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domenica 23 agosto 2015

Yemen: Onu lancia l’allarme sulla crisi umanitaria in corso nel Paese



Il Sottosegretario generale delle Nazioni Unite e coordinatore per gli aiuti umanitari, Stephen O’Brien, ha lanciato l’allarme sulla situazione umanitaria in Yemen e Gibuti. Il responsabile Onu si è recato questa settimana in Yemen per una missione della durata di cinque giorni, nel corso della quale ha visitato le città di Sana’a, Amran e Aden. “Le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie hanno fornito assistenza a circa sette milioni di persone dall’inizio della crisi in Yemen”, ha detto O’Brien, il quale ha lanciato l’allarme sulla carenza di fondi da destinare agli aiuti. In Yemen 21 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria. Tuttavia, solo il 18 per cento del Piano umanitario è stato finanziato.

In oltre quattro mesi di conflitto, la situazione in Yemen è degenerata rapidamente in emergenza umanitaria. Sotto i colpi di un raid aereo ogni dieci minuti, il 60 per cento della popolazione (16 milioni di persone) necessita di assistenza internazionale, 330 mila sono gli sfollati interni, 12 milioni gli individui a rischio insicurezza alimentare. La Cooperazione italiana si è attivata con un contributo volontario di 500 mila euro al Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) per il sostegno alle attività di protezione e prima assistenza. L’organizzazione è una delle poche che continuano a operare nel Paese, con un totale di circa 230 operatori negli uffici di Sana’a, Taiz, Sa’ada e Aden (dove è stato aperto di recente un ospedale attrezzato per operazioni di chirurgia). A questi si aggiunte il sostegno logistico dalla delegazione di Gibuti, mentre è imminente l'apertura di un analogo centro in Oman.

Il contributo italiano risponde al piano annuale del Cicr per lo Yemen per attività di protezione ed assistenza alle persone colpite dal conflitto, in stretto contatto con la Mezzaluna rossa yemenita. In ambito sanitario, viene fornito sostegno per le cure mediche d'urgenza attraverso l'invio di team chirurgici e la fornitura di medicine ed equipaggiamenti ai centri ospedalieri. A causa dei danni alle infrastrutture provocati dai raid aerei, le attività del Cicr si concentrano anche sul ripristino delle condutture idriche danneggiate. Continua, infine, la distribuzioni di beni essenziali e cibo.

venerdì 10 luglio 2015

Medioriente e Occidente: un equilibrio possibile?


Cari amici,

l'Associazione per i Diritti Umani pubblica, oggi, il video dell'incontro che ha organizzato – nell'ambito della manifestazione “D(i)RITTI al CENTRO!” - con la giornalista Laura Silvia Battaglia.

Medioriente e Occidente: un equilibrio possibile?

Tanti gli argomenti trattati: le basi del terrorismo dell'Isis, la situazione in Iraq e Yemen, il ruolo dell'Iran, la religione strumentalizzata, la condizione e il ruolo delle donne, la stampa nazionale e internazionale.

Ringraziamo ancora molto Laura Silvia Battaglia per la sua presenza e generosità.





domenica 26 aprile 2015

Medioriente e Occidente: un equilibrio possibile?

Vi aspettiamo oggi , alle 17.30, per la conferenza della giornalista LAURA SILVIA BATTAGLIA che ci parlerà di Islam, Medioriente, informazione e stampa,  traffico di bambini...e molto altro ancora!
 
Presso il Centro Asteria a Milano: Piazza Carrara 17.1

mercoledì 22 aprile 2015


L'Associazione per i Diritti Umani



in collaborazione con il Centro Asteria





PRESENTA



DIRITTI AL CENTRO:


MEDIORIENTE e OCCIDENTE: un EQUILIBRIO POSSIBILE ?



Alla presenza di Laura Silvia Battaglia (giornalista e videomaker)



DOMENICA 26 APRILE



ORE 17.30

presso



CENTRO ASTERIA

Piazza Carrara 17.1, ang. Via G. Da Cermenate (MM Romolo, Famagosta)



L’Associazione per i Diritti Umani presenta il terzo appuntamento della serie di incontri dal titolo “DiRITTI AL CENTRO”, che affronta, attraverso incontri con autori, registi ed esperti, temi che spaziano dal lavoro, diritti delle donne in Italia e all’estero, minori, carceri, immigrazione...

