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sabato 16 agosto 2014

Coordinamento per la pace in Siria





Riceviamo e vi comunichiamo il comunicato stampa della nascita del Coordinamento per la pace in Siria nato a Roma lo scorso 12 luglio 2014.



"Il Coordinamento Nazionale per la pace in Siria, nasce come gruppo di lavoro e di cooperazione umanitaria, laica e indipendente. Vuole aiutare e sostenere il popolo siriano a risorgere dalla guerra. Il Coordinamento è formato da un gruppo di persone unite dal senso di responsabilità e dalla passione per questo paese. Si impegna ad aiutare chi desidera aiutare la Siria e i siriani. La nostra missione consiste nel contribuire in modo concreto e fattivo a creare un ponte diretto tra l’Italia e la Siria, assieme alle altre nazioni e organizzazioni amiche, avendo i civili al centro del nostro interesse. Siamo disponibili ad intervenire nelle emergenze e nella fase di ricostruzione e sviluppo nelle aree urbane e rurali devastate da quattro anni di guerra e terrorismo. La Siria culla delle civiltà orientali e occidentali, è un paese di antica tradizione culturale e religiosa. Da secoli vi convivono pacificamente insieme popoli, lingue e fedi, diventando per i paesi vicini un esempio da imitare. Da alcuni anni nel paese è in atto un piano di distruzione presentato sotto forma di lotta armata, la quale viene spacciata dai media e dalla propaganda antisirana come ribellione contro il potere costituito. Molto presto la guerriglia "contro Damasco" si è trasformata in uno scontro a base etnico-religiosa, per mano dei mercenari e jihadisti di vari gruppi armati provenienti da campi di addestramento, sostenuti e finanziati da forze regionali e internazionali, con l'obiettivo di creare caos e disordine. Una vera e propria invasione integralista che ha messo in serio pericolo tutto il Medio Oriente, in modo particolare le diverse comunità religiose, compiendo stragi di innocenti e provocando pesanti perdite di vite umane.

Una delle finalità principali del Coordinamento sarà sostenere i civili siriani appartenenti alle varie comunità religiose, facendoci voce delle loro necessità e bisogni. Tutti si riconoscono cittadini siriani anche se appartengono a religioni diverse, perché innanzitutto sono siriani. Cercheremo tramite l'informazione e i contatti di presentare all'opinione pubblica il vero volto confessionale della Siria, che fino ad oggi è stato garantito dalla laicità dello Stato. Una laicità che non ha nulla in comune con quella propagandata in occidente. Una Siria laica è l'unica garanzia nei confronti dei cittadini, intendendo per laicità una forma politica in cui sono ritenuti tutti uguali davanti alla legge al di là delle loro personali appartenenze politiche e religiose. Il Coordinamento Nazionale per la pace in Siria è e resterà accanto ai siriani, rispettando le diverse appartenenze politiche e religiose, nella lotta per difendere il loro Stato libero, sovrano, laico e indipendente, senza interferire nelle scelte politiche volute dal popolo tramite le elezioni.

Progetti per la Siria: non saranno precostituiti a pacchetto dall’Italia. Pertanto cercheremo di appoggiare le tante attività di soccorso e ricostruzione già presenti , dando spazio alle iniziative locali attraverso il contatto diretto con il territorio. Sarà compito del coordinamento verificare l’attendibilità dei progetti, con trasparenza e correttezza, verso chi aiuta e chi riceve aiuto. I progetti di ricostruzione hanno come obiettivi:
a) Il sostegno ai bambini, giovani e famiglie, e la promozione di attività lavorative con l’istituzione di micro-imprese. Uno degli intenti prioritari è sostenere chi lavora positivamente nell'educazione, perché la vera rinascita della Siria sarà possibile solamente se si saranno ricostruiti ponti di riconciliazione tra i cuori e rispetto reciproco, al contrario di chi sta lacerando le giovani generazioni crescendole nell'odio e addestrandole alla barbarie.

b) Il recupero del patrimonio storico-archeologico, e le infrastrutture delle città distrutte, sostenendo il processo di ricostruzione già avviato in alcune zone.


c) La guerra produce distruzione e morte, perciò vogliamo sostenere l’invio di volontari medici e personale sanitario, con i quali tenteremo di essere presenti nelle zone più disagiate per soccorrere i deboli e gli indifesi.


