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lunedì 21 dicembre 2015

VI congreso "Nessuno tocchi Caino": il carcere è una pena di morte mascherata




Il sesto congresso di 'Nessuno tocchi Caino' svoltosi nel carcere di Opera, a Milano, si è concluso con l'approvazione di una mozione che impegna gli organi dirigenti a far propri e a rilanciare gli obiettivi sul miglioramento delle condizioni carcerarie di papa Francesco, che lo scorso anno ha definito l'ergastolo come una "pena di morte mascherata". Apertosi ieri con un messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il congresso 'Spes contra spem' ha visto la partecipazione di circa 400 persone. Tra loro c'erano oltre 200 detenuti, molti dei quali condannati all'ergastolo, alcuni arrivati a Opera da Padova e da Voghera per raccontare le loro storie.
La mozione, nel dettaglio, impegna anche "a promuovere ricorsi in sede internazionale, in particolare al Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite, alla Corte europea dei diritti dell'uomo e, in Italia, alla Corte Costituzionale, volti al superamento dei trattamenti crudeli e anacronistici come il regime di cui all'art. 41 bis. e il sistema dell'ergastolo ostativo che, per modalità specifiche e durata eccessiva di applicazione, provocano, come ampiamente dimostrato dalla letteratura scientifica - oltre che da numerosi casi concreti - danni irreversibili sulla salute fisica e mentale del detenuto, tale da configurare la fattispecie di punizioni umane e degradanti".
Infine, la mozione invita il Congresso a elaborare un primo rapporto di 'Nessuno tocchi Caino' sull'ergastolo nel mondo a partire dall'Europa. Tra i prossimi progetti anche quello di realizzare un docu-film, a cura di Ambrogio Crespi, dal titolo, 'Spes contra spem-Liberi tutti'.

La diretta del congresso del 2013, per voi:

 
 

giovedì 17 dicembre 2015

Detenzione dei richiedenti asilo e uso della forza per il prelievo delle impronte: “Se questo è il prezzo di Schengen, no grazie!”

 
 
Strasburgo, 16 dicembre 2015
 
Nel corso della seduta Plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo si è svolto il dibattito su “Detenzione dei richiedenti asilo e uso della forza nei loro confronti”, preceduto dalle dichiarazioni del Consiglio e della Commissione.
 
La deputata Barbara Spinelli (Gue-Ngl) ha preso la parola alla presenza di Dimitris Avramopoulos, Commissario per la migrazione, gli affari interni e la cittadinanza, e Nicolas Schmit, ministro del Lavoro lussemburghese, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio.
 
«Leggo nel comunicato della Commissione sugli hotspot italiani che Roma deve “dare una cornice legale all'uso della forza” per il prelievo di impronte e le detenzioni prolungate. Sarà difficile, dicono i giuristi, a meno di violare due articoli della Costituzione: il 13 e il 24. Mi chiedo anche come l'Unione intenda far fronte a detenzioni e violenze verso i rifugiati che si estendono: in Ungheria, Bulgaria, Polonia, Francia, Spagna.
 
«In Italia le espulsioni forzate sono attuate anche quando i giudici sospendono i rimpatri. Il governo danese confisca da domenica scorsa i gioielli dei rifugiati – anelli nuziali esclusi – per pagarne i costi.
 
«È grave che tali misure siano presentate come urgenti e obbligatorie “per salvare Schengen”. Che il Presidente del Consiglio Europeo Tusk raccomandi 18 mesi di reclusione dei richiedenti asilo, sempre “per salvare Schengen”. Che non siano invece considerati obbligatori il non-refoulement, l'habeas corpus, la ricerca di alternative alla detenzione sistematica, la non coercizione su persone vulnerabili o minori.
 
«Non ci si può limitare a imporre solo misure repressive mentre la Carta, i trattati, il pacchetto asilo del 2013 prevedono diritti e clausole discrezionali ben più vincolanti.
 
«Se questo è il prezzo di Schengen: No grazie! – come cittadina europea rinuncio volentieri a Schengen, senza esitare».
 

venerdì 16 ottobre 2015

Donne arabe e prostituzione: il film MUCH LOVED rompe il tabù








Noha, Soukaina, Randa e Halima: nomi di donne, di donne marocchine. Cala la notte e loro iniziano a lavorare: nell'oscurità possono confondersi con le ombre di una vita clandestina, quella delle prostitute. Le quattro giovani donne, infatti – belle e spregiudicate – hanno scelto di fare il mestiere più antico del mondo per essere o sentirsi libere. Forse.

Una scelta che, in fondo, non è mai una vera decisione libera, neanche per le donne occidentali. E' una scelta, purtroppo, spesso obbligata, accettata con la violenza o per disperazione. Nel caso delle protagoniste del film Much loved – film del regista di origini tunisine Nabil Ayouch, vincitore della Palma d'oro all'ultimo festival di Cannes e nelle sale italiane in questo periodola scelta è apparentemente libera: i moralisti potrebbero dire: “Sì, ma potevano decidere di fare un altro mestiere” e potrebbe essere vero; ma esasperate da una società patriarcale e maschilista, spesso molestate verbalmente e fisicamente, soggette alle prese di posizione, culturali o religiose, da parte di persone altre, queste ragazze passano alla provocazione più grande: vendere il proprio corpo. Quel corpo spesso maltrattato, usato, imprigionato, qui diventa di “proprietà” solo dell'individuo, della donna. E qui sta l'originalità di questa storia, perchè si tratta di un racconto di una forma di emancipazione (i temi hanno già fatto del back ground culturale e sociale dell'Occidente) in un Paese magrebino. E' l'occasione per mostrare il comportamento abbietto degli uomini: viscidi clienti o poliziotti corrotti, da cui emerge un tratto dell'intera società poco edificante. “Mentono tutte, puttane e sante. Le nostre sono come la carne sui questi piatti. Morte”, afferma un cliente saudita e questa frase fa intuire anche quanto il linguaggio, femminile e maschile, sia crudo e diretto: gesti e parole non fanno sconti nel denunciare un aspetto nascosto e misero dietro alle luci sfavillanti della bellissima Marrakesh. La città, infatti, si mostra come le sue prostitute: affascinate, profumata e capace di regalare sogni e piacere, ma dietro al bel vestito si cela la malinconia.      


