di Riccardo Nouri (da Corriere della sera.it)
Raif Badawi, il blogger saudita condannato a 10 anni di carcere e a 1000 frustate per i contenuti dei suoi post, ha aggiunto ieri il suo nome al prestigioso elenco dei vincitori del premio Sakharov del Parlamento europeo per la libertà di pensiero. Il premio è stato ritirato dalla moglie, Ensaf Haidar.
Il premio, da un lato, riconosce l’importanza della figura e dell’azione di Badawi; dall’altro, costituisce una dura critica alla repressione che l’Arabia Saudita sta attuando nei confronti di blogger, attivisti e difensori dei diritti umani, anche attraverso il ricorso a pene crudeli e inumane.
Ma soprattutto la decisione del Parlamento segna un profondo contrasto col silenzio assordante della diplomazia dell’Unione europea che, ad oggi, non solo non ha reagito alle violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita ma non ha neanche chiesto il rilascio incondizionato e immediato di Raif Badawi. Allo stesso modo, molti stati dell’Unione europea sono rimasti muti di fronte alla clamorose violazioni del diritto internazionale dei diritti umani, che chiamano in causa l’Arabia Saudita tanto all’interno del paese quanto in Yemen, dove le forze armate di Riad guidano una coalizione che dal 27 marzo bombarda senza pietà il paese.
L’assenza di iniziativa da parte dell’Unione europea coincide con un profondo aumento del ricorso alla pena di morte in Arabia Saudita, con almeno 151 esecuzioni quest’anno, più di quelle del 2014. Inoltre, da tre anni a questa parte, il governo saudita sta sistematicamente annullando ogni forma di attivismo sui diritti umani, anche grazie alla legislazione “antiterrorismo” entrata in vigore nel febbraio 2014.
L’avvocato di Raif Badawi, Waleed Abu al-Khair, è stato il primo difensore dei diritti umani condannato (a 15 anni di carcere!) ai sensi della nuova legge.
È evidente che nelle relazioni dell’Unione europea con l’Arabia Saudita, così come con gli altri paesi del Golfo, siano in gioco molti interessi di natura diversa, come l’energia, la fornitura di armi, le relazioni commerciali e la cooperazione contro il terrorismo.
L’Unione europea e molti dei suoi stati membri citano la necessità di cooperare con l’Arabia Saudita contro il terrorismo come scusa per non prendere posizione sui diritti umani. Ma in realtà sono proprio le controverse norme antiterrorismo in vigore in quel paese ad aver causato l’imprigionamento di molti difensori dei diritti umani. Cooperando con l’Arabia Saudita e al contempo ignorando ed evitando di condannare pubblicamente le violazioni dei diritti umani, l’Unione europea sta dando alle autorità di Riad il segnale di via libera ad andare avanti.
Ieri, Amnesty International ha chiesto all’Alta rappresentante e vicepresidente dell’Unione europea, Federica Mogherini, di convocare una discussione urgente del Consiglio affari esteri (che riunisce i 28 ministri degli Esteri dell’Unione europea) che intraprenda azioni concrete per ottenere il rilascio di Raif Badawi, del suo avvocato Walid Abu al-Khair e di tutti gli altri difensori dei diritti umani attualmente in carcere per aver esercitato pacificamente i loro diritti e aver difeso i diritti di altre persone. Da questa discussione potrebbe svilupparsi una strategia per fare miglior uso delle relazioni tra Unione europea e Arabia Saudita, allo scopo di proteggere i diritti umani universali.

"...Non si potrà avere un globo pulito se gli uomini sporchi restano impuniti. E' un ideale che agli scettici potrà sembrare utopico, ma è su ideali come questo che la civiltà umana ha finora progredito (per quello che poteva). Morte le ideologie che hanno funestato il Novecento, la realizzazione di una giustizia più giusta distribuita agli abitanti di questa Terra è un sogno al quale vale la pena dedicare il nostro stato di veglia".
Visualizzazione post con etichetta Amnesty. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Amnesty. Mostra tutti i post
giovedì 17 dicembre 2015
Il Parlamento europeo premia Raif Badawi, l’Unione europea tace sui diritti umani in Arabia Saudita
Etichette:
Amnesty,
Arabia saudita,
associazione,
avvocati,
blogger,
diritti,
Diritti umani,
espressione,
frustate,
giornalisti,
giustizia,
legge,
Nouri,
parlamento,
politica,
premio,
Raif Badawi,
stampa,
terrorismo,
UE
sabato 5 dicembre 2015
Quello che sta succedendo ad Idomeni, frontiera greco-macedone, dove l’Europa ha chiuso le porte della rotta balcanica
Le notizie che arrivano dal report di Amnesty International non sono per niente rassicuranti. La storia si ripete e la situazione è molto grave. Nelle ultime 48 ore ci sono state espulsioni collettive e discriminazioni nei confronti dei migranti percepiti come economici solo sulla base della nazionalità. Per molte persone non è stato possibile accedere alla procedura di asilo e migliaia di persone sono state costrette a restare in condizioni disastrose al valico di frontiera tra Grecia e Macedonia. Assente qualsiasi luogo di accoglienza e forma di assistenza umanitaria.
In pratica il 18 novembre Macedonia, Grecia e Croazia, quasi simultaneamente e senza preavviso hanno chiuso il passaggio, con l’unica eccezione delle persone che hanno i documenti per dimostrare di provenire da Siria, Iraq e Afghanistan. Perchè è risaputo che le persone arrivino con i propri documenti. Ha iniziato la Macedonia e di conseguenza in Grecia la polizia di frontiera, presso il villaggio di Idomeni, blocca il passaggio (sempre con eccezione di Siriani, afghani e iracheni) sulla base del fatto che poi la Macedonia non li fa entrare.
Sulla frontiera macedone c’è una fortissima militarizzazione, e giovedi sera la frontiera è stata chiusa completamente, per tutti senza discriminazione. Riaperta venerdi, in mattinata, ma solo per le tre nazionalità. Transitano ad un ritmo di una cinquantina di persone all’ora. Le attese, quindi, tornano ad essere enormi e si dilatano.

Secondo MSF a Idomeni c’è accoglienza solo per 900 persone, mentre giovedi notte circa 6000 persone hanno dormito li e se ne aspettavano circa 8000 per venerdi notte. Nel frattempo, il centro di accoglienza a Gevgelija, sul lato macedone del confine, si trova vuoto e inutilizzato.
Una ONG e gruppi di solidarietà locali hanno fornito cibo; Save the children e UNHCR stanno distribuendo i pasti. La polizia greca non riesce a sostenere le esigenze di tipo umanitario.
Giovedi circa 200 iraniani hanno bloccato i binari per non far transitare un treno che trasportava cittadini siriani in Macedonia, quindi anche tensioni tra le diverse nazionalità che divide le persone in desiderabili e non.
Anche la Serbia dal 18 fa passare solo le tre nazionalità prescelte senza alcuna valutazione della situazione individuale.
Circa 200 persone sono state rimpatriate collettivamente in Macedonia dove hanno trascorso la notte alla stazione ferroviaria Tabanovce in prefabbricati forniti dall’UNHCR. La notte successiva la Macedonia ha chiuso il suo confine e circa 100 persone sono riaste bloccate nella terra di nessuno al confine tra i due Paesi. Non è stato concesso l’accesso nemmeno all’UNHCR. Sempre il 18 novembre la Croazia non fa transitare 440 persone dal suo confine con la Serbia. Le polizie di frontiera dei due Paese cooperano per evitare che le persone riescano a prendere i treni da Sid. Un gruppo di persone (incluse tre donne e due bambini) provenienti da paesi tra cui il Marocco, il Bangladesh e il Pakistan sono stati arrestati in Croazia e riportati in Serbia. Alcuni giorni fa, il consiglio straordinario dei Ministri degli Interni e della Giustizia EU, ordine del giorno rafforzamento dei confini esterni e anche dell’area Schengen. Se non dovesse bastare le frontiere le esternalizziamo. Una risposta, che come già succede in Libia, non fa altro che rendere più pericoloso il passaggio delle persone. In definitiva, una risposta che stenta a cambiare rotta.



