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giovedì 15 ottobre 2015

I muri di Tunisi: la Tunisia prima e dopo la rivoluzione


Associazione per i Diritti Umani




PRESENTA



il saggio “I MURI DI TUNISI. Scritti e immagini di un Paese che cambia”, di Luce Lacquaniti

ed. Exòrma

 




giovedì 22 OTTOBRE, ore 19

presso



CENTRO ASTERIA

(Piazza Carrara 17.1 (ang Via G. da Cermenate,2 MM Romolo) Milano





L’Associazione per i Diritti Umani organizza l'incontro nell'ambito della manifestazione “D(I)RITTI AL CENTRO!”.



Presentazione del saggio “I MURI DI TUNISI. Scritti e immagini di un Paese che cambia”, di Luce Lacquaniti

ed. Exòrma



Il saggio, a partire dai graffiti realizzati sui muri della città di Tunisi, permette di fare un viaggio in un Paese in grande via di trasformazione politica, culturale e sociale. Si parlerà della Tunisia anche alla luce dell'attacco terroristico e del Premio Nobel per la pace.



Coordina: Alessandra Montesanto, Vicepresidente Associazione per i Diritti Umani



domenica 16 agosto 2015

La legge di ferro in Tunisia contro il terrorismo




Introduzione della pena di morte per i reati contro come “l'omicidio dei cittadini stranieri”: questo è uno dei provvedimenti inseriti da pochi giorni del sistema legislativo tunisino a seguito dell'attentato a Sousse e del massacro dei turisti, soprattutto occidentali.

La norma è stata approvata quasi all'unanimità: sia da Nidaa Tounes, il partito che guida il governo, sia da Ennahda (che fa parte dell'esecutivo ed è di impronta islamista), solo 10 astensioni.

La pena di morte è già prevista nel codice per i reati di omicidio e altri venti delitti, ma bisogna riscontrare che l'ultima esecuzione risale al 1991 e che non sia stata mai presa in considerazione nemmeno sotto il regime di Ben Ali, quindi la nuova legge risulta eccezionale. A quanto pare la Tunisia si sente fortemente indebolita di fronte agli attacchi degli jihadisti e il Parlamento ha deciso di prendere questa misura per contrastare il terrorismo.

A questo bisogna aggiungere anche un altro fatto: subito dopo l'attentato nella località di mare e di villeggiatura, il Premier, Habib Essid, ha sostituito il capo della commissione che dirige e monitora i luoghi di culto con Othman Battik, già gran Muftì al servizio di Ben Ali: con questa sostituzione sono state chiuse 83 moschee arbitrariamente, senza un collegamento accertato tra le persone che le frequentavano e i terroristi.

E' vero che in Tunisia siano molto carenti i servizi di sicurezza quali polizia o intelligence, ma questa è davvero una legge emergenziale che rischia di minare i diritti fondamentali come quello di poter professare la religione.

martedì 30 giugno 2015

I muri di Tunisi: quando anche le pietre parlano di cambiamento





Pubblicato grazie ad un'operazione riuscita di crowfunding, I muri di Tunisi. Segni di rivolta (per Exòrma Edizioni con la prefazione di Laura Guazzone) rappresenta una lettura originale del complesso periodo di “transizione” della Tunisia tra la rivoluzione del 2011 e le elezioni del 2014.
L’autrice, Luce Lacquaniti, traduce e commenta le scritte e le immagini nelle piazze e nelle strade della città di Tunisi i cui contenuti sono gli stessi che vengono discussi nelle case, a scuola, nell’assemblea costituente, sui giornali, nei negozi e nei caffè.



L'Associazione per i Diritti Umani ha intervistato Luce Lacquaniti e la ringrazia molto per la sua disponibilità.




Perché la scelta di parlare della Tunisia di oggi attraverso le scritte e le immagini sui muri?



La scelta deriva in parte dalla mia formazione e in parte dalla straordinarietà del materiale stesso in questione. Mi spiego. Sono laureata in Lingue e civiltà orientali e sto per prendere una seconda laurea in Interpretariato e traduzione. Quindi, di base, sono un'arabista, con un percorso di studi soprattutto linguistico. Però sono anche appassionata di fumetto, illustrazione e arti visive in generale (sono diplomata alla Scuola romana dei fumetti) e, da diversi anni, ho il pallino di leggere e fotografare le scritte sui muri di qualsiasi città, a partire dalla mia, Roma. Infine, mi interessa la politica in quanto cittadina del mondo, e mi interessa la politica del mondo arabo in quanto l'ho studiato e ci ho vissuto.