Sulla carta il Marocco ha una Costitituzione che vieta, nel nuovo diritto di famiglia, le nozze forzate , la poligamia e impedisce il matrimonio fino al compimento dei 18 anni: sulla carta, perchè nelle zone rurali e nei villaggi, la situazione culturale è ancora molto arretrata e vigono le leggi della tradizione, che penalizzano le donne, le ragazze e le bambine.

Noha, Soukaina, Randa e Halima sono costrette anche a strisciare per raccogliere il denaro gettato per terra dai clienti; sono state ripudiate dalle famiglie; vivono la solitudine e l'impotenza di chi è entrato in un circolo chiuso da cui è impossibile uscire. Solo loro quattro e, unite, finiranno per costituire una piccola famiglia perchè condividono la mancanza di amore.

Il film è stato censurato in Marocco, ma ha diviso ugualmente l'opinione pubblica. Il regista, per un certo periodo, ha dovuto vivere sotto scorta. Noi non vogliamo condizionare gli spettatori per cui ci limitiamo a consigliarne la visione per continuare il dibattito sul tema.
 
 
 
 

sabato 8 agosto 2015

Elezioni non credibili




di Veronica Tedeschi



Il 21 luglio il Burundi ha, finalmente, votato per le elezioni presidenziali.
Il risultato non è diverso da quanto ci si aspettava:
Pierre Nkurunziza è stato rieletto per un terzo mandato con il 69% delle preferenze. L’affluenza maggiore è stata rilevata a Ngozi, paese originario di Nkurunziza che ha registrato il 91,99% dei votanti e dove il presidente ha preso il 79% dei voti.

La missione delle Nazioni Unite di osservazione del voto ha monitorato le elezioni. Ha rilevato un’atmosfera di tensione creata dall’opposizione, che ritiene anticostituzionale il terzo mandato di Nkurunziza, e ha affermato che lo scrutinio, segnato dalla violenza, non è stato “né libero, né credibile, né inclusivo”. Molte persone si sono tolte l’inchiostro dalle dita (l’impronta digitale sancisce l’avvenuto voto) per votare nuovamente, altri si sono impossessati del documento elettorale di qualcun altro e hanno votato due volte.
Nella notte tra il 20 e 21 luglio un poliziotto e un civile sono stati uccisi nella capitale Bujumbura, che sta vivendo giorni di forte tensione che non accennano a diminuire.

Questo governo in 10 anni non ha fatto nulla per la popolazione. Si è riempito le tasche, ci ha fatto regredire economicamente e ha fatto perdere la speranza ai giovani. Non so quale miracolo abbia in mente Nkurunziza, ma mi appello alla sua saggezza e gli chiedo di lasciare il governo. Perché non ritirarsi ora e ricandidarsi per il prossimo mandato? Se è così amato come dice, sicuramente non avrà problemi.” Questa l’opinione del leader dell’opposizione che vive a Kiriri, il quartiere-bene della capitale Bujumbura. “Il regime ha fatto di tutto per ostacolarci. Non ci hanno lasciato fare la campagna elettorale e ci hanno minacciati. È chiaro che pensavano di perdere. Sono state elezioni incostituzionali e il mancato rispetto della volontà popolare è un problema serio.”

La reazione della comunità internazionale a tutto questo è stata minacciare di chiudere i finanziamenti.
Il 6 luglio si è tenuto in Tanzania il vertice della Comunità dell’Africa orientale sulla crisi in Burundi. I presidenti degli altri Stati fanno il loro gioco e certamente non pensano alle sorti della popolazione burundese; basti considerare che
Rwanda e Uganda si trovano nella stessa situazione: i loro presidenti sono intenzionati a ricandidarsi per la terza volta, nonostante le loro Costituzioni lo vietino, come accade in Burundi.

Inoltre, non bisogna dimenticare che, a causa dei disordini provocati dalle elezioni, 140 mila burundesi sono fuggiti e i paesi di accoglienza, Congo e Rwanda, iniziano a subire negativamente questa migrazione forzata. La Repubblica Democratica del Congo, infatti, continua a vivere in un clima particolarmente instabile che vede nelle province orientali la presenza di bande armate, di milizie non governative, di ex-militari e di gruppi tribali, che effettuano incursioni e razzie con conseguenti massacri di civili mentre il Rwanda presenta una popolazione di ben 12 miliardi di abitanti che, per la sua superficie, è già numerosa.

Infine, scrive il Daily Maverick, Nkurunziza, ha un asso nella manica che gli permette di ignorare le richieste della comunità internazionale: i soldati burundesi formano il secondo contingente più numeroso della missione dell’Unione Africana in Somalia. Di recente hanno subito un duro attacco e sono morti in sessanta; se Nkurunziza decidesse di ritirarli, creerebbe un grosso problema alla missione.

Alcuni studiosi delle vicende burundesi azzardano le loro previsioni, avvertendo che la conclusione di questa vicenda si avrà solo dopo anni di guerra e miseria, e forse non hanno tutti i torti; del resto “la guerra è la maledizione del Burundi”.
 
 
 
 

lunedì 13 luglio 2015

Il Servizio civile aperto anche agli stranieri



La Corte Costituzionale italiana nella giornata del 25 giugno si è espressa dichiarando illegittimo l’art. 3 comma 1 del decreto legislativo del 2002 in materia di servizio civile con cui si limitava l'accesso al servizio ai soli cittadini italiani.

La vicenda a favore dell’inclusione dei giovani stranieri residenti in Italia aveva preso avvio oltre tre anni fa quando un giovane pakistano si era visto rifiutare la partecipazione al servizio civile per mancanza del requisito della cittadinanza italiana. Sollevata la questione di fronte al Tribunale di Milano e alla Corte d’Appello di Milano, il giudizio è poi proseguito e la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha posto la questione di costituzionalità della norma per contrasto con il principio di uguaglianza.