Circa 200 persone sono state rimpatriate collettivamente in Macedonia dove hanno trascorso la notte alla stazione ferroviaria Tabanovce in prefabbricati forniti dall’UNHCR. La notte successiva la Macedonia ha chiuso il suo confine e circa 100 persone sono riaste bloccate nella terra di nessuno al confine tra i due Paesi. Non è stato concesso l’accesso nemmeno all’UNHCR. Sempre il 18 novembre la Croazia non fa transitare 440 persone dal suo confine con la Serbia. Le polizie di frontiera dei due Paese cooperano per evitare che le persone riescano a prendere i treni da Sid. Un gruppo di persone (incluse tre donne e due bambini) provenienti da paesi tra cui il Marocco, il Bangladesh e il Pakistan sono stati arrestati in Croazia e riportati in Serbia. Alcuni giorni fa, il consiglio straordinario dei Ministri degli Interni e della Giustizia EU, ordine del giorno rafforzamento dei confini esterni e anche dell’area Schengen. Se non dovesse bastare le frontiere le esternalizziamo. Una risposta, che come già succede in Libia, non fa altro che rendere più pericoloso il passaggio delle persone. In definitiva, una risposta che stenta a cambiare rotta.
sabato 24 ottobre 2015
Il potere della letteratura e i diritti umani
Etichette:
Amnesty,
autori,
Book City,
diritti,
Diritti umani,
expo,
Gabbai,
giornalisti,
immigrazione,
Kurdi,
letteratura,
libro,
migranti,
Milano,
rifugiati,
scrittrici
sabato 17 ottobre 2015
Book City: il potere della letteratura e i diritti umani
Milano,
25 ottobre 2015
Novel
Rights, "Il Potere della Letteratura e i Diritti Umani", in
collaborazione con “Associazione per i Diritti Umani” e con
“Amnesty International” Sezione Italiana, presenta in Italia una
serie di eventi con un gruppo di esperti, che discutono attorno al
problema dei Rifugiati, e alla crisi globale che ne deriva.
DOMENICA
25 OTTOBRE 2015, dalle 19:00 alle 21:00 presso la CAMERA DEL LAVORO
(Corso di Porta Vittoria 43) Milano
Argomenti
di discussione: di cosa necessita un autore /cosa dovrebbe fare per
aiutare a risolvere la crisi del rifugiato? Può la letteratura avere
un ruolo in qualche modo influente o contribuire ad offrire una
soluzione? Che ruolo può avere un autore nel mondo attuale in
continuo cambiamento? Possono gli autori dare un significato diverso
alla parola rifugiato?
L'evento
che chiuderà Bookcity sarà la presentazione di un'opera che fa
parte di una mostra – già allestita in occasione di Expo 2015 –
dell'artista Ivana Olimpia Belloni . L'opera offre ai visitatori
un'esperienza unica di attivismo che coinvolge arte, letteratura e
diritti umani
I
relatori
Roma
Tearne, autrice britannica di origini
singalesi
Il suo
ultimo romanzo, "L'ultimo molo" (Nova, 2015) è basato
sulla storia vera di una nave passeggeri britannica, la SS Arandora
Star, che durante la II Guerra Mondiale, mentre compiva la traversata
per trasportare 800 internati italiani e tedeschi da Liverpool al
Canada, è stata silurata da un
sottomarino tedesco. La storia ci racconta
che, nell’agosto del 1940, sulla costa irlandese, il mare restituì
213 corpi.
I membri
di alcune famiglie italiane coinvolte nel disastro ci onoreranno
della loro presenza durante l'evento.
Il nuovo
romanzo di Roma, sempre in forma di ebook, dal titolo “Non
spaventate i bambini” e ispirato ad Aylan Kurdi, verrà
ufficialmente presentato durante l’evento.
Ava
Homa, scrittrice, giornalista e docente
universitaria curdo-canadese. È una delle poche scrittrici curde al
mondo
Molto
apprezzata dalla critica, Ava Homa ci parlerà dell’ immaginazione,
antidoto all'apatia
Il breve
racconto digitale di Ava "Ninnananna" (Novel Rights, 2012)
tradotto in italiano
specificamente per questa occasione, sarà disponibile per l’acquisto al termine dell’evento
così
come il romanzo digitale di Roma Tearne
Altri relatori
Vered
Cohen Barzilay
è fondatrice e direttore di
Novel Rights, un movimento letterario globale, a favore dei diritti
umani. Da più di un decennio, Vered analizza l'impatto della
letteratura sull'attivismo riguardante i diritti umani ed ha
sviluppato il concetto di “letteratura dei diritti umani”,
decidendo di fondare Novel Rights con l'obiettivo di esplorare
l'impatto della letteratura sull'attivismo dei diritti umani. Novel
Rights pubblica storie in formato digitale che parlano di diritti
umani e promuove eventi globali a favore del legame tra letteratura
e diritti umani
Alessandra Montesanto:
Vicepresidente
dell'”Associazione per i Diritti Umani” di Milano,
un'associazione culturale che organizza incontri di approfondimento,
presentazioni di libri e film, sulle tematiche legate ai diritti
umani, e propone spunti di riflessione attraverso il sito
www.peridirittiumani.com.
Riccardo Noury:
Portavoce di Amnesty
International Italia, blogger per Il Corriere della Sera, Il Fatto
Quotidiano e Articolo 21
L'evento
inizierà con un minuto di silenzio in memoria dei rifugiati che
hanno perso la vita nel tentativo di trovare un posto più sicuro
dove vivere, e la cui storia non è stata mai raccontata e
si concluderà con uno straordinario incontro con il figlio di
Mostafa Azizi. Mostafa Azizi, scrittore e regista iraniano, è
rinchiuso nella prigione Evin di Teheran dall’inizio di febbraio di
quest’anno. Suo figlio, insieme ad altri autori, sta conducendo
una vasta campagna per liberarlo.
L'artista
italo-francese, Ivana Olimpia Belloni
darà un contributo all’evento con uno dei suoi dipinti, creato
appositamente per quest’occasione. Accanto al suo lavoro, in
occasione della sua
mostraper Expo2015, ha scritto:
Vered mi ha dato l'opportunità e l'onore di rappresentare il senso
della pace nel mondo che noi adulti possiamo e dobbiamo dare ai
deboli ed agli indifesi proprio attraverso il rispetto dei diritti
umani. Le impronte mie della mia nipotina, Giulia, stanno a
significare proprio questo.
Etichette:
Amnesty,
associazione,
autori,
Book City,
carcere,
detenzione,
Diritti umani,
guerra,
legge,
libri,
libro,
politica,
regime,
scrittrice,
vita
venerdì 16 ottobre 2015
Book City: il potere della letteratura e i diritti umani
Etichette:
Amnesty,
associazione,
autrici,
Book City,
Diritti umani,
Gabbai,
guerra,
Israele,
Kurdi,
letteratura,
libri,
Milano,
pace,
profughi,
Riccardo Nouri,
rifugiati,
Sri Lanka,
storie
domenica 4 ottobre 2015
Arabia Saudita:attivista rischia di essere messo a morte
La Corte penale
speciale e la Corte suprema dell’Arabia Saudita hanno confermato la
sentenza capitale nei confronti di Ali
Mohammed Baqir al-Nimr,
giovane attivista sciita condannato a morte per reati presumibilmente
commessi all’età di 17 anni.
È accusato di
“partecipazione a
manifestazioni antigovernative”,
attacco alle forze di sicurezza, rapina a mano armata e possesso di
un mitra. La condanna sarebbe stata emessa sulla base di una
confessione estorta con torture e maltrattamenti.
Ali al-Nimr è nipote di un eminente religioso sciita - Sheikh Nimr Baqir al-Nimr, anch’egli condannato a morte.
Ali al-Nimr ha
esaurito ogni possibilità di appello e può
essere messo a morte appena il
re ratifica la condanna.
Chiedi con Amnesty l’annullamento della sentenza, indagini sulle torture e che l’Arabia Saudita rispetti i diritti umani.
Leggi il testo completo dell'appello
IL
CASO
Il
14 febbraio 2012, Ali
Mohammed Baqir al-Nimr, 17 anni,
viene arrestato e condotto presso la Direzione generale delle
indagini (Gdi) del carcere di Dammam. Non può vedere il suo avvocato
e, secondo quanto riferisce, viene
torturato
da ufficiali della Gdi affinché firmi una “confessione”.
Resta
detenuto nel centro di riabilitazione giovanile Dar al-Mulahaza per
un anno e, a
18 anni,
riportato nella Gdi di Damman.
Il
27 maggio 2014, il tribunale penale speciale di Gedda lo condanna a
morte per reati che comprendono la “partecipazione a manifestazioni
antigovernative”, attacco alle forze di sicurezza, rapina a mano
armata e possesso di un mitra. Il tribunale si sarebbe basato sulla
“confessione” estorta
con la tortura e
maltrattamenti e su cui si è rifiutato di indagare.
Ad
agosto 2015 il caso viene inviato al ministro dell’Interno per dare
attuazione alla sentenza.
A
settembre la famiglia diffonde la notizia appresa: i giudici di
appello presso la Corte penale speciale (Scc) e della Corte suprema
confermano
la sentenza.