In Tunisia, in particolare, ho vissuto stabilmente nel 2012-2013 per approfondire lo studio dell'arabo. Ma ci ero già stata nel 2010, prima della rivoluzione (che è avvenuta tra dicembre 2010 e gennaio 2011), e ci sono tornata un'infinità di volte dal 2013 a oggi. È stato un periodo di particolare fermento, che si è esplicato anche sui muri – prima della rivoluzione, essenzialmente bianchi. Il nuovo mezzo d'espressione, quindi, ha attirato la mia attenzione sotto più punti di vista: linguistico, artistico, politico. In particolare, una volta tornata in Italia, riesaminando il materiale fotografato a Tunisi, mi sono resa conto di come vi si rintracciassero tutte le tappe della travagliata vita politica tunisina di questi ultimi anni. Eventi, fazioni, problemi sollevati, contraddizioni. Sono convinta che il periodo 2011-2014 in Tunisia interessi il mondo intero, perché si tratta della cosiddetta “transizione” dopo una rivoluzione che ha scatenato trasformazioni in un'intera area del mondo e perché, allo stesso tempo, vi sono istanze, rappresentate in quei segni, che sono universali. Per di più, quella che avevo tra le mani era una documentazione dal basso, anti-istituzionale e anti-mediatica, cosa che la rendeva, a mio parere, ancora più preziosa. Specie in un periodo in cui sul mondo arabo-islamico si chiacchiera tanto, senza preoccuparsi di ascoltare la voce dei diretti interessati. Tantomeno nella loro lingua. È così che ho pensato di corredare le foto di traduzioni e commenti e di raccogliere tutto in un libro.  
 





Ci può illustrare i temi principali che vengono espressi da quei muri? E cosa indicano le scritte a proposito delle aspettative della società civile?



Il libro si struttura proprio secondo i diversi temi discussi sui muri. Il primo capitolo, ad esempio, affronta il concetto di rivoluzione e la sua evoluzione nel discorso pubblico dei tunisini: dall'esultanza, agli scontri ideologici, alla disillusione, alla chiamata a una nuova rivoluzione. Una foto del 2012 che cattura scritte di diverse mani, ad esempio, è particolarmente emblematica: a qualcuno che esclama “Viva la Tunisia libera e democratica”, qualcun altro risponde “I rivoluzionari dicono: non potete prenderci in giro”, mentre un terzo chiosa “Non c'è altro dio all'infuori di Dio e Maometto è il suo profeta”. In una sola immagine troviamo l'entusiasta, lo scettico-antagonista e l'islamista, che inizia ad affermare la propria presenza sulla scena politica. Altri capitoli passano in rassegna i principali slogan del periodo e le dichiarazioni di affiliazione politica. Un capitolo è dedicato alla questione femminile e un altro all'islamismo, con i suoi fautori e i suoi oppositori – e qui va ricordato che la maggior parte del periodo di transizione del paese ha visto la guida del partito islamista moderato Ennahdha. Altri capitoli ancora trattano i rapporti tra la Tunisia e il resto del mondo arabo (e non arabo), e i diversi volti della repressione: dall'odiata polizia, alla censura, al cyberattivismo, al ruolo degli ultras nelle rivolte, alla legge-paravento che criminalizza il consumo di marijuana per colpire i dissidenti. Infine, i capitoli finali presentano alcuni collettivi di writer che hanno segnato i muri di Tunisi, ciascuno dandosi uno scopo e uno statuto ben preciso. C'è perfino chi ha scritto un manifesto artistico, come il gruppo Ahl al-Kahf. La nascita di questi movimenti mi sembrava qualcosa da indagare in maniera specifica.  


Da tutto questo emerge, nel complesso, una grande vitalità culturale e la voglia di dire la propria, da parte di tutte le componenti della società civile, nessuna esclusa. I tunisini chiedono a gran voce la fine dell'odiosa repressione – si va dalla scritta che denuncia il tale episodio di violenza durante una manifestazione, a quella che chiede la verità sugli omicidi politici di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi del 2013; denunciano la mancanza di trasparenza delle istituzioni – e qui si apre il discorso sulla scrittura della nuova costituzione, nonché sulla cosiddetta “giustizia di transizione”, legata ai processi dei martiri e feriti della rivoluzione e tema ricorrente del gruppo di writer Molotov; infine, i tunisini chiedono anche e soprattutto giustizia sociale, lavoro e lotta alla povertà: il gruppo che si firma Zwewla (“i poveri, i miserabili”), ha fatto di quest'ultimo punto la sua bandiera. Il quadro che ne esce è quello di una rivoluzione incompiuta, ben sintetizzato dal tormentone degli stessi Zwewla “Il povero è arrivato alla fonte ma non ha potuto bere”. Un quadro che, in parte, si discosta dal mito a cui ci hanno abituato, quello per cui la Tunisia sarebbe “l'unico paese in cui la primavera araba è riuscita”.



Quali sono i segni e le parole ricorrenti e quali sono quelle che l'hanno colpita di più?



Tra le parole più frequenti c'è sicuramente “il popolo”: “il popolo vuole questo, il popolo vuole quest'altro”. Il famoso slogan “Il popolo vuole...”, poi rimbalzato negli altri paesi arabi, richiama un verso del poeta nazionale tunisino Aboul Qacem Echebbi. Ma la cosa magnifica è che, sui muri di Tunisi, chiunque può scrivere “Il popolo vuole” seguito da qualsiasi cosa e il suo contrario. Sintomo di sano confronto: l'importante è che il popolo continui a volere qualcosa, e soprattutto che lo dica.