Il Coordinamento Nazionale per la pace in Siria, servirà a chiarire i tanti equivoci sulla crisi siriana. Purtroppo gli interessi dei potenti, appoggiati dai mezzi di comunicazione, sono tantissimi. Ognuno cerca di presentare i propri, camuffati da opere di solidarietà e di bene, facendo cadere nel tranello l’opinione pubblica. Pertanto saranno segnalate le varie iniziative per vagliarne la veridicità. Sarà cura del Coordinamento incoraggiare una informazione alternativa corretta e verificata attraverso fonti attendibili. Il Coordinamento proporrà importanti iniziative per far luce sulla Siria e far conoscere il dramma che vive ogni giorno la gente, spossata da quattro anni di guerra e dalle sanzioni internazionali che ne hanno devastato economia, infrastrutture, lavoro e ridotta alla penuria di ogni mezzo di sussistenza: la giornata di preghiera per la pace in Siria in continuità con quella convocata da Papa Francesco alla vigilia dell’attacco USA, flash mob davanti alle ambasciate con annesse manifestazioni pacifiche organizzate, diffusione di newsletter, incontri pubblici, articoli, sostegno all’attività dei siriani in Italia, in Europa e nel mondo, sensibilizzazione dei giornalisti, tavole rotonde, testimonianze, creazione di piccoli circoli locali per la Siria e tanto altro. Il tutto reperibile sul portale web:
www.syriapax.org "

martedì 29 luglio 2014

Una preghiera per Padre Dall'Oglio


      
Questa comunicazione ci è arrivata direttamente da Mar Musa, la comunità cattolica di rito siriaco, sita nei pressi della cittadina di al – Nabk, a circa 80 kilometri a nord di Damasco in Siria, dove ha operato Padre Paolo Dall'Oglio fino al giorno del suo rapimento più di un anno fa.
Ci affianchiamo alla preghiera per Paolo Dall'Oglio e alla richiesta di notizie da parte della sua famiglia.                
 




ROME
We haven’t had any news of Fr. Paolo Dall’Oglio SJ since 29 July 2013.

The Gospel proposes a logic of hope. The logic of the Kingdom of God is the logic of love in everything and in spite of everything. Anything that proceeds from that logic is our hope, stronger than death, already a participation to the eternal Kingdom.”
(Fr. Paolo in 2011)

Confident in the efficacy of prayer, we invite you to pray with us for Paolo, for Syria, Iraq and the situation in the Middle East.
On 29 July 2014, a mass will be celebrated in Rome at 18:30 in the church of S. Giuseppe, via Francesco Redi 1 (via Nomentana).

Le 29 juillet prochain, cela fera un an que notre ami, notre frère, le Père Paolo Dall’Oglio a été enlevé en Syrie. Ses mots, sa voix, son regard nous accompagnent au quotidien. Nous le l’oublions pas ainsi que les tous les syriens. Merci de faire connaître ces initiatives autour de vous.
On 29.7.2014, one year will have passed since the abduction in Syria of our brother and friend Fr. Paolo Dall’Oglio. His words, his voice, his eyes accompany us in our daily life. We do not forget him and all Syrians. Thank you for letting these initiatives be known around you.


PARIS, Messe pour le Père Paolo Dall’Oglio sj et les détenus de Syrie, Eglise Saint-Ignace, 33 rue de Sèvres 75006 Paris : https://www.facebook.com/events/836367919706600/

GRENOBLE
Messe des jeunes dimanche 27 juillet avec P. Lagadec avec intention de messe «pour Paolo, les personnes réfugiées et déplacées, les Justes qui continuent à témoigner du respect interreligieux dans les pires circonstances ». P. Lagadec a été à Mar Moussa il y a 8 ans avec un groupe de jeunes de l’Isère.

