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sabato 6 giugno 2015

Concorso: un manifesto contro l'odio








I progettisti sono invitati a inviare manifesti a sostegno di una legge laica e universale contro il comunitarismo, la xenofobia, l’omofobia e la misoginia. La libertà di espressione comprende il diritto di criticare e irridere quello che è considerato un tabù tra cui la religione ed è una libertà completamente diversa dai discorsi di odio contro le minoranze, gli immigrati, i musulmani…

Questo concorso ha lo scopo di aiutare la campagna di CEBM a favore della libertà di espressione e contemporaneamente denunciare la paura, le minacce, la pressione sociale o le coercizioni che creano un clima di censura e di silenzio.

DATA DI SCADENZA 10 SETTEMBRE 2015

Termini e condizioni:


• non vi è alcuna quota d'iscrizione

presentazione in formato A2
• file in formato EPS o JPG o TIFF o DPI; a parte un file DOC o TXT o RTF con il nome del progettista, contatto informazioni (e-mail, sito web), i crediti per la fotografia o illustrazione, se necessario, e una sintesi di 100 parole per spiegare l'idea

i partecipanti possono lavorare singolarmente o in team

tutte le comunicazioni devono essere inviate alla mail aposteragainsthate@gmail.com

i vincitori saranno annunciati in ottobre 2011



Per qualsiasi altra informazione, contattare Julius Wiedemann a aposteragainsthate@gmail.com



lunedì 1 giugno 2015

Una riflessione su «Il silenzio e il tumulto» di Nihhad Sirees

 






di Monica Macchi     (da La bottega del Barbieri)





La settimana scorsa a Milano l’Associazione per i Diritti Umani ha organizzato un incontro sui profughi in fuga dalla Siria, la cui situazione è stata raccontata attraverso il romanzo «Il silenzio e il tumulto» (*) di Nihhad Sirees.

Il titolo è la chiave di lettura del libro: il Tumulto è quello del potere e della propaganda del regime mentre il Silenzio è di vari tipi; può essere il silenzio della prigione, della tomba, quello che evita i guai, quello che permette ai suoni melodiosi di arrivare fino a noi ma è anche il silenzio in cui è ridotto Fathi, uno scrittore-giornalista accusato di essere “non-patriota” e che nel giorno del 20° anniversario della presa del potere del Leader cerca di sfuggire al tumulto delle manifestazioni.

Il libro è il racconto di questa giornata in cui si intrecciano diverse storie (uno studente picchiato, un medico che si interroga sul nome da dare alla perdita di rispetto per la vita umana, alcuni addetti agli interrogatori…) e diventa un ritratto dei meccanismi del regime attraverso la paura, la responsabilità e l’Arte. Se la paura è l’arma predominante, si intreccia strettamente alla responsabilità individuale (l’autore scrive “siamo schiavi per colpa nostra” lanciandosi in una dissertazione sulla differenza tra i Persiani e i Macedoni nella divinizzazione di Alessandro Magno…) ma soprattutto dell’intellettuale che si ribella “non per il gusto di ribellarsi ma perché non gli piace quello che succede”. Infatti l’arte diventa «patriottica» che sa manipolare l’umore nazionale e suscita l’ardore per il Leader: gli slogan vengono creati da poeti in quanto la poesia, e in particolare il ritmo e l’allitterazione, impedisce la riflessione e dissolve l’individualità nella folla. Ma oltre alla ribellione aperta ci sono altre strategie di resistenza incarnate dalle 3 figure femminili: Lama, l’amante, Samira, la sorella e Ratiba Khanem, la madre. La madre rappresenta la scelta dell’indifferenza, del “lasciar perdere” perché le vicende quotidiane sono prive di importanza e la compensazione è la cura dell’aspetto esteriore: pur di assecondare la sua fragile vanità, tradisce gli ideali del figlio e anche la memoria del padre. L’amante rappresenta il sesso, un grido contro il silenzio che restituisce l’equilibrio e toglie le maschere del pudore e della vergogna permettendo di ridere e scherzare. La sorella rappresenta l’umorismo e l’ironia (si può ridere del Partito ma non del Leader) ma anche l’auto-ironia e alla fine del libro dà il consiglio fondamentale per sopravvivere nel regime: “sii idiota tra gli idioti e ridine”.




(*) Pubblicato in Libano nel 2004 e poi tradotto in tedesco, francese, inglese (ha vinto il Premio Pen Writing in translation nel 2013) e ora in italiano dalla casa editrice Il Sirente.


giovedì 14 maggio 2015

Progetto DONNE TEATRO DIRITTI


  


    
Sperando di fare cosa gradita, l'Associazione per i Diritti Umani vi segnala lo spettacolo seguente, con una promozione dedicata ai nostri lettori.
Dal libro di Ileana Alesso, Il Quinto Stato, dal Museo di Pellizza a Volpedo e dagli Archivi degli eredi (Famiglia Del Conte) Partendo dalle origini del capolavoro esposto nel Museo del Novecento a Milano e grazie alla meticolosa ricostruzione dell’avv.Ileana Alesso,vivono sulla scena 100 anni di leggi sul lavoro delle donne,di conquiste,di diritti negati,persi e riguadagnati. 100 anni di storie,canzoni,film,immagini,poesie. Al centro,le donne. Alcune famose,altre sconosciute.
Dal 20 al 22 maggio 2015 DAL QUARTO AL QUINTO STATO - Storie di donne, leggi, conquiste da un quadro a un libro alla scena. In questa occasione siamo liete di offrire a lei, ai suoi collaboratori, ai suoi lettori e a tutte le donne che visitano la pagina/sito e partecipano alle vostre iniziative, una promozione speciale per assistere allo spettacolo: la riduzione del biglietto d’ingresso a 12,00 € (+1,50€ prev.), per tutti i giorni di rappresentazione nei giorni 21 e 22 maggio. Mentre per la data del 20 maggio, in occasione della prima dello spettacolo riduzione del biglietto d’ingresso a 8€ presentando questa comunicazione.

Colgo l'occasione inoltre per ricordarle inoltre che ogni serata verrà introdotta da nostre ospiti:
mercoledì 20 maggio 2015
Elisabetta Silva Presidente Associazione Nazionale Donne Giuriste, Sezione di Milano e Anita Sonego Presidente Commissione Pari Opportunità Comune di Milano


giovedì 21 maggio 2015
Luisa Bordiga Coordinatrice Consulta Milanese per la Laicità delle Istituzioni e Ilaria Li Vigni Presidente Commissione Pari Opportunità Ordine degli Avvocati di Milano


venerdì 22 maggio 2015
Grazia Cesaro Presidente Camera Minorile di Milano e Susanna Galli Giudice Onorario Tribunale per i minorenni di Milano


     
Info e prenotazioni: biglietteria@pacta.org / 0236503740

sabato 25 aprile 2015

Freedom, Equality, Secularism: ecco la nostra cultura



di Monica Macchi


Per celebrare i 20 anni di Marea, “rivista femminista”, è stato organizzato a Genova un seminario pubblico sulla laicità come arma per lottare contro tutti i fondamentalismi che si basano sull’asse patriarcato-uso politico della religione. Sono intervenute Marieme Helie Lucas (sociologa algerina fondatrice della rete Wluml, Women Living Under Muslim Laws), Nadia Al Fani (regista tunisina di “Laicitè, inshallah”), Maryam Namazie (iraniana fondatrice di One law for all) e Inna Shevchenco (leader ucraina di Femen).