A colpire a prima vista è l'uso ricorrente di sofisticati giochi di parole, ironia tagliente, metafore, citazioni poetiche e veri e propri punti di riferimento estetici e filosofici, a volte esplicitati, a volte no. Spesso scritte e disegni sono tutt'altro che improvvisati e stupiscono per ricerca stilistica e concettuale. Tra le frasi che mi hanno più colpito ce n'è una, scritta evidentemente da un cittadino elettore e rivolta ai parlamentari scalatori di poltrone: “Noi non siamo ponti da attraversare”. Indimenticabile anche la domanda “Ci avete visti?” posta, attraverso un fumetto, da una sagoma di manifestante in rivolta con la benda sull'occhio, proprio sulla sede del sindacato. Si riferisce al giorno in cui la polizia sparò sulle teste dei manifestanti inermi della città di Siliana con munizioni da caccia, togliendo la vista per sempre a decine di persone. Ma, in una metafora che ribalta il concetto di cecità, qui i veri ciechi, messi sotto accusa, sono i vertici dello Stato. E poi uno stencil del gruppo Ahl al-Kahf riferito all'attuale, ottantottenne, presidente della Repubblica tunisino, Béji Caïd Essebsi, seppure realizzato profeticamente nel 2011: “Non posso sognare con mio nonno”.



Cosa è cambiato nel Paese tra il 2011 e il 2014?



Come viene anche riflesso sui muri, la Tunisia nel 2011 e nel 2012 è stata un'esplosione di voci, un luogo di dibattiti tra fazioni opposte, spesso trasformatisi in accesi scontri, una fucina di associazioni, progetti autogestiti, gruppi artistici, iniziative culturali. Un inno alla libertà d'espressione che sarebbe stato impensabile prima della rivoluzione, quando vigevano il partito unico e il controllo statale su qualsiasi spazio d'azione, fisico o virtuale. Da fine 2012 – inizio 2013 ho visto farsi strada la frustrazione e la disillusione. Il 2013 è stato l'anno della crisi, l'anno che ha visto, tra le altre cose, l'ascesa del terrorismo islamico, due omicidi politici con le conseguenti crisi di governo, e la crescente stanchezza dei tunisini nei confronti di un governo sempre più incapace di far fronte ai problemi socioeconomici del paese – che, nel frattempo, aveva contratto un debito miliardario col FMI. Il 2014 è proseguito su una scia di depressione generale e progressiva stagnazione del dibattito pubblico. Alla paura del fanatismo religioso e dei gruppi armati a esso connessi si è affiancata la paura che lo stato rispondesse con la logica della sicurezza o addirittura con una nuova svolta autoritaria. Le elezioni del dicembre 2014 sono state boicottate dai giovani, e hanno visto confrontarsi gli islamisti di Ennahdha con il “nuovo” partito Nidaa Tounes, che raggruppa anche membri dell'ex-regime, e che è attualmente al governo. Il fermento culturale degli inizi è andato scemando. Perfino i muri stanno tornando bianchi. Come se non bastasse, l'attentato del Bardo del marzo 2015 ha inferto un duro colpo all'economia tunisina, che tentava timidamente di riprendersi, contando sul ritorno della stabilità politica. I problemi che avevano scatenato la rivoluzione, ovvero la povertà, la disparità di trattamento delle regioni interne della Tunisia (ricche di risorse ma escluse dagli investimenti dello Stato, e non a caso teatro della rivoluzione), la disoccupazione e la corruzione generalizzata, non sono stati superati, anzi si sono, se possibile, aggravati, complice la crisi finanziaria globale. In compenso, si è acquisito un grado di libertà d'espressione mai visto prima (pur con tutte le riserve del caso). La mia speranza è che di questo periodo di apertura e di fermento possano fare tesoro i tunisini, per portare avanti un cambiamento all'interno della società dal basso, a lungo termine, e forse al di fuori delle istituzioni.

sabato 11 aprile 2015


L'Associazione per i Diritti Umani




in collaborazione con LIBRERIA LES MOTS

PRESENTA



DIRITTI AL CENTRO:


La Tunisia oggi. Dalla rivoluzione all'attentato. La democrazia e le donne



Presentazione del saggio “FERITE DI PAROLE. Donne arabe in rivoluzione”

Alla presenza di una delle autrici, IVANA TREVISANI e di MONICA MACCHI; esperta di mondo arabo



MERCOLEDI 15 APRILE



ORE 18.30

presso

LIBRERIA LES MOTS

Via Carmagnola angolo via Pepe (MM 2, GARIBALDI) Milano
 




L’Associazione per i Diritti Umani presenta il secondo appuntamento della serie di incontri dal titolo “DiRITTI AL CENTRO”, che affronta, attraverso incontri con autori, registi ed esperti, temi che spaziano dal lavoro, diritti delle donne in Italia e all’estero, minori, carceri, immigrazione...

In ogni incontro l’Associazione per i Diritti Umani attraverso la sua vice presidente Alessandra Montesanto, saggista e formatrice, vuole dar voce ad uno o più esperti della tematica trattata e, attraverso uno scambio, anche con il pubblico, vuole dare degli spunti di riflessione sull’attualità e più in generale sui grandi temi dei giorni nostri.