Dopo la recente sentenza 119/15, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del decreto legislativo 77/02 (articolo 3, comma 1), tutti i giovani stranieri regolarmente soggiornanti hanno diritto di accedere alle selezioni per il servizio civile. Nel testo si legge: "L’esclusione dei cittadini stranieri dalla possibilità di prestare il servizio civile nazionale, impedendo loro di concorrere a realizzare progetti di utilità sociale e, di conseguenza, di sviluppare il valore del servizio a favore del bene comune, comporta dunque un’ingiustificata limitazione al pieno sviluppo della persona e all’integrazione nella comunità di accoglienza".



giovedì 18 giugno 2015

Per la Giornata mondiale del rifugiato



 



In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, sabato 20 giugno 2015 a partire dalle ore 17, presso la Città dell’Altra Economia, ex mattatoio Testaccio, si terrà la manifestazione Per il diritto alla fuga e alla vita, promossa da Roma Capitale, Istituzione Biblioteche di Roma/Roma multietnica, CAE-Città dell’Altra Economia, Comitato per un Centro Interculturale a Roma, patrocinata dall’UNHCR, e ha già avuto l’adesione di oltre cinquanta associazioni attive sul fronte dei diritti dei rifugiati e dei migranti, della cooperazione internazionale, del volontariato e dell’integrazione culturale. Una maratona di testimonianze e performance, che vedranno alternarsi artisti da tutto il mondo, tra questi: Nour Eddine, Farzaneh Joorabchi, Rashmi V. Bhatt, la crew di Termini Underground, il coro multietnico Quintaumentata, la Piccola Orchestra Torpignattara, il Centro Matemù del CIES e per concludere il grande concerto gratuito di Dobet Gnahoré cantante, danzatrice e percussionista della Costa d’Avorio.







Per il diritto alla fuga e alla vita



Perché difendere il diritto di ciascuno a sfuggire alla morte, alla persecuzione e alla discriminazione ci riguarda e riguarda i valori fondamentali e giuridici della nostra convivenza civile.
Perché da troppo tempo il Mediterraneo è diventato il più grande cimitero d’Europa che si è chiuso sulla vita di donne, bambini, uomini, spesso senza nome e identità.
Perché anche il viaggio di chi si è sottratto a quella morte o alla persecuzione nei paesi di origine o alle sevizie dei trafficanti di uomini, oggi trova le porte sbarrate di un continente incapace con le proprie istituzioni di affrontare un’emergenza non più rinviabile.
Perché contro l’elementare diritto alla protezione di chi chiede asilo e rifugio si rovesciano parole e atti di una campagna di paura e rancore che incentiva il razzismo e la xenofobia.
Perché sui migranti che sbarcano sulle nostre coste si è attivata una rete di corruzione e malaffare che li ha resi due volte vittime: del risentimento di chi vivendo il disagio delle nostre periferie finisce per farne il capro espiatorio delle proprie paure e di chi ne ricava l’alibi per negare ogni forma di accoglienza e protezione.
Perché non è volgendo altrove lo sguardo o illudendosi di rimanere al riparo delle frontiere d’Europa che si interromperà la fuga dall’incendio che divampa dal Medio Oriente all’Africa sub sahariana fino alle coste del nord Africa.
Perché il terribile anno trascorso dall’ultimo 20 di giugno, è destinato a peggiorare un bilancio di morti, disastri umanitari, lacerazioni e conflitti.

Queste sono le parole chiave che hanno ispirato la manifestazione che si terrà sabato 20 giugno 2015, Giornata Mondiale del Rifugiato, presso la Città dell’Altra Economia (nell’ex Mattatoio).
La manifestazione, dal titolo “Per il Diritto alla fuga e alla vita” è promossa da Roma Capitale, Istituzione Biblioteche di Roma, CAE-Città dell’Altra Economia, Comitato per un Centro Interculturale a Roma, patrocinata dall’UNHCR, e ha già avuto l’adesione di oltre cinquanta associazioni attive sul fronte dei diritti dei rifugiati e dei migranti, della cooperazione internazionale, del volontariato e dell’integrazione culturale.
Il 20 giugno, a partire dalle ore 17 con i laboratori per bambini e alle ore 18 con la maratona di testimonianze e performance, saranno innanzitutto le voci dei rifugiati a dare il senso di una manifestazione che non vuole essere né rituale né consolatoria, ma piuttosto l’affermazione di diritti iscritti nella nostra carta costituzionale.
Oltre ai racconti, conosceremo tante realtà che dimostrano, con i fatti e le esperienze concrete, che una integrazione è possibile e con essa una convivenza pacifica, che c’è una solidarietà volontaria e disinteressata, alternativa al cinismo e alla corruzione portate alla luce dall’inchiesta della magistratura.

Programma


Dalle 17
Laboratori e letture con Asinitas, Associazione Pisacane 0-11, Nuove diversità, Tana Liberi Tutti

Dalle 18 alle 22
Sekou Djabate - Dj Radio Città Futura
Farzaneh Joorabchi (voce - Iran) e Rashmi V. Bhatt (percussioni - India) 
Luigi Manconi - A Buon Diritto 
Ribka Sibhatu - Eritrea 
Tarek Al Safadi - Siria 
Cir - Rifugiati del Progetto VI.TO - performance da
Nonostante Tutto 
Ejaz Ahmad - Comitato Centro Interculturale Roma 
Liberi Nantes -
L’integrazione è un gioco 
Associazione Pisacane 0-11   
Karalò - sfilata di moda africana 
Civico Zero 
Archivio Memorie Migranti  
Coro Afrique 
Eraldo Affinati - Scuola Penny Wirton 
Giuseppe Cederna  legge le poesie da
Sotto il cielo di Lampedusa 
Coro Multietnico Quintaumentata diretto da Attilio Di Sanza 
Centro di Aggregazione Giovanile MaTeMù - performance voci e musiche 
Black Reality - video tutorial per migranti 
Termini Underground con Juru and FKM 
ArteStudio - video dallo spettacolo
Sabbia 
Abu Hajar (Siria) e Dave Bass (Jamaica) - electro rap 
Nour Eddine (ouetar berbero e voce - Marocco) - da
Solo 
Ore 22
Dobet Gnahorè in concerto (Costa d’Avorio)






Hanno aderito: A Buon Diritto, Alefba, Archivio Memorie Migranti, Asinitas, Associazione Pisacane 0-11, Associazione Carminella, ARCI Roma, Arte Studio Teatri, Babelmed, Barikamà, Bene Rwanda Onlus, Binario 15, Black Reality, Casa dei Diritti Sociali, Casa Africa Onlus, Casa Internazionale delle Donne, Cemea del Mezzogiorno, Centro Astalli, CESV, CIES - Centro Matemù, CIR - Consiglio Italiano Rifugiati, CinemAfrica, Comitato 3 ottobre, Comitato Verità e Giustizia Nuovi Desaparecidos, Destination West Africa, Coro Afrique, Cooperativa Mediterraneo Mosaico di Culture, Coro Multietnico di Attilio Di Sanza, Donne contro il razzismo, Fattorie Migranti, ForumSAD, Frontiere News, Intersos, Karalò, LasciateCIEntrare, Liberi Nantes, Medu - Medici per i Diritti Umani, Nuove Diversità, Piccola Orchestra Torpignattara, Più Culture, RefugeeScart, Rete Scuole Migranti, Scuola Penny Wirton, SPES, Sport Senza Frontiere Onlus, Termini Underground, UNHCR Italia, Wsp Photography, Welcome to Italy, Ziqqurat




sabato 13 giugno 2015

Un Presidente che non cede



di Veronica Tedeschi




Il 26 giugno sarà un giorno decisivo per il Burundi. Le elezioni presidenziali che stanno smuovendo tutto il paese e che hanno creato enormi proteste sono ormai vicine.