Ali
al-Nimr è un attivista
scita
e nipote dell’eminente religioso sciita Sheikh Nimr Baqir al-Nimr,
di al-Awamiyya in Qatif, nella zona orientale dell’Arabia Saudita,
condannato a morte dal tribunale penale speciale il 15 ottobre 2014.
LA
PENA DI MORTE IN ARABIA SAUDITA
L’Arabia Saudita è tra i paesi che eseguono il più alto numero di sentenze: dal 1985 al 2005 sono state messe a morte oltre 2200 persone; da gennaio ad agosto 2015, almeno 130 esecuzioni.
L’Arabia Saudita è tra i paesi che eseguono il più alto numero di sentenze: dal 1985 al 2005 sono state messe a morte oltre 2200 persone; da gennaio ad agosto 2015, almeno 130 esecuzioni.
Violando
la Convenzione sui diritti dell’infanzia e il diritto
internazionale, ha messo a morte persone per reati commessi quando
erano minorenni.
Spesso
i processi per reati capitali sono tenuti in segreto e sono sommari e
iniqui, senza l’assistenza e la rappresentanza legale durante
le varie fasi della detenzione e del processo. Gli imputati possono
essere condannati sulla base di confessioni estorte
con torture e maltrattamenti,
coercizione e raggiri.
Le
tensioni
tra la comunità sciita e le autorità saudite sono
cresciute dal 2011,
quando sono cresciute le manifestazioni contro gli arresti e le
vessazioni di sciiti che svolgevano preghiere collettive e violavano
il divieto di costruire moschee sciite.
Le
autorità saudite hanno risposto con la repressione di chi era
sospettato di partecipare o sostenere o esprimere opinioni critiche
verso lo stato. I manifestanti sono stati trattenuti senza accusa e
in isolamento per giorni o settimane e sono stati segnalati
maltrattamenti e torture.
Dal
2011, quasi 20 persone collegate alle proteste sono
state uccise
e centinaia incarcerate.
Per firmare l'appello di Amnesty:
http://appelli.amnesty.it/arabia-saudita-pena-di-morte-social/
Etichette:
Amnesty,
Arabia saudita,
associazione,
avvocati,
diritti,
Diritti umani,
esecuzioni,
giustizia,
governo,
Isla,
islam,
minori,
morte,
pena,
politica,
reato,
Religione,
tortura,
vita
giovedì 23 luglio 2015
Sit in di solidarietà alle famiglie rom sgomberate
Donne
e bambini, anziani e malati. Sotto il sole, a quasi 40 gradi,
senz'acqua. Sono trascore più di due ore e l'Assessore Danese non ha
ancora ricevuto le famiglie rom sgomberate. L'incontro era previsto
per le ore 12 ma dall'Assessorato ancora nessun segnale. La tensione
sta montando e tra le persone si registrano i primi malori.
Lo
rendono noto Associazione 21 luglio e Popica Onlus che da questa
mattina stanno partecipando a un sit in davanti all’Assessorato
alle Politiche Sociali del Comune di Roma, assieme alle famiglie rom
sgomberate due giorni fa dall’insediamento informale di Val d’Ala,
le famiglie a rischio sgombero nei centri di via San Cipirello, via
Torre Morena e via Toraldo, nonché cittadini che hanno voluto
mostrare la loro solidarietà.
Cinquantanove
sgomberi forzati dall’inizio dell’anno,
con una decisa impennata dopo l’annuncio del Giubileo
Straordinario
da parte di Papa Francesco, assenza
di una strategia concreta
per il superamento del “sistema campi”, nonostante i continui
proclami, e promesse
non mantenute.
Così
Associazione
21 luglio
e Popica
Onlus
descrivono lo stato dell’arte della politica sui rom
dell’Amministrazione capitolina.
Lo
sgombero forzato di Val d’Ala, che ha coinvolto le medesime persone
sgomberate esattamente un anno fa dallo stesso insediamento in
seguito a un’operazione dal costo complessiva di oltre
168 mila euro,
si configura in violazione
degli standard internazionali in materia di sgomberi
previsti dal Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali
delle Nazioni Unite. Lo sgombero improvviso, peraltro, ha mandato
all’aria le consultazioni e il dialogo che lo stesso Assessorato
aveva iniziato a intavolare con le famiglie, nella speranza che il
caso Val d’Ala potesse diventare un modello
virtuoso
per affrontare la questione degli insediamenti informali a Roma.
Nella giornata di ieri, anche Amnesty International Italia ha
espresso forte
preoccupazione
sull’ennesimo sgombero forzato realizzato dall’inizio dell’anno
nella Capitale.
Nel
2015, infatti, sono stati 59
gli sgomberi forzati a Roma,
una cifra che ha già ampiamente superato i
34 totali realizzati nell’intero 2014.
Il loro numero – sottolineano Associazione 21 luglio e Popica Onlus
– ha subito una netta
impennata dal 13 marzo in poi,
giorno dell’annuncio del Giubileo Straordinario. Fino ad allora,
gli sgomberi erano stati sette. Allo stesso modo, denunciano le due
associazioni, non si intravvede nessun passo significativo,
nell’azione dell’Amministrazione, verso il superamento
del “sistema campi”
nella Capitale, sul quale si sono alimentati gli affari di oro emersi
dall’inchiesta su Mafia Capitale.
«Chiediamo
all’assessore Danese di produrre finalmente un
piano sociale credibile e sostenibile
per il superamento dei “campi”», afferma l’Associazione 21
luglio.
Secondo
l’Associazione 21 luglio, la questione rom a Roma è intimamente
legata a quella della illegalità
istituzionale
che ha il suo fulcro nell’Ufficio Rom, Sinti e Caminanti presente
all’interno dell’Assessorato alle Politiche Sociali di Roma
Capitale. È dall’azzeramento
di tale Ufficio
che occorre ripartire per una politica diversa.
Non
possiamo dimenticare come il primo a dirigere quindici anni fa
l’“Ufficio Nomadi” di Roma fu Luigi
Lusi,
oggi in carcere con la condanna di essersi appropriato di 25 milioni
di euro, continua l’Associazione. Poi, sotto l’Amministrazione
Veltroni fu la volta del suo capo-gabinetto Luca
Odevaine
a condizionare fortemente le scelte dell’Ufficio. Anche lui è oggi
in carcere per corruzione aggravata nell’inchiesta denominata
“Mondo di Mezzo”. Quando il governo della città passò al
sindaco Alemanno fu la volta del soggetto attuatore del Piano Nomadi,
Angelo
Scozzafava,
a commissariare l’Ufficio prendendolo nelle sue mani. Oggi sul suo
capo pende l’accusa di associazione mafiosa e
corruzione aggravata.
Nel dicembre 2014 la responsabile dell’”Ufficio Nomadi”, nel
frattempo diventato “Ufficio Rom, Sinti e Caminanti”, Emanuela
Salvatori,
è stata arrestata per corruzione aggravata. Il suo posto è stato
preso da Ivana
Bigari,
il cui nome, secondo la stampa, sembrerebbe nella lista dei dirigenti
che per il prefetto Gabrielli dovrebbero essere rimossi perché
troppo vicini al sistema di stampo mafioso ideato da Buzzi e
Carminati.
«Chiediamo
oggi con forza la
chiusura di questo Ufficio
e la rimozione
della dirigente che lo coordina»,
è la richiesta urgente al sindaco Marino da parte di Associazione 21
luglio e Popica Onlus».
«Chiediamo
inoltre – proseguono le due organizzazioni - una moratoria
sugli sgomberi forzati
da oggi e per tutta la durata del Giubileo indetto da papa Francesco.
In assenza di risposte adeguate a tali richieste continueremo a
considerare le politiche di Roma Capitale nei confronti dei rom
costose,
lesive dei diritti umani, discriminatorie e offensive
nei confronti della cittadinanza che vive in maniera più o meno
diretta le problematiche legate alla vicinanza ad insediamenti
formali e informali.
Sul
rischio sgombero delle famiglie rom che attualmente vivono nei centri
di via San Cipirello, via Torre Morena e via Toraldo, infine, si
esprime così Popica Onlus: «La chiusura dei centri in cui abitano
famiglie che da tempo avevano intrapreso percorsi abitativi degni
segna un passo indietro inaccettabile. L'Amministrazione, che da un
lato persegue solo a parole la politica della chiusura dei campi,
dall'altro costringe decine di nuclei a tornarci, dopo che da questo
mondo si erano allontanati
autonomamente
recuperando spazi in disuso».
«A
Roma – conclude Popica Onlus - il problema abitativo sta esplodendo
per tutti e il Comune di Roma, dopo aver banchettato
per anni con Mafia Capitale, oggi non solo non risolve il problema ma
continua a generarne di nuovi».