Con questo incontro si parlerà di Tunisia, tema, purtroppo, di stretta attualità dopo l'ultimo attentao ISIS: un Paese in fase di trasfromazione, con una Costituzione, che sta andando in direzione della laicità. Parleremo ancora delle donne, della rivolzione che ha dato vita al cambiamento e di cosa chiede la popolazione.


IL LIBRO:


La Tunisia è certamente il paese più presente nelle testimonianze raccolte dalle due autrici. Anzitutto perché patria di Mohamed Bouazizi, l’ambulante che si diede fuoco dopo l’ennesima multa subita per il suo carretto di frutta e verdura. L’importanza che il suo gesto ha avuto per la deflagrazione delle rivolte in Nord Africa (e poi in Medio Oriente) emerge anche dalle parole di sua madre, che ritirando la denuncia nei confronti dell’agente municipale accusata di aver schiaffeggiato Bouazizi, «si è riconosciuta l’autorevolezza necessaria di una decisione in proprio e scivolando alle spalle di un sistema giudiziario, che sentiva improntato più alla vendetta che alla giustizia, ha spiazzato l’intero sistema opinionistico e di informazione mondiale»: «Rivedo Mohamed ogni giorno, negli occhi di tutti i tunisini che incontro. La loro e la mia libertà sono più importanti di ogni altra cosa. Questo è il vero riscatto per la vita di mio figlio!». Sempre in Tunisia, sono ancora ben impresse nella memoria le immagini delle donne e degli uomini in coda ai seggi per le prime elezioni libere dopo Ben Ali. L’assemblea costituente eletta ha provato in due occasioni a inserire nel nuovo testo costituzionale limitazioni alla libertà delle donne, ma in entrambi i casi le proteste, ad esempio il 13 agosto 2012, in quello che in Tunisia è il giorno della donna (in ricordo dell’approvazione, nel 1956, della Convenzione per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne), hanno ottenuto il loro obiettivo: «Le donne non hanno detto la loro ultima parola – scriveva in quei giorni Nadia Chaabane, attivista e componente dell’assemblea costituente – e se qualcuno pensa il contrario si sbaglia di grosso».



LE AUTRICI:

Leila Ben Salah e Ivana Trevisani: la prima è una giornalista italo-tunisina, collaboratrice dell’agenzia Ansa, la seconda è psicologa e antropologa e svolte attività di formazione all’estero per progetti psico-sociali, principalmente con le donne.










venerdì 3 aprile 2015

Una riflessione critica sul futuro del Forum sociale mondiale






di Vittorio Agnoletto, membro del Consiglio Internazionale del Forum Sociale Mondiale





Fuori Israele dalla Palestina." "Boicottiamo i prodotti Israeliani" "No alla guerra, si ad una soluzione diplomatica" questi sono alcuni degli slogan che hanno caratterizzato la manifestazione dedicata alla solidarieta' con il popolo palestinese che ha concluso la XIII edizione del Forum Sociale Mondiale a Tunisi. Migliaia di giovani tunisini, in gran parte gli stessi protagonisti della primavera araba di quattro anni fa. Il Forum si e' concluso, come ormai e' consuetudine, con le assemblee di convergenza che hanno cercato di sintetizzare il lavoro svolto in centinaia di seminari e di stabilire un'agenda di mobilitazioni per il futuro prossimo. Ma a questo punto ritengo sia doveroso, soprattutto da parte di chi, come il sottoscritto, ha avuto delle responsabilità' nel movimento altermondialista provare a fare il punto, evitando pratiche autoconsolatorie. E' stato giusto venire a Tunisi, mantenere il Forum nonostante l'attentato e i comprensibili timori per la propria sicurezza. Abbiamo dato una dimostrazione esplicita di come i movimenti democratici non arretrano davanti al terrorismo, abbiamo contribuito ad aiutare i movimenti tunisini nel difficile sforzo di convincere il proprio popolo che il ritorno al passato, a regimi autoritari. non e' la soluzione per fermare il terrore e l'integralismo; c'e' un'altra alternativa fondata sulla partecipazione e l'impegno per la democrazia e la giustizia sociale. Tutto ciò' e' bene ed il Forum e' servito a questo. Ma se guardiamo in avanti, alle prospettive del Forum ciò' non e' sufficiente. Nei nostri incontri continuiamo a ripetere: che l'8,7% della popolazione controlla l' 85% della ricchezza mondiale e che al 69% più' povero resta solo il 2.9% della ricchezza del pianeta; che il potere globale e' nelle mani di un sistema finanziario controllato da qualche centinaia di multinazionali; che l'attuale modello di sviluppo porta l'umanità' verso l'abisso. Di fronte a tutto ciò' non basta trovarsi una volta ogni due anni e confrontarsi in centinaia di seminari spesso concentrati su singoli progetti gestiti da ONG; non basta che ciascuno racconti la propria esperienza e non basta nemmeno la costruzione di decine e decine di reti ognuna su un tema sempre più' specifico. Nel 2001 a Porto Alegre quando e' nato il Forum Mondiale le urgenze erano: comprendere le dinamiche della globalizzazione liberista, evidenziarne i protagonisti manifesti ed occulti, svelare il ruolo del FMI, del WTO, della Banca Mondiale ecc., scambiarci esperienze e conoscenze per costruire proposte alternative documentate, concrete e realizzabili. Per fare tutto ciò' era prioritaria la costruzione di uno spazio universale, pubblico e aperto di confronto. Oggi la situazione e' differente: i meccanismi e i protagonisti della globalizzazione liberista sono svelati, di proposte alternative ne abbiamo e sono anche concrete e realizzabili (se ve ne fossero le condizioni politiche), internet e le nuove tecnologie permettono ogni scambio d'informazione e di conoscenza e spesso anticipano quanto poi viene comunicato ai Forum. Oggi la situazione e' differente anche perché' la Storia non si e' fermata e le nostre peggiori previsioni sui destini collettivi si stanno realizzando. E allora ci serve altro, uno spazio pubblico di confronto non e' più' sufficiente. Ci serve la capacità' di organizzare delle vertenze globali sui terreni principali nei quali si muove il dominio liberista e dove maggiormente si sviluppa la conseguente sofferenza umana. Vertenze globali, in grado di unire i movimenti di ogni continente attorno ad obiettivi condivisi,precisi e pubblicamente dichiarati, seppure declinati seconda la propria specificità' territoriale, con un'agenda comune, azioni sinergiche e la capacità' di indicare, non in modo generico e sloganistico, chi sono i nostri avversari. Ogni organizzazione continuerà' ovviamente anche ad agire sulla propria specifica mission, ma il compito del Forum dovrebbe essere quello di individuare tre, quattro, massimo cinque campagne sui temi cruciali per il futuro dell'umanità' (ad es. il diritto al cibo e all'acqua, la lotta contro le politiche che producono i cambiamenti climatici, l'opposizione al dominio della finanza speculativa), attorno alle quali organizzare realmente una mobilitazione globale condivisa Restituendo in tal modo visibilità' ad un progetto politico complessivo alternativo al liberismo; ed in fondo proprio questo, seppure in un'altra epoca. era lo spirito originario di Porto Alegre, di Genova e del movimento dei forum sociali.