BRUXELLES, Rassemblement de solidarité avec le Père Paolo et les détenus de Syrie: https://www.facebook.com/events/848667431812352/
"Rassemblement de solidarité, silencieux et apolitique.
Ce 29 juillet, à l'occasion du premier anniversaire de l'enlèvement du Père Paolo Dall'Oglio en Syrie, nous nous rassemblerons en silence, pour exprimer nos pensées envers lui et tous les autres détenus de Syrie.
Notre rassemblement se veut un geste pour la paix et la liberté, en Syrie et dans la région.

Chacun peut venir avec une bougie, un portrait du Père Paolo ou d'autres détenus. Pas de bannières, pas de drapeaux, pas de slogans politiques.
Bienvenue à chacun."

BEIRUT
18h45 messe à l’intention du père Paolo à l’Eglise Saint-Joseph des Jésuites (Ashrafieh), suivie d’une rupture de jeûne et vigile de prière à partir de 19h30 sur le parvis de l’église.

BERLIN
Berlin: 19h00 prière islamo-chrétienne pour Paolo et la Syrie à l’Eglise Saint-Thomas d’Aquin de l’Académie catholique (Katholische Akademie in Berlin, Hannoversche Str. 5, 10115 Berlin).


martedì 22 ottobre 2013

I bimbi siriani in fuga dalla guerra tra i passeggeri in stazione a Milano. Famiglie arrivate in Sicilia e dirette in Svezia.





Pubblicato sul Corriere della Sera il 27 settembre 2013



Riportiamo questo reportage perchè, oggi ancora di più, il tema dei richiedenti asilo e dell'immigrazione deve essere al centro delle riflessioni politiche e sociali. E anche perchè una decina di siriani, a distanza di mesi, è ancora accampata alla Stazion Centrale di Milano in attesa di essere trasferita in un centro di accoglienza o che sia trovata qualche altra soluzione, magari migliore.
Abbiamo anche deciso di pubblicare alcune fotografie di bambini siriani, nel loro Paese, prima della rivoluzione e della guerra: come augurio affinchè tornino a vivere in un clima sereno. (Le fotografie sono di Mariangela Possenti che ringraziamo per averle condivise con tutti noi)



