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venerdì 9 ottobre 2015

La missione europea contro gli scafisti


La seconda fase della missione europea contro gli scafisti, che prevede il sequestro e la distruzione dei barconi in acque internazionali, "partirà il 7 ottobre" la seconda fase della missione europea contro gli scafisti, che prevede il sequestro e la distruzione dei barconi in acque internazionali: lo ha annunciato nei giorni scorsi l'Alto rappresentante della politica estera Ue, Federica Mogherini,in visita alla sede della missione,a Roma. "La decisione politica è presa,gli assetti sono pronti". L'operazione si chiamerà "Sofia,come la bimba nata su una nave" per "dare un segnale di speranza".


In questa occasione ripubblichiamo una nostro contributo con gli interventi di Mario Poeta e Stefano Liberti, autori del documentario Maybe Tomorrow che ci aiuta ad approfondire la situazione.

Il prodotto dei due giornalisti si inserisce nel progetto Access to Protection del Consiglio Italiano dei Rifugiati . Maybe tomorrow vuol dire “Forse domani” ed è la frase che i migranti si sentono continuamente ripetere, per mesi e mesi, mentre aspettano il “foglio di via”.


Come nasce il progetto di Maybe tomorrow?



Il progetto nasce all'interno di un progetto europeo sull'accoglienza e il salvataggio in mare e, nell'ambito di questo progetto, abbiamo realizzato un documentario breve che cerca di raccontare l'operazione Mare Nostrum, iniziata nel 2013 e condotta per tutto il 2014 dalla Marina militare: abbiamo seguito come vengono intercettati i barconi, come vengono svolti i soccorsi e anche cosa avviene dopo.

Quale può essere il bilancio dell'operazione Mare Nostrum?

Per quello che abbiamo visto noi è un bilancio positivo perchè, nel corso di tutta l'operazione, sono stati soccorsi e portati a terra 170.000 rifugiati e, se non ci fosse stata l'operazione, i morti sarebbero stati di maggior numero; ricordiamo che Mare Nostrum è stata lanciata subito dopo la duplice tragedia dell'ottobre 2013, con un totale di 600 migranti deceduti in mare.

L'operazione ha anche ovviato a un problema fondamentale, ovvero al fatto che – quando si vanno a vedere le nazionalità delle persone che partono e vengono tratte in salvo – si capisce che quelle persone provengono da Paesi in guerra o sono perseguitate per questioni politiche per cui, una volta arrivate in Italia, ottengono la protezione internazionale. Mare Nostrum ha, quindi, svolto le funzioni di una specie di canale umanitario per questi profughi di guerra.

Il sistema di richiesta di asilo, in Italia, funziona?

l'Italia è un Paese di transito e gli immigrati preferiscono andare in Nord Europa dove viene garantita una migliore qualità della vita.



Quindi non si può e non si dovrebbe parlare di “emergenza”...



Non proprio; la gran parte delle persone che arriva in Italia, infatti, non chiede asilo perchè, una volta ottenuto, non c'è un follow up: non vengono garantiti percorsi di inserimento, formazione, coabitazione come, invece, avviene in altri Paesi.

Chi arriva tende a non farsi prendere le impronte digitali e a cercare di richiedere l'asilo politico in Paesi dove il sistema è più accogliente.

Parlare di “emergenza immigrazione” consente di non realizzare mai un sistema strutturato di accoglienza. L'emergenza è qualcosa che avviene e che non è prevedibile. In realtà i flussi migratori verso l'Italia esistono da più di vent'anni e sono facilmente prevedibili anche i numeri che interessano questi flussi per cui parlare di emrgenza consente anche di speculare su questo fenomeno: dare appalti in deroga, superare le normative. Quindi poter lucrare.




Come si svolge la prima accoglienza in Italia?



Sempre per quello che abbiamo visto, chi ha i mezzi finanziari per andarsene, cerca di andare via prima di essere identificato; chi non li ha (come i cittadini dell'Africa subsahariana) viene inserito in un sistema di prima accoglienza molto carente nel quale, per mesi e mesi, non viene informato dei propri diritti e delle tempistiche che riguardano la sua situazione.