Marieme Helie Lucas ha posto l’accento su due fenomeni contigui ma non esattamente sovrapponibili cioè la crescita dell’estrema destra xenofoba e dell’estrema destra religiosa dove Islam e Cristianesimo hanno gli stessi valori e le stesse rivendicazioni (come dimostrato ad esempio alla conferenza di Rio+20 quando l’OIC-Organizzazione per la Cooperazione Islamica e la Santa Sede si sono alleati contro il paragrafo 244 sui diritti di riproduzione). Spesso le forze progressiste in Europa giustificano il fondamentalismo islamico dicendo che “bisogna rispettare la loro cultura” ma non esiste un’unica cultura musulmana ed inoltre cultura e religione non sono sinonimi: per questo bisogna decidere con chi dialogare. E’ un suicidio politico lasciare che le risposte della destra estrema siano le uniche risposte possibili anche perché c’è il rischio di abbandonare la nozione di universalismo e cittadinanza per approdare al comunalismo dove i diritti diversi in base alla comunità di appartenenza: solo la laicità può dunque garantire democrazia ed uguaglianza di fronte alla legge. Inoltre la sinistra deve capire di sostenere le forze progressiste perché solo insieme possiamo cambiare la narrazione sulle donne: così l’intervento di Maryam Namazie si è incentrato sulla vicenda di Farkhondeh accusata di aver bruciato il Corano e per questo aggredita e lapidata a Kabul da una folla inferocita. Ebbene in Occidente si è parlato pochissimo di questa storia ma ancor meno della resistenza delle donne che dopo aver protestato hanno portato a spalle la bara in modo che nessun altro uomo la toccasse, hanno marciato intorno alla bara, hanno intonato canti e quando il Mullah che ha giustificato l’omicidio ha intonato la preghiera gli hanno impedito di avvicinarsi e l’hanno costretto ad andarsene. Ma la resistenza delle donne ha avuto altri risultati, ad esempio suo fratello Najibullah ha preso come secondo nome Farkhondeh; le è stata intitolata la strada in cui è stata uccisa e ci sono stati 28 arrestati e 13 poliziotti sospesi.




Inna Shevchenco ha parlato del termine “ateo” che nell’uso corrente ha un’accezione negativa che limita la libertà di espressione oltre a concedere spazio agli estremisti: così la legge omofobica in Russia usa l’argomentazione che la propaganda gay può offendere la sensibilità dei russi. Bisogna imporre il dibattito sulla laicità riconoscendo che esistono anche gli atei e riconoscerne il valore positivo. Analogamente Nadia El-Fani nel suo film inizialmente titolato Ni Allah ni maître («Né Allah, né padroni», richiamo al motto anarchico Né Dio, né Stato, né servi, né padroni) e poi, dopo le minacce di morte cambiato in Laïcité, Inch’Allah! («Laicità, se Dio vuole!») tocca un tema chiave dell’agenda politica tunisina, cioè il riconoscimento di pieni diritti per i fedeli di tutte le religioni ma anche per gli atei. La richiesta fondamentale è la separazione tra diritto e religione per evitare, come succede invece in Marocco, di essere arrestati se non si rispetta pubblicamente il digiuno durante il Ramadan.

Trailer del film https://www.youtube.com/watch?v=SDPz0UcaMVM

martedì 14 aprile 2015

Manifesto per la laicità (adottato il 12 ottobre 2014 a Londra)



Da Londra un importante documento che svela cosa si cela dietro i fondamentalismi e propone le necessarie contromisure. Il manifesto per la laicità è stato redatto durante la Conferenza internazionale sulla destra religiosa, la laicità e i diritti civili.

Sempre nel rispetto di tutti e di tutte le convinzioni, ne pubblichiamo il testo di seguito.
 
 


La nostra epoca è caratterizzata dalla crescita della destra religiosa - non a causa di una "rinascita religiosa" - ma piuttosto a causa del sorgere di movimenti politici e di stati di estrema destra che utilizzano la religione per la supremazia politica. Questa crescita è una conseguenza diretta del neo-conservatorismo e del neoliberismo e delle politiche sociali del comunitarismo e del relativismo culturale. Universalismo dei diritti, laicità e diritti civili sono stati abbandonati e la segregazione delle società e delle "comunità" su base etnica, religiosa e culturale è diventata la norma.

Lo Stato Islamico ( ISIS), il regime dell’Arabia Saudita, Hindutva (Rashtriya Swayamsevak Sangh) in India, la Destra cristiana negli Stati Uniti e in Europa, Bodu Bala Sena in Sri Lanka, Haredim in Israele, AQMI e MUJAO in Mali, Boko Haram in Nigeria, i Talebani in Afghanistan e Pakistan, la Repubblica Islamica dell'Iran e il Fronte Islamico per la Salvezza (FIS) in Algeria sono esempi di tutto questo.

Per molti decenni i popoli del Medio Oriente, del Nord Africa, dell’Asia meridionale e della diaspora sono stati le prime vittime, ma anche la prima linea di resistenza contro la destra religiosa (sotto la forma di Stati religiosi, di organizzazioni o di movimenti) e in difesa della laicità e dei diritti universali, spesso con grande rischio per la loro vita.

Invitiamo le persone in tutto il mondo a stare con noi per creare un fronte internazionale contro la destra religiosa e per la laicità.





Chiediamo:


Completa separazione della religione dallo stato. La laicità è un diritto fondamentale.




Separazione della religione dalla sfera pubblica, compreso il sistema di istruzione, assistenza sanitaria e la ricerca scientifica.


Abolizione delle leggi religiose nel diritto di famiglia, civile e penale.


Fine della discriminazione e della persecuzione contro le persone LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender), le minoranze religiose, le donne, i liberi pensatori, gli ex-musulmani e altri.


Libertà di religione e di ateismo e libertà di criticare le religioni. La credenza è un fatto privato.



Parità tra donne e uomini e diritti civili per tutti.





Per firmare il Manifesto per la Laicità: clicca qui. Per il video della conclusione dell’evento, con l’intervento finale dell’attivista iraniana per i diritti civili Maryam Namazie: https://www.youtube.com/watch?v=m-y3KsitfxY.

sabato 11 aprile 2015


L'Associazione per i Diritti Umani




in collaborazione con LIBRERIA LES MOTS

PRESENTA



DIRITTI AL CENTRO:


La Tunisia oggi. Dalla rivoluzione all'attentato. La democrazia e le donne



Presentazione del saggio “FERITE DI PAROLE. Donne arabe in rivoluzione”

Alla presenza di una delle autrici, IVANA TREVISANI e di MONICA MACCHI; esperta di mondo arabo



MERCOLEDI 15 APRILE



ORE 18.30

presso

LIBRERIA LES MOTS

Via Carmagnola angolo via Pepe (MM 2, GARIBALDI) Milano
 




L’Associazione per i Diritti Umani presenta il secondo appuntamento della serie di incontri dal titolo “DiRITTI AL CENTRO”, che affronta, attraverso incontri con autori, registi ed esperti, temi che spaziano dal lavoro, diritti delle donne in Italia e all’estero, minori, carceri, immigrazione...

In ogni incontro l’Associazione per i Diritti Umani attraverso la sua vice presidente Alessandra Montesanto, saggista e formatrice, vuole dar voce ad uno o più esperti della tematica trattata e, attraverso uno scambio, anche con il pubblico, vuole dare degli spunti di riflessione sull’attualità e più in generale sui grandi temi dei giorni nostri.

Con questo incontro si parlerà di Tunisia, tema, purtroppo, di stretta attualità dopo l'ultimo attentao ISIS: un Paese in fase di trasfromazione, con una Costituzione, che sta andando in direzione della laicità. Parleremo ancora delle donne, della rivolzione che ha dato vita al cambiamento e di cosa chiede la popolazione.


IL LIBRO:


La Tunisia è certamente il paese più presente nelle testimonianze raccolte dalle due autrici. Anzitutto perché patria di Mohamed Bouazizi, l’ambulante che si diede fuoco dopo l’ennesima multa subita per il suo carretto di frutta e verdura. L’importanza che il suo gesto ha avuto per la deflagrazione delle rivolte in Nord Africa (e poi in Medio Oriente) emerge anche dalle parole di sua madre, che ritirando la denuncia nei confronti dell’agente municipale accusata di aver schiaffeggiato Bouazizi, «si è riconosciuta l’autorevolezza necessaria di una decisione in proprio e scivolando alle spalle di un sistema giudiziario, che sentiva improntato più alla vendetta che alla giustizia, ha spiazzato l’intero sistema opinionistico e di informazione mondiale»: «Rivedo Mohamed ogni giorno, negli occhi di tutti i tunisini che incontro. La loro e la mia libertà sono più importanti di ogni altra cosa. Questo è il vero riscatto per la vita di mio figlio!». Sempre in Tunisia, sono ancora ben impresse nella memoria le immagini delle donne e degli uomini in coda ai seggi per le prime elezioni libere dopo Ben Ali. L’assemblea costituente eletta ha provato in due occasioni a inserire nel nuovo testo costituzionale limitazioni alla libertà delle donne, ma in entrambi i casi le proteste, ad esempio il 13 agosto 2012, in quello che in Tunisia è il giorno della donna (in ricordo dell’approvazione, nel 1956, della Convenzione per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne), hanno ottenuto il loro obiettivo: «Le donne non hanno detto la loro ultima parola – scriveva in quei giorni Nadia Chaabane, attivista e componente dell’assemblea costituente – e se qualcuno pensa il contrario si sbaglia di grosso».