In ogni incontro l’Associazione per i Diritti Umani attraverso la sua vicepresidente Alessandra Montesanto, saggista e formatrice, vuole dar voce ad uno o più esperti della tematica trattata e, attraverso uno scambio, anche con il pubblico, vuole dare degli spunti di riflessione sull’attualità e più in generale sui grandi temi dei giorni nostri.



In questo incontro dal titolo “Medioriente e Occidente: un equilibrio possibile?si parlerà di Medioriente attraverso l'approfondimento della giornalista Laura Silvia Battaglia che – attraverso le sue opere scritte e documentaristiche – proporrà un viaggio dall'Iraq allo Yemen. Laura Silvia Battaglia vive e lavora tra Italia e Yemen. Gli argomenti saranno tanti: equilibri geopolitici, condizioni di vita delle popolazioni in guerra, Islam religioso e politico e il ruolo dell'informazione.





LAURA SILVIA BATTAGLIA



Laura Silvia Battaglia giornalista professionista freelance e documentarista, è nata a Catania e vive tra Milano e Sanaa (Yemen). Corrisponde da Sanaa per l'agenzia video-giornalistica americano-libanese Transterra Media, e per gli americani The Fair Observer e Guernica Magazine. Per i media italiani, collabora stabilmente con quotidiani di carta stampata (Avvenire, La Stampa), network radiofonici (Radio Tre Mondo, Radio Popolare, Radio In Blu), televisione (TG3 - Agenda del mondo, Rai News 24), magazine (D - Repubblica delle Donne, Popoli, Lookout), agenzie (Redattore Sociale), siti web (TGcom 24, Lettera43, Assaman). Ha iniziato a lavorare nel 1998 per il quotidiano La Sicilia di Catania. Dal 2007 si dedica al reportage in zone di conflitto (Libano, Israele e Palestina, Gaza, Afghanistan, Kosovo, Egitto, Tunisia, Libia, Iraq, Iran, Yemen, confini siriani). Ha girato, autoprodotto e venduto cinque video documentari. Il primo, Maria Grazia Cutuli. Il prezzo della verità, ha vinto il Premio Giancarlo Siani 2010. Ha inoltre ricevuto il Premio Maria Grazia Cutuli 2013 come giornalista siciliana emergente. Dal 2007 insegna al master in Giornalismo dell'Università Cattolica di Milano.


lunedì 20 aprile 2015


L'Associazione per i Diritti Umani



in collaborazione con il Centro Asteria



PRESENTA



DIRITTI AL CENTRO:


MEDIORIENTE e OCCIDENTE: un EQUILIBRIO POSSIBILE ?



Alla presenza di Laura Silvia Battaglia (giornalista e videomaker)



DOMENICA 26 APRILE



ORE 17.30

presso



CENTRO ASTERIA

Piazza Carrara 17.1, ang. Via G. Da Cermenate (MM Romolo, Famagosta)



L’Associazione per i Diritti Umani presenta il terzo appuntamento della serie di incontri dal titolo “DiRITTI AL CENTRO”, che affronta, attraverso incontri con autori, registi ed esperti, temi che spaziano dal lavoro, diritti delle donne in Italia e all’estero, minori, carceri, immigrazione...

In ogni incontro l’Associazione per i Diritti Umani attraverso la sua vicepresidente Alessandra Montesanto, saggista e formatrice, vuole dar voce ad uno o più esperti della tematica trattata e, attraverso uno scambio, anche con il pubblico, vuole dare degli spunti di riflessione sull’attualità e più in generale sui grandi temi dei giorni nostri.



In questo incontro dal titolo “Medioriente e Occidente: un equilibrio possibile?si parlerà di Medioriente attraverso l'approfondimento della giornalista Laura Silvia Battaglia che – attraverso le sue opere scritte e documentaristiche – proporrà un viaggio dall'Iraq allo Yemen. Laura Silvia Battaglia vive e lavora tra Italia e Yemen. Gli argomenti saranno tanti: equilibri geopolitici, condizioni di vita delle popolazioni in guerra, Islam religioso e politico e il ruolo dell'informazione.