Pensiamo anche ai minori stranieri non accompagnati (MSNA): vengono trasferiti in strutture temporanee, in attesa di essere affidati a un tutore per poi iniziare la procedura di richiesta di asilo, cosa che richiede almeno sei mesi di tempo. Questi minorenni vivono in una specie di limbo, di indeterminatezza e non ne capiscono il motivo perchè pensano di essere arrivati in un posto dove i loro diritti vengono garantiti e invece non è così.





mercoledì 23 settembre 2015

Cosa ha imparato l'Europa dagli errori delle politiche passate?. Un intervento di Barbara Spinelli




Barbara Spinelli (Gue/Ngl) è intervenuta nella riunione congiunta delle commissioni Affari esteri (AFET) e Libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE)che si è tenuta questa mattina nella sede del Parlamento europeo di Bruxelles sulRispetto dei diritti umani nel contesto dei flussi migratori nel Mediterraneo, alla presenza della vicepresidente della Commissione europea e Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini, del commissario per la Migrazione, affari interni e cittadinanza dell’UE Dimitris Avramopoulos e dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) António Guterres

«Vorrei porre due domande all'Alto Rappresentante per la politica estera Mogherini riguardo all’operazione navale EUNAVFOR Med, considerando che ci troviamo alle soglie del passaggio alla fase due dell’operazione, quella che prevede lo smantellamento delle organizzazioni dei trafficanti tramite l’abbordaggio e l’affondamento in mare aperto dei barconi su cui viaggiano i profughi – e dunque più vicini alla fase tre, quella in cui l’operazione sarà condotta nelle acque territoriali libiche e nel territorio stesso della Libia.

Quello che vorrei chiedere è contenuto, grosso modo, nell’intervista rilasciata dal ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov il 13 settembre: intervista che ritengo di estrema importanza in virtù della decisione – favorevole o non favorevole all’iniziativa UE – che il governo russo prenderà nel Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite.


Quale significato assume il concetto di lotta agli smuggler quando ci troviamo di fronte non a barconi, come sempre più spesso accade, ma a gommoni che il più delle volte non sono "governati" da nessuno? Gli smuggler cui si pretende di dare la caccia con questa operazione sono spesso molto lontano dai barconi.


Quale dovrebbe essere esattamente il mandato dell'operazione EUNAVFOR Med quando, nell’ipotetica terza fase, saranno previste operazioni militari nelle acque territoriali e nei porti della Libia? Infine, e soprattutto: quali lezioni ha tratto l'Europa dagli errori delle politiche passate – come giustamente si è interrogato il rappresentante della Tunisia Karim Helali che ha parlato prima di me – errori che, non dimentichiamolo, hanno provocato e acuito l'esodo di questi anni?»

sabato 23 maggio 2015

“DELL’ELMO DI SCIPIO SI E’ CINTA LA TESTA…”





