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mercoledì 20 maggio 2015

Un giudice, un attentato mafioso e una sopravvissuta







Sola con te in un futuro aprile di Margherita Asta e Michela Gargiulo (Fandango) racconta una storia dolorosa, terribile, ma che va ricordata.

È il 2 aprile di trent’anni fa, Carlo Palermo è arrivato in Sicilia da quaranta giorni. A Trapani aveva preso il posto di un magistrato coraggioso ucciso dalla mafia, Giangiacomo Ciaccio Montalto. Due macchine della scorta parcheggiano davanti al cancello di una villetta vicino a Bonagia, a 3 chilometri di distanza dalla casa della famiglia Asta.
Il giudice Palermo vive lì da pochi giorni e proprio lì arriva l'ultima telefonata di minacce che era stata ancora più esplicita e definitiva: "Dite al giudice che il regalo sta per essergli recapitato".

Il giudice, la mattina del 2 aprile 1985, scende di casa alle 8 e qualche minuto per recarsi al Tribunale di Trapani. Sul rettilineo di contrada Pizzolungo la macchina trova davanti a sé un'altra auto, una Volkswagen Scirocco, dentro ci sono Barbara Rizzo, giovane madre di 31 anni, e due dei suoi tre figli, i gemellini Salvatore e Giuseppe di 6 anni che stanno andando a scuola. L'autista del giudice aspetta il momento giusto per iniziare il sorpasso; le tre auto, per un brevissimo istante, si trovano perfettamente allineate ed è proprio in momento che viene azionato il detonatore.

L'esplosione è devastante, una bomba al tritolo. L'utilitaria fa scudo all'auto del sostituto procuratore che si ritrova scaraventato fuori dalla macchina , è ferito ma miracolosamente vivo. Muoiono dilaniati la donna e i due bambini. Nunzio Asta, il marito di Barbara in quei giorni va a lavoro un po' più tardi a causa di un intervento al cuore. Sente il boato, esce per andare a prestare soccorso, ma non lo lasciano avvicinare. La Volkswagen di sua moglie è stata polverizzata, non sospetta che la sua famiglia sia rimasta coinvolta. Margherita, l'altra figlia di dieci anni, in quel momento è già a scuola. Avrebbe dovuto essere a bordo anche lei, ma quella mattina i due fratellini ci mettevano troppo tempo a vestirsi e per non fare tardi la ragazzina chiede un passaggio in macchina alla mamma di una sua amica e si salva.



L'Associazione per i Diritti Umani ha intervistato la giornalista Michela Gargiulo che ringraziamo molto.



Come avete lavorato, lei e la sig.ra Margherita, per la stesura di questo libro che racconta una storia così dolorosa?


Conosco Margherita dal 2006 e, da quell'incontro, è nata subito un'amicizia, un rapporto speciale. Ho provato nei confronti di questa donna una senso di affetto profondo e quasi di protezione. Abbiamo iniziato a conoscerci sempre meglio e io, nei miei viaggi siciliani, finivo sempre a Pizzolungo con lei, la sua nuova madre e il fratello Giuseppe Salvatore. Ci sono state vicende personali che ci hanno unite, Margherita è madrina di mia figlia e il progetto di scrivere il libro della sua storia è nato molto tempo fa. Mi sono spesso avvicinata, in questi anni, ai ricordi di Margherita con timore e rispetto. La curiosità professionale ha sempre lasciato il posto alle confidenze e all'accoglienza. Margherita è una donna di grande coraggio ma tirare fuori un dolore così grande non è stato facile. Ho raccolto i ricordi di Margherita durante i nostri incontri. Pezzi di storia scritti spesso in rubriche e quaderni diversi che finivano sempre sul comodino, uno sopra l'altro. Margherita mi ha dato i preziosi giornali che suo padre Nunzio custodiva in cassaforte e sono stati per me uno strumento fondamentale per ricostruire molte scene del libro. Gli atti giudiziari sono stati l'ultimo tassello per ricomporre la sua storia, dal giorno dell'attentato ad oggi. "Sola con te in un futuro aprile" è un libro che è nato grazie al nostro rapporto di fiducia e di affetto profondo, è stato un lavoro di rilettura di fatti di cronaca decisivi per il nostro Paese fatto da un punto di vista unico: quello di chi aveva subito la perdita di tutto ciò che aveva di più caro. Credo che il lettore, di fronte al racconto intenso di questa donna, riesca a vivere il suo dramma personale e insieme a lei la rabbia delle ingiustizie subite ma allo stesso tempo capirà quanto è importante lottare contro la mafia e portare avanti un messaggio di speranza per costruire una storia diversa per il nostro Paese.