Le contestazioni continuano ad aumentare ma, nonostante questo, il Presidente Nkurunziza non cambia idea; 51 anni, molto popolare nelle zone rurali del paese, meno nella capitale Bujumbura, secondo i suoi avversari è spietato e corrotto e la sua decisione di candidarsi ad un terzo mandato, accettata il 5 maggio dalla Corte Costituzionale, ha scatenato nel paese una serie di rivolte che hanno portato a più di 30 morti.

Nessun leader ha mai vinto il braccio di ferro con il suo popolo e, anche nel caso in cui le posizioni tra governo e popolo risultino totalmente diverse, un bravo Presidente dovrebbe dar ascolto ai pensieri della sua gente, alle loro opinioni e necessità. Dopo aver fatto leva sulla questione etnica, sentita più che mai in questo territorio a causa delle rivalità tra hutu (81% della popolazione) e tutsi (16 % della popolazione), Nkurunziza ha esagerato ulteriormente, fondando una milizia (imbonerakure) con lo scopo di schierarla contro gli oppositori. Il Governo ha anche minacciato di usare l’esercito per ristabilire l’ordine senza tener conto della determinazione di un popolo stanco e oppresso, che vuole, ora più che mai, avere il controllo del suo territorio e ristabilire la pace.

Il 13 maggio, la notizia del colpo di stato di Godefroid Nyombare, ha fatto sussultare la popolazione; Nyombare 46 anni, fu il primo hutu ad essere nominato capo di stato maggiore dell’esercito del Burundi ed insieme a Pierre Nkurunziza faceva parte del Cndd-Fdd, fino a quando fu allontanato per aver consigliato al Presidente di non candidarsi ad un terzo mandato.

Sono felice, siamo riusciti a rimuovere un Presidente che aveva tentato di modificare la Costituzione, dopo tutti i conflitti del passato voleva anche un terzo mandato per punirci ma, grazie alla rivolta popolare, abbiamo vinto e non cederemo” dice un manifestante dopo essere venuto a conoscenza del colpo di stato dalle radio locali (le radio pubbliche non hanno passato la notizia). Il colpo di stato è, però, fallito e alla notizia si sono moltiplicati gli attacchi della polizia contro le redazioni e i mezzi d’informazione indipendenti, molti dei quali sono stati costretti a chiudere.

Gran parte dei responsabili del colpo di stato sono stati arrestati ma questo non ha messo fine alle manifestazioni contro Nkurunziza che, nonostante tutto, non ha rinunciato al proposito di ottenere un terzo mandato alle elezioni del 26 giugno. Effetto collaterale, strettamente connesso alle rivolte e alla violenza nel paese, è rappresentato dai 2500 civili che stanno scappando, trasformandosi in migranti spaventati e arrabbiati per dover lasciare il loro Pese. La determinazione di questa popolazione deriva anche dalla stanchezza per la lunga guerra civile subita in questi ultimi anni e delle rivalità tra le fazioni tribali, scoppiate immediatamente dopo il golpe con gli hutu che cercavano vendetta contro i tutsi per l'assassinio di Ndadaye ed i militari tutsi che uccidevano gli hutu nel tentativo di conservare il potere. L'entrata in scena di un Presidente come Pierre Nkurunziza nel 2005, poteva e doveva rappresentare una vera e propria possibilità per uscire dal conflitto ma, nella pratica, non lo è stata.

Le rivolte, per la prima volta in Burundi, non riguardano solamente le differenze etniche ma sono legate ad una lotta di potere nel partito del governo (formato da entrambe le entie) che non vuole mollare; per convincerlo a non candidarsi ad un terzo mandato, si sono alternati membri del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, membri dell'Unione Africana e dell'UE, soprattutto per evitare effetti collaterali quali aumento delle morti e dei migranti. Le elezioni sono ormai vicine e il Presidente non sembra intenzionato a cambiare idea, possiamo solo restare in attesa, con la speranza che le elezioni si svolgano pacificamente e senza ulteriori violenze.
 
 
 

sabato 6 giugno 2015

Un protocollo internazionale per il diritto umano all'acqua


 



Il Comitato Italiano per il Contratto Mondiale sull’Acqua lancia un sito e un trattato per il diritto umano all’acqua.

Al via la campagna per il riconoscimento dell'acqua come diritto umano: è online il nuovo sito WaterHumanRightTreaty.org.

Il Comitato Italiano per il Contratto Mondiale sull'Acqua si fa portavoce di un nuovo importante obiettivo:

garantire, entro il 2020, il diritto umano all'acqua e ai servizi igienici per tutti e l'attuazione del riconoscimento del diritto umano all'acqua della risoluzione delle Nazioni Unite del luglio 2010. Lo strumento necessario per garantire questo diritto essenziale è un trattato di diritto internazionale, firmato dagli Stati, che definisca a livello sostanziale e procedurale, come raggiungere questo diritto.

L'obiettivo della campagna, sostenuta anche da Mani Tese, Ce.Vi. e Cospe è quello di individuare,attraverso la mobilitazione dei cittadini, delle reti internazionali, dei movimenti sociali, ONG e associazioni, un gruppo di Stati e istituzioni disposti ad avviare negoziati per un secondo protocollo al Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e culturali che definisca le modalità di realizzazione di un "diritto umano all'acqua e ai servizi igienico‐sanitari".