LE AUTRICI:

Leila Ben Salah e Ivana Trevisani: la prima è una giornalista italo-tunisina, collaboratrice dell’agenzia Ansa, la seconda è psicologa e antropologa e svolte attività di formazione all’estero per progetti psico-sociali, principalmente con le donne.










venerdì 10 aprile 2015

Babylon: il cinema, la Tunisia, l'attualità


di Monica Macchi e Paolo Castelletti   (da formacinema.it)



Babylon si configura sia come un esperimento sul linguaggio che come un esperimento di utilizzo del materiale: infatti durante le riprese, i tre registi hanno diffuso in tempo reale tramite Internet video, fotografie, clip audio, testi open source invitando chiunque volesse, a riutilizzarli per creare nuove opere.





Sono state fatte mostre sui diversi lavori e anche un film-concerto di Zied Meddeb Hamrouni in cui ha mixato dal vivo la colonna sonora originale del film. Questo film non recitato può essere dunque considerato un “ipertesto” o come ha scritto Vertov un “film che produce film” nel senso che ogni inquadratura può essere utilizzata per altre ricostruzioni. Del resto, la comprensione dell’immagine dipende dalla correlazione con quelle che la precedono (secondo il cosiddetto “effetto Kulešov”) e questo flusso organizza le percezioni ed i processi interpretativi dello spettatore. Inoltre Babylon sarà proiettato nell'ambito della mostra “Le Pont” (http://www.mp2013.fr/evenements/2013/05/le-pont/) fino al 20 ottobre 2013 al Museo di Arte Contemporanea di Marsiglia (capitale europea della cultura 2013), un evento che ospita più di cento lavori di artisti provenienti da tutto il mondo (tra cui Marina Abramovich e Basquiat) sul concetto di migrazione e “deplacement”.

Quando è scoppiata la rivoluzione tunisina nessuno dei tre registi ha deciso “a caldo” di filmarne gli eventi. E dopo che la loro società di produzione Exit viene saccheggiata dalla polizia il 14 gennaio, decidono insieme al produttore Chawki Knis di andare a Choucha, un campo profughi a sette chilometri dal valico di frontiera di Ras Jdir e a tre chilometri dalla città di Ben Guerdanne (già teatro all'inizio del 2010 di una rivolta). Quasi un milione di persone di tutte le nazionalità e le lingue sono in fuga dai combattimenti tra i rivoluzionari e le truppe lealiste di Gheddafi. In Libia erano infatti presenti moltissimi migranti provenienti soprattutto dall’Africa Sub-Sahariana, che, dal punto di vista interno erano funzionali al sostenimento dell’economia libica e dal punto di vista internazionale erano funzionali al cambiamento della figura di Gheddafi che voleva passare dall’essere leader panarabo all’essere leader panafricano. Ma sin dai primi giorni delle rivolte si scatena la “caccia al nero” definiti “mercenari di Gheddafi” che scappano quindi verso la Tunisia. Il gruppo si propone di essere un “gruppo di auto-creazione” (in riferimento ai “gruppi di auto-difesa” in cui si erano organizzati i tunisini), senza l'idea di girare un film ma con l’intento di “mettere gli occhi su un frammento di Tunisia che ha vissuto un tempo diverso e un evento diverso…siamo stati attratti dal campo così come andava emergendo tra due territori in rivoluzione, in una no revolution’s land….non crediamo che la rivoluzione sia un evento compatto e limitato nel tempo, al contrario è complesso e frammentato”. E mentre sono entrati in contatto col campo, i rifugiati ed il territorio circostante (non solo Choucha ma anche Zarzis, Djerba e Medenine), il film ha iniziato a prender forma, una costruzione formale che però non diventa pura osservazione perché, come hanno ribadito i registi, “non crediamo nel mito dell'oggettività, anche se  non abbiamo mai dato alcuna indicazione alle persone”.
Secondo la descrizione di uno dei registi “Questo film è una tragedia in cinque atti” con una struttura in cinque parti distinte, separate da schermi neri: lo spazio prima dell'arrivo dei profughi in cui ci si sofferma sulla natura (in particolare sul deserto e sugli alberi, che osservano “come l'umanità cresce e poi distrugge se stessa”) e su come essa si trasforma in base al passaggio dei profughi; l'occupazione del campo; l'organizzazione della vita della tendopoli; l'emergere di tensioni e rapporti di potere al suo interno; ciò che resta dopo la partenza dei profughi. Dopo una lunga sequenza iniziale su grotte e vegetazione del deserto incentrata, con primi piani temporali, su uno scarafaggio che fa rotolare una sterpaglia al rumore del vento; iniziano ad arrivare ruspe, tende e telecamere e poi giornalisti, operatori umanitari e profughi che costituiscono la singolarità plurale che attraversa la tendopoli.
Tendopoli che è la vera protagonista del film, un luogo effimero nato dal nulla in mezzo al nulla, destinato ad essere costruito per poi essere rapidamente distrutto, caratterizzato da un movimento incessante dei rifugiati, una galleria di personaggi senza alcun protagonista, che tagliano lo schermo come in una danza…Ed il movimento della danza permea di sé anche una delle sequenze più significative del film: il corteo di protesta dei bengalesi che si muove sinuoso come un serpente passandosi un corpo, non si riesce a capire se morto o svenuto; ma è presente anche nei piccoli spettacoli inscenati per passare il tempo e nella candela sotto la tenda in cui alcuni nigeriani parlano di Dio. Nel film si susseguono così inquadrature di “storie nella storia” che scivolano le une sulle altre senza dare alcun appiglio allo spettatore se non quello di lasciarsi sommergere dal flusso visivo e linguistico di un movimento effimero. Non si tratta quindi di una o più persone che raccontano lo spazio ma di uno spazio che racconta le persone inserite in un ambiente da cui traggono significato e che esalta le potenzialità delle immagini liberate dalla rigidità della parola. La scelta di raccontare attraverso la massa porta i registi ad utilizzare il campo lungo, le ombre e le sagome sfocate (come dimostra anche la locandina) per connotare esteticamente l’alienazione nella massa, alternandole sapientemente a zoom su dettagli che raccontano la vita nel campo: i momenti della preghiera e le lunghe code per il cibo rallentano il film e ben rappresentano la lentezza, fluidità e precarietà del destino e della permanenza dei migranti. Infatti il campo rappresenta un non-luogo di passaggio, anche se in realtà, a Choucha ci sono ancora diverse persone riconosciute come profughi che sono in attesa di venir “ricollocati” e 300 deboutés cioè “non-rifugiati” esclusi dal sistema di protezione ONU, che in un vero e proprio limbo giuridico aspettano lo smantellamento del campo previsto per il prossimo 30 giugno. Del campo di Choucha si è molto discusso anche nel recente “Forum di Tunisi” dove sono stati sollevate molte criticità tra cui la mancanza di assistenza giuridica nella compilazione delle domande, l'assenza di una commissione di controllo e le interferenze delle rappresentanze diplomatiche di Ciad e Nigeria; l’Onu da parte sua ha replicato proponendo ai deboutés il rimpatrio volontario assistito con pagamento del viaggio di ritorno e di una buonuscita o, in alternativa, la permanenza in territorio tunisino, con la possibilità di percorsi di inserimento professionale.
Quando la maggior parte dei profughi se ne va, resta la tendopoli con il suo pavimento cosparso di spazzatura e con sacchetti di plastica che volano al vento, non una mera registrazione meccanica ma una costante colonna sonora che ha la capacità di esaltare le espressioni delle immagini. E visto che ogni opera d’arte si basa su una gerarchia dei mezzi utilizzati, il suono è qui al servizio di immagini ed azioni che prescindono dalla parola: del resto come ha scritto Arnheim: “Il dialogo costringe l’azione visiva a mettere in primo piano l’uomo che parla, otticamente sterile”. E l’importanza dei suoni emerge nel lungo lavoro di post-produzione: le riprese sono durate tre settimane con una trentina di ore di girato ma ci sono voluti circa dieci mesi per il montaggio. In
 