E' un percorso, anche interiore, quello che in questi trent'anni ha dovuto affrontare la sig.ra Margherita...


Margherita ha affrontato il dolore della perdita più grande, quella della madre. Ha dovuto gestire la rabbia e l'ha trasformata in una risorsa che le ha permesso di cercare la verità sulla sua storia. Ha costruito il suo futuro sulla speranza e questa è la dimostrazione della sua grande umanità.


Vogliamo spiegare più approfonditamente di cosa si stesse occupando il magistrato Carlo Palermo?


E' impossibile raccontare in poche righe l'ampiezza delle indagini di Carlo Palermo. Lui ha iniziato la sua attività di giudice istruttore a Trento nel 1980 e da allora non si è mai fermato fino al quel tragico 2 aprile 1985. Dai traffici di morfina base che transitavano da Trento provenienti dalla Turchia e diretti in Sicilia ha indagato sui traffici di armi, due mercati che, nelle sue inchieste, erano paralleli. Ha messo sotto inchiesta uomini dei servizi segreti, trafficanti, mercanti della droga, mafiosi e pidduisti. Poi, nel 1984, ha iniziato a percorrere le tracce che lo portavano dritto a due società vicine al partito socialista. Era la pista politica. Quell'inchiesta scatenò l'ira dell'allora presidente del consiglio Bettino Craxi e Carlo Palermo capì in quel momento che per le sue inchieste rimaneva poco tempo. Sul giudice istruttore arrivò un procedimento disciplinare, si aprì un'inchiesta penale per l'arresto di due avvocati. Fu costretto a chiudere l'inchiesta su armi e droga prima che questa fosse trasferita a Venezia ad altri giudici. Allora, a novembre 1984 decise di trasferirsi a Trapani per riprendere i fili del traffico di droga. Arrivò in Sicilia a fine febbraio 1985 e dopo soli 40 giorni ci fu l'attentato. Dopo l'attentato Palermo non ha mai smesso di cercare la verità e da trenta anni si interroga ancora su chi voleva la sua morte.

E' un testo che parla del nostro Paese: cosa è cambiato da allora?


Sono cambiate molte cose, altre sono rimaste immutate . La mafia ha cambiato volto e modalità ma gode sempre di un sistema di complicità a vari livelli. I meccanismi di infiltrazione sono sempre più sofisticati e meno riconoscibili. Io credo che anche i sistemi criminali si siano adeguati ad un mondo globale in continua evoluzione e che sarà sempre più difficile colpire gli interessi e i capitali frutto di attività criminali. Gli anni che ci lasciamo alle spalle sono stati anni terribili segnati da stragi e morti innocenti. Ancora oggi, per molti di quegli episodi non conosciamo né i colpevoli, né i moventi. Non sapere la verità su episodi che hanno segnato il corso della storia di questo Paese ha creato un sistema fragile, frutto di segreti e quindi di ricatti.


Qual è stato l'esito del processo per gli esecutori dell'attentato e come si può commentare quella sentenza?