LAURA SILVIA BATTAGLIA



Laura Silvia Battaglia giornalista professionista freelance e documentarista, è nata a Catania e vive tra Milano e Sanaa (Yemen). Corrisponde da Sanaa per l'agenzia video-giornalistica americano-libanese Transterra Media, e per gli americani The Fair Observer e Guernica Magazine. Per i media italiani, collabora stabilmente con quotidiani di carta stampata (Avvenire, La Stampa), network radiofonici (Radio Tre Mondo, Radio Popolare, Radio In Blu), televisione (TG3 - Agenda del mondo, Rai News 24), magazine (D - Repubblica delle Donne, Popoli, Lookout), agenzie (Redattore Sociale), siti web (TGcom 24, Lettera43, Assaman). Ha iniziato a lavorare nel 1998 per il quotidiano La Sicilia di Catania. Dal 2007 si dedica al reportage in zone di conflitto (Libano, Israele e Palestina, Gaza, Afghanistan, Kosovo, Egitto, Tunisia, Libia, Iraq, Iran, Yemen, confini siriani). Ha girato, autoprodotto e venduto cinque video documentari. Il primo, Maria Grazia Cutuli. Il prezzo della verità, ha vinto il Premio Giancarlo Siani 2010. Ha inoltre ricevuto il Premio Maria Grazia Cutuli 2013 come giornalista siciliana emergente. Dal 2007 insegna al master in Giornalismo dell'Università Cattolica di Milano.

lunedì 9 febbraio 2015

Yemen. Perché questo non è un conflitto settario



di Laura Silvia Battaglia (da Osservatorio Iraq)