È tutto qui, in questo zaino di tela verde militare regalato dalla Croce Rossa e in una vecchia borsa portadocumenti. «Ogni altra cosa l'abbiamo venduta - dice la donna - orologi, anelli, collane. E così anche lei - indica la giovane che le siede accanto - ha tenuto soltanto questi», due bracciali d'oro. Il velo in testa, gli occhiali da sole, gli stessi vestiti da giorni, i mariti che parlano tra di loro e studiano come riprendere il viaggio, i bambini che giocano sull'erba stenta della stazione Centrale di Milano, una biondina si dondola sulla sbarra delle biciclette comunali: sono famiglie intere, e sono in fuga dalla Siria. Madri e padri trentenni, tre, quattro figli a coppia, a volte un genitore anziano. Sono sbarcati sulle coste siciliane, un po' di cibo e una coperta nei primi soccorsi, due notti nelle strutture d'emergenza e poi il treno da Catania a Milano, con l'idea di proseguire per il Nord. Magari la Svezia, sperano, che ha politiche di accoglienza per i profughi particolarmente generose. I soldi per il biglietto ce li hanno. Quest'uomo faceva l'idraulico, l'altro il commesso in un negozio. Gente semplice, dignitosa, con qualche risparmio. Scappati per le bombe, non per la miseria. I due gruppi qui nei giardinetti hanno cominciato il viaggio quasi un anno fa, quando era ancora possibile prendere un volo dalla Siria all'Egitto. Sono rimasti ad Alessandria finché non sono riusciti a imbarcarsi su uno degli scafi che attraversano il Mediterraneo, salvati da una nave cisterna, raccontano, e approdati a Siracusa. Milano è solo una tappa intermedia, da lasciare il prima possibile.
Li vedi che si muovono come ombre, silenziosi e attenti: non vogliono essere identificati, in Sicilia hanno fatto resistenza agli agenti che prendevano le impronte digitali, in Lombardia evitano gli sportelli di aiuto che siano del Comune o della Caritas: vogliono solo ripartire. Chi ha raggiunto il Nord è informato e sa che chiedere asilo in Italia non è un buon affare, perché ai rifugiati il Paese offre poco e perché inoltrare la pratica qui, in base ai regolamenti europei, significa non poter varcare il confine.
Devono anche stare attenti ai truffatori. In stazione si è sparsa la voce dell'arrivo a frotte dei siriani, raccontano che uomini nordafricani offrono passaggi clandestini, si prestano a fare biglietti, approfittano delle difficoltà a esprimersi in un'altra lingua che non sia l'arabo per togliere a queste famiglie gli ultimi soldi rimasti. È uno dei motivi per cui Abdallah e i suoi amici si danno il cambio in piazza. «Appena posso lasciare il lavoro - fa il marmista - vengo a vedere se ci sono connazionali che hanno bisogno di aiuto». Latte per i piccoli, un cambio di biancheria, ma soprattutto un tetto.
Safwan Bari si è portato a casa due donne e sette bambini, che con i suoi fanno undici. «Chiedo scusa per l'odore - nel salotto l'aria è irrespirabile -: sono due settimane che non si tolgono scarpe e vestiti», hanno pianto, hanno vomitato per il mare grosso, questo ragazzino coi ricci neri seduto sul divano ha pure rischiato di cadere in acqua. È la mamma a raccontarlo, Safwan traduce. Sono fuggiti da Erbin, quartiere alla periferia di Damasco, dopo l'attacco dell'esercito di Assad con le armi chimiche. Hanno raggiunto Latakia, la cittadina portuale a Nord di Homs, e lì hanno pagato. «Cinquemila dollari per ogni adulto, 2.500 per i bambini». Fanno 17.500, come ve li siete procurati? «Mio marito, commerciante d'automobili, li aveva messi da parte». Non abbastanza, però. Il resto viene da una colletta di amici e parenti, che si sono sacrificati perché almeno loro, i più giovani, si salvassero.
Gli scafisti «ci hanno detto che sarebbe stata una gita, che saremmo stati non più di settanta in una barca». E invece si sono ritrovati in 200, onde alte, acqua e cibo insufficienti, niente bagni, «i bambini si facevano la pipì addosso». Dieci giorni di sofferenza in mare fino a Lampedusa. Da lì, Catania e poi Milano. Hanno già fatto un primo tentativo di varcare la frontiera, vorrebbero arrivare in Germania, ma al Brennero la polizia austriaca li ha rimandati indietro. Adesso aspettano a casa di Safwan: «Sono siriano anche io - dice -, è il mio popolo, ma abbiamo bisogno di sostegno, da soli non ce la facciamo». Stanotte andrà a cercare un letto da un amico, per evitare alle donne l'imbarazzo di dividere l'alloggio con uno sconosciuto. Poi si vedrà.
Il centro di raccolta e di «smistamento» dei profughi è a poche centinaia di metri da casa sua, in un bar di Cologno Monzese ritrovo della comunità siriana a Nord di Milano. Ai tavolini sono tutti maschi e discutono di come affrontare l'emergenza. Non c'è posto per tutti, qualcuno dormirà in auto. S. M. per ora ha trovato ospitalità: 35 anni, rosso di barba e di capelli legati in una coda, una pallottola nel braccio sinistro sparata da un cecchino, nel suo quartiere alla periferia di Damasco aveva un negozio di scarpe, ma si dilettava anche di ritratti, ai matrimoni e alle feste. Quando è iniziata la rivolta, ha recuperato la macchina fotografica e racconta di essersi messo al servizio dei ribelli. Non vuole dire di aver combattuto, ma accetta di farsi scattare un'immagine, perché, dice «non ho paura, la mia faccia è già nell'album dei ricercati dalla polizia di Assad, mi hanno già bruciato casa e negozio, non ho famiglia, non ho più nulla». Per questo è fuggito. Lungo un percorso diverso, ma ugualmente costoso.
In macchina e a piedi ha raggiunto la frontiera con la Turchia. Di lì per arrivare a Istanbul ha pagato 2.500 dollari. Quindi un trafficante l'ha condotto sulla costa e imbarcato con altri cinque per un'isola greca, dove si è confuso tra i turisti e ha preso un traghetto per Atene. Altri 2.000 dollari per biglietto aereo e documenti falsi, tre imbarchi falliti, finché è riuscito a salire su un charter delle vacanze ed è atterrato ad Orio al Serio, Bergamo.
Ufficialmente, anche lui, qui in Italia non esiste.