Il primo processo sugli esecutori materiali della strage rappresenta un capitolo nero della nostra storia. In primo grado, nel 1988, la Corte di Assise di Caltanissetta, condannò all'ergastolo tre uomini per avere messo in atto la strage di Pizzolungo. Erano Gioacchino Calabrò, Vincenzo Milazzo e Filippo Melodia. Furono condannati, rispettivamente a 19 anni e a 12 anni, Giuseppe Ferro e Antonino Melodia. In secondo grado gli stessi uomini furono assolti e la prima sezione penale della corte di cassazione, presieduta da Corrado Carnevale confermò la sentenza di appello. Solo nel 2002, durante il processo sui mandanti i pentiti racconteranno che erano stati proprio quegli uomini a eseguire materialmente la strage ma anche di fronte a quel quadro accusatorio convergente e completo nessun tribunale potrà più processare chi è stato assolto per sempre.


Nell'attentato hanno perso la vita una madre e due figli piccoli: questo libro è dedicato a loro e crediamo porti anche un messaggio importante per i ragazzi di oggi...


I nostri ragazzi dovrebbero conoscere la storia di Barbara, Giuseppe e Salvatore e con questa andare a scavare nella cronaca recente del nostro Paese. La loro morte drammatica raccontata in questo libro dovrebbe essere uno stimolo per i giovani a guardarsi intorno e chiedersi quante sono le vittime innocenti delle quali non ci ricordiamo nemmeno i nomi. Sono 900 le persone uccise dalla mafia, alcune di loro sono state dimenticate e i loro nomi risuonano il 21 marzo quando Libera dedicata loro la giornata della memoria. Io spero che "Sola con te in un futuro aprile" faccia sentire anche le voci di chi non è stato raccontato. I ragazzi sono la nostra speranza e per costruire un mondo più giusto devono conoscere a capire qual è stata la storia del nostro Paese.

lunedì 18 agosto 2014

Un percorso di formazione per donne immigrate




E' difficile inserirsi in una nuova cultura, in un Paese diverso da quello dove si è nati e cresciuti: lo è ancora di più per le donne, magari povere e analfabete. La lotta all'isolamento passa sempre attraverso due canali: il lavoro e la lingua e questo vale per gli italiani e per gli stranieri che cercano in Italia un rifugio, una vita migliore o, semplicemente, una vita.

Ecco, quindi, l'importanza del progetto “I saperi dell'inclusione”, rivolto a cento donne immigrate, vittime della tratta: potranno studiare la lingua italiana e potranno seguire corsi di educazione civica, oltre a due percorsi professionali, uno di sartoria e uno sulla gestione delle strutture di accoglienza.

La Scuola di Lingua Italiana per Stranieri dell'Università di Palermo è risultata vincitrice, con questo progetto, di un bando indetto dal Ministero dell'Interno – Dipartimento per le Libertà civili e l'Immigrazione e, grazie a questo, potrà usufruire di un fondo messo a disposizione dall'Unione Europea, fondo che ha come obiettivo proprio l'inclusione dei cittadini di Paesi Terzi.

Mari D'agostino, referente del progetto e direttrice della Scuola, ha spigato che: “ L'importanza del progetto sta nel coniugare inclusione linguistica e inclusione sociale attraverso un percorso articolato che vede le donne protagoniste e che potrà proseguire in futuro utilizzando i proventi della vendita dei prodotti dei laboratori che entreranno anche nei circuiti universitari. L'insegnamento delle lingue a soggetti a bassa e bassissima scolarizzazione è divenuto un tema rilevante del dibattito internazionale nell'ambito della didattica delle lingue e il nostro gruppo di lavoro è in prima fila con ampi riscontri nella comunità scientifica” e ha anche aggiunto: “ Abbiamo chiesto ma con poco successo, alla Regione Sicilia che gestisce parte rilevante dei finanziamenti europei per l'immigrazione, di dedicare attenzione al tema dell'insegnamento della lingua italiana, pensando a percorsi di qualità. Senza l'italiano non vi è possibilità di inclusione sociale e senza didattica di qualità il raggiungimento di traguardi linguistici sufficienti è lento e spesso non avviene affatto. Per “Altre italie” questo è senso comune, per la nostra è una conquista ancora di là da venire”.