Etichette:
alloggio,
Amnesty,
assessore,
associazione,
campi,
cittadinanza,
diritti,
etnia,
famiglia,
giornalisti,
giustizia,
governo,
lavoro,
Mafia Capitale,
notizie,
Papa,
politica,
Rom,
salute,
sgomberi
giovedì 16 luglio 2015
In Italia il presidente dell'Azerbaigian. Amnesty International chiede al presidente del Consiglio di affrontare il tema delle violazioni dei diritti umani
Il
direttore generale di Amnesty International Italia Gianni Rufini ha
scritto al presidente del Consiglio Matteo Renzi, chiedendogli di
affrontare il tema delle violazioni dei diritti umani in Azerbaigian
durante il suo incontro, previsto il 9 luglio, col presidente Ilham
Aliyev.
Alla lettera è allegato un rapporto, intitolato "Azerbaigian: i Giochi della repressione", nel quale Amnesty International denuncia la soppressione del dissenso, la detenzione di oltre 20 prigionieri di coscienza e ulteriori violazioni dei diritti umani che hanno preceduto, accompagnato e seguito i primi Giochi europei, terminati alla fine di giugno.
"Dietro l'immagine ostentata dal governo di una lungimirante, moderna nazione c'è uno stato in cui regolarmente e sempre più le critiche incontrano la repressione governativa. Giornalisti, attivisti politici e difensori dei diritti umani che osano sfidare il governo vanno infatti incontro ad accuse inventate, processi iniqui e lunghe pene detentive" - scrive il direttore Rufini.
Negli ultimi anni, le autorità azere hanno messo in atto un giro di vite senza precedenti nei confronti delle voci indipendenti all'interno del paese.
Molti attivisti per i diritti umani e critici del governo sono stati arrestati, altri hanno lasciato il paese e altri ancora tacciono per paura di essere arrestati o perseguitati. Gli uffici delle organizzazioni non governative più critiche nei confronti del governo sono stati chiusi, mentre le organizzazioni internazionali per i diritti umani sono state costrette a lasciare il paese. Anche i media sono stati oggetto di repressione. La maggior parte dei mezzi di comunicazione, infatti, è di proprietà dello Stato o filogovernativa e le autorità hanno usato il loro virtuale controllo monopolistico sulla stampa e sulla televisione per screditare i loro oppositori.
"Almeno 20 tra giornalisti, avvocati, attivisti dei movimenti giovanili e oppositori sono stati arrestati e condannati nei 12 mesi che hanno preceduto l'inizio dei Giochi europei. Alla vigilia della cerimonia inaugurale, ci è stato impedito di entrare nel paese. Lo stesso è accaduto a giornalisti del Guardian, di Radio France International e della tedesca Ard" - prosegue Rufini.
Nella lettera al presidente del Consiglio, Amnesty International Italia segnala alcuni casi di prigionieri di coscienza di cui continua a sollecitare l'immediata e incondizionata scarcerazione.
Rasul Jafarov, fondatore della ong Human Rights Club, è stato arrestato nell'agosto 2014. Intendeva lanciare la campagna "Sport per la democrazia", per attirare l'attenzione internazionale sul deterioramento della situazione dei diritti umani nel paese. Nell'aprile 2015, è stato condannato a sei anni e mezzo di carcere per false accuse di evasione fiscale e rapporti d'affari illegali.
Leyla Yunus, un'attivista per i diritti umani di 60 anni, premiata e fra gli oppositori più espliciti e di alto profilo, è stata arrestata nel luglio 2014, pochi giorni dopo aver invocato il boicottaggio dei Giochi europei a causa della terribile situazione dei diritti umani in Azerbaigian. Da allora, è rimasta in detenzione preventiva, essendo stati estesi i termini a tutta la durata dei Giochi: in questo modo, Leyla avrà trascorso oltre un anno in carcere senza processo. Suo marito Arif Yunus è stato arrestato cinque giorni dopo. Entrambi sono detenuti con false accuse di tradimento, conduzione di affari illeciti, evasione fiscale, abuso di potere, frode e contraffazione. Leyla e suo marito soffrono di gravi problemi di salute ed è stato loro vietato di parlare tra di loro e con i familiari.
Intigam Aliyev, un noto avvocato dei diritti umani, che ha portato con successo un certo numero di casi contro l'Azerbaigian alla Corte europea dei diritti umani, è stato arrestato nel luglio 2014 sulla base di false accuse di evasione fiscale e di rapporti d'affari illegali. È stato detenuto fino al processo nel mese di aprile 2015, quando è stato condannato a sette anni e mezzo di reclusione.
Khadija Ismayilova, una giornalista di Radio Free Europe, stava indagando sulle denunce di legami tra la famiglia del presidente Ilham Aliyev e un redditizio progetto di costruzione a Baku, quando è stata arrestata, nel dicembre 2014.
E' stata accusata di "aver istigato un collega a suicidarsi" e ha ricevuto altre accuse motivate politicamente. La persona in questione in seguito ha ammesso di essere stata costretta a presentare una denuncia contro di lei e che il suo tentativo di suicidio non aveva nulla a che fare con la collega. Khadija Ismayilova subisce da anni continue molestie da parte delle autorità e ora rischia 12 anni di carcere se risulterà colpevole di tutti reati che le sono stati imputati.
Esponenti del movimento giovanile NIDA che usavano Facebook per criticare e mettere in discussione le autorità o organizzare assemblee pacifiche, sono stati arrestati con l'accusa di possesso di esplosivi e di essere intenzionati a causare disordini. Amnesty International ritiene che tali accuse siano state fabbricate ad arte. Altri attivisti di NIDA sono stati picchiati e torturati per estorcere false confessioni. Shahin Novruzlu, 17 anni, ha perso quattro denti anteriori durante un interrogatorio.
Alla lettera è allegato un rapporto, intitolato "Azerbaigian: i Giochi della repressione", nel quale Amnesty International denuncia la soppressione del dissenso, la detenzione di oltre 20 prigionieri di coscienza e ulteriori violazioni dei diritti umani che hanno preceduto, accompagnato e seguito i primi Giochi europei, terminati alla fine di giugno.
"Dietro l'immagine ostentata dal governo di una lungimirante, moderna nazione c'è uno stato in cui regolarmente e sempre più le critiche incontrano la repressione governativa. Giornalisti, attivisti politici e difensori dei diritti umani che osano sfidare il governo vanno infatti incontro ad accuse inventate, processi iniqui e lunghe pene detentive" - scrive il direttore Rufini.
Negli ultimi anni, le autorità azere hanno messo in atto un giro di vite senza precedenti nei confronti delle voci indipendenti all'interno del paese.
Molti attivisti per i diritti umani e critici del governo sono stati arrestati, altri hanno lasciato il paese e altri ancora tacciono per paura di essere arrestati o perseguitati. Gli uffici delle organizzazioni non governative più critiche nei confronti del governo sono stati chiusi, mentre le organizzazioni internazionali per i diritti umani sono state costrette a lasciare il paese. Anche i media sono stati oggetto di repressione. La maggior parte dei mezzi di comunicazione, infatti, è di proprietà dello Stato o filogovernativa e le autorità hanno usato il loro virtuale controllo monopolistico sulla stampa e sulla televisione per screditare i loro oppositori.
"Almeno 20 tra giornalisti, avvocati, attivisti dei movimenti giovanili e oppositori sono stati arrestati e condannati nei 12 mesi che hanno preceduto l'inizio dei Giochi europei. Alla vigilia della cerimonia inaugurale, ci è stato impedito di entrare nel paese. Lo stesso è accaduto a giornalisti del Guardian, di Radio France International e della tedesca Ard" - prosegue Rufini.
Nella lettera al presidente del Consiglio, Amnesty International Italia segnala alcuni casi di prigionieri di coscienza di cui continua a sollecitare l'immediata e incondizionata scarcerazione.
Rasul Jafarov, fondatore della ong Human Rights Club, è stato arrestato nell'agosto 2014. Intendeva lanciare la campagna "Sport per la democrazia", per attirare l'attenzione internazionale sul deterioramento della situazione dei diritti umani nel paese. Nell'aprile 2015, è stato condannato a sei anni e mezzo di carcere per false accuse di evasione fiscale e rapporti d'affari illegali.
Leyla Yunus, un'attivista per i diritti umani di 60 anni, premiata e fra gli oppositori più espliciti e di alto profilo, è stata arrestata nel luglio 2014, pochi giorni dopo aver invocato il boicottaggio dei Giochi europei a causa della terribile situazione dei diritti umani in Azerbaigian. Da allora, è rimasta in detenzione preventiva, essendo stati estesi i termini a tutta la durata dei Giochi: in questo modo, Leyla avrà trascorso oltre un anno in carcere senza processo. Suo marito Arif Yunus è stato arrestato cinque giorni dopo. Entrambi sono detenuti con false accuse di tradimento, conduzione di affari illeciti, evasione fiscale, abuso di potere, frode e contraffazione. Leyla e suo marito soffrono di gravi problemi di salute ed è stato loro vietato di parlare tra di loro e con i familiari.
