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venerdì 26 giugno 2015

La campagna STOP alla TORTURA







Oggi è la Giornata internazionale per dire STOP alla TORTURA.

Pubblichiamo, per questa occasione, materiali e una riflessione importante (dal sito di Amensty International)


Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti” (Dichiarazione universale dei diritti umani, articolo 5)
Il diritto a essere liberi dalla tortura e da altri trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti è tra i diritti umani più saldamente protetti dal diritto internazionale. Affermato nella Dichiarazione universale dei diritti umani, ribadito in strumenti internazionali – come il Patto internazionale per i diritti civili e politici – e regionali, il divieto di tortura viene sancito in una Convenzione ad hoc nel 1984: la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti (Convenzione).
Il divieto di tortura è assoluto: questo significa che mai un pubblico ufficiale o una persona che agisca a titolo ufficiale può infliggere intenzionalmente dolore o sofferenze gravi a un’altra persona anche in situazioni di emergenza, quali una guerra, una catastrofe naturale o creata dall’uomo.

Nonostante l’obbligo per gli stati parte della Convenzione di considerare reato la tortura, indagare in modo approfondito e imparziale su qualsiasi denuncia e perseguire i responsabili, la tortura è ancora oggi molto diffusa; in alcuni di questi paesi è sistematica, in altri è un fenomeno isolato ed eccezionale.




Perché la campagna "Stop alla tortura"?



A 30 anni dalla storica adozione della Convenzione, i governi hanno tradito l'impegno a porre fine a questa pratica che comporta la perdita definitiva dell'umanità, che è il segnale di una crisi collettiva fatta di barbarie, fallimenti e paura.

In questi tre decenni, i governi spesso hanno vietato la tortura per legge ma l'hanno permessa nella pratica. Hanno pestato, frustato, soffocato, semiannegato, stuprato, privato del sonno nel buio delle carceri e nelle stanze degli interrogatori; hanno colpito presunti criminali comuni, persone sospettate di costituire una minaccia alla sicurezza nazionale, dissidenti, rivali politici per estorcere loro confessioni, per punirli, intimorirli, per privarli della loro dignità.
Tra il 2009 e il 2014, Amnesty International ha registrato torture e altri maltrattamenti in 141 paesi ma, dato il contesto di segretezza nel quale la tortura viene praticata, è probabile che il numero effettivo sia più alto. Nel 2014, 79 paesi hanno praticato la tortura.

Questa campagna porta avanti un lavoro iniziato nel 1972 e che ha contribuito all'adozione, nel 1984, della Convenzione. Quest'anno, 30esimo anniversario della Convenzione, ci concentriamo su tutti i contesti di custodia statale di alcuni paesi in cui pensiamo di poter cambiare significativamente la situazione. In Italia lavoreremo per porre fine alla tortura in
Messico, Uzbekistan e Marocco/Sahara Occidentale; a livello internazionale anche su Filippine e Nigeria.

La nostra campagna si rivolge anche all'
Italia, affinché sia introdotto nel codice penale il reato di tortura e si colmi pertanto il ritardo di oltre 25 anni trascorsi dalla ratifica della Convezione contro la tortura.
Scarica il briefing "La tortura oggi: 30 anni di impegni non mantenuti"
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Scarica il briefing "Comincia qui, comincia ora"


giovedì 28 maggio 2015

Diritti dei minori sempre più negati



Un bambino non sorride, non parla, non cerca di socializzare: sono segnali importanti da prendere subito in considerazione. Spesso non si tratta di malattie neurologiche, ma sintomi di maltrattamento. E il maltrattamento non passa solo sul corpo, ma anche sulla psiche e nell'anima.

Il Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza, Vincenzo spadafora, ha deciso di realizzare un'indagine, in tutta Italia, per capire dove, come e in che misura le bambine e i bambini vengano maltrattati.

La ricerca è stata curata da “Terres des hommes” e “Cismai” e risultano censiti 91 mila minori.