A circa un mese dallo sviluppo della crisi yemenita, per districarsi nella complessa realtà di un paese a composizione tribale, con un paio di governi succedutisi nell’arco di 35 anni, entrambi abbastanza lontani dal soddisfare le esigenze della popolazione, nonché la fortissima ingerenza internazionale e delle sigle terroristiche sul terreno, in genere i media non trovano di meglio che liquidare ciò che risulta loro incomprensibile con la frase: “questo è un conflitto settario”.
Lo Yemen, con l’evidenza di gruppi armati che si contendono il controllo del territorio, a volte interposti, a volte sovrapposti all’esercito governativo regolare e/o alle tribù che compongono il tessuto sociale nella sua reale articolazione, sembra attualmente un crocifisso che si agita tra la conservazione della sua anima maggioritaria sunnita e la necessaria acquisizione di una seconda anima sciita.
Come un moribondo che non abbia scelta, lo Yemen viene letto come uno Stato “imploso”, il regno del “caos”, l’esempio del “fallimento transizionale”, la sempiterna “tana di Al Qaeda” ma soprattutto, il luogo-quintessenza del plurisecolare conflitto “sunniti-sciiti” dove, in controluce, si agitano l’Iran da una parte e l'Arabia Saudita dall’altra, con gli Usa che, come al solito, non stanno a guardare e inviano droni.
Vorremo cercare di spiegarvi che le cose non stanno esattamente in questi termini e che è possibile fornire una lettura complessa di quanto accade nel paese, senza che essa risulti ostica e/o incomprensibile.
Va fatta una premessa: dopo la cosiddetta Primavera araba, i tre anni di transizione, che si sarebbero dovuti concludere con elezioni democratiche nel febbraio 2014, hanno evidentemente fatto acqua da tutte le parti.
Il cosiddetto “modello yemenita” di risoluzione della crisi, tanto portato in palmo di mano da Obama, dalla UE e da tutti gli attori che hanno favorito e incoraggiato la Conferenza per il Dialogo Nazionale, non ha avuto l’esito sperato.
Perché la società tribale yemenita ha una sua complessità, certo, ma soprattutto perché si è riproposto il solito, annoso problema: ossia la concentrazione del potere e dei privilegi in poche mani, quelle del neo presidente Hadi e quelle della famiglia al-Ahmar che, unita al debito pubblico del paese nei confronti del Fondo Monetario Internazionale e del vicino saudita, lo hanno sprofondato in una crisi economica seguita da ulteriore scetticismo nei confronti di chi era preposto a risolverla.
Se l’esito è stato nullo, rispetto alla prevista “roadmap”, il processo ha avuto un merito: quello di interessare alla politica una generazione che nel febbraio 2011 era andata in piazza e che oggi, durante le sedute di masticazione del qat o nei giochi di quartiere tra ragazzini, parla di democrazia, giustizia, Conferenza per il Dialogo Nazionale.
E se si inerpica in discorsi in cui viene menzionata Al Qaeda o gli Houti, non menziona con la stessa frequenza le parole 'sunnita' o 'sciita'. Non c’è da stupirsi. Tranne in specifiche situazioni, l’iscrizione o l’appartenenza a un madhab (scuola religiosa di pensiero) viene raramente menzionata in conversazioni ordinarie in Yemen.
Certo non si può dire che non ci siano tendenze settarie o spaccature tra gruppi tribali in Yemen, ma la lotta di potere che si sta profilando ai nostri giorni non può essere liquidata solo con le differenze storiche e teologiche tra sunniti e sciiti. 
Nella lettura dei media, per esempio, invale la cattiva pratica secondo cui dire Houti equivale a dire sciiti, il che equivale a dire zayditi.
Innanzitutto va detto che molti componenti del partito Ansarullah, comunemente noti come Houti, sono zayditi, ma anche provengono da varie scuole religiose di pensiero sciita e sunnita, tra cui ismaili, shafii, e jaafari.
Molte tribù e molti soldati si sono uniti agli Houti e combattono al loro fianco. In realtà, leader shafii di spicco come Saad Bin Aqeele, un mufti di Ta'iz, sono tra gli Houti più influenti: sono intervenuti nei sermoni del venerdì e da un sit-in, prima dell'avanzata dei ribelli sulla capitale.
Secondariamente, gli zayditi condividono dottrine e opinioni giurisprudenziali simili con studiosi sunniti. Le differenze teologiche, paragonate alle questioni di coesione sociale, tra cui la lealtà tribale, il potere, il controllo, lo sviluppo e il finanziamento della sicurezza sociale per la popolazione, sono relative.
Al punto tale che i musulmani in Yemen, pur se provenienti da varie scuole di pensiero, sunnite o sciite, pregano insieme, si sposano senza “conversioni” forzate, ed episodi di violenza sociale fondati sull'appartenenza confessionale finora sono stati rarissimi.
Non tutti gli zayditi sono peraltro Houti: molti studiosi zayditi sono problematici rispetto alla adesione politica ad Ansarullah.
Gli Houti vengono sempre considerati la longa manu dell’Iran in Yemen e paragonati tout court ad Hezbollah. Posto che la loro fonte di ispirazione è chiara e immagini di Nasrallah campeggiano ovunque nei loro sit-in, e che la teocrazia di matrice khomeinista pare essere la loro benzina politica, le loro azioni non hanno come scopo quello di stabilire principalmente un ordine politico zaydita. Così come se l'adesione al partito dei Fratelli Musulmani Islah è prevalentemente sunnita, non significa che Islah stesso abbia lavorato strenuamente per ristabilire il califfato.
Piuttosto va detto che non si può leggere questo conflitto senza comprendere che la composizione della società yemenita è prima di tutto tribale. Quando si punta il dito sugli Houti, mancano quasi sempre delle analisi profonde del legame tra la povertà rurale, le contestazioni politiche e i conflitti.
Non è possibile comprendere la capacità degli Houti di aggredire la capitale Sanaa se non si ricorda che il governo di transizione ha ignorato a lungo le rimostranze della popolazione, arricchendo le fila degli scontenti che hanno supportato Ansarullah.
La goccia che fece traboccare il vaso fu la revoca delle sovvenzioni ai combustibili da parte del governo durante la notte nel 29 luglio 2014.
Senza preavviso l'aumento del prezzo del carburante e del gasolio schizzò dal 60 e al 90 per cento. Le proteste di massa scoppiate successivamente sono state capitalizzate dagli Houti, che hanno guadagnato un numero significativo di nuove adesioni da diverse tribù e da tutte le fasce sociali. 
Un capitolo a parte lo merita la capacità di tutti gli attori politici in Yemen nel tessere nuove alleanze che vadano a scompaginare le vecchie e precedenti solo per il gusto – come nel gioco afghano del buskazi – di portare alla meta la capra, e dunque vincere, contro chiunque.
Se questo conflitto fosse stato di natura settaria e avesse avuto radici antiche, l’ex presidente Ali Abdullah Saleh (che è tecnicamente un zaydi) non si sarebbe impegnato in sei guerre consecutive contro gli Houti, dal 2004 al 2010.
Ma soprattutto oggi non avrebbe formato un'alleanza temporanea con i suoi ex nemici, come testimoniano le intercettazioni dello scorso ottobre tra l’ex dittatore e Abdul Wahid Abu Ras, uno dei leader del movimento Houti.
Nemmeno la detenzione di attivisti e giornalisti in recenti proteste si è basata su questioni settarie. Gli Houti fanno ciò che faceva Saleh, che ha già fatto Hadi e che hanno fatto tutti, qui: hanno messo il bavaglio a chi li metteva sulla graticola, indipendentemente dalla provenienza tribale o settaria.
Ultima questione: la lettura secondo cui ciò che accade in Yemen venga da una regia occulta che ha le sue stanze dei bottoni in Usa, Iran e Arabia Saudita è quanto meno riduttiva della storia del paese e delle responsabilità dei suoi governanti.
Vero è che, per innumerevoli motivi, lo Yemen è stato tirato per la giacchetta da molti attori internazionali, ma non va dimenticato che puntare il dito solo sul settarismo o solo su influenti manovre esterne equivale ad assolvere il governo di transizione dalle sue funzioni che ha abbondantemente disatteso.
Anche addossare agli Houti una valenza teologica alle loro violazioni non va bene poiché esse hanno solo una precisa connotazione politica, e relativa alla politica interna.
Essa soltanto è il vero e tuttora irrisolto nocciolo della questione “crisi in Yemen” e avrà il suo capitolo decisivo nella battaglia appena iniziata per il possesso del Marib: l’area dove il 75% delle risorse energetiche non sfruttate e mai messe a disposizione per la popolazione locale (petrolio e gas) sono il vero, succoso e irrinunciabile motivo dell’apparente caotico contendere.