 
parte per problemi finanziari (il film è interamente auto-prodotto), in parte perché non volevano essere risucchiati nel filone “primavera araba”, (ecco cosa mi ha scritto Ala Eddine in uno dei primi scambi di mail, presentando il film: Je note que notre film est un peu “loin” des sujets traitants du “Printemps Arabe”. Veuillez ne pas l'inclure comme un film “direct” sur “la révolution” tunisienne.) ma soprattutto per costruire il film seguendo il ritmo e la musicalità delle voci ed il lato crudo dei suoni della natura fa provare la sensazione di essere in un territorio inesplorato e sottolinea la differenza con le produzioni televisive.Babylon rompe infatti con la tradizione del cinema tunisino mainstream per queste scelte estetiche radicali, per la diffusione del materiale via Internet, per il fatto di essere autoprodotto senza sussidi statali ma anche per l’abbandono delle tematiche ormai cristallizzate (la vita sociale nella vecchia Medina, la famiglia conservatrice…) ed incentrate su tematiche sociali, che erano esattamente le stesse delle produzioni televisive delle “musalsalat” cioè delle telenovele mandate in onda durante il Ramadan per affrontare una spinosa questione politica. Il connubio tra l’accesso alle nuove tecnologie e la caduta di Ben Ali ha totalmente cambiato lo scenario sbloccando lo spazio pubblico caratterizzato dalla progressiva chiusura delle sale cinematografiche (dalle quasi duecento degli anni Settanta ne sono sopravvissute una manciata): ad esempio facendo rivivere la tradizione del cinema itinerante e realizzando una Carovana del film documentario o molti festival come quelli di Rgueb o di Hergla. Ma soprattutto sono stati girati diversi film audaci e innovativi che hanno fatto molto discutere: tra questi “Anbou El Fosfato” di Samy Tlili sui lavoratori del bacino minerario di Redeyaf (e per poterlo far vedere agli abitanti della regione il regista e i suoi collaboratori hanno dovuto personalmente riaprire una sala chiusa da quasi trent’anni) e “Ni Allah, ni maître” di Nadia Al-Fani (dopo scontri, polemiche e minacce di morte, la regista ha deciso di cambiare il titolo in “Laicitè, inshallah”) sul ruolo della laicità come garante della diversità e della libertà di coscienza in una democrazia. Ma questa situazione di effervescenza e creatività cinematografica potrebbe cambiare a breve: è appena stata presentata una proposta di “Riforma per lo sviluppo del cinema e dell'audiovisivo in Tunisia” che prevede la creazione di uno sportello unico per il cinema e l’inasprimento dei requisiti richiesti alle case di produzione per accedere a forniture o sussidi. Chi contesta la legge sostiene che abbia un’ispirazione politica perchè il Governo sarebbe terrorizzato da questi nuovi cineasti che, come nel caso di Babylon, in piena autonomia girano video senza richiedere autorizzazioni o sovvenzioni statali e li condividono tramite Internet rendendoli immediatamente fruibili. Del resto che giustificazione artistica potrebbe avere la norma secondo cui le case di produzioni possono girare lungometraggi solo dopo aver girato un “numero sufficiente” di corti?!? E possono collaborare a produzioni straniere solo dopo aver raggiunto una “certa notorietà”?!? Gli oppositori puntano anche il dito sugli autori del progetto, definiti “un’accozzaglia di dinosauri e burocrati”, coinvolti nella degenerazione del cinema in Tunisia e che ora starebbero per completare l’opera svendendo quel che ne resta alla televisione e agli sponsor dei multiplex.


giovedì 9 aprile 2015

Libertà di espressione e molto altro: Cecilia Dalla Negra ci parla del World Social Forum



Cecilia Dalla Negra, di Osservatorio Iraq, ci ha parlato del Forum Sociale mondiale che si è tenuto a Tunisi e, in particolare dei settori da lei seguiti : libertà di espressione in Iraq e in altri Paesi, di democrazia e del popolo tunisino dopo l'attentato al museo del Bardo.



Ringraziamo la giornalista per questo intervento.



Come sempre ho partecipato al Forum di Tunisi come Osservatorio Iraq, insieme alla delegazione organizzata da “Un ponte per”: con noi c'era una vastissima rappresentanza della società civile irachena, con cui lavoriamo da tanti anni, che ha portato al Forum il suo punto di vista sulla situazione del Paese oltre a illustrare le tante campagne che porta avanti da anni per la protezione dell'ambiente, del patrimonio culturale, per la libertà di espressione e per i diritti delle donne. In particolare, ho seguito i lavori che riguardano la libertà di stampa e di espressione e anche le inziative della società civile davanti all'avanzata del terrorismo che è stato un tema molto presente nel Forum, anche perchè da pochi giorni Tunisi era stata colpita dall'attentato.

Ci sarebbe dovuta essere un'assemblea di convergenza per redigere la Carta dei movimenti sociali contro il terrorismo, ma su questo non si è trovato un vasto consenso: la presa di posizione dei movimenti sociali che si sono riuniti a Tunisi ha avuto, come momento di denuncia di quanto è accaduto, la manifestazione di apertura del 24 marzo che come slogan aveva: “ Popoli del mondo uniti contro il terrorismo”. Quel corteo ha espresso anche molti altri contenuti perchè c'era la volontà, da parte del popolo tunisino, di ribadire il proprio percorso per la costruzione della democrazia e, quindi, la volontà di non far diventare questo attacco terroristico uno strumento nelle mani del governo per restringere gli spazi di democrazia per gli attivisti; molti attivisti lo temono perchè il governo tunisino sta discutendo l'approvazione della nuova legge antiterrorismo.

Per quanto riguarda il Forum c'è stata una vastissima partecipazione: si parla di circa 50.000 persone e oltre 4.000 organizzazioni internazionali da tutto il mondo che non hanno fatto un passo indietro rispetto al timore di nuovi attacchi. Il clima era molto sereno e non c'è stata la militarizzazione che ci aspettavamo. Moltissimo spazio, quest'anno, è stato dato ai temi del “climate change” e, quindi, alla protezione dell'ambiente e lo slogan era: “Cambiare il sistema, non cambiare il clima”, un tema declinato a seconda di quelle che sono le priorità dell'area del Medioriente e del Nord Africa.

Si è parlato tantissimo di libertà civili, diritti e autodeterminazione e non sono mancate alcune contraddizioni, nel senso che la classica apertura a tutti i movimenti del Forum sociale ha portato frizioni, ad esempio per quanto riguarda l'attuale assetto della crisi siriana, tra giovani rivoluzionari e sostenitori del regime, così come non sono mancati accesi dibattiti tra islamisti e forze laiche.

Il Forum si conferma, ancora una volta, un laboratorio sociale importantissimo e un'occasione di incontro preziosissima: è stato estremamente interessante vedere seduti attorno a un tavolo attivisti iracheni, egiziani, tunisini che si confrontavano, dal loro punto di vista, su come contrastare il fenomeno del terrorismo di matrice islamica e l'avanzata di Daesh, non con risposte militari, ma attraverso proposte di dialogo e di convivenza. Pur sostenendo e condividendo la lotta della popolazione curda di di Kobane e comprendendo il suo diritto a chiedere l'aiuto militare, la società civile irachena vorrebbe affrontare alla radice le cause dell'adesione all'estremismo islamico e, cioè: la mancanza di un sistema di welfare, la scarsità di sistemi di educazione, il problema dello stato sociale. La proposta è quella di lavorare sul lungo periodo, sulla cultura, sull'accessibilità alle risorse, costruendo piccoli tasselli di convivenza. In particolare, la società civile chiede di smettere di credere alle rappresentazioni mediatiche, soprattutto occidentali, che dipingono quello iracheno come un conflitto settario o confessionale perchè l'Iraq è sempre stato un mosaico di civilità, di religioni e di culture che hanno convissuto in pace: le divisioni settarie, in realtà, sono state importate dall'Occidente.