domenica 29 marzo 2015

Il messaggio di Alexis Tsipras per i partecipanti al World Social Forum





Dear friends and comrades,

Fourteen years ago, at the beginning of the new millennium, the World Social Forum came to the fore as the response of the people to the globalization of the markets. It was deliberately meant as versatile meeting of movements, trade unions and associations from around the world, looking for progressive solutions to global problems: poverty, social inequality, lack of democracy, racism, environmental destruction, and absence of economic and social justice. By using dialogue among equals, as well as horizontal processes, it provided proof that social forces from different parts of the world, which may be militant against different problems, can still converge around common goals and so formulate an alternative vision and blueprint for the planet. With values like these, condensed in such slogans as "people before profits" and "another world is possible", the World Social Forum was the space in which ideas and modes of action were born and grew which would eventually question the global neoliberal supremacy.

Our common responsibility to build a different prospect for the world is much greater these days, at a time that blind fanaticism, violence and social regression appear as alternative perspectives before the menacing force of the markets. Such were the motives behind those who, just the other day, spread death and fear in Tunis. The movements ought to block decisively the way to them by winning the hearts and minds of the poor and the oppressed. Neither the combination of fanaticism and intolerance, nor that of fascism and racism can open any new way for the future. The world will move ahead only thanks to democracy, respect for rights, solidarity and common struggles.

Dear friends,

As you know, Greece has for some time now been on a collision course with the tenets of neo-liberalism. Faced with the disastrous policy of austerity and extortion by the markets, our people is determined to defend democracy, the welfare state, public goods and the right to an adequately paying job. We offer a fight for life, dignity and social justice, all within a struggle to orient the economy towards the needs of society, instead of society towards the needs of the economy and sheer financial profit.

Our horizons are not limited by the boundaries of our own country. They extend across all of Europe. We know that on our footsteps other people are following too, determined to use the power provided by democracy to make the world more just and the future more bright. The front that will clash with the current balance of power in Europe is already being formed and it becomes stronger every day.

We know that these developments will be discussed this year during the proceedings of the World Social Forum in Tunis. We know that a key consideration is the all-round support to Greece, but also to all the people fighting for a historic change in Europe and throughout the world. This is why Greece is sending today to those who participate in this year's Forum, a greeting of optimism, strength and determination. Using solidarity as their weapon, the people will win!

