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martedì 4 febbraio 2014

Il punto di Antigone sulla situazione carceri



Il 28 gennaio scorso si è svolto a Milano un incontro, presso l'Urban Center, in cui si è discusso ancora del problema del sovraffollamento delle carceri italiane e, in particolare della situazione dei detenuti negli istituti penitenziari della Lombardia.

Siamo una Regione molto particolare dal punto di vista carcerario” ha affermato Valeria Verdolini, presidente lombardo dell'Associazione Antigone “ con ben 19 diversi istituti detentivi. Un fenomeno di grandi dimensioni, quindi, ma al quale è possibile approcciarsi in maniera costruttiva grazie alla rete esistente a livello locale e che unisce le strutture di volontariato, le associazioni, le istituzioni”.

Antigone monitora periodicamente le carceri e racconta ciò che vede. Nel IX e ultimo rapporto dell'associazione sulle condizioni di detenzione, intitolato “Senza dignità”, i dati riferiscono che le regioni italiane più affollate sono la Liguria, la Puglia e il Veneto; al 31 ottobre 2012 i 66.685 detenuti sono in maggioranza uomini e italiani; le donne rappresentano il 4,2% della popolazione carceraria e il 35,6% è rappresentato dagli stranieri. Le nazionalità più presenti sono quella marocchina, romena, tunisina, albanese e nigeriana. Nel report si ricorda che: “Con una sentenza del 28 aprile 2011 la Corte di Giustizia Europea ha dichiarato incompatibile con la Direttiva rimpatri l'articolo 14, commi 5 ter e 5 quater, del Decreto Legislativo n. 286/1998, che prevedeva la detenzione in caso di mancata ottemperanza all'ordine del Questore di allontanarsi dal territorio italiano. Dopo una iniziale incertezza, si è di fatto proceduto per decreto legge alla modifica di questo reato, escludendo il ricorso al carcere. Ad oggi, però, la percentuale degli stranieri tra i detenuti è scesa di poco rispetto al dicembre del 2010, quando era del 36,7%”.

La ricerca riporta un dato inquietante: quello relativo agli atti di autolesionismo o ai tentati suicidi; a questo si aggiunge il fatto che il 70% dei detenuti è malato e che le patologie più comuni sono i disturbi psichici, le malattie dell'apparato digerente e le malattie infettive e parassitarie.

Qualche passo avanti è stato fatto, nella tutela dei diritti dei detenuti, con il piano di riorganizzazione avviato a livello ministeriale che ha ridotto il numero di ore che il detenuto deve trascorrere chiuso in cella, a favore di una maggiore possibilità di movimento all'interno della struttura: “Altre iniziative necessarie sono quelle miranti ad ampliare l'offerta di attività formative e ricreative” ha sostenuto Alessandra Naldi, Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Milano e ha aggiunto: “In questo Bollate è diventata un vero e proprio modello per la sua capacità di sfruttare le risorse del territorio; Opera, invece, deve ancora completare questo processo di apertura verso l'esterno”. Diversa la situazione a San Vittore perchè, ha sottolineato sempre il Garante, sono evidenti i problemi igienici e “la popolazione presenta emergenze di carattere sociale, con molti stranieri privi di permesso di soggiorno e detenuti affetti da problemi di salute mentale e di tossicodipendenza”.

Da Milano a Roma: a Rebibbia Antigone, in due anni di attività, ha effettuato 1.149 colloqui e, tra i diritti negati, quelli che più pesano sulle condizioni dei detenuti riguardano la lontananza dai propri affetti e il diritto alla salute.

Infine, un grande ostacolo al miglioramento delle condizioni di vita negli istituti carcerari è costituito dalla mancanza di fondi: “ Assistiamo a un estremo impoverimento del sistema penitenziario”, ha affermato Daniela Ronco, coordinatrice dell'Osservatorio Nazionale sulle condizioni di detenzione di Antigone, "mancano i fondi per qualunque tipo di attività all'interno del carcere, per il lavoro, per lo studio e per tutti gli altri progetti che potrebbero rendere meno afflittiva la vita nelle strutture detentive”.



giovedì 19 dicembre 2013

I detenuti incontrano i cittadini


 