Intigam Aliyev, un noto avvocato dei diritti umani, che ha portato con successo un certo numero di casi contro l'Azerbaigian alla Corte europea dei diritti umani, è stato arrestato nel luglio 2014 sulla base di false accuse di evasione fiscale e di rapporti d'affari illegali. È stato detenuto fino al processo nel mese di aprile 2015, quando è stato condannato a sette anni e mezzo di reclusione.
Khadija Ismayilova, una giornalista di Radio Free Europe, stava indagando sulle denunce di legami tra la famiglia del presidente Ilham Aliyev e un redditizio progetto di costruzione a Baku, quando è stata arrestata, nel dicembre 2014.
E' stata accusata di "aver istigato un collega a suicidarsi" e ha ricevuto altre accuse motivate politicamente. La persona in questione in seguito ha ammesso di essere stata costretta a presentare una denuncia contro di lei e che il suo tentativo di suicidio non aveva nulla a che fare con la collega. Khadija Ismayilova subisce da anni continue molestie da parte delle autorità e ora rischia 12 anni di carcere se risulterà colpevole di tutti reati che le sono stati imputati.
Esponenti del movimento giovanile NIDA che usavano Facebook per criticare e mettere in discussione le autorità o organizzare assemblee pacifiche, sono stati arrestati con l'accusa di possesso di esplosivi e di essere intenzionati a causare disordini. Amnesty International ritiene che tali accuse siano state fabbricate ad arte. Altri attivisti di NIDA sono stati picchiati e torturati per estorcere false confessioni. Shahin Novruzlu, 17 anni, ha perso quattro denti anteriori durante un interrogatorio.
Etichette:
Amnesty,
associazione,
avvocati,
Azerbaigian,
comunicazione,
democrazia,
Diritti umani,
giornalisti,
giustizia,
governo,
informazione,
ONG,
pena,
Presidente,
processo,
reato,
Renzi,
Sport,
tribunale
martedì 7 luglio 2015
I diritti civili LGBT in Italia e all'estero
“Gay
Pride”: molti pensano a parate chiassose e volgari. Invece sono
manifestazioni gioiose e colorate che hanno un senso politico e
sociale molto preciso: garantire i diritti fondamentali anche alle
coppie omosessuali, spezzare una mentalità chiusa che spesso porta a
comportamenti irrispettosi se non violenti, lasciare libertà di
amare senza pregiudizi.
Lo
scorso 27 giugno molte persone che fanno parte della grandissima
comunità LGBT sono scese in piazza e hanno avuto modo anche di
festeggiare: sì perchè in Irlanda – Paese a maggioranza cattolica
– è stata approvata una legge che equipara il matrimonio
omosessuale a quello etero e negli Stati Uniti, la Corte Suprema ha
emesso una sentenza che fa Storia, rendendo legale l'unione tra gay.
La
scelta di manifestare a fine giugno risale al 28 del mese del 1969,
quando a New York, allo Stonewall Hill, un bar frequentato da persone
omosessuali, fece irruzione la Polizia per identificare i presenti
perchè, allora, compiere atti omosex era considerato un reato. La
violenza delle forze dell'ordine scatenò una rivolta. Ieri come
oggi: in Turchia, proprio in occasione della marcia, i manifestanti
sono stati attaccati con gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e
proiettili di gomma: le persone, riunitesi in Piazza Istiklal, hanno
dovuto ripararsi in negozi e altri esercizi pubblici.
Per
l'Italia – Paese ancora indietro sui temi dei diritti LGBT –
vogliamo prendere ad esempio la città di Milano dove ha troneggiato
uno striscione con la scritta “I diritti nutrono il pianeta” (per
riprendere lo slogan di Expo). tantissimi i partecipanti e le
associazioni presenti: Arcigay, Amnesty, Uaar. Riportiamo, infine, la
dichiarazione dell'Assessore ai Lavori pubblici, Carmela Rozza: “
Nessuno di noi può imporre all'altro scelte diverse dalle sue.
Secondo me, Milano è all'avanguardia rispetto ai diritti ma se non
abbiamo una legge nazionale sui diritti delle coppie gay, questo non
può che essere un Paese arretrato da questo punto di vista. Ma io
sono convinta che la società italiana sia molto più avanti della
classe politica”.
Etichette:
Amnesty,
Arcigay,
associazione,
civili,
democrazia,
diritti,
gay,
governo,
legge,
Lgbt,
matrimonio,
omosessuali,
Pride,
umani,
unioni
venerdì 26 giugno 2015
La campagna STOP alla TORTURA
Oggi
è la Giornata internazionale per dire STOP alla TORTURA.
Pubblichiamo,
per questa occasione, materiali e una riflessione importante (dal
sito di Amensty International)
“Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti” (Dichiarazione universale dei diritti umani, articolo 5)
Il diritto a essere liberi dalla tortura e da altri trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti è tra i diritti umani più saldamente protetti dal diritto internazionale. Affermato nella Dichiarazione universale dei diritti umani, ribadito in strumenti internazionali – come il Patto internazionale per i diritti civili e politici – e regionali, il divieto di tortura viene sancito in una Convenzione ad hoc nel 1984: la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti (Convenzione).
Il divieto di tortura è assoluto: questo significa che mai un pubblico ufficiale o una persona che agisca a titolo ufficiale può infliggere intenzionalmente dolore o sofferenze gravi a un’altra persona anche in situazioni di emergenza, quali una guerra, una catastrofe naturale o creata dall’uomo.
Nonostante l’obbligo per gli stati parte della Convenzione di considerare reato la tortura, indagare in modo approfondito e imparziale su qualsiasi denuncia e perseguire i responsabili, la tortura è ancora oggi molto diffusa; in alcuni di questi paesi è sistematica, in altri è un fenomeno isolato ed eccezionale.
Perché la campagna "Stop alla tortura"?
A 30 anni dalla storica adozione della Convenzione, i governi hanno tradito l'impegno a porre fine a questa pratica che comporta la perdita definitiva dell'umanità, che è il segnale di una crisi collettiva fatta di barbarie, fallimenti e paura.
In questi tre decenni, i governi spesso hanno vietato la tortura per legge ma l'hanno permessa nella pratica. Hanno pestato, frustato, soffocato, semiannegato, stuprato, privato del sonno nel buio delle carceri e nelle stanze degli interrogatori; hanno colpito presunti criminali comuni, persone sospettate di costituire una minaccia alla sicurezza nazionale, dissidenti, rivali politici per estorcere loro confessioni, per punirli, intimorirli, per privarli della loro dignità.
Tra il 2009 e il 2014, Amnesty International ha registrato torture e altri maltrattamenti in 141 paesi ma, dato il contesto di segretezza nel quale la tortura viene praticata, è probabile che il numero effettivo sia più alto. Nel 2014, 79 paesi hanno praticato la tortura.
Questa campagna porta avanti un lavoro iniziato nel 1972 e che ha contribuito all'adozione, nel 1984, della Convenzione. Quest'anno, 30esimo anniversario della Convenzione, ci concentriamo su tutti i contesti di custodia statale di alcuni paesi in cui pensiamo di poter cambiare significativamente la situazione. In Italia lavoreremo per porre fine alla tortura in Messico, Uzbekistan e Marocco/Sahara Occidentale; a livello internazionale anche su Filippine e Nigeria.
La nostra campagna si rivolge anche all'Italia, affinché sia introdotto nel codice penale il reato di tortura e si colmi pertanto il ritardo di oltre 25 anni trascorsi dalla ratifica della Convezione contro la tortura.
Scarica il briefing "La tortura oggi: 30 anni di impegni non mantenuti"
Sostieni la nostra campagna!
Scarica il briefing "Comincia qui, comincia ora"
Etichette:
Amnesty,
associazione,
convenzione,
diritti,
giustizia,
governo,
guerra,
informazione,
internazionale,
maltrattamenti,
politica,
stampa,
stop,
tortura,
vita
sabato 20 giugno 2015
Fermiamo la tortura: il supplizio di Raif Badawi
di Alessia Lucconi
Il rumore dello schiocco, il colpo che lacera la carne, il dolore che invade il cervello, moltiplicato per 50 volte e poi ancora per 20: 1000 frustate: questo il supplizio a cui Raif Badawi è stato condannato per aver espresso le sue opinioni in un Paese dove questo è un reato, l’Arabia Saudita.