Alexis Tsipras

Cari amici e compagni,
quattordici anni fa, all'inizio del nuovo millennio, il Forum Sociale Mondiale è venuto alla ribalta come la risposta del popolo alla globalizzazione dei mercati. E 'stato volutamente inteso come incontro versatile di movimenti, sindacati e associazioni di tutto il mondo, alla ricerca di soluzioni innovative a problemi globali: la povertà, la disuguaglianza sociale, la mancanza di democrazia, il razzismo, la distruzione ambientale, e l'assenza di giustizia economica e sociale. Utilizzando il dialogo tra uguali, così come i processi orizzontali, ha fornito la prova che le forze sociali provenienti da diverse parti del mondo - che possono combattere i diversi problemi - possono ancora convergere intorno ad obiettivi comuni e quindi formulare una visione alternativa e un progetto per il pianeta . Con valori come questi, condensati in slogan come "le persone prima dei profitti" e "un altro mondo è possibile", il Forum Sociale Mondiale è lo spazio in cui le idee e le modalità di azione sono nate e cresciute, lo spazio dove mettere in discussione la supremazia globale neoliberista.
La nostra responsabilità comune per costruire una prospettiva diversa per il mondo è molto più grande in questi giorni, in un momento in cui il fanatismo cieco, la violenza e la regressione sociale appaiono come punti di vista alternativi alla forza minacciosa dei mercati. Queste erano le motivazioni che stavano dietro coloro che, proprio l'altro giorno, hanno diffuso la morte e la paura a Tunisi. I movimenti dovrebbero bloccare decisamente la loro strada, vincendo i cuori e le menti dei poveri e degli oppressi. Né la combinazione di fanatismo e intolleranza, né quella del fascismo e del razzismo sono in grado di aprire qualsiasi nuova strada per il futuro. Il mondo si muoverà avanti solo grazie alla democrazia, al rispetto dei diritti, della solidarietà e con le lotte comuni.


Cari amici,
Come sapete, la Grecia è da tempo ormai in rotta di collisione con i principi del neo-liberismo. Di fronte alla disastrosa politica di austerità e di estorsione da parte dei mercati, il nostro popolo è determinato a difendere la democrazia, lo stato sociale, i beni pubblici e il diritto a un lavoro adeguatamente pagato. Offriamo una lotta per la vita, la dignità e la giustizia sociale, il tutto in una lotta per orientare l'economia verso le esigenze della società, invece della società verso i bisogni dell'economia e il puro profitto finanziario.
I nostri orizzonti non sono limitati dai confini del nostro paese. Si estendono in tutta Europa. Sappiamo che sui nostri passi altre persone ci stanno seguendo, decise a usare il potere fornito dalla democrazia per rendere il mondo più giusto e un futuro più luminoso. Il fronte con cui si scontrerà l'attuale equilibrio del potere in Europa è già in forma e diventa ogni giorno più forte.
Sappiamo che questi sviluppi saranno discussi quest'anno durante i lavori del Forum Sociale Mondiale a Tunisi. Sappiamo che una considerazione chiave è il supporto a tutto tondo per la Grecia, ma anche a tutte le persone che lottano per un cambiamento storico in Europa e in tutto il mondo. Questo è il motivo per cui la Grecia sta inviando oggi, a coloro che partecipano quest' anno al Forum, un saluto di ottimismo, forza e determinazione. Utilizzando la solidarietà come arma, il popolo vincerà!


Alexis Tsipras

sabato 28 marzo 2015

Dal World Social Forum: Vittorio Agnoletto

 
 
 
 
 



E' in corso, dal 24 al 28 marzo, il Social Forum mondiale 2015 che si è aperto al Campus Farhat Hached El Manar, a Tunisi, dieci giorni dopo l'attentato jihadista al Museo del Bardo. Più di 70mila persone parteciperanno a seminari, convegni ed eventi culturali in programma.

Il motto della giornata inaugurale è stato: «Popoli di tutto il mondo uniti per la libertà, l'uguaglianza, la giustizia sociale e la pace. In solidarietà con il popolo tunisino e tutte le vittime del terrorismo, contro ogni forma di oppressione» e nei prossimi giorni il Forum darà vita ad una specifica commissione per redigere la “Carta internazionale altermondialista contro il terrorismo”.

Durante i lavori si parlerà di giustizia sociale e fiscale e sarà affrontata anche la questione palestinese, soprattutto dopo la vittoria del Likud ad Israele. Mustafa Barghouti, politico e medico attivo nelle Organizzazioni non governative, nel giorno di apertura del Forum, ha affermato: «Siamo qui come palestinesi per esprimere la nostra solidarietà al popolo tunisino, ma anche per promuovere la nostra lotta contro l'apartheid imposta da Israele». Tra le delegazioni presenti a Tunisi anche quella proveniente dall’Algeria.



Iniziamo a riportare due report di Vittorio Agnoletto, attivista ed eurodeputato, dal Forum e, prossimamente, l'Associazione per i Diritti Umani vi terrà aggiornati con le interviste ad altri partecipanti.







TUNISI: IL SOCIAL FORUM IN UN PAESE CHE VUOLE RESTARE NORMALE


Dopo il 18 marzo il rischio e' che nella popolazione cresca la richiesta di un regime forte,
una dittatura, per fronteggiare il rischio del terrorismo e dell'integralismo islamico, mi racconta Fathi Chamkni, deputato tunisino del Fronte Popolare all'opposizione dell'attuale governo. Sull'esercito non abbiamo timori; quattro anni fa ha difeso la rivoluzione e nella nostra storia e' sempre stato leale verso chi governava, chiunque fosse e qualunque sistema ci fosse. Diversa e' la situazione della polizia che nel passato ha represso i movimenti democratici e in gran parte rimpiange il regime precedente. Oggi le cose vanno un po' meglio perche' è nato un sindacato di polizia che difende gli spazi di democrazia. Ma alcuni dei vertici della polizia che il governo ha dimesso dopo l'attentato del 18 marzo erano tra quelli che sostenevano il regime precedente.