Purtroppo i dati dicono che gli abusi avvengono più frequentemente al Sud e che le vittime più numerose sono le femmine e gli stranieri.

Ma cosa si intende per maltrattamento? Il termine si riferisce, ovviamente, alle percosse (e nella ricerca si parla - oltre che di schiaffi e pugni - anche di frustate), ma a seguire - e non meno grave - la violenza psicologica. Nel rapporto dell'Authority si leggono altre due forme inquietanti di violenza: la trascuratezza materiale e affettiva e la patologia delle cure. Il primo caso, come ha sostenuto Spadafora: “ E' una forma non evidente di maltrattamento, abusi che non si vedono, ma se ripetuti nel tempo possono creare danni gravissimi” e riguarda quei bambini che non sono amati, tanto trascurati e spesso malnutriti; il secondo caso riguarda quell'atteggiamento secondo il quale gli adulti o trascurano, sottovalutandola, la malattia del minore oppure somministrano a quest'ultimo troppe medicine.

Infine, balza agli occhi il dato che riguarda gli abusi sessuali: sui 91 mila bambini registrati nell'indagine, 3.800 li hanno subìti.

La cura dei più piccoli e degli indifesi dà sempre la misura della civilità di un popolo; continuiamo a monitorare, insieme, l'entità del fenomeno dei maltrattamenti e, quando è possibile, cerchiamo di intervenire. Lo chiediamo a tutti e, in particolare, a chi ha a che fare ogni giorno con i bambini e con i ragazzi, italiani e stranieri: genitori, nonni, parenti, insegnanti, allenatori. Ma, ripetiamo, tutti dobbiamo dare il nsotro contributo per proteggere le future generazioni.

 

Per ulteriori informazioni sull'”Indagine nazionale del maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia:






lunedì 25 novembre 2013

Ginocidio. La violenza contro le donne nell'era globale



In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, pubblichiamo un'importante intervista che abbiamo fatto per voi alla Prof.ssa Daniela Danna sul suo ultimo saggio, ringraziandola molto per averci concesso un po' del suo tempo.



Daniela Danna, docente di sociologia presso l'Università degli Studi di Milano, in Ginocidio. La violenza contro le donne nell'era globale affronta un tema, purtroppo, di grande attualità, in Italia e non solo: l''autrice lo chiama "ginocidio" perchè questa violenza è generata dal giudizio maschile sull'inferiorità sociale femminile e dal desiderio di controllo del corpo delle donne da parte degli uomini.
Il testo, diviso in due parti, è basato su un doppio approccio alla violenza contro le donne. La prima parte è tematica: descrive e analizza stupri, maltrattamenti in famiglia, omicidi, violenza culturale, istituzionale ed economica, fenomeni correlati alla disuguaglianza tra i generi e più in generale al grado di disuguaglianza presente in una data società. La seconda parte presenta, invece, un approccio geografico, mettendo a confronto scenari diversi come quelli di Italia, Paesi scandinavi, Americhe, Europa dell'Est e Paesi musulmani.



Perchè ha sentito l'urgenza di scrivere questo saggio e di approfondire un tema di grande attualità?

Ho cercato di capire la situazione dai teorici della globalizzazione - che ci dicono che sta andando tutto per il meglio e che anche per le donne le cose stanno migliorando - e da altri autori che, invece, ci dicono che la globalizzazone sta peggiorando la situazione delle donne perchè, aumentando le disuguaglianze, le donne si trovano nella parte perdente sia all'interno dei Paesi che anche tra Paesi diversi.
Quello che ho cercato di fare, da sociologa, è capire se questa idea della violenza sulle donne sia qualcosa di riscontrabile con i dati, a partire dalle ricerche che sono state fatte sui reati: non soltanto attraverso le statistiche giudiziarie, perchè ci dicono quanti reati sono stati denunciati, ma anche attraverso le indagini di vittimizzazione che, al contrario, si rivolgono direttamente a un campione di persone e chiedono loro quali reati hanno subìto. Ad esempio, in Italia, secondo l'Istat solamente una piccola percentuale (al di sotto del 10%) dei reati che vengono commessi ai danni delle donne da parte degli uomini sono effettivamente denunciati. E questo comporta un problema metodologico: questa affermazione, così diffusa anche politicamente, è sì un campanello d'allarme, ma non è possibile verificarla attraverso le indagini che sono state fatte perchè non vanno molto idietro nel tempo e perchè l'esito è quello di un enorme sommerso.