E' necessario chiedere ‐afferma Rosario Lembo Presidente di Cicma‐ alla comunità internazionale distabilire norme giuridicamente vincolanti per il diritto all'acqua per realizzare la risoluzione (64/292 luglio 2010), che ha sancito che ‘il diritto all'acqua potabile e ai servizi igienici è un diritto umano essenziale per la qualità della la vita e l'esercizio di tutti i diritti umani’. Si è susseguita poi la risoluzione del Consiglio per i Diritti Umani (15/09 settembre 2010), che afferma che ‘il diritto fondamentale all'acqua e ai servizi igienicosanitari è associata al diritto ad un adeguato standard di vita ed è indissolubilmente legata al miglioramento della salute fisica e mentale e dei servizi igienico‐sanitari come un diritto alla vita e alla dignità’ e sancisce (art. 8, comma a) che spetta agli Stati in prima istanza, la responsabilità di garantire il pieno esercizio di tutti i diritti dell’uomo. Dopo cinque anni non vi è ancora stata alcuna attuazione concreta, mentre l'urgenza di sancire i diritti umani attraverso strumenti giuridici internazionali, nell'attuale processo di globalizzazione, è una priorità”.

In questo momento la campagna è anche uno strumento importante per difendere un diritto fondamentalecome quello all’acqua e contrastare le minacce ai diritti umani provenienti da trattati internazionali, come TTIP, CETA, l'EPA, che mirano ad influenzare la sovranità degli Stati e limitare le restrizioni imposte dalle leggi nazionali, anche costituzionali, in difesa dei diritti umani sanciti la Dichiarazione delle Nazioni Unite.

La campagna WaterHumanRightTreaty è quindi una proposta di azioni aperte al contributo e alla condivisione di movimenti, reti, comitati impegnati nella difesa dell'acqua e dei diritti umani che vogliono contrastare il processo di accaparramento e la finanziarizzazione dei beni comuni e vogliono sottrarre alle multinazionali e al libero mercato, la “governance” dei beni comuni del nostro pianeta.



Maggiori informazioni su: www.waterhumanrighttreaty.org


martedì 2 giugno 2015

La Costituzione italiana in mostra

In occasione dell'anniversario della Repubblica, pubblichiamo alcune immagini della mostra itinerante "I dodici principi fondamentali. La Costituzione italiana in mostra", dodici pannelli che illustrano gli articoli fondamentali. La mostra è curata da Lorenzo Gaetani e Enrico Delitala. Oggi allestita presso Palazzo Isimbardi, a Milano.

 






 
 

sabato 11 aprile 2015


L'Associazione per i Diritti Umani




in collaborazione con LIBRERIA LES MOTS

PRESENTA



DIRITTI AL CENTRO:


La Tunisia oggi. Dalla rivoluzione all'attentato. La democrazia e le donne



Presentazione del saggio “FERITE DI PAROLE. Donne arabe in rivoluzione”

Alla presenza di una delle autrici, IVANA TREVISANI e di MONICA MACCHI; esperta di mondo arabo



MERCOLEDI 15 APRILE



ORE 18.30

presso

LIBRERIA LES MOTS

Via Carmagnola angolo via Pepe (MM 2, GARIBALDI) Milano
 




L’Associazione per i Diritti Umani presenta il secondo appuntamento della serie di incontri dal titolo “DiRITTI AL CENTRO”, che affronta, attraverso incontri con autori, registi ed esperti, temi che spaziano dal lavoro, diritti delle donne in Italia e all’estero, minori, carceri, immigrazione...

In ogni incontro l’Associazione per i Diritti Umani attraverso la sua vice presidente Alessandra Montesanto, saggista e formatrice, vuole dar voce ad uno o più esperti della tematica trattata e, attraverso uno scambio, anche con il pubblico, vuole dare degli spunti di riflessione sull’attualità e più in generale sui grandi temi dei giorni nostri.

Con questo incontro si parlerà di Tunisia, tema, purtroppo, di stretta attualità dopo l'ultimo attentao ISIS: un Paese in fase di trasfromazione, con una Costituzione, che sta andando in direzione della laicità. Parleremo ancora delle donne, della rivolzione che ha dato vita al cambiamento e di cosa chiede la popolazione.


IL LIBRO:


La Tunisia è certamente il paese più presente nelle testimonianze raccolte dalle due autrici. Anzitutto perché patria di Mohamed Bouazizi, l’ambulante che si diede fuoco dopo l’ennesima multa subita per il suo carretto di frutta e verdura. L’importanza che il suo gesto ha avuto per la deflagrazione delle rivolte in Nord Africa (e poi in Medio Oriente) emerge anche dalle parole di sua madre, che ritirando la denuncia nei confronti dell’agente municipale accusata di aver schiaffeggiato Bouazizi, «si è riconosciuta l’autorevolezza necessaria di una decisione in proprio e scivolando alle spalle di un sistema giudiziario, che sentiva improntato più alla vendetta che alla giustizia, ha spiazzato l’intero sistema opinionistico e di informazione mondiale»: «Rivedo Mohamed ogni giorno, negli occhi di tutti i tunisini che incontro. La loro e la mia libertà sono più importanti di ogni altra cosa. Questo è il vero riscatto per la vita di mio figlio!». Sempre in Tunisia, sono ancora ben impresse nella memoria le immagini delle donne e degli uomini in coda ai seggi per le prime elezioni libere dopo Ben Ali. L’assemblea costituente eletta ha provato in due occasioni a inserire nel nuovo testo costituzionale limitazioni alla libertà delle donne, ma in entrambi i casi le proteste, ad esempio il 13 agosto 2012, in quello che in Tunisia è il giorno della donna (in ricordo dell’approvazione, nel 1956, della Convenzione per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne), hanno ottenuto il loro obiettivo: «Le donne non hanno detto la loro ultima parola – scriveva in quei giorni Nadia Chaabane, attivista e componente dell’assemblea costituente – e se qualcuno pensa il contrario si sbaglia di grosso».



LE AUTRICI:

Leila Ben Salah e Ivana Trevisani: la prima è una giornalista italo-tunisina, collaboratrice dell’agenzia Ansa, la seconda è psicologa e antropologa e svolte attività di formazione all’estero per progetti psico-sociali, principalmente con le donne.










giovedì 26 marzo 2015

NO a manifestazioni nazifasciste in città




Appello al Prefetto di Milano Dott. Francesco Paolo Tronca, al Questore di

Milano Dott. Luigi Savina e al Sindaco di Milano Avv. Giuliano Pisapia:





Non è più tollerabile che Milano debba assistere ogni 29 Aprile alla parata

nazifascista che da anni deturpa la nostra città strumentalizzando il ricordo dei tragici episodi da noi duramente condannati, avvenuti quaranta anni fa, con l’uccisione del giovane Sergio Ramelli. Il 29 aprile prossimo ricorrerà il quarantesimo anniversario della morte di Sergio Ramelli.

