Visualizzazione post con etichetta figlia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta figlia. Mostra tutti i post

mercoledì 18 novembre 2015

La sacralità di Lea Garofalo secondo Marco Tullio Giordana







 



Questa sera, alle 21.20, su RAI 1 il film di Marco Tullio Giordana sulla vita di Lea Garofalo.



di Maurizio Porro (da La 27maOra)
 
 
Altri 100 passi di Marco Tullio Giordana in direzione del cinema civile. Se nel film di 15 anni fa con Lo Cascio si ricordava Peppino Impastato in lotta contro la mafia in cui militava il padre, Lea , che apre l’11 novembre il RomaFiction Fest coordinato da Piera Detassis, è la storia di una vittima della ‘ndrangheta in cui milita tutta la famiglia. Dice il regista: «Lei aveva fatto vedere I cento passi alla figlia, dicendo che avrebbe fatto la stessa fine: quel film è stato un punto di riferimento. Questo ricorda uno dei fatti di cronaca più spaventosi, un omicidio tribale e orrendo che viene da un mondo remoto».
Ancora anime nere: la Calabria in trasferta al Nord e una donna che non vuole accettare il malaffare atavico e cerca di resistere con la figlia Denise, sotto scorta. Quando il programma di protezione viene revocato, Lea scompare, il 24 novembre 2009. Spetta a Denise infiltratasi nella cosca familiare per denunciare i veri colpevoli, fratello e padre, smascherati da un pentito, finché il corpo viene trovato: ergastolo per tutti, anche per la 24enne Denise che vive da sorvegliata speciale.
Una vera tragedia greca. «Gli elementi ci sono tutti — dice Giordana —. Il film è in ordine cronologico: la adolescenza calabrese di Lea, inseguendo un romanzo di formazione, girando a Milano, ricostruendo aule del tribunale e telecamere di sorveglianza. Solo alla fine ho inserito veri documenti del funerale con la città intera mobilitata. L’eloquenza di quelle facce ed espressioni non si poteva replicare, volevo fosse chiaro che avevamo raccontato una storia vera».
Tornando alla tv, dove piantò un paletto d’autore con La meglio gioventù , Giordana la vede come un supporto importante: «Proposta l’idea, ho girato come un fulmine in 6 settimane». Lea (produzione Rai e Angelo Barbagallo con l’Associazione Produttori Tv e la Fondazione Cinema per Roma, col sostegno di Regione Lazio, Camera di commercio) passerà su Rai1 il 18 novembre. «Non è solo un film-tv di rara forza, ma è anche un‘opera di grande valore civile, anzi di denuncia. Un impegno che per noi è prioritario», sottolinea il direttore Rai Fiction Tinny Andreatta.
Tensioni sul set? «No — riprende Giordana — ho avuto appoggi basilari, come quello di don Ciotti, interpretato da Diego Ribon. Lui e l’avvocato Vincenza Rando hanno spiegato che la denuncia contro l’omertà, la rottura con le famiglie, è il passo che mette in crisi i meccanismi automatici di obbedienza, le leggi non scritte della ‘ndrangheta».
E qui è la madre Lea a ribellarsi: «Quando le donne rompono la linea di continuità si apre la frattura, la crisi vera. Don Ciotti rivela che, dopo Lea, è stato avvicinato da molte donne terrorizzate, il fenomeno è in crescita, è l’unico modo per rompere il blocco, la fortezza impenetrabile». Per Lea un cast di volti nuovi di cui Giordana è entusiasta, partendo dalle due eroine, Vanessa Scalera (Lea) e Linda Caridi (Denise).
Ma fra quei cento passi e questi c’è continuità: «È sempre l’universo familiare, clan a delinquere fondato sul sacro vincolo di sangue. Lea si ribella e cambia vita perché pensa ai figli, cioè al futuro. Gli uomini hanno perso credibilità, le donne sono concrete, a loro spetta educazione e trasmissione di valori. L’elemento rivoluzionario è femminile».
La prova? È nel testo che Giordana prepara dell’irlandese Colm Tòibìn, Il testamento di Maria con Michela Cescon, dal 17 novembre allo Stabile di Torino. «Le due figure archetipe di madri, una laica, l’altra sacra, la Madonna, due ribelli che protestano contro il ruolo attribuito, vogliono esser se stesse».
Anche Lea ha una sua religione in fondo? «In lei c’è sacralità. Ex agnostico e incredulo, oggi ho la massima curiosità e invidia per chi ha la fede. Penso che Lea credesse: quel sentimento di maternità l’avvicina alla religione. Perciò metto il film a disposizione della società civile. Ma di politica non ne voglio più nemmeno sentir parlare».


venerdì 2 gennaio 2015

Violenza contro le donne: Chiamarlo amore non si può




Un incontro importante e serio: una raccolta di racconti sulla violenza contro le donne, alla presenza di alcune autrici: Fulvia Degl'Innocenti, Elena Peduzzi e Chiara Segre, edito dalla casa editrice MammeOnline. Il titolo del libro: Chiamarlo amore non si può.