lunedì 26 agosto 2013

L'uso di gas nervino in Siria




L'Osservatorio siriano per i diritti umani, che ha sede a Londra, in un primo momento, aveva parlato di decine di vittime; il coordinamento dell'opposizione locale ha parlato di più di 200 morti; 650 per la coalizione nazionale siriana e 750 per i comitati di coordinamento dei ribelli. Comunque è strage.
Centinaia di persone, tra cui donne e molti bambini, sono decedute negli ospedali siriani in cui lavora Medici senza frontiere. I rappresentanti della Ong hanno dichiarato che queste persone presentavano sintomi neurotossici: pupille dilatate, arti freddi, schiuma alla bocca. Sintomi causati dall'uso di gas nervino.
Questo attacco sarebbe stato lanciato in una roccaforte ribelle della regione di Goutha, ad est della città di Damasco, da parte delle forze del presidente Bashar al-Assad.
Nelle strutture ospedaliere di Medici senza frontiere sono state ricoverate circa 3600 persone e i sanitari hanno confermato la possibilità dell'utilizzo di armi chimiche, scrivendo: “ La sintomatologia, le caratteristiche epidemiologiche, l'afflusso di un numero così alto di pazienti in un lasso di tempo così breve, fanno pensare fortemente all'esposizione massiccia ad un agente tossico”.
La Coalizione Nazionale Siriana - la prima tra le forze di opposizione - ha sollecitato la comunità internazionale ad adottare iniziative ferme per contrastare questo genere di repressione. Ahmad Jarba, presidente della Coalizione, ha affermato: “ Di parole ne abbiamo avute abbastanza e adesso ci occorrono passi e azioni serie...per fermare la continua uccisione di siriani, con armi tanto tradizionali quanto chimiche. Finora, la risposta del mondo all'operato del regime di Bashar al-Assad è stata invece una 'vergogna', giacchè è rimasta ben lungi dal livello etico e legale che il popolo siriano si aspetta”.
A questo appello il segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon, ha affermato che, qualora si accertasse l'uso di armi chimiche, questo costituirebbe un crimine contro l'umanità e violerebbe il diritto internazionale; il Presidente americano, Barack Obama, ha fatto capire che, prima di una possibile azione - congiunta con l'Inghilterra - azione, chiederebbe l'appoggio della comunità internazionale, aggiungendo: “ Simpatizzo con la posizione del senatore McCain il quale desidera aiutare le persone ad attraversare situazioni estremamente difficili e dolorose, sia in Siria che in Egitto. Dobbiamo pensare strategicamente cosa sarà nei nostri interessi nazionali a lungo termine, anche se al tempo stesso cooperiamo a livello internazionale per fare il possibile per fare pressioni su chi è capace di uccidere civili innocenti”; dall'Europa, e in particolare dalla Germania, la cancelliera Angela Merkel, tramite il portavoce governativo, ha affermato di non voler seguire la strada di una soluzione militare, ma di credere nella possibilità di una soluzione politica. Infine, l'Iran: in caso di intervento americano, le autorità iraniane hanno minacciato ritorsioni.