di Alex Zanotelli



L’Alto Rappresentante della politica estera della UE, Federica Mogherini, sostenuta a spada tratta dal governo Renzi, da settimane sta premendo per ottenere dall’ONU il mandato per un’azione militare con lo scopo di distruggere i barconi degli scafisti nelle acque libiche e bloccare così l’esodo dei profughi. L’Italia sta brigando per essere capofila di questa coalizione militare che, con un’operazione navale e anche terrestre (così sostiene il Guardian) andrà a colpire gli scafisti.
Eppure se c’è una nazione che dovrebbe defilarsi è proprio l’Italia, particolarmente odiata dai libici come ex-potenza coloniale. Quando la Libia è stata una nostra colonia, noi italiani abbiamo impiccato e fucilato oltre centomila libici. Non contenti abbiamo partecipato attivamente a quella assurda guerra, iniziata dalla Francia e dall’Inghilterra nel 2011 per abbattere il regime di Gheddafi, che ha portato all’attuale situazione caotica della Libia. Ed ora l’Italia si prepara a guidare un’altra azione militare che, con il pretesto di salvare i profughi da morte nel Mediterraneo, creerà un altro disastro umano. Infatti anche se riuscissimo a distruggere i barconi degli scafisti(non sarà così facile!), non faremo altro che aggravare la situazione di milioni di profughi sub-sahariani, mediorientali e asiatici intrappolati ora in un paese in piena guerra civile. Amnesty International, in un suo recente rapporto parla di massacri, abusi, violenze sessuali, torture e persecuzioni (49 cristiani provenienti dall’ Egitto e dall’Etiopia sono stati decapitati) , perpetrate contro i profughi. Non è più possibile chiudere gli occhi- afferma Philip Luther di Amnesty- e limitarsi a distruggere le imbarcazioni dei trafficanti senza predisporre rotte alternative e sicure. Altrimenti condanneremo a morte migliaia e migliaia di rifugiati, ma questo avverrà lontano dai ‘ casti ‘occhi degli europei e dai media.
Il governo di Tobruk del generale Khalifa Haftar (sostenuto dall’Egitto) ha risposto :”Bombarderemo le navi non autorizzate.” E anche l’ambasciatore libico all’ONU ha parlato di intenzioni “poco chiare e molto preoccupanti.”Purtroppo le intenzioni sono ben chiare: è guerra!
Noi invece diciamo un NO ad un altro intervento militare della UE , capitanata dall’Italia. E’ mai possibile che questa nuova avventura militare italiana avvenga senza una discussione in Parlamento? E’ mai possibile il silenzio quasi totale dei partiti politici su questo argomento?
Dobbiamo chiedere invece alla UE e all’Italia di imporre un embargo sulla vendita di armi ai ‘signori della guerra’ in Libia. Chiediamo altresì alla UE perché faccia pressione sulla Tunisia e sull’Egitto perché questi due paesi confinanti aprano le loro frontiere per accogliere i rifugiati intrappolati in Libia. Ma la UE dovrà poi concordare con l’Egitto e la Tunisia l’apertura dei corridoi umanitari per permettere ai rifugiati di arrivare in Europa. Questa sì sarebbe una vera soluzione per i profughi e segnerebbe la sconfitta degli scafisti e delle organizzazioni criminali.
Ma la via che noi stiamo seguendo è un’altra. E’ quella del Processo di Khartoum:trattare con i governi dei paesi da cui provengono i profughi e costruirvi campi di raccolta nei paesi di origine, come il Sudan o l’Eritrea. Perseguendo questa politica, l’Unione Europea ,tramite il Fondo Europeo per lo Sviluppo, elargirà entro il 2020, 312 milioni di euro al governo eritreo, senza richiedere il rispetto dei diritti umani. Questi fondi sono stati sbloccati grazie alla visita in Eritrea di una delegazione italiana (24-26 marzo 2015) . Come italiani dobbiamo solo vergognarci! Purtroppo i nostri parlamentari ,che dovrebbero controllare la nostra politica estera ,dormono sonni tranquilli.
Chi pagherà questo protagonismo bellico italiano? Saranno proprio i profughi che il governo di Tripoli, vicino ai Fratelli Musulmani, incomincia già ad arrestare e a mettere in nuovi campi di concentramento. Saranno proprio i rifugiati a pagare più pesantemente per questa azione militare, inventata per salvare vite umane! Infatti il documento presentato all’ONU parla di “danni collaterali”. Quanta ipocrisia! “Si pensa di punire chi si occupa dell’ultimo tratto del viaggio- ha scritto il generale Fabio Mini- e non i governi degli stati che alimentano la violenza, la corruzione e la guerra creando le condizioni dalle quali i migranti vogliono fuggire.”
Per questo mi appello a tutto il movimento della Pace , perché abbia il coraggio di dire NO a questo rigurgito di spirito guerrafondaio nel nostro paese. E’ ora di urlare che “la guerra è una follia” (come dice Papa Francesco).