Ritornando alla manifestazione del 24 marzo. La partecipazione internazionale è stata molto in secondo piano, invece mi ha colpito come la piazza fosse assolutamente tunisina e ci fosse un popolo molto determinato nel tenere la testa alta e dire: “Noi non abbiamo paura”. Si sfilava fino al Museo del Bardo, sotto una pioggia battente, ma la gente diceva che non aveva paura perchè aveva abbattuto il muro della paura nel 2011, facendo cadere la dittatura.

giovedì 19 marzo 2015

Perchè l'Isis ha attaccato la Tunisia



Dalla scorsa primavera la Tunisia ha una Costituzione. E' un Paese che sta cambiando e sta andando in direzione della laicità: probabilmente questi sono i motivi per cui i fanatici dell'Isis l'hanno colpito.

Le vittime dell'attacco terroristico al Museo del Bardo di Tunisi sono, fino al momento in cui scriviamo, 22 e 50 i feriti, tra questi anche alcuni italiani. Le altre vittime sono di nazionalità polacca, tedesca e spagnola, in un bilancio che include due jihadisti e un agente delle forze di sicurezza morti nel blitz che ha portato alla liberazione degli ostaggi.
Il premier tunisino ha affermato che il commando era composto da cinque persone, ancora non identificate. Habib Essid ha inoltre annunciato di aver preso "provvedimenti urgenti", in particolare "misure preventive per tutelare la stagione turistica". Colpire turisti occidentali è un messaggio chiaro verso l'Occidente intero.

L'Associazione per i Diritti Umani si è occupata più volte delle trasformazioni in atto in Tunisia e di mondo arabo, per cui vi ripropone il video dell'incontro con Monica Macchi e Ivana Trevisani, autrice del saggio “Ferite di parole”, edito da Poiesis.



Vi anticipiamo che, a brevissimo, l'associazione vi proporrà un altro incontro pubblico di aggiornamento su questi temi. Con le nostre ospiti e una sorpresa video.


lunedì 16 marzo 2015

Democrazia Reale e Rappresentatività Politica

di Roberto Pravesi

La partecipazione delle persone alle scelte politiche e sociali dove si vive porta a riflettere su due condizioni. Una sono le leggi e le Istituzioni, e queste oggi vanno nella direzione del totalitarismo.

Si avverte che la partecipazione alla vita democratica e alle scelte sociali da parte delle persone, non viene considerato, e .....non solo per i Migranti, oggi la democrazia è solo una parola agitata per coprire un potere Mafioso sia economico che politico.
 

Le persone che arrivano da altri paesi, è evidente che non sono considerate “degne” di diritti……E trovano barriere che sono il risultato di un potere corrotto e ignorante, dove l’Essere Umano è un oggetto utilizzabile o meno, ma oggetto.

Prendo in prestito TOLSTOJ che disse:

“Siedo sulla schiena di un uomo, soffocandolo, costringendolo a portarmi. E intanto cerco di convincere me e gli altri che sono pieno di compassione per lui e manifesto il desidero di migliorare la sua sorte con ogni mezzo possibile. Tranne che scendere dalla sua schiena."

La seconda condizione sono le abitudini di tutti noi, si percepisce l'individualismo e il pregiudizio, credenze che portano le persone a pensare solo a se stessi, e questa condizione non aiuta ad andare verso il cambiamento positivo necessario.

Siamo noi il motore del cambiamento e tocca ad ognuno di noi fare cambiare il sistema,
il Sistema attuale, sia economico che politico è FALLITO, e si agitano oscurantismi in tutte le fazioni.

Oggi non sono in grado di proseguire la costruzione, non sono in grado di immaginare un progresso Umano, sanno solo fare violenza, economica, sociale, religiosa e politica, non rappresentano l’evoluzione, e sono pericolosi.

Cancellare la Bossi/Fini, dare opportunità di partecipare alle scelte politiche. Nei Comuni, chi ha la residenza ha diritto di voto, in consiglio comunale devono sedere rappresentanti di tutte le provenienze.

Un Sogno, una Aspirazione, tempo fa, un “tizio” fece un discorso dove diceva che aveva un sogno, Martin Luther King, anche oggi bisogna avere un sogno, e muoversi per realizzarlo, la Partecipazione, prima di tutto è la partecipazione a costruire una società più Umana, se aspetto che qualcuno la realizzi, non funziona.

La Partecipazione è uscire dall’individualismo del proprio orticello, i Pensieri producono Azioni, i pensieri forti producono Azioni forti.

Per chiudere e chiarire questa riflessione, prendo le parole di Silo, Fondatore del Movimento Umanista:

In una Democrazia reale deve essere data alle minoranze la garanzia di una rappresentatività adeguata ma, oltre a questo, si devono prendere tutte le misure che ne favoriscano nella pratica l’inserimento e lo sviluppo. Oggi le minoranze assediate dalla xenofobia e dalla discriminazione chiedono disperatamente di essere riconosciute e, in questo senso, è responsabilità degli umanisti elevare questo tema a livello di discussione prioritaria, capeggiando ovunque la lotta contro i neo-fascismi, o mascherati che siano. In definitiva, lottare per i diritti delle minoranze significa lottare per i diritti di tutti gli esseri umani.





 


Intervento tenutosi durante la manifestazione a Milano in occasione del Primo Marzo: una Giornata senza di noi. L'Associazione per i Diritti Umani ha deciso di pubblicarlo perché, anche se associazione laica e apartitica, ha trovato in questo discorso un terreno comune su alcune riflessioni.

mercoledì 18 febbraio 2015

Dichiarazione di non sottomissione: Islam e laicità




di Monica Macchi



Occorre distinguere non tra credenti e non credenti

ma tra pensanti e non-pensanti”

Cardinal Carlo Maria Martini



La non sottomissione si regge

sul principio della separazione incondizionata

tra fede e diritto”

Fethi Bensalama


Sui principi non bisogna essere prudenti, ma riaffermarli,

per evitare i riflessi di autocensura e il trionfo degli estremisti”.

Malek Chebel, antropologo







Fethi Benslama, di origine tunisina, è psicoanalista ed insegna Psicoanalisi e Psicopatologia all'Università di Parigi VII Jussieu. Ha fondato nel 1990 la rivista Intersignes di cui oggi è Direttore ed è autore di numerosi libri: La nuit brisée (Ramsay, 1988), Une fiction troublante (Editiond de l'Aube, 1994), La psychanalyse à l'épreuve de l'Islam (Aubier, 2004) e Soudain la revolution (Denoel, 2011).



Questo breve testo sviluppa il MANIFESTO DELLE LIBERTA’ firmato il 16 febbraio 2004 a Parigi da un gruppo di intellettuali musulmani che si riconoscono nei valori della laicità e si oppongono all’ideologia dell’islamismo ed è costruito attorno a quattro istanze fondamentali.

La prima istanza sottolinea la polisemia del termine “islam” in quanto la radice trilittera S-L-M significa “guarire salvare, dare un bacio, riconciliare” e solo la decima forma “istaslama” significa “sottomissione”. Da questo derivano due importanti conseguenze: innanzitutto la differenza tra islam (scritto graficamente con la minuscola) inteso come religione e Islam (con la maiuscola) inteso come civiltà con molteplici culture ma soprattutto l’esigenza della liberazione dal paradigma identitario che legittima solo chi è assolutamente uguale a me.


Per questo occorre fare appello alla soggettività dell’individuo contro l’ipertrofia del comunitarismo e così la seconda istanza rivendica l’emancipazione femminile: infatti la donna incarnazione della “fitna”, la seduzione che diventa sedizione, rappresenta un’alterità interna minacciosa rispetto al “fahl” uomo stallone, destinato alla lotta, alla riproduzione e “dunque” alla guida della società ed alimenta l’ideologia della purezza. Secondo i firmatari del manifesto bisogna invece immettere “il disordine nella purezza” cioè il cosmopolitismo inteso come riconoscimento della dignità dell’altro come “non-simile” e come fondamento sia dell’uguaglianza che della libertà a cui sono dedicate la terza e la quarta istanza. E Benslama scrive: “l'avrete capito, se consideriamo che l'emancipazione delle donne è il punto dove si stringe e dove si dispiega il ventaglio dei problemi più cruciali per l'avvenire democratico del mondo musulmano è perchè il complesso religioso che organizza i rapporti di alterità nell'islam ha, più che altrove, inchiodato la posizione del genere femminile, con lo scopo di imporre il potere maschile”.