Che ruolo hanno le religioni – in particolare quelle monoteiste – nel confermare il ruolo di inferiorità della donna?

La stessa idea del monoteismo è quella di unificare ciò che, invece, nelle religioni più antiche, era una pluralità: gli dei e le dee, ciascuna con una propria funzione. Al posto di questo pantheon troviamo un Dio onnipotente che - come vediamo da millenni - sotto il patriarcato è inevitabilmente maschio.
Rispetto all'attualità, nonostante le aperture e le trasformazioni della Chiesa anche nel suo ruolo economico (come sta facendo Papa Francesco e, prima di lui, Papa Luciani), viene ribadito il veto al sacerdozio femminile e questo è un messaggio di disuguaglianza di enormi proporzioni perchè lo stato laicale è considerato più basso rispetto a quello sacerdotale e le donne non possono accedere a quello sacerdotale. E non si sa bene perchè.

Può anticiparci un'analisi della condizione femminile nel mondo scandinavo?

Il mondo scandinavo è quello a cui guardiamo con grande interesse perchè gli indicatori di uguaglianza tra i sessi sono molto elevati e questo riflette una tradizione di lunga data.
I Paesi scandinavi sono collocati in aree climaticamente svantaggiate in cui è forte la necessità del lavoro umano e, quindi, anche di quello della donna perchè c'è bisogno della forza di tutte e di tutti.
Se torniamo indietro nel tempo, le popolazioni vichinghe avevano delle tradizioni di uguaglianza tra i sessi: ad esempio, non c'era una condizione d'onore femminile che si rifletteva sugli uomini. E oggi, come esito di questa lunga tradizione culturale, abbiamo una minore presenza di violenza contro le donne e una migliore condizione femminile.
In Norvegia, tra l'altro, si parla anche di un possibile trattamento dei maltrattanti, cioè si parla di percorsi psicoterapeutici e di recupero. Certo, la Norvegia è un Paese in cui gli uomini sono molto più autocritici rispetto agli ideali virili e al loro ruolo sociale rispetto all'Italia.

Perchè il termine “ginocidio”?

Ginocidio è un termine analogo a femminicidio. Per me il significato è: “ attacco a tutto ciò che è femminile”, considerando la radice greca “gunos” e latina “femina” del termine. Si tratta dell'inferiorizzazione delle caratteristiche omosessuali proprie anche degli stessi uomini. Non a caso, le caratteristiche omosessuali non sono ancora accettate in una società maschilista in cui il ruolo maschile e quello femminile sono nettamente separati.

Quali sono le conseguenze non visibili della violenza nei confronti delle donne?

Dalla violenza fisica si può guarire. La violenza psicologica, invece, lascia marchi molto più profondi: un conto è essere picchiate e un conto è l'umiliazione, anche se la violenza psicologica è difficile da dimostrare, da denunciare. E' molto complicato convincere un giudice che, se non c'è stata violenza fisica, quella psicologica ha danneggiato la persona.
Una violenza psicologica si verifica quando ci sono insulti, rimproveri, scarsa considerazione da parte del compagno. Nella nostra società c'è stato un tentativo di confinamento della violenza fisica, ma adesso ci dobbiamo occupare anche di quella psicologica perchè, come abbiamo detto, dal punto di vista giuridico, è ancora difficile tradurla in termini penali.