Però questo è un primo passo...I prodotti realizzati durante i laboratori verranno messi in vendita e distribuiti su un portale dell'agenzia Kappaelle, partner del progetto ideato dal Dipartimento di Scienze umanistiche, con il Comune di Palermo, la Biblioteca delle Balate, le associazioni Pellegrino della Terra, Casa di tutte le genti, Incontrosenso e con l'Istituto Comprensivo Perez- Calcutta e il Ctp La Masa-Federico II. Una cordata, una rete in nome della dignità e contro ogni forma di emarginazione.

venerdì 23 maggio 2014

Falcone, Borsellino e l'amore della signora Agnese






Era il 23 maggio 1992 quando un bomba fece saltare in aria l'auto su cui viaggiavano il giudice Giovanni Falcone, sua moglie, Francesca Morvillo, e i ragazzi della scorta. Dopo poche setimane, il 19 luglio, il destino era segnato anche per il giudice Paolo Borsellino e altri poliziotti che cercavano di proteggerlo.



Il nostro impegno deve essere costante nel ricordare il sacrificio di tutti coloro che hanno lottato contro la crminialità organizzata – ciascuno a suo modo – perchè queste persone hanno lottato anche per noi. Il loro impegno, quindi, deve essere anche il nostro per ripristinare la cultura della legalità, dell'onestà e della giustizia.



Ecco, quindi, che vogliamo onorare la memoria di Borsellino e di sua moglie, la Signora Agnese Piraino Leto che ci ha lasciati da poco, suggerendo la lettura del libro Ti racconterò tutte le storie che potrò, scritto dal giornalista Salvo Palazzolo con la signora Agnese, edito da Feltrinelli. Un testo importante e intimo che racconta l'etica di un uomo, ma anche l'amore di una coppia e il calore di una famiglia.

 



Abbiamo rivolto alcune domande a Salvo Palazzolo che ringraziamo di cuore per averci concesso l'intervista.


Perchè la signora Leto Borsellino ha deciso di regalare ai lettori una storia così personale?


La signora Agnese sapeva di avere un terribile male, sapeva di non avere più molti giorni da vivere. Eppure, non rinunciava a partecipare alla vita del paese. E si arrabbiava quando sentiva che i magistrati di Palermo e Caltanissetta erano minacciati con delle pesanti lettere anonime. “Non arrivano dalle celle dei mafiosi – mi disse il giorno in cui ci incontrammo, nel febbraio dell’anno scorso – ma da uomini infedeli delle istituzioni”. Ecco perché Agnese aveva deciso di scrivere, per accendere i riflettori su una situazione drammatica: “Quelle minacce puntano a creare un clima di tensione – mi disse ancora - è lo stesso clima che ho vissuto prima della morte di Paolo”. Così, iniziò il suo racconto, “il racconto delle tante vite che ho vissuto” ripeteva lei: “E’ un racconto che dovrà dare forza e speranza, perché non si ripeta più l’incubo delle stragi mafiose”.


Un romanzo, un saggio, una denuncia. Come sono stati gli anni successivi a quel tragico 19 luglio 1992?


Per Agnese Borsellino sono stati anni di grande impegno civile, per chiedere verità sui delitti di mafia rimasti impuniti. Diceva: “La verità appartiene a tutti gli italiani, ecco perché non possono essere solo i magistrati a cercarla”. Dopo quel drammatico 1992, tanto si è fatto per arrivare alla verità, ma tanto è stato ostacolato, proprio sulla morte di Paolo Borsellino e dei suoi agenti di scorta: non sappiamo ancora chi ha messo in atto quel terribile depistaggio del falso pentito Scarantino, di certo un depistaggio istituzionale che nasconde ancora alcuni degli autori della strage di via d’Amelio.


La signora parla apertamente di una telefonata di Francesco Cossiga in cui si fa riferimento ad un colpo di Stato: ci può spiegare meglio quel momento e il senso di quella telefonata?