Un'occasione per riflettere sulla violenza fisica e psicologica, sui motivi che inducono troppe donne a subirla; per riflettere anche su come si è arrivati al femminicidio e sul perchè gli uomini si comportano così nei confronti di chi li ama e li aveva scelti come compagni di vita.

Ringraziamo le autrici e il Bistrò del tempo ritrovato per aver accolto l'iniziativa organizzata dall'Associazione per i Diritti Umani nell'ambito della manifestazione “D(i)RITTI al CENTRO!”.


 
 
Se apprezzate il nostro lavoro e volete aiutarci, potete fare una piccola donazione, anche di due euro: in alto a destra sulla homepage trovate la scritta “Sostienici”. Cliccate e potrete fare la vostra donazione con Paypall o bonifico. Facile e sicurissimo. GRAZIE!




mercoledì 19 febbraio 2014

Dahab e Hurria



di Monica Macchi


Dahab Abdel Hamid, una ragazza di 19 anni è stata arrestata a Shubra, quartiere tra i più poveri del Cairo (dove Yousef Chahine ha ambientato il suo ultimo film Hyya Fauda, denuncia della corruzione della polizia all’epoca di Mubarak) lo scorso 14 gennaio nei tafferugli seguiti ad alcune manifestazioni a sostegno dell’ex presidente Mohammed Morsi. Dahab è stata arrestata nonostante fosse incinta all’ottavo mese: da allora è stata incarcerata nella stazione di polizia di El Amirya, con continui rinnovi di detenzione per esigenze d’indagine (quindi senza né processo né condanna): l’accusa è “appartenenza a un gruppo terroristico”, cioè i Fratelli Musulmani che sono da mesi ufficialmente fuorilegge, e “partecipazione a protesta non autorizzata”, nonostante suo marito Ashraf Sayed abbia dichiarato che Dahab aveva appuntamento dal ginecologo per una visita di controllo e si sia così trovata per caso coinvolta per caso nelle retate. 


Due giorni fa Dahab ha partorito all’ospedale Zaitoun con un taglio cesareo ammanettata alla barella: l’attivista per i diritti umani Nermeen Yosri è andata a trovarla e ha postato in rete alcune foto che hanno scatenato un’indignazione collettiva tanto più che Dahab è stata riportata subito in cella e il marito ha denunciato al canale televisivo Al-Nahar che le viene impedito persino di allattare o tenere in braccio la figlia perché le manette le vengono tolte solo per andare in bagno. Per tutta risposta un funzionario del ministero degli interni ha dichiarato che Dahab sta ricevendo “la migliore assistenza possibile” aggiungendo che la foto di lei ammanettata “potrebbe essere stata scattata mentre veniva trasportata in ospedale”….alquanto improbabile come si può arguire dalla presenza della neonata per di più già vestita!


Il Consiglio nazionale per i diritti umani e ben sedici organizzazioni che a vario titolo sostengono e tutelano i diritti umani hanno chiesto indagini non solo sul caso di Dahab e sulle persone in stato di detenzione ma anche sull’aumento delle accuse di torture e molestie sessuali tra cui il “ritorno” dell’obbligo dei test di verginità per le ragazze arrestate. Del resto, Abdel-Fattah al-Sisi, accreditato come prossimo presidente, nell’aprile del 2012, quando era ancora un militare semisconosciuto, ha difeso e sostenuto i test di verginità come strumento “per proteggere le ragazze dallo stupro, e i soldati e gli ufficiali dalle accuse di stupro”. Secondo Mohammed Emessiry, ricercatore di Amnesty International, le varie forme di torture non sono più riservate solo ai prigionieri politici, ma sono utilizzate per far passare il messaggio di cosa potrebbe accadere a tutti coloro che si oppongono al governo. Il Ministero dell'Interno ha rifiutato di rispondere alle domande di vari giornali e siti che hanno rilanciato le accuse sul trattamento dei detenuti in custodia egiziana, ma ha rilasciato una dichiarazione negando qualsiasi abuso e dicendo che era aperto e disponibile a ricevere denunce da presunte vittime.

Oggi, sotto l’onda delle proteste, soprattutto ma non solo in rete, il quotidiano egiziano Al-Ahram on line ha dato la notizia che il Procuratore generale ha ordinato la liberazione di Dahab per “motivi di salute”.



PS Dahab ha deciso di chiamare sua figlia Hurrya, “Libertà”.