La polizia si divide quindi in tre parti: una minoritaria che sostiene la democrazia, una che ha simpatia verso settori islamici integralisti e la maggioranza che e' a favore di un regime forte. E questo e' un problema. Il governo attuale e' debole. Il Fronte Popolare ha convocato una propria conferenza nazionale per maggio, abbiamo grande urgenza di aggiornare la nostra strategia e dobbiamo riuscire a rendere evidente alla popolazione che esiste un'alternativa al terrorismo e al richiamo al governo forte e dittatoriale.
"Dopo la manifestazione di apertura che si e' svolta ieri sera sotto una pioggia torrenziale si e' aperto oggi il Forum. Decine di migliaia i partecipanti da tutto il mondo, moltissimi giovani tunisini, molte le delegazioni dai Paesi del Maghreb, ampia la presenza di giovani dal resto del continente africano e, come consueto, varie centinaia i sono i brasiliani.
Tantissimi sono i temi discussi nelle decine di seminari che si svolgono nell'Universita' di
El Manar. Ampio spazio hanno sia i temi legati alla sovranita' alimentare e alla lotta contro l'accapparramento delle terre con la denuncia da parte di Via Campesina del ruolo che giocano in questo fenomeno oltre alle grandi compagnie internazionali anche alcuni Paesi europei; sia la lotta al traffico degli esseri umani che e' stata al centro di un seminario organizzato da Libera e da alcune associazioni tunisine al quale hanno partecipato i comboniani e la Federazione delle
Chiese Evangeliche: in assenza di una collaborazione umanitaria tra gli Stati il tentativo e' quello di rafforzare la collaborazione tra la societa' civile dalle due sponde del Mediterraneo.

Se si eccettua il discreto controllo da parte della polizia al quale devono sottoporsi tutti coloro che entrano al Forum e la presenza di alcune camionette militari davanti ai punti sensibili situati nel centro della citta' e i rotoli di filo spinato in alcune traverse della centrale Avenue Burghiba non e' facile per i partecipanti al Forum rintracciare i segni della strage del 18 marzo. Ma il museo del Bardo rimarra' chiuso tutta la settimana.
Ho incontrato un gruppo di ragazzi tunisini che partecipano al Forum e ho chiesto loro come e' cambiata la loro vita dopo il 18 marzo. "In nulla, tutto prosegue come prima - mi hanno risposto - non deve cambiare nulla, altrimenti diamo ragione ai terroristi. Certo che abbiamo paura, e' vero che alcune migliaia di nostri connazionali combattono in Siria a fianco dell'ISIS ed anche vero che qui ci sono delle cellule dormienti, ma la nostra vita non deve cambiare. Noi dobbiamo difendere la democrazia che abbiamo conquistato con la nostra rivoluzione cinque anni fa e se sara' necessario sapremo resistere.
“Non sono solo i ragazzi presenti al Forum a pensarla cosi'. L'impressione che si ha qui a Tunisi e' quella di uno sforzo nazionale collettivo per cercare di mostrare in ogni aspetto della vita quotidiana un senso di normalita'. La maggioranza dei quotidiani tunisini riporta le notizie relative alle indagini sui fatti del 18 in prima pagina ma spesso non dedica loro l'apertura e gli articoli riprendono nelle pagine interne e spesso precedute da altre notizie nazionali o internazionali. Questa scelta ha certamente anche motivazioni economiche: evitare un forte calo del turismo, si considera che siano alcune migliaia (tra i 3 e i 5.000) i turisti che hanno cancellato le loro prenotazioni per le vacanze pasquali. L'obiettivo delle autorita' tunisine e' quello di considerare l'attentato una parentesi in un Paese che rimane "normale" a differenza di quanto avviene in tutti i Paesi confinanti.