martedì 7 aprile 2015

Palestina, il voto italiano e le due letture dalla Terrasanta. Saeb Erekat e Yael Dayan: bene il riconoscimento. Ma Israele plaude per il contrario




di Umberto De Giovannangeli, L'Huffington Post

 


La “limatura” dei verbi, l’edulcorazione di alcuni passaggi, le due mozioni che sembrano eludersi a vicenda, tutto questo relativizza ma non cancella la sostanza politica dell’evento consumatosi oggi a Montecitorio: dopo Francia, Spagna, Gran Bretagna, Danimarca, Portogallo, Irlanda, Belgio, Svezia, Lussemburgo, anche il Parlamento italiano si è espresso per il riconoscimento dello Stato di Palestina. Decisione sofferta, ritardata, con contraddizioni interne, ma la cui valenza politica, oltre che simbolica, non sfugge al Governo israeliano che puntava molto sull’ "amico Matteo” perché l’Italia non si unisse, neanche con qualche distinguo filoisraeliano, al coro dei “filopalestinesi”.
Così non è stato. O almeno questa è la lettura di chi vede il bicchiere mezzo pieno (sul fronte palestinese) rispetto al voto di Montecitorio. Quel voto intenderebbe rappresentare anche un sostegno a “Lady Pesc”, Federica Mogherini, che non ha mai nascosto la sua speranza di veder nascere uno Stato palestinese, a fianco d’Israele, durante gli anni del suo mandato di Alto Rappresentante della Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Europea.
Il voto porta con sé strascichi di politica interna, di letture “retrosceniste” sulle dinamiche interne alle varie anime del Partito Democratico, sulla spaccatura nella maggioranza poi ricomposta, almeno all’apparenza, con il parere favorevole del governo a due mozioni: quella Pd, sostenuta anche da Sel, che ha ottenuto 300 voti favorevoli e 45 contrari; e quella stilata da Nce e Ap-Sc, approvata con 237 voti favorevoli e 84 contrari, e che ha già aperto discussioni sul “messaggio” che la fronda di sinistra pieddina ha inteso lanciare al premier “decisionista”.
Strascichi, per l’appunto. Perché la sostanza è ben altra e investe il senso di marcia della nostra politica estera, soprattutto nell’area per noi più nevralgica, sul piano geopolitico e per la difesa degli interessi nazionali: il Vicino Oriente. Un Vicino Oriente in fiamme: dalla Libia alla Siria, dall’Iraq alla Palestina. Ad affermarsi, nel mondo arabo, sono “Generali” o “Califfi”, mentre in difficoltà, se non in rotta, sono le leadership moderate. Come quella del presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen). L’ "intifada diplomatica” da lui voluta era ed è anche una risposta alle spinte militariste che prendono corpo dall’azione dei “lupi solitari” palestinesi e, soprattutto, dall’affermarsi anche in Cisgiordania e a Gaza dei gruppi salafiti vicini allo Stato islamico di Abu Bakr al-Baghdadi.
"C’è il diritto dei palestinesi a un loro Stato e il diritto dello stato di Israele a vivere in sicurezza di fronte a chi per statuto vorrebbe cancellarne l’esistenza. La soluzione è quella dei due Stati, per la quale la comunità internazionale si pronuncia da tempo, il che vuol dire il diritto dei palestinesi a un loro Stato e il diritto dello Stato di Israele a vivere in sicurezza, di fronte a chi vorrebbe addirittura per statuto cancellarne la stessa esistenza", ha rimarcato il titolare della Farnesina, Paolo Gentiloni, nel suo intervento in Aula.
Il testo presentato dai democratici impegna il governo "a continuare a sostenere in ogni sede l'obiettivo della Costituzione di uno Stato palestinese che conviva in pace, sicurezza e prosperità accanto allo Stato d'Israele, sulla base del reciproco riconoscimento e con la piena assunzione del reciproco impegno a garantire ai cittadini di vivere in sicurezza al riparo da ogni violenza e da atti di terrorismo". C'è quindi l'impegno per il governo a "promuovere il riconoscimento della Palestina quale Stato democratico e sovrano entro i confini del 1967 e con Gerusalemme quale capitale condivisa, tenendo pienamente in considerazione le preoccupazioni e gli interessi legittimi dello Stato di Israele".