L’esperienza degli anni passati lascia certamente presagire che tale pur

legittima manifestazione di ricordo sarà il pretesto, come avvenuto in occasione delle manifestazioni precedenti, per frange di neofascisti di tutta Italia, per inscenare l’ennesima parata militare con l’utilizzo e la magnificazione di simboli neonazisti e neofascisti. Naturalmente, non si vuole mettere in discussione il fondamentale principio di libertà di manifestazione del proprio pensiero sancito dall’art. 21 della nostra Carta Costituzionale.

È altresì vero, tuttavia, che tale principio incontra limiti ben precisi e

anch’essi sanciti per Legge laddove si risolva nella apologia del fascismo.
Tutti noi rivolgiamo un forte appello al Sindaco di Milano e invitiamo il Prefetto e il Questore perchè quest’anno, a soli quattro giorni dal settantesimo della Liberazione, a due giorni dalla Festa del Primo Maggio e dall’inaugurazione di EXPO 2015, con la presenza di un nutrito numero di rappresentanze internazionali, non si ripeta questa grave offesa a Milano Città Medaglia d’Oro della Resistenza e venga impedita l’ennesima manifestazione di aperta apologia del fascismo che si porrebbe in aperto contrasto con i principi sanciti dalla Costituzione repubblicana e con le leggi Scelba e Mancino.

Chiediamo pertanto, alla luce di quanto esposto, che la manifestazione e il corteo vengano vietati dalle Autorità competenti.

Milano, 23 marzo 2015





Sottoscrivono l’appello:

Associazione Nazionale Partigiani d’Italia – ANPI Provinciale di Milano;
Associazione Nazionale Perseguitati Politici Antifascisti – ANPPIA Milano;
Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna – AICVAS;
Associazione Nazionale Ex Deportati – ANED di Milano;
Associazione Nazionale Partigiani Cristiani – ANPC;


Associazione per i Diritti Umani;
Federazioni Italiane Associazioni Partigiane – FIAP Lombardia ;
Camera del lavoro Metropolitana di Milano – CGIL;
CISL Milano Metropoli;
UIL Milano e Provincia;
Partito Democratico Area Metropolitana di Milano;
Partito Comunista d’Italia – Milano;
Partito della Rifondazione Comunista – Federazione di Milano;
Sinistra Ecologia Libertà Milano – SEL;
ACLI Milano; ARCI;
Centro Puecher.

sabato 21 marzo 2015

L' appello per il riconoscimento delle etnie Rom e Sinta




L' 8 aprile, “Giornata internazionale del popolo rom”, inizia la campagna per la legge di iniziativa popolare per il riconoscimento della minoranza rom e sinta contemporaneamente in tutta Italia. Il comitato promotore è costituito da rom e sinti depositari della proposta di legge e da personalità e forze politiche e sociali che sostengono la necessità di riconoscere la minoranza rom e sinta come passo fondamentale per contrastare la discriminazione e favorire l’inclusione sociale e culturale della nostra comunità.




APPELLO



Rom e Sinti sono la più grande minoranza europea – oltre 12 milioni distribuiti in tutti i Paesi; non hanno una terra di riferimento, neppure l’India delle lontane origini, non hanno, come altre minoranze, rivendicazioni territoriali, quindi non hanno mai fatto guerre per rivendicare una patria, non hanno sedi di rappresentanza, sono cittadini del luogo nel quale vivono. Rappresentano quindi il perfetto popolo europeo, ma ciononostante sono il popolo più discriminato d’Europa.



In Italia sin dal 1400 Rom e Sinti sono la minoranza storico-linguistica più svantaggiata e più stigmatizzata nonostante gli obblighi internazionali e comunitari dell’Italia e gli interventi di numerose organizzazioni internazionali, tra cui il Consiglio d’Europa, l’OSCE e l’Unione europea. In Italia Rom e Sinti sono circa 150.000, oltre metà cittadini italiani, ma ciononostante continuiamo ad essere considerati fondamentalmente come “estranei” e “nomadi”. Il “nomadismo” moderno è piuttosto rappresentato dall’essere ancora un popolo che vive ai “confini”, non solo fisici, nel tentativo di costruire dei rapporti di pacifica convivenza e di mantenimento della propria identità, che consiste anche in una concezione di vita, che si può anche definire uno stato dell’anima, un modo di vedere il mondo, lo spazio e il tempo che non si possono omologare.



Anche per questa “irriducibilità” all’omologazione, le amministrazioni pubbliche non hanno mai fatto una politica che non fosse quella del contenimento e della marginalizzazione delegandone la gestione al privato sociale. Eppure la partecipazione di rom e sinti alla vita collettiva con il proprio contributo umano e culturale è fondamentale per superare l’esclusione, la marginalizzazione di un popolo che ha attraversato secoli di discriminazione fino allo sterminio razziale e che non deve rimanere confinato nei ghetti fisici e spirituali, nei quali troppo spesso viene relegato destinandolo all’assistenza e non alla propria responsabilità.


La proposta di legge di iniziativa popolare “NORME PER LA TUTELA E LE PARI OPPORTUNITA’ DELLA MINORANZA STORICO-LINGUISTICA DEI ROM E DEI SINTI “ presentata da 14 cittadini italiani in rappresentanza di 47 associazioni rom e sinte il 15 maggio 2014 presso la Corte di Cassazione vuole realizzare gli articoli 3 e 6 della Costituzione che prevedono la pari dignità sociale e l’eguaglianza davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di etnia, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali; la tutela di tutte le minoranze storico-linguistiche con apposite norme; contrastare discriminazione e pregiudizio nei confronti della minoranza rom e sinta che sono causa della scarsa integrazione nella società e soprattutto della marginalizzazione sociale ed economica anche per il loro mancato riconoscimento istituzionale come minoranza.