martedì 20 gennaio 2015

Charlie Ebdo: continuiamo a riflettere



Per continuare a testimoniare, a riflettere e per procedere nel dialogo tra le diverse confessioni religiose, in direzione della democrazia, del rispetto reciproco e della non violenza, l'Associazione per i Diritti Umani pubblica, per voi, uno dei tanti interventi interessanti degli ospiti che hanno preso la parola durante la manifestazione dello scorso 10 gennaio 2015, a Milano, dopo gli attacchi terroristici in Francia.

Pubblichiamo anche alcune fotografie scattate durante il raduno di domenica 11 gennaio, davanti al Consolato francese, sempre nella città di Milano. Senza dimenticare ciò che accade in altre parti del mondo: in Nigeria, in Palestina, in Yemen...



(Ringraziamo per i contributi Monica Macchi)


VIDEO

 
 
 
 
FOTO
 
 










giovedì 8 gennaio 2015

Charlie Ebdo e la bomba in Yemen: segnali di una guerra globale

I due gravissimi episodi accaduti ieri, 7 gennaio 2015, l'attentato alla redazione del giornale satirico Charlie Ebdo in Francia e l'autobomba a Sana'a, capitale dello Yemen, sono legati da un filo rosso. Rosso come il sangue di una guerra di civiltà.


Abbiamo chiesto alla giornalista Laura Silvia Battaglia di commentare gli episodi per capire bene cosa sta accadendo e la ringraziamo per questo suo contributo.


I due episodi di ieri, l'attentato a Parigi contro il giornale satirico Hebdo e l'autobomba a Sanaa in Yemen, contro l'accademia di polizia, entrambi costati la morte a giornalisti, civili, militari, ci dicono con chiarezza un paio di cose. La prima: che siamo in presenza di scenari mutati e sempre più cruenti nel nuovo assetto del Medio Oriente da una parte e dell'Europa dall'altra. La seconda: che da tempo sono in atto ma sono arrivate solo oggi a piena maturazione le previsioni di conflitto globale già in atto dal 2004 e che interessano oggi i civili, le religioni, la cultura, le tradizioni e mettono fortemente in crisi qualsiasi tipologia di convivenza e cosmopolitismo. Se in Oriente si è favorito il contrasto e la lotta tra sunniti e sciiti, presentandola come una questione squisitamente religiosa, in Occidente si sta stimolando l'odio, da una parte contro i musulmani tout court e migranti provenienti da queste aree, dall'altra contro le società democratiche che tendono a favorire una laicità che e' diventata laicismo e sopportano i fenomeni migratori con leggi inadeguate e diffusi atteggiamenti ipocriti.
In entrambi casi, a farne le spese saranno le componenti sociali più a rischio: i giovani in Yemen e Medio Oriente e i migranti in Europa. Ma ciò che è più' preoccupante è il solco che si traccia in mezzo, figlio di anni di bombardamenti, droni e detenzioni eccezionali da una parte e di incitamenti all'odio confessionale e culturale verso i kuffar (gli infedeli) dall'altra. In questo clima, occorre abbandonarsi meno alle opinioni e più ai fatti. Sospendere i giudizi non richiesti e le conclusioni affrettate ma, allo stesso tempo, non avere paura ad affrontare dettami, pregiudizi o incomprensioni sulla propria identità e su quelle altrui che possano mettere in pericolo la stabilità di un Paese e la convivenza civile.