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giovedì 19 giugno 2014

La carovana delle culture


 
 
Carovana delle Culture a Milano il 21 giugno
L'associazione Convergenza delle culture insieme all'Associazione Unisono Spazio Baluardo, Movimiento Alianza Pais Lombardia, Studio 3R e con led artisti organizza:

La Carovana delle culture sarà una parata multietnica, un'onda di colori-voci-volti diversi.
Artisti, ballerini, musicisti, e tutti coloro che, opponendosi a razzismo e discriminazione vogliono costruire una città non violenta e multicolore.

* Se anche tu credi nell'importanza e nella ricchezza di ogni cultura e di ogni individuo,

* Se anche tu credi che un atteggiamento d'apertura non può che contribuire all'evoluzione dell'essere umano,

* Se anche tu credi che ogni individuo ed ogni cultura rappresentano un contributo inestimabile per la nostra piccola città,



Contattaci ed organizza insieme a noi l'evento.



Associazioni promotrici



Convergenza delle Culture Sanpapiè, I Cammini Aperti ONLUS, Unisono APS Spazio Baluardo, Studio 3R, Movimiento Alianza Pais Lombardia







Aderiscono



ANPI Zona 8, Quarto Posto, Associazione per i Diritti Umani, Assileassime, ARCI Lesbica Zami, Scuola di italiano Baobab Torchiera, Circolo Arnaldo Cambiaghi ItaliaCuba Milano, Federazione Milano di Rifondazione Comunista, Associazione Culturale di progettazione e coordinamento ispanico-americano, NO MUOS Milano, Comunità dei popoli della Pachamama, Associazione Sucenor, SPI-CGIL Sempione, Maquis, Bottega Partigiana, Comunità Filippina di Milano.



Artisti che ci supportano



Assileassime con musica e danze dal Togo, Djembappel/Associazione Siraba Italia Ritmi e danze dell'Africa Occidentale, Mario Lopez, Karlos Xavier, Musica andina di Marcelo Vega, Nueva Generaciòn e Concultura con musica e danze folk loriche latino-americane, Gruppo Filippino di danze tradizionali.

 


 

giovedì 14 novembre 2013

La carovana dei diritti umani: quando la letteratura parla d'amore (e non solo)


Domenica scorsa,10 novembre, si è svolto un altro intenso e importante incontro della Carovana dei diritti umani.
Abbiamo presentato il romanzo Per chi crescono le rose di Ingrid Beatrice Coman e la raccolta di poesie 150 grammi di poesie d'amore di Viorel Boldis: gli autori, insieme a Raffaele Taddeo, hanno dato vita ad una serata emozionante e ricca di riflessioni. Abbiamo registrato, come sempre, l'iniziativa per chi non ha potuto partecipare anche se ci dispiace per chi non è riuscito a venire in quanto consideriamo utile e bella la conoscenza diretta delle persone, in particolare quando gli autori, gli artisti, le persone invitate si rendono disponibili per dialogare con il pubblico.
Ringraziamo ancora di cuore Elena Ruggi, che ha letto alcuni brani delle opere, gli scrittori, Raffaele Taddeo, i ragazzi della Ligera che ci hanno ospitato e tutti coloro che hanno seguito l'incontro con tanto interesse e calore.
Vi aspettiamo per la prossima tappa della carovana di cui vi daremo informazioni prestissimo.


venerdì 5 aprile 2013

Intervista a Kikoko: la pittura e il viaggio



Kouevi-Akoe Ekoe Kokovi, in arte Kikoko.
Nato nel 1978 a Lomè, nel Togo, oggi vive e lavora a Milano. Prima ebanista, scultore e fabbricante di percussioni, diventa pittore dopo aver conosciuto un gruppo di artisti nomadi nel deserto algerino, a Tamarasset. Le sue opere sono state esposte in Francia, in Germania e in molte località italiane (Milano, Lodi, Roma, Ravenna).
Abbiamo avuto la fortuna di conoscere Kikoko e di parlare un po' con lui.
Vi regaliamo le sue parole.



Innanzitutto, ci può raccontare brevemente la sua esperienza personale?

Mi sono ritrovato davanti a una scelta e ho deciso di andare. Ho deciso di partire dal mio Paese, prima di tutto, perchè volevo cercare me stesso. La mia famiglia non aveva problemi economici, ho studiato contabilità, ma sentivo che quella non era la mia strada.
La prima tappa del mio viaggio è stata l'Algeria, Tamarasset (tra Algeria e Niger), un luogo nel deserto in cui ho trovato carovane di artisti che hanno formato lì un piccolo villaggio dove creano e vendono le loro opere. Ho conosciuto così l'arte pittorica. Mi hanno accolto e ospitato per tre, quattro mesi; ho vissuto con loro, ho adottato le loro abitudini, ma per me,all'inizio, non è stato facile perchè venivo da un altro posto, anche da un altro clima. Quando ho finito i soldi, da lì mi sono spostato nel Benin - dove ho allestito la mia prima mostra – per poi tornare in Togo. In Togo, però, non ho trovato un'accoglienza positiva perchè la mia scelta di fare come mestiere l'artista, non era capita. Il livello culturale era molto basso. Mio padre era un collezionista, ma mia madre mi diceva: “Con questo lavoro non si mangia”.

Nel 1992 è arrivato in Francia. Il suo bagaglio artistico e culturale lo ha acquisito in Europa o in Africa?

