Rwanda e di Srebrenica. Perché prima di condannare il solito immobilismo delle Nazioni Unite, credo sarebbe opportuno pensare alle proprie responsabilità.

1. Daniele Scaglione, scrittore

2. Ascanio Celestini, attore

3. Luca Leone, scrittore

4. Laura Caputo, giornalista

5. Maria Cecilia Castagna, editore

6. Laura Silvia Battaglia, giornalista

7. Isa Ferraguti, già senatrice X Legislatura

8. Enzo Barnabà, scrittore

9. Nadia Ravioli, cittadina

10. Silvia Gaiba, architetto del Ministero Beni Culturali e Ambientali

11. Rocco Cipriano, grafico

12. Marco Mainardi, giornalista

13. Gioacchino Allasia, maestro di Shiatsu e Craniosacrale

14. Michela Iorio, giornalista

15. Roberto Di Giovanbattista, operatore culturale

16. Sandro Ferri, editore

17. Silvia Fabbi, giornalista

18. Stefano Landucci, consigliere comunale di Pisa

19. Maria Frega, sociologa

20. Massimo Ceresa, scrittore

21. Françoise Kankindi, presidente di Bene Rwanda

22. Maurizio Dell’Orso, promotore culturale

23. Stefania Sarallo, giornalista

24. Ada Scalchi, ex sindaco di Albano Laziale (RM)

25. Silvia Cavicchioli, storica

26. Edoardo Montenegro, blogger

27. Giovanni Verga, giornalista

28. Elisabetta Falcioni, editor

29. Matteo Pagliani, cooperante

30. Marina Scaglione, insegnante


A:
Matteo Renzi, Presidente del Consiglio


Palestina, Rwanda, Srebrenica: appello per la giustizia internazionale

Gentile Presidente Renzi,

nel Suo discorso post primarie del dicembre 2013 Lei ha ricordato le tragedie del Rwanda e di Srebrenica. Ne fui colpito, positivamente, perché finalmente un politico italiano dava importanza a quei fatti sempre lasciati ai margini delle cronache. Ma ricordare quelle tragedie ha delle...

Palestina, Rwanda, Srebrenica: appello per la giustizia internazionale

Gentile Presidente Renzi,

nel Suo discorso post primarie del dicembre 2013 Lei ha ricordato le tragedie del Rwanda e di Srebrenica. Ne fui colpito, positivamente, perché finalmente un politico italiano dava importanza a quei fatti sempre lasciati ai margini delle cronache. Ma ricordare quelle tragedie ha delle conseguenze, quale il riconoscere il valore della giustizia. Per noi italiani, la giustizia internazionale è davvero molto importante. È stato il nostro Paese, nel 1998, a ospitare la convenzione per l'istituzione della Corte penale internazionale. In quell'occasione fu ribadito che nulla, neppure durante una guerra, può giustificare l'uccisione deliberata o indiscriminata di civili. Anche per questo motivo, credo Lei debba impegnarsi per riaffermare la giustizia internazionale. Le chiedo quindi se ha intenzione di convocare i rappresentanti diplomatici di Israele, Palestina e Siria, e chieder loro cosa stanno facendo per portare di fronte alla giustizia i responsabili di bombardamenti che hanno causato la morte di donne, bambini, malati. E, in mancanza di risposte convincenti, Le chiedo se è disposto a trarne le conseguenze politiche, cioè a protestare con decisione, richiamando – laddove ci sono – i nostri ambasciatori ed espellendo i rappresentanti di Paesi che non intendono perseguire i responsabili di crimini odiosi come l'uccisione di bambini. Può darsi che Lei non sia d'accordo, può darsi che, come tanti rappresentanti del governo italiano che l'hanno preceduta, Lei ritenga che la diplomazia debba muoversi in altri modi. Nel caso, però, La pregherei di evitare in futuro di riferirsi ancora alle vicende del Rwanda e di Srebrenica. Perché prima di condannare il solito immobilismo delle Nazioni Unite, credo sarebbe opportuno pensare alle proprie responsabilità.