Un messaggio, quest’ultimo che intendeva essere rassicurante per il governo israeliano. E in parte c’è riuscito, vista la prima reazione a caldo dell’Ambasciata d’Israele:
Accogliamo positivamente – recita una nota dell’Ambasciata - la scelta del Parlamento italiano di non riconoscere lo Stato palestinese e di aver preferito sostenere il negoziato diretto fra Israele e i palestinesi, sulla base del principio dei due Stati, come giusta via per conseguire la pace. Così come scritto all'inizio della mozione: "La soluzione potrà essere raggiunta soltanto attraverso i negoziati". Tutti i governi d'Israele, a partire dagli accordi di Oslo, hanno accettato e fatto propria l'idea di due Stati per due popoli. Dopo le elezioni e la formazione di un nuovo governo in Israele a marzo , è necessario che i palestinesi decidano di tornare al tavolo delle trattative senza precondizioni, per portare avanti la pace e la sicurezza fra i due popoli”.
Resta il fatto che la nota dell’Ambasciata israeliana glissa sul fatto che, nella mozione Pd, si fa esplicito riferimento a uno Stato palestinese “con Gerusalemme quale capitale condivisa” e a uno Stato “sovrano entro i confini del 1967”: due punti su cui il governo israeliano in carica si è detto sempre contrario.
Di segno opposto a quella della sede diplomatica dello Stato ebraico a Roma, sono le reazioni, e le letture, date a caldo dai palestinesi e dagli israeliani aperti sostenitori del dialogo. “Il voto del Parlamento italiano è un atto politico importante, che può dare un nuovo impulso al negoziato e far capire ai governanti israeliani che l’Europa intende giocare un ruolo da protagonista nello scenario mediorientale”, dice all’Hp il capo negoziatore dell’Anp, Saeb Erekat. “Il problema - aggiunge Erekat – non è dichiararsi a parole favorevoli al negoziato, ma esserlo con i fatti. E ogni atto compiuto dai governanti israeliani è andato nella direzione opposta: dalla colonizzazione dei Territori all’assedio di Gaza”.
Sulla stessa lunghezza d’onda è Yael Dayan, scrittrice israeliana, più volte parlamentare laburista, una delle 800 personalità israeliane firmatarie di un appello rivolto all’Europa perché riconoscesse lo Stato di Palestina. “Apprezzo la scelta del Parlamento italiano – dice la figlia dell’eroe della Guerra dei Sei giorni, il generale Moshe Dayan, raggiunta telefonicamente a Tel Aviv dall’Hp – e da israeliana che ha combattuto per la sicurezza del proprio Paese, non la considero un atto di ostilità, ma al contrario di amicizia verso Israele. Penso questo perché sono convinta che la nascita di uno Stato palestinese non rappresenti un cedimento al “nemico” ma un investimento sul futuro per Israele. Un futuro che le destre mettono a repentaglio, riproponendo una politica fondata su una cultura militarista, cavalcando l’insicurezza e vendendo una illusione: quella di una pace a costo zero”.
È terribile odiare ed essere odiati per così tanto tempo. È estenuante occupare ed essere occupati per così tanto tempo. Questa liberazione riguarda anche noi israeliani”, le fa eco David Grossman, tra i più affermati scrittori israeliani, anche lui, come Yael Dayan, tra i promotori dell’appello all’Europa.
Resta la rabbia dei falchi. Il pronunciamento del Parlamento italiano interviene nel vivo della campagna elettorale in Israele – si vota il 17 marzo – e a pochi giorni dal viaggio negli Stati Uniti di Benjamin Netanyahu – parlerà al Congresso ma non sarà ricevuto dal presidente Barack Obama – e stride con quanto sostenuto dai leader delle destre dello Stato ebraico, decisamente ostili, per ragioni ideologiche o di sicurezza, alla nascita di uno Stato palestinese, con o senza negoziati diretti. Un tema, questo, che è parte della campagna elettorale in corso, nella quale le destre sottolineano che non c’è differenza fra Hamas e l’Isis, e che Abu Mazen ha scelto di “governare con i terroristi (Hamas, ndr) sacrificando la pace”.