DEBITO E MEDIO ORIENTE AL CENTRO DEL DIBATTITO

Si e' svolto oggi il Forum Parlamentare mondiale con al centro il tema della giustizia sociale e della critica all'enorme potere concentrato nelle mani di poche multinazionali. Sono interventi diversi parlamentari tunisini che hanno sottolineato come la Tunisia negli ultimi decenni sia stata terreno di conquista delle grandi compagnie soprattutto europee con la complicità' del regime tunisino. "Ben Ali' in 20 anni ha ricevuto grandi "prestiti" dalle nazioni europee; abbiamo restituito già' ben più' di quanto abbiamo ricevuto - hanno dichiarato i tunisini - ma a causa degli interessi il debito non si estinguera' mai . Se l'Europa vuole veramente aiutare la Tunisia allora cancelli il debito residuo contratto dal regime precedente. Se veramente l'UE e' interessata al nostro futuro e alla lotta contro il terrorismo integralista allora ci aiuti nella lotta alla poverta' che e' l'antidoto migliore contro il reclutamento dei giovani da parte dei gruppi terroristi. Non si limiti la UE a chiederci di rafforzare i confini e a mandare fondi per costruire campi dove fermare i disperati che cercano di attraversare il Mediterraneo, ma cancelli il nostro debito." A questa richiesta fino ad ora ha risposto, almeno stando alle dichiarazioni ufficiali, solo l'Italia con la disponibilità' a cancellare parte del debito. Una senatrice svizzera intervenendo nel corso del Forum Parlamentare ha confermato che nelle banche del suo Paese sono stati congelati gli ingenti depositi fatti nel corso degli anni da Ben Ali, quando era il signore assoluto della Tunisia. La cosa più ovvia sarebbe restituire quei beni allo stato tunisino, considerando che si tratta di ricchezze sottratte alla collettività' nazionale. Ma, secondo la senatrice, la questione e' tecnicamente complessa e per ora si e' in una situazione di stallo.
Il Forum e' anche occasione per incontri fino a poco tempo fa impensabili. Accopagnati dall'associazione "Un ponte per Baghdad" e' giunta una delegazione di 25 iracheni rappresentanti di varie realtà' locali impegnate in patria nelle vertenze sulla difesa dei diritti umani, per l'acqua pubblica ecc. All'interno della medesima delegazione convivono sunniti, sciti e realtà' fra loro profondamente
differenti impegnate in uno sforzo comune per ricostruire un Iraq degno di essere abitato. Queste realtà' nel settembre 2013 avevano dato vita al primo Forum iracheno molto partecipato e qui a Tunisi hanno annunciato che ad ottobre di quest'anno si svolgerà' la seconda edizione aperta a delegazioni di tutto il medio oriente e della Mesopotamia. Ma la cosa più interessante e' la riunione a porte chiuse che si e' svolta tra la delegazione irachena e i siriani partecipanti al Forum. Un primo tentativo di incontro tra rappresentanti della societa' civile di due Paesi attraversati dalla guerra che ha avuto come tema la ricerca di modalità' per costruire percorsi condivisi e di pace in situazioni di conflitto.

Il Forum e' anche questo: fornire la possibilità' d'incontrarsi tra soggetti che a casa propria percorrono strade differenti: un'esperienza importante di diplomazia dal basso che apre qualche spiraglio di speranza. Tutt'altro clima quello che si e' respirato in un altro seminario svoltosi poco distante: alcuni uomini e donne di Kobane hanno raccontato la tragedia della loro citta', la distruzione, la guerra, la mancanza di cibo. Non e' mancata oltre all'accusa alla Turchia di fiancheggiare l'ISIS, una dura critica ai paesi occidentali che si rifiutano di appoggiare in modo consistente i curdi. Una storia che conosciamo, ma ascoltarla dalla viva voce di queste donne produce un effetto ben diverso.




giovedì 4 aprile 2013

Forum Sociale Mondiale: l'anno di Tunisi

Si è appena conclusa, con una grande marcia per la libertà e i diritti, l'ultima edizione del Forum Sociale Mondiale che - a due anni da Porto Alegre, nel sud del Brasile - ha visto la Tunisia come Paese ospitante.
Cinque giorni, dal 26 al 30 marzo, di intense attività in cui si sono riuniti associazioni, movimenti altermondialisti, società civili: per la prima volta in un Paese arabo, per la prima volta sulla sponda del Mediterraneo. La scelta del capoluogo tunisino non è stata casuale, ma è seguita all'assassinio del leader dell'opposizione Chokri Belaid, avvenuto nel mese di febbraio.
Raffaella Bonini, coordinatrice italiana e mondiale dell'appuntamento, ha dichiarato: “Non siamo più una novità, un fenomeno di moda, la faccia buona della contestazione no-global che i governi locali e nazionali e le più ricche Ong mondiali facevano a gara a sponsorizzare. Proprio in questi ultimi anni, mentre la crisi ha popolarizzato le tematiche e le intuizioni dei movimenti rappresentati nel Forum Sociale Mondiale, abbiamo perso sostegno e finanziamenti. Questo appuntamento di Tunisi è stato costruito con l'impegno volontario, al quale ha poi fatto seguito un appoggio da parte delle istituzioni tunisine”. 
Proprio centinaia di giovani tunisini, spesso militanti nell'associazionismo, hanno lavorato alacremente per organizzare gli incontri, le manifestazioni culturali, i seminari, gli appuntamenti musicali che hanno arricchito il programma del Forum, il quale si è tenuto, in buona parte, all'interno del campus universitario di El Manar. Si tratta di quei giovani che, da due anni, hanno dato vita alla rivoluzione democratica araba, che sono scesi nelle piazze delle principali città del Nord Africa per ribaltare regimi autoritari e violenti.
Adesso è il momento della ricostruzione, della creazione di nuove basi su cui ricominciare. E i temi, per avviare il cambiamento e discussi all'interno del Forum, sono stati, oltre alla crisi politica: una giustizia economica internazionale, il problema del cambiamento climatico nelle zone aride del Maghreb-Mashreq e le conseguenze sulle popolazioni, la piaga del land-grabbing, le istanze di uguaglianza e di libertà per tutti. A questo proposito è bene ricordare che, nei giorni che hanno preceduto l'inaugurazione del Forum, si è tenuto anche il Terzo Incontro Globale dei Media Indipendenti durante il quale, gli attivisti e i giornalisti hanno chiesto un riconoscimento formale del loro operato e la possibilità di lavorare liberamente, partendo dal presupposto che non ci può essere pluralismo politico senza pluralismo dell'informazione.