La terza istanza ammonisce che la libertà non può essere concessa ma deve essere conquistata attraverso l’azione trasformatrice a partire dai propri desideri e dalle proprie convinzioni: per questo sono necessari spazi in cui sperimentarla come ad esempio “l’Università delle libertà”, un’università popolare.

La quarta istanza cita esplicitamente il concetto di laicità per superare definitivamente il mito identitario riappropriandosi degli strumenti culturali, rifacendosi alla filosofia di Ibn Ruchd (Averroè) e Ibn Bajja (Avempace) che distingue tra reato e peccato fino alla teologia del sudanese Mahmoud Taha secondo cui l’atto di nascita dell’uguaglianza è la separazione tra spirituale e legislativo. Laicità questa che non è laicismo e non ha come obiettivo la distruzione dell’istituzione religiosa ma quello di limitare la pulsionalità e di costituire un luogo dove articolare le fratture.


lunedì 31 marzo 2014

Parità di genere: in Italia no, in Europa sì




L'emendamento bipartisan alla legge elettorale che prevedeva l'alternanza di genere in lista - e che vietava la sequenza di due candidati dello stesso sesso in sequenza - è stato bocciato; il secondo emendamento che prevedeva che né il genere maschile né quello femminile potesse essere rappresentato in misura superiore al 50% per i capilista è stato bocciato; respinto anche il terzo emendamento che prevedeva la proporzione del 40-60% per i capilista.

Tre emendamenti bocciati, solo un paio di settimane fa, dalla Camera dei deputati italiani.

Mentre l'Europa va in direzione diversa: la parità tra donne e uomini è, infatti, uno dei valori fondanti dell'Unione Europea e molti passi avanti sono stati compiuti, ma non sono ancora abbastanza.

La Strategia per la parità tra uomini e donne rappresenta il programma di lavoro della Commissione europea in materia di uguaglianza di genere per il periodo tra il 2010-2015. La Commissione si sta impegnando per affermare, in particolare: la pari indipendenza economica per le donne e per gli uomini; la parità delle retribuzioni per un lavoro di uguale valore; la parità nei processi decisionali; la dignità, l'integrità e la fine della violenza nei confronti delle donne.

Per approfondire alcuni temi relativi ai diritti delle donne in tutti i settori - familiare, sociale, politico e lavorativo - ripubblichiamo l'intervista che abbiamo fatto all'Avv. Marilisa D'Amico in occasione dell'uscita del suo saggio intitolato La laicità è donna, per le edizioni L'asino d'oro.



Marilisa D'Amico è Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano, avvocato cassazionista, direttore della Sezione di Diritto costituzionale presso il Dipartimento di diritto pubblico italiano e sovranazionale e, dal 2011, è membro del Consiglio comunale e presidente della Commissione affari istituzionali del Comune di Milano. Con questo volume ha voluto analizzare i nodi che intralciano il percorso della piena realizzazione dei diritti delle donne, con particolare riferimento alla mancata applicazione del principio di laicità costituzionale.
Il testo presenta un linguaggio chiaro, approfondimenti interessanti e densi di riferimenti alle esperienze professionali dell'autrice da cui si evince la passione e l'onestà con cui Marilisa D'amico ha voluto esprimere la sua fiducia nelle risorse e nelle energie di tutte quelle donne, giovani e meno giovani, che oggi, come nel passato, si impegnano per una società più equilibrata e giusta.


Perché ha scelto di citare, in apertura del saggio, Teresa Mattei?

La scelta di citare in apertura questo estratto da un intervento in Assemblea costituente di Teresa Mattei è legato in modo profondo alla mia volontà di dedicare questo scritto alle donne della mia vita, quelle che mi hanno aiutato a crescere.
Il brano di Teresa Mattei vuole essere un tributo alle energie e alle capacità femminili, troppo spesso, ancora nascoste e inutilizzate.
Serve a ricordarci l’importanza della partecipazione delle donne alla vita del nostro Paese e quanto ancora lunga sia la strada verso una democrazia, che si dimostri a tutti gli effetti e livelli paritaria.
Teresa Mattei parla di “un cammino liberatore” ed è qui che mi rivolgo alle giovani donne, perché sappiano farsi portavoce della convinzione che la parità, in ogni settore della vita di un Paese, è condizione imprescindibile per la costruzione di una società nuova e più giusta.
Questo brano di Teresa Mattei unisce tutte le donne in un percorso comune, ricordandoci da dove veniamo e dove vogliamo arrivare.

Qual è la differenza tra “laicità” e “metodo laico”?

La laicità è un principio costituzionale “supremo”, non espressamente scritto nella Costituzione, che la nostra Corte costituzionale ha ricavato da alcuni principi costituzionali in una fondamentale sentenza del 1989.
Il principio di laicità all’”italiana” è un principio di laicità c.d. “positivo”, che non significa indifferenza dello Stato nei confronti del fenomeno religioso, ma, viceversa, garanzia per la salvaguardia della libertà di religione, in un regime di pluralismo confessionale e culturale.
E’ sulla base di queste affermazione che nel mio scritto descrivo la laicità come “una casa comune”. Una casa comune dove tutti i cittadini siano liberi di scegliere la propria visione della vita, senza prevaricazioni degli uni sugli altri.

Dal principio di laicità discende, allora, quello che io definisco il “metodo laico”.
La laicità costituzionale non è, infatti, da intendersi solo come separazione dell’ordine statale e religioso, ma anche come un metodo che passa innanzitutto attraverso il dialogo e il confronto e che porta all’apertura alle differenti realtà sociali, nel senso della loro inclusione.
Il metodo laico è quel metodo, che dovrebbe essere adottato dalle istituzioni e che garantisce la piena tutela dei diritti fondamentali e la tenuta dell’ordinamento democratico nella difesa della nostra libertà.

Quale può essere il legame tra legislatore, giudice e cittadino?

In uno Stato costituzionale come il nostro, i diritti fondamentali, quelli che toccano più da vicino la vita delle persone, ricevono tutela in spazi e in luoghi diversi.
Gli attori di questa tutela, che spesso assume i caratteri di una contesa, sono il legislatore, i giudici, comuni e costituzionale, i cittadini.
All’interno del nostro ordinamento, infatti, i diritti fondamentali possono ricevere una consistenza diversa a seconda che vengano fatti oggetto della disciplina del legislatore o delle decisioni dei giudici.
Un’ipotesi ancora diversa è quella che si verifica quando siano gli stessi cittadini, attraverso lo strumento del referendum abrogativo, a intervenire a tutela dei propri diritti.
Esiste, dunque, certamente un legame tra i diversi attori dell’ordinamento che porta, però, spesso a situazioni conflittuali in cui i giudici contraddicono o anticipano le scelte del legislatore e, talvolta, sembrano i soggetti migliori per decidere le questioni più controverse.


Nel libro sono approfonditi alcuni temi a lei cari, quali: l'interruzione di gravidanza, la fecondazione assistita, i diritti delle donne straniere. Può raccontarci una sua esperienza come avvocato costituzionalista?

Nella mia esperienza come avvocato, credo che uno dei momenti di maggiore soddisfazione sia stata la vittoria ottenuta nel giudizio davanti alla Corte costituzionale, in tema di fecondazione medicalmente assistita.

Nel 2009, insieme ad altri avvocati, sono infatti riuscita a fare dichiarare incostituzionale uno dei limiti più irragionevoli della legge n. 40/2004.
In particolare, era stato chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi su quella norma della legge n. 40/2004, che limitava a tre il numero massimo di embrioni destinati all’impianto, nell’ambito delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita di tipo omologo.
Si trattava di un limite rigido che aveva ripercussioni notevoli sulla salute psico-fisica della donna e che rendeva molto difficile per le coppie sterili e infertili, a cui pure la legge si rivolgeva, ottenere una gravidanza.
Il limite rigido dei tre embrioni costituiva, inoltre, l’espressione più tangibile dell’approccio ideologico del legislatore del 2004 al tema della procreazione artificiale. Un embrione che, stando alla lettera della legge, avrebbe dovuto ricevere la tutela più forte, in quanto soggetto più debole, rispetto ai diritti di tutti gli altri soggetti coinvolti.