Il disegno di legge di iniziativa popolare si articola in diversi punti:




la specifica tutela del patrimonio linguistico-culturale della minoranza rom e sinta, con istituti analoghi a quelli previsti dalla legge n. 482/1999 per tutte le altre minoranze (diritto allo studio e all’insegnamento della lingua, diffusione della cultura e delle tradizioni storico-letterarie e musicali);



l’incentivo e la tutela delle associazioni composte da Rom e Sinti, conforme alla libertà di associazione prevista dall’articolo 18 della Costituzione per favorire la partecipazione attiva e propositiva alla vita sociale, culturale e politica del Paese;


il diritto di vivere nella condizione liberamente scelta di sedentarietà o di itineranza, di abitare in alloggi secondo una pluralità di scelte secondo le norme della Convenzione-quadro per la tutela delle minoranze nazionali di Strasburgo dell’1 febbraio 1995, le raccomandazioni del Consiglio d’Europa, dell’OCSE e della Commissione europea e la Strategia nazionale d'inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti;


norme che sanzionino le discriminazioni fondate sull'appartenenza ad una minoranza linguistica in attuazione del principio costituzionale di eguaglianza senza distinzione di lingua e di etnia.




Chi condivide questo appello condivide la convinzione che il riconoscimento della minoranza rom e sinta, della sua storia, della sua cultura, insomma della sua identità consente di accogliere rom e sinti nella comunità più generale insieme con tutte le altre identità che costituiscono il nostro patrimonio nazionale.



Promotori della proposta di legge di iniziativa popolare:




Dijana Pavlovic, Davide Casadio, Saska Jovanovic, Ernesto Grandini, Manuel Solani, Cen Rinaldi, Yose Bianchi, Giorgio Bezzecchi, Concetta Sarachella, Donatella Ascari, Massimo Lucchesi, Carlo Berini, Paolo Cagna Ninchi, Alessandro Valentino




Adesioni:

Alma Adzovic (mediatrice), Osmani Bairan (AIZO), Rita Bernardini (segretaria nazionale Radicali Italiani), Antun Blazevic (Associazione TheaterRom), Paolo Bonetti (Università Bicocca di Milano), Luca Bravi (storico), Marco Brazzoduro (Associazione Cittadinanza e Minoranze), Alberto Buttaglieri (SOS razzismo), Giuseppe Casucci (Dipartimento immigrazione UIL), Roland Ciulin (giornalista), Giuseppe Civati (parlamentare), Furio Colombo (giornalista), Giacomo Costa (Fondazione San Fedele), (Kurosh Danesh (Dipartimento immigrazione CGIL), Chiara Daniele (ricercatrice), Giancarlo De Cataldo (scrittore), Michele Di Rocco (campione europeo pesi leggeri), Roberto Escobar (Università Statale Milano), Paolo Ferrero (segretario Partito della Rifondazione comunista), Eleonora Forenza (europarlamentare), Mercedes Frias (Associazione Prendiamo la parola), Dori Ghezzi (Fondazione Fabrizio De André), Alfonso Gianni (Fondazione Cercare Ancora), Graziano Halilovic (Associazione Roma onlus), Laura Halilovic (regista), Selly Kane (Dipartimento immigrazione CGIL), Curzio Maltese (europarlamentare), Luigi Manconi (presidente Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani), Filippo Miraglia (ARCI), Moni Ovadia (autore-attore), Francesco Palermo (parlamentare), Marco Pannella (Presidente del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito), David Parenzo (giornalista), Loris Panzeri (GRT), Pino Petruzzelli (autore-attore), Marco Revelli (storico e sociologo), Paolo Rossi (autore-attore), Giuseppe Sangiorgi (Istituto Luigi Sturzo), Angela Scalzo (Dipartimento immigrazione UIL), Pietro Soldini (CGIL nazionale), Giovanna Sorbelli (Associazione EU Donna), Barbara Spinelli (europarlamentare), Santino Spinelli (docente, musicista), Gennaro Spinelli (Associazione FutuRom), Carlo Stassolla (Associazione 21 luglio), Voijslav Stojanovic (Associazione Nonsolorom), Vladimiro Torre (Associazione Them Romanò), Antonio Tosi (Politecnico di Milano), Elena Valdini (Fondazione Fabrizio De André), Tommaso Vitale (Direttore scientifico Master “Governing the Large Metropolis” Sciences Po, Parigi), Alex Zanotelli (missionario comboniano), Alessandra Montesanto (Associazione per i Diritti Umani) Giacomo Costa (Aggiornamenti sociali), Dario Fo (premio Nobel)






giovedì 19 marzo 2015

Perchè l'Isis ha attaccato la Tunisia



Dalla scorsa primavera la Tunisia ha una Costituzione. E' un Paese che sta cambiando e sta andando in direzione della laicità: probabilmente questi sono i motivi per cui i fanatici dell'Isis l'hanno colpito.

Le vittime dell'attacco terroristico al Museo del Bardo di Tunisi sono, fino al momento in cui scriviamo, 22 e 50 i feriti, tra questi anche alcuni italiani. Le altre vittime sono di nazionalità polacca, tedesca e spagnola, in un bilancio che include due jihadisti e un agente delle forze di sicurezza morti nel blitz che ha portato alla liberazione degli ostaggi.
Il premier tunisino ha affermato che il commando era composto da cinque persone, ancora non identificate. Habib Essid ha inoltre annunciato di aver preso "provvedimenti urgenti", in particolare "misure preventive per tutelare la stagione turistica". Colpire turisti occidentali è un messaggio chiaro verso l'Occidente intero.

L'Associazione per i Diritti Umani si è occupata più volte delle trasformazioni in atto in Tunisia e di mondo arabo, per cui vi ripropone il video dell'incontro con Monica Macchi e Ivana Trevisani, autrice del saggio “Ferite di parole”, edito da Poiesis.



Vi anticipiamo che, a brevissimo, l'associazione vi proporrà un altro incontro pubblico di aggiornamento su questi temi. Con le nostre ospiti e una sorpresa video.


mercoledì 25 febbraio 2015

Convenzione del Consiglio d'Europa contro la violenza sulle donne



Il Ministro del Lavoro, delle Politiche Sociali e delle Pari Opportunità Elsa Fornero, alla presenza del Vice Segretario Generale del Consiglio d’Europa Gabriella Battaini-Dragoni, ha firmato a Strasburgo la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica. La firma segue la mozione unitaria del Senato su questo tema votata il 20 settembre ed è accompagnata da una nota verbale in cui si specifica che la firma avviene nel rispetto dei principi della Costituzione italiana.