E’ uno dei misteri che Francesco Cossiga si è portato nella tomba. Se lo chiedeva anche Agnese, e l’ha scritto nel libro: “Cosa volesse dirmi esattamente con quelle parole non lo so”. E ha aggiunto: “Però, la voce di Cossiga non la dimenticherò mai: via d’Amelio è stata da colpo di Stato, così disse. Evidentemente, voleva togliersi un peso. Dunque, qualcuno sa”. Scrive proprio così la signora Borsellino: “Qualcuno ha sempre saputo, e non parla. È un silenzio diventato assordante da quando i magistrati di Caltanissetta e di Palermo hanno scoperto ciò che Paolo aveva capito: in quella terribile estate del 1992 c’era un dialogo fra la mafia e lo Stato. Ma ancora non sappiamo in che termini, e soprattutto non conosciamo tutti i protagonisti”.


Lucia, Manfredi e Fiammetta sono i figli della signora Agnese e di Paolo Borsellino: quale il rapporto con un padre diventato, suo malgrado, un eroe civile?

Loro portano nel cuore e nella mente il ricordo di un papà premuroso, sensibile, un papà giocherellone, che amava raccontare storie sempre divertenti. Nel suo libro, Agnese ha voluto lasciarci il ritratto di una famiglia normale, che ha saputo sempre trovare dentro di sé la forza di reagire ai momenti difficili: all’inizio degli anni Ottanta, Paolo Borsellino aveva iniziato la sua vita blindata, per istruire con Giovanni Falcone e con gli altri colleghi del pool il primo maxiprocesso alle cosche. Erano gli anni in cui Cosa nostra avviava la grande mattanza a Palermo. Paolo Borsellino trovava una grande forza proprio nella sua famiglia.



Qual è l'appello che la signora Leto Borsellino ha voluto lanciare con questo libro?


Agnese ha lasciato a tutti noi un incarico importante: quello di raccontare le storie della nostra terra. Storie, come quella di Paolo Borsellino, che ha fronteggiato l’organizzazione Cosa nostra sforzandosi innanzitutto di capire le ragioni del fenomeno, che è così subdolo per le sue complicità all’interno delle istituzioni e della società civile. Agnese ci invita a raccontare le tante storie di ribellione e riscatto che ci sono nelle nostre città, storie spesso sconosciute o dimenticate. Credo che questo ci abbia voluto dire lasciandoci un grande racconto di speranza.