In quell’occasione, la Corte costituzionale ci ha dato ragione, dichiarando incostituzionale quel limite e ridando speranza e consistenza al diritto di tante coppie di poter avere un bambino, avvalendosi delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita.

La soddisfazione è stata enorme e, tuttavia, il percorso per arrivare alla Corte è stato lungo, complesso e non privo di difficoltà.
In un sistema come il nostro che non consente al cittadino di rivolgersi direttamente alla Corte costituzionale, la principale difficoltà che mi trovo quotidianamente ad affrontare, come avvocato, riguarda proprio l’accesso al giudizio davanti alla Corte costituzionale.
Di fronte a scelte legislative ideologiche, come nel caso della legge sulla fecondazione medicalmente assistita, l’unica strada per tutelare i diritti fondamentali dei cittadini è, infatti, quella giudiziaria nel tentativo di giungere dinanzi alla Corte costituzionale.
Da qui le difficoltà per noi avvocati, ma anche le soddisfazioni quando, come è accaduto con la decisione n. 151/2009 della Corte costituzionale, riusciamo a portare le istanze dei cittadini davanti alla Corte e ad ottenere la tutela di quei diritti fondamentali di cui il legislatore, sbagliando, si sia disinteressato.

A che punto è il nostro Paese riguardo al rapporto tra laicità e libertà?

Nel libro ho descritto tutta una serie di vicende dalle quali è possibile trarre alcune conclusioni su questo punto.
Lo smarrimento del principio di laicità costituzionale determina conseguenze negative, in primo luogo, sulla libertà dei cittadini, che la Costituzione tutela al suo articolo 2.
Il significato più profondo della laicità si collega, infatti, al termine libertà, espressione del diritto di autodeterminazione dell’individuo, intesa come fiducia nel cittadino di scegliere in base ai propri convincimenti.
Le soluzioni normative di cui si dà ampio conto nello scritto non fanno che evidenziare l’atteggiamento moralizzatore e ideologico di un legislatore, che invece che bilanciare diritti, li gioca gli uni contro gli altri. In luogo dell’individuazione di un punto di equilibrio, di uno spazio comune in cui i diritti fondamentali di tutti possano ricevere tutela, si assiste a soluzioni non laiche, calate dell’alto, che privilegiano i diritti di alcuno contro quelli di altri.
Si pensi alla legge n. 40/2004, in materia di fecondazione assistita, emblematica di come il legislatore scelga di assegnare un’indubbia prevalenza ai diritti dell’embrione a discapito di quelli delle coppie.

Ritengo, in estrema sintesi, che sul tema dei diritti fondamentali dei cittadini il nostro Paese si trovi in una posizione di pericolosa arretratezza, a cui la politica, sinora, non ha saputo fornire risposte adeguate.


Infine, può spiegare il significato del titolo del suo lavoro: La laicità è donna?

La scelta del titolo si lega fortemente alla convinzione per la quale ritengo che la perdita della tenuta laica del nostro Stato, che vede sempre più spesso i diritti fondamentali oggetto di una lotta, di una tensione tra visioni diverse e contrastanti, si ripercuota negativamente, in modo particolare, sui diritti delle donne.
Da qui, la scelta di ripercorrere alcune delle principali questioni che sorgono a fronte della confusa e spesso insufficiente applicazione del principio di laicità costituzionale.

Gli effetti di questo smarrimento del principio di laicità sono, infatti, molto chiari se si guarda ad alcuni episodi degli ultimi anni, che hanno visto le donne, loro malgrado, protagoniste.
Mi riferisco alla vicenda della legge sulla procreazione medicalmente assistita, ai tentativi di paralizzare la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, all’assenza delle donne nelle istituzioni.
Esempi dai quali emerge come la crisi del principio di laicità tocchi prima di tutto il ruolo e la posizione delle donne nella società. Donne assenti nelle istituzioni e negli organi decisionali, donne costrette a una visione della maternità come supremo sacrificio, donne private del diritto fondamentale di decidere se portare avanti o meno una gravidanza.
Donne che non possono scegliere, emarginate e, spesso, sole.

Ho scelto di dedicare questo mio lavoro alle donne della mia vita, sentendo in modo molto forte il compito di un mio impegno civile e politico, nella speranza che siano le giovani donne ad accettare e, finalmente, a vincere la grande sfida di costruire una democrazia veramente paritaria


sabato 1 febbraio 2014

Le donne in piazza per il diritto all'aborto




YO DECIDO - DECIDO IO”: LE DONNE DI MILANO IN PIAZZA SABATO 1° FEBBRAIO AL CONSOLATO SPAGNOLO. APPUNTAMENTO ALLE 14,30 IN PIAZZA CAVOUR.

Oggi,1° febbraio 2014, in molte città europee si manifesterà sotto le ambasciate e i consolati di Spagna in solidarietà con le donne che in quel paese si oppongono al progetto di riforma della legge sull’aborto, che smantella la legge Zapatero, autorizzandolo solo in caso di stupro o di grave rischio per la salute fisica o psichica della donna certificato da due medici.

Le associazioni di donne manifestano anche contro il Parlamento Europeo che ha respinto la mozione Estrela in difesa dei diritti sessuali e riproduttivi. Ma la manifestazione avrà anche un contenuto più legato alla realtà italiana, dove di giorno in giorno viene messa in discussione dall’obiezione di coscienza (per lo più strumentale), la legge che permette un aborto sicuro e gratuito.

La mobilitazione, organizzata dalla rete WOMENAREUROPE, a Milano è stata promossa da un ampio cartello di associazioni: UsciamodalSilenzio, Libera Università delle Donne, Consultori Privati Laici, Giulia-giornaliste unite libere autonome, La città delle donne di Z3xMi, Tavolo consultori, Casa delle donne Milano, Donne nella crisi, Donne laboratorio dei beni comun, Gruppo Donne comitato zona 3 Milano, DonneInQuota, Donne in rete, Donne della CGIL, Consulta milanese per la Laicità delle Istituzioni, Amici della Consulta Milanese per la Laicità delle Istituzioni, Soggettività lesbica, Unione Atei Agnostici Razionalisti. Tra le prime adesioni Monica Chittò, Sindaco, e la Giunta comunale di Sesto S. Giovanni, Sara Valmaggi Vice Presidente Consiglio Regione Lombardia, Adalucia De Cesaris, Vicesindaco, con le Assessore della Giunta del Comune di Milano, Francesca Zajczyk, Delegata alle Pari Opportunità del Comune di Milano, Anita Sonego, Presidente della Commissione Pari Opportunità del Comune di Milano.




Yo decido. E’ questo lo slogan che le spagnole hanno scelto per affermare la libertà e l’autodeterminazione delle donne. Alla fine del 2013, infatti, il governo Rajoy ha presentato una legge che, se venisse approvata, limiterebbe la possibilità di interruzione di gravidanza ai casi di stupro o di pericolo per la salute della madre. Un balzo indietro enorme se si pensa alla legge Zapatero del 2010 all’avanguardia in Europa sulla salute e i diritti riproduttivi delle donne.
In Italia abbiamo assistito alla modifica della legge 194 con la pratica dell’obiezione di coscienza: il controllo del corpo e della vita delle donne è da sempre stato utilizzato da governi laici e confessionali di tutto il mondo, come strumento di controllo sociale. Ma è la libertà delle donne la misura della modernità: non a caso le nuove Costituzioni dei paesi del Magreb vengono lette anche dai costituzionalisti in questa chiave ed è bene ricordare anche che la libertà di essere madri alimenta la democrazia.



Qui di seguito pubblichiamo un'intervista che, alcuni mesi, fa abbiamo fatto alla Dott.ssa Marilisa D'Amico sul suo saggio che affronta, tra tanti, anche questo tema importante.



La laicità è donna: per una rinascita culturale declinata al femminile







E' da poco stato pubblicato, per le edizioni L'asino d'oro, un piccolo, ma importante saggio dal titolo La laicità è donna di Marilisa D'Amico.

Marilisa D'Amico è Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano, avvocato cassazionista, direttore della Sezione di Diritto costituzionale presso il Dipartimento di diritto pubblico italiano e sovranazionale e, dal 2011, è membro del Consiglio comunale e presidente della Commissione affari istituzionali del Comune di Milano. Con questo volume ha voluto analizzare i nodi che intralciano il percorso della piena realizzazione dei diritti delle donne, con particolare riferimento alla mancata applicazione del principio di laicità costituzionale.