Nel loro incontro a Strasburgo, al quale ha preso parte anche il Sottosegretario agli Esteri Marta Dassù, il Ministro Elsa Fornero e il Vice Segretario Generale del Consiglio d’Europa Gabriella Battaini-Dragoni hanno sottolineato che la firma della Convenzione da parte dell'Italia è un passo fondamentale per proseguire l’azione del Paese contro queste forme di violenza che colpiscono le donne e le bambine.

La Convenzione di Istanbul, aperta alla firma l’11 maggio del 2011, costituisce oggi il trattato internazionale di più ampia portata per affrontare questo orribile fenomeno e tra i suoi principali obiettivi ha la prevenzione della violenza contro le donne, la protezione delle vittime e la perseguibilità penale degli aggressori. La Convenzione mira inoltre a promuovere l’eliminazione delle discriminazioni per raggiungere una maggiore uguaglianza tra donne e uomini. Ma l’aspetto più innovativo del testo è senz’altro rappresentato dal fatto che la Convenzione riconosce la violenza sulle donne come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione.

All’indomani dell’approvazione in Senato del DDL di ratifica della Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori dall’abuso e dallo sfruttamento sessuale, il via libera alla firma della Convenzione di Istanbul ha rappresentato l’ulteriore segnale di una piena “consapevolezza che è di conforto al Governo” - afferma il Ministro Fornero - “e gli dà la forza per continuare in questa azione di diffusione di una cultura che rifiuti la violenza e la sanzioni, ma soprattutto che faccia crescere in ciascuno di noi qualcosa di positivo proprio nell’accettazione del prossimo”. E proprio sulla scia della recente approvazione del disegno di legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote, l’auspicio è che il disegno di legge di ratifica della Convenzione di Istanbul, di prossima presentazione, possa ricevere la stessa condivisione in sede parlamentare e venga approvato in tempi rapidi.

“Desidero sottolineare l'aspetto innovativo della Convenzione del Consiglio d'Europa alla cui elaborazione l'Italia ha molto contribuito - afferma il vice-Segretario Generale Gabriella Battaini-Dragoni; la Convenzione di Istanbul è una delle ultime preparate a Strasburgo e può essere ratificata anche da paesi non europei come quelli della politica di vicinato”.



martedì 10 febbraio 2015

Il dossier. Art.3: lo stato dei diritti in Italia



Disabilità e persona; omosessualità e diritti; dallo ius migrandi all'inclusione; profughi e richiedenti asilo; l'accesso alla giustizia; la tutela dei minori; istruzione e mobilità sociale.; libertà religiosa: questi sono alcuni degli argomenti trattati nel primo Dossier sullo stato dei diritti in Italia intitolato: “L’Articolo 3. Primo Rapporto sullo stato dei diritti in Italia” (Ediesse 2014, a cura di Stefano Anastasia, Valentina Calderone e Lorenzo Fanoli)

Si tratta di un rapporto periodico realizzato dall'Associazione “A buon diritto” con il finanziamento di Open Society Foundation e con il sostegno della Compagnia di San Paolo: in 360 pagine vengono analizzati e approfonditi i temi relativi ai diritti fondamentali della persona, proprio perchè l'intento è quello di monitorarne l'attuazione nel nostro Paese.

L'art. 3 della Costituzione enuncia i due principi di eguaglianza formale («tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali») e sostanziale («è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»). La Carta costituzionale garantisce i diritti solo ai cittadini (italiani), mentre in Italia soggiornano milioni di cittadini della Unione Europea, per i quali sono i trattati intercomunitari a garantire i medesimi diritti fondamentali dei cittadini italiani, ma anche milioni di cittadini stranieri di cittadinanza extra-comunitaria, buona parte in maniera legale (cioè muniti di permesso di soggiorno in Italia) e parte in maniera illegale anche ai quali è la Convenzione dei diritti dell'uomo a garantire i diritti fondamentali, anche se la Corte europea per i diritti dell'uomo (CEDU) ha parecchie volte sanzionato l'Italia per violazione di tale convenzione. A molti sembra opportuno che una revisione della Costituzione (di cui si parla da anni) affronti anche questo problema, parificando i diritti almeno dei regolarmente residenti stranieri in Italia a quelli dei cittadini, anche se sarebbe opportuno che la Costituzione espressamente garantisse i diritti umani fondamentali a tutti coloro che per qualunque ragione si trovino in Italia, così come l'Italia si è impegnata a fare sottoscrivendo e ratificando le convenzioni internazionali.

Ecco, quindi, l'importanza del dossier: ogni sezione tematica è affidata ad un esperto di settore; il dossier, inoltre, presenta una corposa cronologia degli eventi più importanti che hanno influito sulla tutela giuridica dei diritti di base negli ultimi anni. Gli scritto sono di: Daniela Bauduin, Valentina Brinis, Valentina Calderone, Valeria Casciello, Angela Condello, Ulderico Daniele, Angela De Giorgio, Silvia Demma, Valeria Ferraris, Domenico Massano, Caterina Mazza, Ezio Menzione, Paolo Naso, Giovanna Pistorio, Federica Resta, Mauro Valeri. Altri contributi di: Alessandro Leogrande e Eligio Resta.

La tutela e l'effettività dei diritti umani non è affare esotico che riguarda lande e continenti lontani. Al contrario, è bene partire da noi, prima di andare in giro per il mondo a predicarne il valore e l'urgenza. L'Art.3 è un resoconto e un progetto politico. Il progetto politico della Costituzione repubblicana e del principio d'uguaglianza scritto in nome della dignità e dei diritti di ogni essere umano”, queste le parole di Luigi Manconi, Presidente dell'Associazione “A buon diritto” e della Commissione Diritti Umani del Senato. “La dignità è di ogni essere umano in quanto tale e dunque la dignità, prosegue Manconi, «si presenta sulla scena pubblica come fattore di valutazione e di commisurazione di quei valori di libertà, eguaglianza, solidarietà su cui si fondano le nostre società e i nostri regimi democratici. Come la storia degli ultimi due secoli insegna, non c’è libertà, non c’è eguaglianza, non c’è reciprocità senza il riconoscimento della dignità di ciascun essere umano in relazione con i suoi simili.

E noi, dell'Associazione per i Diritti Umani di Milano, non possiamo che essere d'accordo!

Seguite, quindi, anche le nostre iniziative pubbliche in cui diamo voce – attraverso le parole e l'operato di esperti, professionisti, autori – a chi non ce l'ha.