mercoledì 18 settembre 2013

Padre Puglisi e la sua lotta per la legalità




E' stato un sacerdote e diventerà beato, ma Padre Giuseppe Puglisi era, prima di tutto, un uomo. Un uomo che è stato ucciso il giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, il 15 settembre di venti anni fa.
Nel 1990 don Pino viene nominato parroco a San Gaetano, nel difficile quartiere Brancaccio di Palermo, e, nel '93, inaugura il centro “Padre Nostro”, aiutato da un gruppo di suore, dal vice Gregorio Porcaro e da un gruppo di persone laiche legate all'Associazione Intercondominiale; questo piccolo gruppo riesce a indirizzare i bambini e i ragazzi di Brancaccio verso il centro e verso la legalità, invece di farli rimanere, abbandonati a se stessi, per strada e nelle mani delle cosche.
Un bel ritratto dell'attività e della personalità di Padre Puglisi è stato fatto nel film di Roberto Faenza, dal titolo Alla luce del sole: in una scena, il prete entra in una scuola e, in classe davanti agli studenti stupiti, inizia a saltare su scatoloni di cartone, dicendo: “Dobbiamo rompere le scatole”: perchè questo faceva don Pino, “rompeva le scatole” ai mafiosi e a quelli collusi con la criminalità; “rompeva le scatole” alle famiglie che avevano paura e a coloro che si chiudevano nell'omertà. E proprio per questo è stato ammazzato.
Ed è morto “alla luce del sole”: nel piazzale sotto casa sua, di giorno, probabilmente davanti a tanti testimoni che hanno fatto finta di non vedere e di non sentire, trincerandosi dietro alle persiane abbassate.
A distanza di 20 anni Maria Pia Avara, vicepresidente del centro “Padre Nostro”, dice: “ Non si può arretrare nemmeno di un millimentro in quartieri a rischio come Brancaccio. Le cose da fare sono ancora molte perchè questo è un territorio molto difficile. Certamente in tutti questi anni è cambiato molto. Oggi lavoriamo in sinergia con altre realtà come la scuola Puglisi, la chiesa e la circoscrizione per migliorare tanti aspetti del territorio”. Meno ottimista Maurizio Artale, presidente del centro: “ Fino a poco tempo fa il luogo dell'uccisione di don Puglisi era un parcheggio per le auto. A nulla valevano le targhe e le commemorazioni...Poco è cambiato. Anche in questi giorni è stata rubata una moto a un nostro volontario, proprio davanti al centro dove si stava svolgendo un incontro per il ventennale della morte di Padre Pino. La gente non cambia, soprattutto quella onesta che è rimasta apatica e indifferente alla morte e al sacrificio di un uomo speciale”.
E' difficile scardinare una mentalità incentrata sulla violenza e sulla sopraffazione, ma il lavoro continuo e capillare degli operatori del centro e delle altre associazioni è importante per riaffermare i concetti di giustizia e di onestà, in particolare tra i più giovani che rappresentano la speranza di un cambiamento per il bene di tutti.

Padre Puglisi nel ricordo di Pino Martinez


sabato 23 marzo 2013

Antonio Manganelli: una vita per la legalità


Antonio Manganelli - avellinese, classe 1950 - è deceduto all'ospedale San Giovanni di Roma e con un lui si perde un altro servitore dello Stato. Un altro, insieme a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i magistrati con cui svolse la lotta a Cosa Nostra. E la morte di Manganelli avviene quasi in concomitanza con la Giornata dedicata alla memoria delle vittime delle mafie.
Molti ricorderanno la scena in cui il pentito Tommaso Buscetta, con lo sguardo nascosto dagli occhiali scuri, entrò nell'aula bunker del Tribunale di Palermo, in occasione del maxiprocesso: era accompagnato da un funzionario di Polizia, Antonio Manganelli. Era il 1986 e la Criminalpol di Roma dava sostegno alle indagini di Falcone. Insieme a Gianni De Gennaro, Alessandro Pansa, Francesco Gratteri e Ninni Cassarà, Manganelli era impegnato a cercare riscontri alle rivelazioni del pentito. E oggi De Gennaro piange “il suo fratello minore”.
Non solo Buscetta: Manganelli si occupò anche di Calderone, Marino Mannoia e Totuccio Contorno; prese parte alle operazioni Pizza Connection e Iron Tower.
Nel settembre scorso si recò nel capoluogo siciliano per la commemorazione dell' omicidio del Generale Dalla Chiesa e - quattro mesi prima, già malato - aveva scoperto la lapide in ricordo delle trecento vittime delle cosche al Giardino della Memoria di Ciaculli.
Antonello Montante - delegato Confindustria per la legalità - ricorda il progetto, realizzato insieme alla Polizia, per sconfiggere le infiltrazioni malavitose anche nelle imprese, una rivoluzione al grido “Fuori gli iscritti che pagano il pizzo”.
Antonio Manganelli era il “capo” che parlava, discuteva e si confrontava con tutti, soprattutto con i suoi agenti; ed era il “poliziotto” che chiese scusa per i tragici fatti del G8.
Tutto questo è stato Antonio Manganelli. Oggi si svolgono a Roma i funerali di Stato presso la Basilica di Santa Maria degli Angeli. E noi vorremmo mandare un abbraccio alla moglie, la Signora Adriana Piancastelli, che con lui ha condiviso tutte le battaglie per difendere la legalità.