Raif è un blogger di trent’anni che ha creato il sito Saudi Arabian Liberals, https://sites.google.com/site/freesaudiliberals/ dove ha criticato la polizia religiosa, ha criticato i funzionari che avevano sostenuto il divieto di includere le donne nel Consiglio della Shura e ha proposto un dibattito sull’urgenza del secolarismo. Per questo è stato accusato di vari reati tra cui “insulti all'Islam, crimini informatici e disobbedienza al padre”, arrestato nel 2012 e condannato il 7 maggio 2014 a una multa di 1.000.000 di rial sauditi (circa 196.000 euro), 10 anni di prigione e 1000 frustate. La moglie, con i figli, si è rifugiata in Canada e da lì cerca di portare avanti la difesa del marito.
Il 9 gennaio 2015 Raif ha subito le prime 50 frustate.
Amnesty International si è attivata per promuovere numerose iniziative di protesta ed ha raccolto oltre 20.000 firme per chiederne la liberazione; anche a seguito delle proteste internazionali, la condanna alla fustigazione viene temporaneamente sospesa per ragioni mediche. A fine maggio gli viene vietato, per 10 anni dopo la condanna, di lasciare il Paese e di svolgere qualsiasi attività nel campo dei media.
E’ dell’8 giugno 2015 la notizia che la Corte suprema dell’Arabia Saudita ha riconfermato la condanna al pagamento della multa di 1.000.000 di rial sauditi, 10 anni di prigione e 1000 frustate.
Gli scritti di Raif saranno pubblicati nel libro «1000 Lashes: Because I Say What I Think» ("Mille frustate: Perché io dico ciò che penso”).
La posizione dell’Arabia Saudita in questo momento è molto delicata perché se da un lato deve fare attenzione alla sua immagine nei Paesi che protestano per questa sentenza, dall’altro non può ignorare la forte influenza interna dei salafiti musulmani ultra-conservatori che invocano il rispetto della legge coranica e la libertà di esercitarla.
Negli articoli 5 e 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani viene detto:
“Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a maltrattamento o a punizioni crudeli, inumane o degradanti.”
E ancora
“Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione; questo diritto include la libertà di sostenere opinioni senza condizionamenti e di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo ai confini.”
Stop
Torture
The
snap, the blow tearing the flesh, the pain invading the brain,
multiplied by 50 times and then again by 20: 1000 lashes.
This
is the punishment of Raif Badawi, sentenced for having expressed his
opinions in a Country where this is a crime, Saudi Arabia.
Raif is a thirty years old blogger that has created the website Saudi Arabian Liberals, https://sites.google.com/site/freesaudiliberals/, where he criticized the religious police, criticized officials who had supported the ban on including women in the Shura Council and proposed a debate on secularism (the adoption of a secular policy).
For
this reason he was charged with various offenses (including insults
to Islam, computer crime and disobedience to his father), he was
arrested in 2012 and sentenced on 7 May 2014 to pay a fine of one
million Saudi riyals (about 196,000 euros), 10 years in prison and
1,000 lashes.
His
wife, with their children, tooks refuge in Canada and from there she
tries to defend her husband.
The
January 9, 2015, Raif has undergone the first 50 lashes.
Amnesty International has promoted numerous protest actions and has collected more than 20,000 signatures to ask for his release;
Amnesty International has promoted numerous protest actions and has collected more than 20,000 signatures to ask for his release;
Also
as a result of international protests, the sentence of lashing was
temporarily suspended on medical grounds.
In
late May, he has been banned for 10 years after conviction, to leave
the country and to carry on any kind of activity in the media
field.
On 8 June 2015, the Supreme Court of Saudi Arabia confirmed his sentence of paying a fine of one million Saudi riyals, 10 years in prison and 1,000 lashes.
Raif's writings will be published in the book "1000 Lashes: Because I Say What I Think".
On 8 June 2015, the Supreme Court of Saudi Arabia confirmed his sentence of paying a fine of one million Saudi riyals, 10 years in prison and 1,000 lashes.
Raif's writings will be published in the book "1000 Lashes: Because I Say What I Think".
The
position of Saudi Arabia now is very delicate because while it must
pay attention to its image in the countries that are protesting for
this judgment, on the other hand it can not ignore the strong
influence of the internal ultra-conservative Salafi Muslims who
invoke the respect for the Islamic law and the freedom to exercise
it.
In Articles 5 and 19 of the Universal Declaration of Human Rights is respectively said:
"No
one shall be subjected to torture or ill-treatment or cruel, inhuman
or degrading treatment."
And yet
And yet
"Everyone
has the right to freedom of opinion and expression; this right
includes freedom to hold opinions without interference and to seek,
receive and impart informations and ideas through any media and
regardless of frontiers. "
Etichette:
Amnesty,
Arabia saudita,
associazione,
blogger,
condanna,
diritti,
espressione,
giornalisti,
giustizia,
informazione,
islam,
libertà,
musulmani,
tortura
lunedì 8 giugno 2015
Libri bruciati, libri vietati
di
Monica Macchi

Il
libro vietato (questo senza motivazione…) è “Walls
of Freedom” della casa editrice Dar Al-Tanweer un ritratto
dell’Egitto post-25 gennaio attraverso i murales del Cairo che
hanno trasformato le strade in un giornale dinamico e creativo,
alternativa popolare ai media mainstream e alla propaganda
governativa. Arricchito con saggi di artisti ed esperti, Walls of
Freedom contestualizza i graffiti nei contesti storici,
socio-politici, culturali e artistici nell’intero Egitto. Per
denunciare la censura alcuni artisti tra cui Mohamed El-Moshir e
Ammar Abo Bakr hanno dipinto questo murales a Al-Bustan in pieno
centro al Cairo e per tutta risposta sono stati arrestati e detenuti
per più di 12 ore…e il libro continua ad essere vietato.
Etichette:
Amnesty,
associazione,
califfato,
censura,
diritti,
dittatura,
Egitto,
giornalismo,
giornalisti,
governo,
informazione,
islam,
libro,
politica,
Religione,
rogo
giovedì 5 marzo 2015
La risposta del Naga alle parole di Buonanno contro Djiana Pavlovic e un corso per attivisti Rom a Roma
Rom:
un pregiudizio ontologico
A
seguito delle parole ingiuriose che Buonanno ha rivolto nei confronti
di Djiana Pavlovic, giornalista e attivista Rom, durante la scorsa
puntata di “Piazza Pulita”, pubblichiamo la dichiarazione del
Naga e del suo presidente:
Le dichiarazioni, o meglio, gli insulti dell'onorevole Buonanno durante la trasmissione Piazza Pulita-La7 ci amareggiano, ma non ci stupiscono.
Tanto meno ci stupisce l'applauso spontaneo del pubblico.
Ci assorda però il silenzio della politica che non prende posizione di fronte ad atti così gravi, se non per sostenerli.
"Da più di 25 anni forniamo assistenza sanitaria, sociale e legale anche ai cittadini rom e sinti e ci impegniamo nella difesa dei loro diritti e, quindi, di quelli di tutti. Sempre di più ci rendiamo conto che le affermazioni discriminatorie nei confronti dei rom vengono lasciate scorrere senza che suscitino alcuna reazione né personale né collettiva. Anzi, spesso con reazioni di sostengo, come in questo caso." afferma Luca Cusani, presidente del Naga. "Evidentemente il pregiudizio verso i rom è talmente radicato nella cultura nella quale viviamo da non essere neanche più riconosciuto e da aver raggiunto il livello ontologico: è sufficiente essere rom per essere qualcosa di negativo, non serve compiere nessuna azione. Questa è la realtà in cui viviamo, nell'indifferenza generalizzata. Come Naga continueremo a batterci perché si aprano orizzonti diversi oltre pregiudizi e stereotipi e, nell'immediato, esprimiamo tutta la nostra solidarietà a Dijana Pavlovic" conclude Cusani. L'Associazione per i Diritti Umani sottoscrive queste parole.
Il Naga è un'associazione di volontariato laica e apartitica che si è costituita a Milano nel 1987 allo scopo di promuovere e di tutelare i diritti di tutti i cittadini stranieri, rom e sinti senza discriminazione alcuna.
Le dichiarazioni, o meglio, gli insulti dell'onorevole Buonanno durante la trasmissione Piazza Pulita-La7 ci amareggiano, ma non ci stupiscono.
Tanto meno ci stupisce l'applauso spontaneo del pubblico.
Ci assorda però il silenzio della politica che non prende posizione di fronte ad atti così gravi, se non per sostenerli.