Cordiali saluti,
[Il tuo nome]

mercoledì 6 agosto 2014

Anche il portavoce ONU piange per Gaza







Chris Gunness, portavoce dell'agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, è scoppiato in lacrime: l'ex reporter della BBC piange in diretta tv, su Al Jazeera, mentre parla della violazione, continua e tragica, dei diritti dei bambini in Palestina. “I diritti dei palestinesi e anche dei loro bambini sono completamente negati e questo è atroce”, queste le parole di Gunness che rincara in un messaggio su Twitter: “ Abbiamo raggiunto il limite, membri del nostro staff vengono uccisi e i nostri rifugi sono stracolmi. Quando finirà?..La Unrwa condanna nella maniera più assoluta questa grave violazione del diritto internazionale da parte di forze israeliane”.

Gunness è stato intervistato dall'emittente Al Jazeera in occasione del bombardamento, da parte Israele, della scuola dell'ONU in cui sono rimaste uccise altre 15 persone e che ha causato anche circa 90 feriti. Questi si aggiungono ad altri numeri: 1336 morti, 7200 feriti e i 180 mila sfollati. Numeri di una guerra sfibrante che rende impotenti, ormai, anche chi continua a sperare in una tregua se non in una sua soluzione finalmente politica e diplomatica.

domenica 3 agosto 2014

Una dichiarazione su Gaza





Foad Aodi, cittadino italiano, di origini palestinesi, medico fisiatra ortopedico e Presidente della Comunità del mondo arabo in Italia, ci ha fatto pervenire la seguente dichiarazione:




GAZA ,FOAD AODI ,OGGI 61 MORTI ,TOTALE PIU' DI 1700 E 9000 FERITI ,BENE RENZI IN EGITTO ,MA SERVE UN PIANO ITALIANO -EUROPEA PIU' IMMEDIATO ,INCISIVO E COINVOLGENTE.

COSI DICHIARA IL PRESIDENTE DELLA CO-MAI ,COMUNITA' DEL MONDO ARABO IN ITALIA ED AMSI ,ASSOCIAZIONE MEDICI DI ORIGINE STRANIERA IN ITALIA AGGIORNANDO LA SITUAZIONE TRAGICA ODIERNA DI GAZA DOVE CI SONO GIA' PIU' DI 1700 MORTI E 9000 FERITI ED ANCORA SI DISCUTE DEL CESSATE IL FUOCO DOVE GLI OSPEDALI GIA' DISTRUTTI E NON CE' LA LUCE E SPERANZA A GAZA .

APPREZZIAMO E RINGRAZIAMO L'EGITTO E L'ITALIA PER L'IMPORTANTE INIZIATIVA A FAVORE DEL CESSATE DEL FUOCO E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE MA NOI RIBADIAMO E CONCORDIAMO CON IL PRESIDENTE RENZI SERVE UNA AZIONE FORTE ,UNITARIA ,UMANITARIA E SANITARIA DA PARTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA ED AGGIUNGIAMO ANCHE DA PARTE DELL'AMERICA .

CONCORDIAMO CON I PRESIDENTI RENZI ED AL SISI SU L'IMMIGRAZIONE ED AIUTARE GLI IMMIGRATI NEI LORO PAESI TRAMITE UNA FORTE COOPERAZIONE INTERNAZIONE ,PER QUESTO ACCOGLIAMO CON SODDISFAZIONE L'INIZIATIVA ED IL NUOVO NOME DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI INVECE INVITIAMO IL MINISTRO ANGELINO ALFANO DI STARE PIU' ATTENTO SULLE PAROLE , I PREGIDIZI E LE DIVISIONI TRA ITALIANI ED IMMIGRATI VISTO SOLO PER FINI ELETTORALE PERCHE' NESSUNO HA INTENZIONE DI RUBARE IL LAVORO AGLI ITALIANI BASTA VEDERE L'ESPERIENZA DI AMSI ,CO-MAI ED UNITI PER UNIRE COSI CHIUDE FOAD AODI PRESIDENTE DEL MOVIMENTO UNITI PER UNIRE.


www.co-mai.org

www.unitiperunire.org