Mentre il Consiglio dei Ministri dà via libera al decreto sulle carceri (di cui parleremo nei prossimi giorni), noi diamo voce anche ai detenuti. L'Associazione per i Diritti Umani, ha partecipato ad un' importante iniziativa per capire meglio come si vive, o meglio si sopravvive, negli istituti penitenziari italiani.
Come si fa a muoversi, per mesi o per anni, in una cella di pochi metri quadri? Fino a ventuno ore al giorno e con cinque persone accanto...Come si fa a far trascorrere un tempo infinito senza avere nulla da fare? Come è possibile salvaguardare la propria dignità?
Queste e molte altre domande hanno dato vita all'incontro che si è tenuto, a fine novembre, presso l'Urban Center di Milano, incontro al quale hanno partecipato
Davide Dutto, fotografo - coautore con Michele Marziani del libro "Il gambero nero" (Edizioni Cibele) e promotore dell'associazione "Sapori reclusi" che, partendo dal comune bisogno
dell'uomo di nutrirsi, vuole riunire uomini e donne che vivono nascosti agli occhi dei più, con il resto della società - e Giorgia Gay, antropologa, giornalista ed autrice dell'e-book ... e per casa una cella - I detenuti e lo spazio: tattiche di reazione e domesticazione, una ricerca sulla percezione e l'utilizzo dello spazio in una comunità ristretta.
La serata ha visto la partecipazione significativa,di due detenuti del carcere di Bollate e di Opera che hanno raccontato la loro esperienza, ma hanno posto l'accento anche sulle difficoltà di coloro che si trovano ancora nelle strutture penitenziarie e di coloro che sono usciti, ma che fanno fatica a reintegrarsi nella società.
Al dibattito sono intervenuti, infine, anche Emilio Caravatti e Lorenzo Consales, docenti a contratto del Politecnico di Milano che hanno raccontato la loro esperienza di interazione tra studenti di architettura e persone detenute sulla riprogettazione degli spazi del carcere.



L'Associazione per i Diritti Umani vi propone il video dei momenti più interessanti. (Vi ricordiamo che potete vedere il materiale filmato della nostra associazione anche sul canale dedicato Youtube)












venerdì 6 dicembre 2013

Scatti e riscatti



Per la maggior parte sono giovani, alcuni italiani e molti stranieri provenienti dal Nord Africa, dall'America latina, dall'Europa dell'Est: sono i detenuti del carcere di Bollate che hanno avuto l'opportunità di fotografare e di farsi ritrarre grazie ad un corso tenuto, tra il 2009 e il 2013, da Rodolfo Tradardi e Mariagrazia Pumo.
Il carcere di Bollate è riconosciuto, da sempre, come una tappa fondamentale per un percorso esistenziale riabilitativo: molte, infatti, le attività proposte ai detenuti, attività offerte nell'ambito di progetti rieducativi. In questo caso il corso di fotografia rientra in un'idea realizzata dalla Cooperativa Articolo 3 in accordo con la Direzione dell'istituto penitenziario.
I partecipanti al progetto si trovano nel cosiddetto “ Reparto a Trattamento Avanzato”, nel quarto reparto e sono persone già consapevoli del percorso – di pena, ma soprattutto umano – che si trovano a dover affrontare e sono responsabili nel farlo. Ecco, quindi, che il mezzo fotografico diventa uno strumento di scelta: una scelta di contenuto, una scelta di estetica, una scelta etico-morale.
Le fotografie sono raccolte, ora, in una mostra intitolata proprio “Riscatti”, inaugurata il 4 dicembre scorso ed esposte fino al 21 del mese presso la galleria Ostrakon, in Via Pastrengo 15 a Milano. E' importante sottolineare il fatto che non si tratta di un lavoro eseguito da un'agenzia esterna che è entrata nel carcere, ma di un lavoro portato avanti dagli ospiti stessi dell'istituto che, durante la loro permanenza, hanno sviluppato una sensibilità particolare rivolta alle altre persone e alle situazioni, spesso difficili, che si verificano nella loro quotidianità. 
La fotografia diventa, così, uno specchio su cui proiettare sentimenti e sensazioni, paure e desideri. Volti malinconici o, a tratti, gioiosi; lo spazio della palestra come ring della sfida per la ricostruzione di sé e dell'autostima; le riprese originali di alcuni oggetti che, in cella, diventano “altro” per sopravvivenza, per necessità; angolature ricercate e luci originali per restituire poesia, mescolata alla realtà anche di un luogo tanto ristretto.
Tutto questo e molto altro nelle immagini dei detenuti che scattano e si ri-scattano, nell'attesa e nella speranza di recuparare la libertà fisica, dopo quella mentale regalata, per un po', dall'obiettivo di una macchina fotografica.