"Da più di 25 anni forniamo assistenza sanitaria, sociale e legale anche ai cittadini rom e sinti e ci impegniamo nella difesa dei loro diritti e, quindi, di quelli di tutti. Sempre di più ci rendiamo conto che le affermazioni discriminatorie nei confronti dei rom vengono lasciate scorrere senza che suscitino alcuna reazione né personale né collettiva. Anzi, spesso con reazioni di sostengo, come in questo caso." afferma Luca Cusani, presidente del Naga. "Evidentemente il pregiudizio verso i rom è talmente radicato nella cultura nella quale viviamo da non essere neanche più riconosciuto e da aver raggiunto il livello ontologico: è sufficiente essere rom per essere qualcosa di negativo, non serve compiere nessuna azione. Questa è la realtà in cui viviamo, nell'indifferenza generalizzata. Come Naga continueremo a batterci perché si aprano orizzonti diversi oltre pregiudizi e stereotipi e, nell'immediato, esprimiamo tutta la nostra solidarietà a Dijana Pavlovic" conclude Cusani. L'Associazione per i Diritti Umani sottoscrive queste parole.
Il Naga è un'associazione di volontariato laica e apartitica che si è costituita a Milano nel 1987 allo scopo di promuovere e di tutelare i diritti di tutti i cittadini stranieri, rom e sinti senza discriminazione alcuna.
CORSO
PER ATTIVISTI ROM e SINTI
Associazione 21 luglio, Amnesty International Sezione Italiana e il Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC) invitano tutti gli interessati a presentare la propria candidatura per la terza edizione del Corso di formazione per attivisti rom e sinti.
Il Corso di formazione per attivisti rom e sinti è rivolto a giovani rom e sinti, studenti o attivisti, di tutta Italia. Il Corso rappresenta un’eccellente occasione di scambio, confronto di idee ed esperienze, spunti di dibattito e di azione per i partecipanti.
Il Corso avrà una durata complessiva di 56h, suddivise in lezioni frontali che forniranno ai partecipanti le nozioni base, e in laboratori, dove i concetti teorici verranno messi in pratica.
Il programma comprenderà i seguenti argomenti:
1) I diritti umani: concetto, principi e strumenti;
2) La percezione dei rom in Italia: pregiudizi e stereotipi;
3) Il diritto a un alloggio adeguato;
4) La discriminazione;
5) Il genere;
6) La comunicazione: strumenti utili per gli attivisti;
7) Il campaigning: ideare e attuare una campagna per ottenere un cambiamento;
8) L’attivismo: organizzare e coinvolgere la comunità;
9) L’advocacy: strategie di pressione sulle autorità a livello locale, nazionale e internazionale;
10) La creazione di una organizzazione/associazione rom.
Lo scopo principale del Corso è la formazione di giovani rom e sinti che siano attivi e consapevoli, e che possano utilizzare gli strumenti e i meccanismi nazionali, regionali e internazionali per tutelare i loro diritti umani come singoli e quelli delle loro comunità, e lottare contro ogni forma di discriminazione.
Le selezione dei 12 corsisti che seguiranno l’intero percorso formativo avverrà a inizio aprile. I 12 candidati selezionati parteciperanno a una settimana di incontri formativi, in modalità residenziale
dal 25 aprile al 03 maggio 2015 a Roma.
I costi di viaggio, vitto e alloggio per i 12 corsisti selezionati sono totalmente a carico degli organizzatori.
Al termine del corso, i partecipanti riceveranno un attestato di partecipazione e i più meritevoli avranno la possibilità di svolgere un tirocinio retribuito della durata di 3 mesi presso la sede dell’Associazione 21 luglio a Roma. I restanti verranno assistiti e supportati nella ricerca e nella candidatura per altre posizioni di stage presso organizzazioni e/o enti.
Obiettivi del Corso:
Il Corso di formazione per attivisti rom e sinti fa parte del programma dell’Associazione 21 luglio, di Amnesty International Sezione Italiana e dell’ERRC per sostenere e promuovere la cittadinanza attiva all’interno delle comunità rom e sinte in Italia. Gli obiettivi primari del corso sono:
• creare consapevolezza nei giovani rom e sinti riguardo i loro diritti come individui e come parte di una minoranza;
• sviluppare le loro conoscenze sugli strumenti di protezione e promozione dei diritti umani e di lotta contro la discriminazione a livello nazionale (legislazione nazionale), regionale (Trattati Europei, altri meccanismi del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea) e internazionale (Trattati e meccanismi delle Nazioni Unite);
• rafforzare le capacità di monitoraggio, denuncia e difesa contro le violazioni dei diritti umani al fine di essere in grado di reagire immediatamente in caso di violazioni dei diritti umani delle comunità rom e sinte;
• aumentare le abilità di mettere in pratica i concetti appresi all’interno delle organizzazioni e delle comunità;
• promuovere una rete di giovani attivisti rom e sinti in Italia che possa agire attivamente all’interno delle comunità e nei rapporti tra queste e l’esterno, sia tramite il rafforzamento dei legami con la società civile e con le organizzazioni rom/non rom, sia attraverso la creazione di azioni che coinvolgano le comunità nella lotta per i loro diritti.
Requisiti:
I candidati dovranno:
• possedere una buona conoscenza della lingua italiana orale e scritta (il corso prevede la lettura di documenti e materiale didattico);
• avere un’età compresa tra i 18 e i 35 anni;
• possedere almeno un diploma di scuola media;
• dimostrare di essere individui attivi all’interno delle rispettive comunità;
• essere molto motivati e interessati alle tematiche trattate.
Si consiglia vivamente anche ai candidati che non dovessero soddisfare uno dei requisiti relativi all’età e alla formazione scolastica, ma che fossero molto motivati, di inoltrare la domanda di iscrizione. La loro domanda verrà comunque accettata con riserva e valutata attentamente dal comitato selezionatore.
Associazione 21 luglio, Amnesty International Sezione Italiana e ERRC attribuiscono particolare valore e importanza alle candidature provenienti da membri delle comunità rom e sinte in Italia, in particolare ragazze e donne.
Procedura per la presentazione delle domande:
I candidati dovranno presentare quanto segue per poter partecipare al Corso:
1. Modulo di iscrizione compilato – Clicca QUI
2. Curriculum Vitae (MAX 2 Pagg);
3. Lettera di presentazione da parte di un insegnante, professore, presidente o esponente di un’organizzazione, datore di lavoro o leader religioso che sia a conoscenza del lavoro del candidato e del suo impegno nel campo dei diritti di rom e sinti. La lettera dovrà spiegare la natura della relazione con il candidato, la durata della conoscenza reciproca ed evidenziare i principali motivi che rendono il candidato adatto a partecipare al Corso di formazione per attivisti rom e sinti.
Tutte le domande di iscrizione, corredate della documentazione di supporto completa, dovranno essere presentate tassativamente entro il 31 marzo 2015. Si invitano cordialmente i candidati a presentare le proprie domande di partecipazione prima di tale scadenza.
Le domande di iscrizione complete dovranno essere inviate per e-mail, come allegato, all’indirizzo attivismo@21luglio.org con oggetto: Corso di formazione attivisti rom/sinti – Nome Cognome
Oppure consegnate a mano, dopo aver contattato l’Associazione 21 luglio al numero 329 86 97 929, entro le ore 12 del 31 marzo 2015.
Le domande di iscrizione incomplete o pervenute in ritardo NON verranno prese in considerazione.
A causa dell’alto numero di candidature normalmente riscontrate, ci scusiamo di non potere fornire una risposta individuale a tutti. Qualora non si fosse contattati nell’arco di due settimane successive alla data indicata per il termine del bando, si prega di considerare ciò quale riscontro non positivo alla candidatura stessa. Si assicura infine il rispetto del trattamento dati sensibili a norma del Decreto Legislativo 196/2003.