Un po' qui e un po' in Africa perchè , per un periodo, andavo e tornavo in continuazione. Ogni volta, però, che tornavo indietro dovevo ricominciare dall'inizio, ma ho continuato ad imparare, a studiare. In Africa avevo la mia casa e più tempo a disposizione per cui potevo dedicarmi a quella che ho scelto come la mia professione. Ho imparato tanto soprattutto guardando le altre persone, gli altri artisti. Guardare uno che prende una tela e butta giù il colore: già quella è una partenza. E io ripetevo i gesti, ascoltavo le parole.

Com'è stata la sua prima esperienza in Europa?

La prima volta dovevo rimanere a Marsiglia per un mese, ma ci sono rimasto per sei mesi come irregolare e, quindi, dovevo nascondermi. Se manca il permesso di soggiorno, il migrante non esiste, sa di non esistere ed è capace di tutto: è capace anche di prendere l'identità di un altro perchè non c'è alternativa. Si è costretti a mentire, a perdere tutto, a negare le proprie radici: il nome, i figli, la famiglia d'origine, etc. per poi nascondersi anche dietro a un Paese diverso dal proprio, falso e dietro a una falsa identità.

Che situazione ha trovato quando è arrivato in Italia?

Sono arrivato nel 2006 e sono ancora dentro a una situazione difficile. Chi mi ha conosciuto quando sono arrivato e mi vede oggi può dire: “Questo qua ha fatto un miracolo”. Ancora oggi, qui, sento diffidenza, se non paura dello straniero. Ho fatto realmente fatica ad entrare nella vita reale italiana. Ad esempio, quando sono qui, nel mio studio, le persone che passano guardano dalla vetrina, vedono un uomo di colore e non entrano. Non voglio chiamarlo razzismo, ma ignoranza.

Che tecniche usa per realizzare le sue opere?

Gli artisti che ho incontrato nel deserto algerino erano scappati dai loro Paesi per motivi politici e religiosi perchè, nei loro dipinti, avevano inserito figure umane (o di altri esseri viventi) non accettate dall'iconoclastia.
Comunque, ancora oggi, i loro quadri sono caratterizzati da pennellate lunghe e colori delicati: vengono lasciati ad asciugare al sole e al vento, ma il vento porta la sabbia sulle tele. Il dipinto diventa, così, materico e porta in sé la traccia del luogo in cui è stato realizzato.
Anche per me questa tecnica è diventata fondamentale. Applico sui miei quadri materiali diversi: legno, stoffa, carta. La mia, infatti, è una tecnica mista.

Quali sono i temi ricorrenti nella sua Arte?

Il tema del viaggio è fondamentale. Molti artisti escono dal loro ambito reale, da uno schema predefinito e vanno a indagare con la mente...arrivando anche sulla luna!
Anche a me piace viaggiare, soprattutto metaforicamente. Nei miei quadri ci sono figure reali che diventano simboliche; oppure inserisco proverbi o modi di dire che appartengono alla mia cultura, ma - a seconda dell'interpretazione che ne dà lo spettatore - possono cambiare significato. L'importante è pensare, leggere o scrivere con l'immagine.





mercoledì 20 febbraio 2013

L'Iran e la censura protagonisti al Festival Internazionale del Cinema di Berlino


 
Jafar Panahi non era presente alla 63ma edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino per la presentazione del suo ultimo film intitolato Closed curtain.
Il regista iraniano de Il palloncino bianco e vincitore del Leone d'oro con Il cerchio - imprigionato nel 2010 per aver partecipato alle manifestazioni di piazza e oggi agli arresti domiciliari con l'accusa di propaganda antigovernativa e con il divieto, per vent'anni, di girare film, di scrivere sceneggiature, di viaggiare e di rilasciare interviste - torna, quindi, con un'opera presentata al pubblico di un festival importante, sfidando le autorità.
Closed curtain è stato realizzato, infatti, in grande segretezza e racconta proprio la prigionia del regista nella sua casa al mare. Nelle note di regia si legge: “Ho scritto la sceneggiatura mentre ero molto depresso, cosa che mi ha portato a esplorare un mondo irrazionale, lontano dalle convenzioni”.
E, infatti, il film del cineasta iraniano non è di facile lettura: in una villa di fronte al mare vive un uomo (il co-regista Kamboziya Partovi), in compagnia di un cagnolino saltato fuori da un borsone sigillato, è lì dentro, ha chiuso tutte le finestre e le ha coperte con teli neri in compagnia del suo cane e i cani, dal regime, sono considerati impuri e, quindi, vengono spesso sterminati. Poi entrano in scena altri due personaggi, in particolare una ragazza di nome Melika, ex giornalista embedded con istinti suicidi inseguita dalla polizia per aver fatto bisboccia in spiaggia con un gruppetto di amici; scopriremo che la ragazza non esiste, è probabilmente una proiezione dell'uomo che rimane solo, nella casa vuota. Un uomo, un artista in esilio, con le proprie frustrazioni, con la propria rabbia, con i propri desideri.
Un film metacinematografico, che accumula segni simbolici ( da segnalare l'inquadratura che apre il film) in una narrazione che si fa sempre più ritmata e sofisticata e che fa riflettere sulla censura, sulle pratiche di un governo dittatoriale, ma soprattutto sulla psicologia di una persona che è costretta a dialogare con se stessa.
E il tema della censura è stato affrontato anche da Shrin Neshat , presente a Berlino non come regista o videoartista, ma come giurata, la quale ha affermato che: “ Non ci sarà una nuova generazione di cineasti iraniani. (I registi) possono lavorare solo all'interno del Paese, ma poi nulla riesce ad uscire fuori” . E ha aggiunto che, comunque, il film di Jafar Panahi “verrà giudicato come opera d'arte e non per meriti politici”.