Sul versante opposto, il leader dei Laburisti, Yitzhak Herzog, mette in evidenza come “le chiusure di Netanyahu hanno rafforzato gli estremisti nel campo palestinese e incrinato le relazioni tra Israele e l’Amministrazione Obama”. Herzog ha anche annunciato che, se diventerà primo ministro, si farà promotore di un “piano Marshall” per la smilitarizzazione e la ricostruzione di Gaza.
In proposito, a sei mesi dal cessate il fuoco che ha messo fine all’operazione “Protective Edge”, Oxfam ha lanciato l’allarme sulla disperata situazione in cui ancora versano gli 1,8 milioni di persone che vivono nella Striscia, a causa delle carenze e progressive riduzioni delle quantità di materiali da costruzione in entrata a Gaza. A farne le spese sono le circa 100.000 persone, di cui la metà bambini, che ancora sono costrette a vivere in rifugi e sistemazioni temporanee, mentre decine di migliaia di famiglie vivono in abitazioni gravemente danneggiate dai bombardamenti della scorsa estate. Senza la fine del blocco israeliano a Gaza - avverte l’Ong con sede centrale a Londra - ci vorrà oltre un secolo per completare la ricostruzione di case, scuole e ospedali.
Herzog – un dei leader del “Blocco sionista” di centrosinistra - ha anche sottolineato che “pace e sviluppo degli insediamenti sono tra loro inconciliabili”. L’esatto opposto di ciò che pensano, e fanno, le destre israeliane. Secondo uno studio dell’associazione israeliana Peace Now, i bandi per le nuove costruzioni sono triplicati dal 2013 rispetto al precedente governo, sempre guidato da Netanyahu. Sono state fatte 4.485 gare d’appalto nel 2014 e 3.710 nel 2013 (2007 erano state meno di 900). L’incremento demografico annuale dei coloni è di circa il 5,5%, contro l’1,7% degli altri israeliani.
Le considerazioni avanzate dal leader laburista israeliano sullo stato (pessimo) dei rapporti tra Netanyahu e Obama trovano conferma nelle parole della la consigliera per la sicurezza nazionale del presidente Obama, Susan Rice, secondo cui la visita che il premier israeliano farà a Washington il 3 marzo sarà "distruttiva". E a Netanyahu, che rilancia la linea “interventista” contro l’Iran, il segretario di Stato Usa, John Kerry, risponde seccamente: ci ha spinto a invadere l’Iraq, visto com’è finita?
Per il riconoscimento dello Stato di Palestina si batte da tempo Mairead Corrigan Maguire, premio Nobel per la pace nel 1976: “Se i governi europei avessero un sussulto d’orgoglio, se credessero davvero a quei principi universali di cui si fanno vanto – afferma Maguire – allora non dovrebbero perdere un attimo in più e seguire l’esempio svedese, compiendo un atto riparatorio che sarebbe dovuto accadere già da tempo: riconoscere lo Stato palestinese. Per farlo non c’è bisogno del “permesso” d’Israele”.


lunedì 23 marzo 2015

A Bruxelles si parla di immigrazione




Bruxelles: la scorsa settimana si è riunito il Consiglio dei Ministri degli Esteri e ha trattato anche del tema dell'immigrazione. Ecco la lettera inviata da Federica Mogherini (Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza) e Dimitris Avramopoulos (Commissario europeo per le migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza) a riguardo.





In view of the Foreign Affairs Council of 16 March, the High Representative for Foreign Affairs and Security Policy and Vice-President of the European Commission, Federica Mogherini and Commissioner for Migration, Home Affairs and Citizenship, Dimitris Avramopoulos, addressed a letter to EU Foreign Ministers calling for action on “the increasing migratory pressure” on Europe.