Scarica il bando in pdf
Etichette:
Amnesty,
associazione,
Buonanno,
diritti,
Diritti umani,
discriminazione,
etnia,
Europa,
giornalismo,
giornalisti,
Naga,
Pavlovic,
Piazza Pulita,
politica,
razzismo,
Rom,
stampa,
trasmissione,
tv
giovedì 22 gennaio 2015
Egitto la rivoluzione tradita e la fine delle ideologie islamiche
Il
libro di Vincenzo Mattei, Egitto,
la rivoluzione tradita e la fine delle ideologie islamiche
(per Poiesis edizioni), è un’interessante e documentata analisi
del contesto egiziano dal giugno 2012 fino ad oggi ed esamina le
linee politico-strategiche dei Fratelli Musulmani e soprattutto le
inadeguatezze e gli errori di Mursi: dalle azioni imperniate
sull’esclusione dell’opposizione alla concezione di una
democrazia solo formale, dal tradimento della rivoluzione alla
dichiarazione costituzionale del novembre 2012 in cui si arroga tutti
i poteri fino alla sottovalutazione del regime che per decenni li ha
perseguitati. Un intero capitolo è infatti dedicato ai “Fuloul”
(cioè gli appartenenti al vecchio regime) il cui potere nelle
strutture dell’apparato statale era rimasto inalterato e che
continuavano a costituire l’asse portante dell’economia. La tesi
fondamentale e per certi versi innovativa di questo testo è la
strumentalizzazione proprio da parte dei Fuloul del movimento dei
Tamarrud che ha portato in piazza più di 30 milioni di egiziani per
chiedere le dimissioni di Mursi, strumentalizzazione di cui ha
approfittato il generale Sisi che è riuscito a farsi passare come il
garante del processo democratico e della volontà del popolo sceso in
piazza. Ha preso così avvio una campagna denigratoria contro i
Fratelli Musulmani definiti “terroristi” con moltissimi morti ed
arresti più volte denunciati sia da Amnesty International che da
Human Right Watch ma anche contro giornalisti e gli stessi Shebab i
ragazzi di Piazza Tahrir a cui una legge liberticida ha tolto la
possibilità di riunirsi in luoghi pubblici. E come ha sottolineato
la giornalista Sara Carr la (ri)appropriazione dello spazio pubblico
è stata forse la conquista più importante della rivoluzione e
ridurne l’accesso significa ridurre l’area dell’azione
anti-governativa e quindi riportare indietro l’intero processo
democratico. Sembrerebbe che l’esercito “salvatore della patria”
abbia schiacciato e fiaccato lo “spirito di Tahrir” ma secondo
l’autore non è così perché “la
rivoluzione ha messo in atto un movimento per il rispetto dei diritti
umani e più in generale una spinta sotterranea che attraverso la
letteratura, il cinema, la fotografia, i graffiti continuerà a
parlare e denunciare i potenti di turno”.
Abbiamo rivolto alcune domande a Vincenzo Mattei e lo ringraziamo per la sua disponibilità.
Dal
25 gennaio 2011 ad oggi quali sono i problemi che permangono nel
Paese, soprattutto riguardo i diritti umani e civili?
Con
l’avvento di Al Sisi i diritti umani e civili sono quasi
completamente soppressi. Le libertà di stampa e di opinione sono a
loro volta ristrette per i fini del nuovo regime. I continui
attentati terroristici che avvengono nel paese e soprattutto nel
Sinai vengono usati dal regime per reprimere ogni dissenso. L’ancien
régime, o meglio, la nomenclatura del vecchio regime di Mubarak è
tornata a governare il paese come e più di prima. Inoltre la legge
sul Terrorismo approvata a dicembre del 2014 include tutti quei casi
che possono “attentare all’unità nazionale del paese”, tale
definizione è molto vaga e lascia piena discrezione all’autorità
giurisdizionale di stabilire di volta in volta i casi rientranti nei
dettami di questa legge ... un’autorità giurisdizionale laché di
quella governativa. La legge sulle Proteste del novembre del 2013
inibisce qualsiasi manifestazione pubblica.
Che
tipo di politica è quella di Al Sisi e in cosa si differenzia da
quella di Morsi?
La
politica di Al Sisi rispecchia la visione della vecchia nomenclatura,
a differenza di Morsi che doveva battersi in ogni campo per mettere i
suoi uomini nei posti chiave dell’amministrazione, per Al Sisi il
problema non sussiste, perché fa parte dell’istituzione
dell’esercito che è quella che effettivamente governa il paese dal
1952.
L'Islam
politico. Anche in Egitto, come in altri Paesi arabo-musulmani,
l'ideologia religiosa è strettamente collegata alla politica: con
quali conseguenze?
Non
conosco perfettamente tutti i casi del panorama arabo-musulmano,
credo che in Marocco e in Giordania l’ideologia religiosa non entra
in politica così profondamente come in altri stati, anche in Tunisia
sotto molti aspetti è così. Il problema è già spiegato nella
domanda, cioè, se si parla di qualsiasi ideologia, quindi
estremizzazione della teoria, il dialogo con le altri parti o partiti
è quasi nullo, perché esiste una sola visione che diventa unica e
infallibile. La sfida dell’islam politico è quella di divenire
forza in grado di discutere e dialogare con le altre componenti
politiche. Sono gli stessi errori che hanno commeso i Fratelli
Musulmani in Egitto e che analizzo bene nel mio libro (La fine delle
ideologie islamiche, ed. Poiesis), confinarsi sulla proprie posizioni
e non preferire il dialogo con il Fronte (laico) Nazionale di
Salvezza ha compromesso la loro permanenza al governo alienandosi le
già poche simpatie che la popolazione nutriva per loro.
Fintanto
che questa visione non cambia, ogni partito islamico, o d’ispirazione
islamista, penserà sempre che vincere le elezioni significa poter
fare e disfare lo Stato a proprio piacimento, come se veramente tutta
la nazione avesse votato per il partito (come è stato il caso dei FM
in Egitto). La democrazia prevede il rispetto delle minoranze e
dell’opposizione politica, prevede un confronto con gli altri
partiti che non sono al governo, altrimenti derive dittatoriali di
stampo islamista saranno sempre dietro l’angolo.
Quali
sono gli aspetti all'avanguardia della nuova Costituzione (sancita
dai militari nel gennaio 2014) e quali, invece, gli aspetti
reazionari?
Secondo
un’intervista al pittore Mohamed Abla (uscita su Alias de Il
Manifesto, 1 feb 2014,
http://vincenzomattei.com/2014/02/03/la-nuova-costituzione-egiziana-alias-1-feb-2014/#more-3162)
ci sono molti punti che avvicinano la Costituzione egiziana a quelle
di altre democrazie mature. È previsto l’impeachment contro il
Presidente della Repubblica, la garanzia del salario minimo,
percentuali altissime del Pil dedicate all’educazione, alla sanità
… la parità di genere, la rappresentanza rosa garantita in
parlamento, la protezione della donna da qualsiasi discriminazione e
violenza … la religione non è fonte del diritto statale come
invece era il testo che avrebbero voluto i FM nel novembre del 2012.
Ci sono moltissimi punti interessanti e all’avanguardia nel
panorama arabo-musulmano, ma il problema rimane indissolubilmente
uno: metterli in pratica e non lasciarli solo sulla carta. Fino ad
ora tutte le libertà contemplate dalla nuova Costituzione egiziana
sono state più represse che garantite, soprattutto dopo
l’approvazione della legge sulla manifestazioni (novembre 2013) che
prevede pene detentive e pecunarie pesantissie e che può essere
usata a discrezione dal governo per mettere in carcere persone
“scomode” come gli attivisti, i giornalisti o qualsiasi
dissidente politico.
In
che modo i giovani lottano per una “vera” democrazia?
I
giovani attivisti hanno lottato dall’inizio della rivoluzione (25
gennaio 2011) fino all’approvazione della legge sulle
manifestazioni, da allora molti sono in prigione, come a loro volta
molti giornalisti. Dal massacro dei FM a Rabaa Al Adawayya (agosto
del 2013), si calcola che in Egitto ci sono dai 20000 ai 30000
prigionieri politici, per l’80% FM. Il processo democratico al
momento è bloccato, la popolazione ha voluto il ritorno alla
stabilità politica ed economica (ancora da raggiungere) e ha visto
in Al Sisi l’uomo giusto per ritornare alla normalità dopo la
disastrosa parentesi di Morsi e dei FM. Momentaneamente sembra che la
maggioranza della popolazione non abbia interesse a continuare
manifestazioni e proteste (a parte il bacino del Delta del Nilo dove
i sindacati sono più forti) che hanno portato negli ultimi tre anni
a tumulti e disordini in tutto il paese. La popolazione sembra stanca
di continuare con agitazioni che hanno portato solo ad instabilità
politica, inasprimento della crisi economica, a disordini di
carattere pubblico con intere città e province sottoposte a
coprifuoco per diversi mesi del 2012-3 (Suez, Ismailiyya, Port Said).
In questo contesto l’attuale lotta dei giovani per una “vera”
democrazia si è spostata di nuovo nell’ambito pre-rivoluzionario:
nel web, mentre le piazze, le agorà della rivoluzione (in primis
Tahrir), sono state di nuovo interdette all’assembramento di gruppi
o di proteste, perché la conquista dello spazio pubblico è il primo
passo per il sovvertimento dell’ordine dittatoriale od autoritario.
Etichette:
Amnesty,
associazione,
costituzione,
diritti,
Egitto,
giornalismo,
giornalisti,
governo,
ideologia,
islam,
libro,
notizie,
politica,
Religione,
rivoluzione,
stampa,
terrorismo,
Vincenzo Mattei
Iscriviti a:
Post (Atom)