Il testo presenta un linguaggio chiaro, approfondimenti interessanti e densi di riferimenti alle esperienze professionali dell'autrice da cui si evince la passione e l'onestà con cui Marilisa D'amico ha voluto esprimere la sua fiducia nelle risorse e nelle energie di tutte quelle donne, giovani e meno giovani, che oggi, come nel passato, si impegnano per una società più equilibrata e giusta.




Perché ha scelto di citare, in apertura del saggio, Teresa Mattei?



La scelta di citare in apertura questo estratto da un intervento in Assemblea costituente di Teresa Mattei è legato in modo profondo alla mia volontà di dedicare questo scritto alle donne della mia vita, quelle che mi hanno aiutato a crescere.

Il brano di Teresa Mattei vuole essere un tributo alle energie e alle capacità femminili, troppo spesso, ancora nascoste e inutilizzate.

Serve a ricordarci l’importanza della partecipazione delle donne alla vita del nostro Paese e quanto ancora lunga sia la strada verso una democrazia, che si dimostri a tutti gli effetti e livelli paritaria.

Teresa Mattei parla di “un cammino liberatore” ed è qui che mi rivolgo alle giovani donne, perché sappiano farsi portavoce della convinzione che la parità, in ogni settore della vita di un Paese, è condizione imprescindibile per la costruzione di una società nuova e più giusta.

Questo brano di Teresa Mattei unisce tutte le donne in un percorso comune, ricordandoci da dove veniamo e dove vogliamo arrivare.


 

Qual è la differenza tra “laicità” e “metodo laico”?

 

La laicità è un principio costituzionale “supremo”, non espressamente scritto nella Costituzione, che la nostra Corte costituzionale ha ricavato da alcuni principi costituzionali in una fondamentale sentenza del 1989.

Il principio di laicità all’”italiana” è un principio di laicità c.d. “positivo”, che non significa indifferenza dello Stato nei confronti del fenomeno religioso, ma, viceversa, garanzia per la salvaguardia della libertà di religione, in un regime di pluralismo confessionale e culturale.

E’ sulla base di queste affermazione che nel mio scritto descrivo la laicità come “una casa comune”. Una casa comune dove tutti i cittadini siano liberi di scegliere la propria visione della vita, senza prevaricazioni degli uni sugli altri.



Dal principio di laicità discende, allora, quello che io definisco il “metodo laico”.

La laicità costituzionale non è, infatti, da intendersi solo come separazione dell’ordine statale e religioso, ma anche come un metodo che passa innanzitutto attraverso il dialogo e il confronto e che porta all’apertura alle differenti realtà sociali, nel senso della loro inclusione.

Il metodo laico è quel metodo, che dovrebbe essere adottato dalle istituzioni e che garantisce la piena tutela dei diritti fondamentali e la tenuta dell’ordinamento democratico nella difesa della nostra libertà.



Quale può essere il legame tra legislatore, giudice e cittadino?


In uno Stato costituzionale come il nostro, i diritti fondamentali, quelli che toccano più da vicino la vita delle persone, ricevono tutela in spazi e in luoghi diversi.

Gli attori di questa tutela, che spesso assume i caratteri di una contesa, sono il legislatore, i giudici, comuni e costituzionale, i cittadini.

All’interno del nostro ordinamento, infatti, i diritti fondamentali possono ricevere una consistenza diversa a seconda che vengano fatti oggetto della disciplina del legislatore o delle decisioni dei giudici.

Un’ipotesi ancora diversa è quella che si verifica quando siano gli stessi cittadini, attraverso lo strumento del referendum abrogativo, a intervenire a tutela dei propri diritti.

Esiste, dunque, certamente un legame tra i diversi attori dell’ordinamento che porta, però, spesso a situazioni conflittuali in cui i giudici contraddicono o anticipano le scelte del legislatore e, talvolta, sembrano i soggetti migliori per decidere le questioni più controverse


Nel libro sono approfonditi alcuni temi a lei cari, quali: l'interruzione di gravidanza, la fecondazione assistita, i diritti delle donne straniere. Può raccontarci una sua esperienza come avvocato costituzionalista?



Nella mia esperienza come avvocato, credo che uno dei momenti di maggiore soddisfazione sia stata la vittoria ottenuta nel giudizio davanti alla Corte costituzionale, in tema di fecondazione medicalmente assistita.



Nel 2009, insieme ad altri avvocati, sono infatti riuscita a fare dichiarare incostituzionale uno dei limiti più irragionevoli della legge n. 40/2004.

In particolare, era stato chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi su quella norma della legge n. 40/2004, che limitava a tre il numero massimo di embrioni destinati all’impianto, nell’ambito delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita di tipo omologo.

Si trattava di un limite rigido che aveva ripercussioni notevoli sulla salute psico-fisica della donna e che rendeva molto difficile per le coppie sterili e infertili, a cui pure la legge si rivolgeva, ottenere una gravidanza.

Il limite rigido dei tre embrioni costituiva, inoltre, l’espressione più tangibile dell’approccio ideologico del legislatore del 2004 al tema della procreazione artificiale. Un embrione che, stando alla lettera della legge, avrebbe dovuto ricevere la tutela più forte, in quanto soggetto più debole, rispetto ai diritti di tutti gli altri soggetti coinvolti.



In quell’occasione, la Corte costituzionale ci ha dato ragione, dichiarando incostituzionale quel limite e ridando speranza e consistenza al diritto di tante coppie di poter avere un bambino, avvalendosi delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita.



La soddisfazione è stata enorme e, tuttavia, il percorso per arrivare alla Corte è stato lungo, complesso e non privo di difficoltà.

In un sistema come il nostro che non consente al cittadino di rivolgersi direttamente alla Corte costituzionale, la principale difficoltà che mi trovo quotidianamente ad affrontare, come avvocato, riguarda proprio l’accesso al giudizio davanti alla Corte costituzionale.

Di fronte a scelte legislative ideologiche, come nel caso della legge sulla fecondazione medicalmente assistita, l’unica strada per tutelare i diritti fondamentali dei cittadini è, infatti, quella giudiziaria nel tentativo di giungere dinanzi alla Corte costituzionale.

Da qui le difficoltà per noi avvocati, ma anche le soddisfazioni quando, come è accaduto con la decisione n. 151/2009 della Corte costituzionale, riusciamo a portare le istanze dei cittadini davanti alla Corte e ad ottenere la tutela di quei diritti fondamentali di cui il legislatore, sbagliando, si sia disinteressato.



A che punto è il nostro Paese riguardo al rapporto tra laicità e libertà?



Nel libro ho descritto tutta una serie di vicende dalle quali è possibile trarre alcune conclusioni su questo punto.

Lo smarrimento del principio di laicità costituzionale determina conseguenze negative, in primo luogo, sulla libertà dei cittadini, che la Costituzione tutela al suo articolo 2.

Il significato più profondo della laicità si collega, infatti, al termine libertà, espressione del diritto di autodeterminazione dell’individuo, intesa come fiducia nel cittadino di scegliere in base ai propri convincimenti.

Le soluzioni normative di cui si dà ampio conto nello scritto non fanno che evidenziare l’atteggiamento moralizzatore e ideologico di un legislatore, che invece che bilanciare diritti, li gioca gli uni contro gli altri. In luogo dell’individuazione di un punto di equilibrio, di uno spazio comune in cui i diritti fondamentali di tutti possano ricevere tutela, si assiste a soluzioni non laiche, calate dell’alto, che privilegiano i diritti di alcuno contro quelli di altri.

Si pensi alla legge n. 40/2004, in materia di fecondazione assistita, emblematica di come il legislatore scelga di assegnare un’indubbia prevalenza ai diritti dell’embrione a discapito di quelli delle coppie.



Ritengo, in estrema sintesi, che sul tema dei diritti fondamentali dei cittadini il nostro Paese si trovi in una posizione di pericolosa arretratezza, a cui la politica, sinora, non ha saputo fornire risposte adeguate.


Infine, può spiegare il significato del titolo del suo lavoro: La laicità è donna


La scelta del titolo si lega fortemente alla convinzione per la quale ritengo che la perdita della tenuta laica del nostro Stato, che vede sempre più spesso i diritti fondamentali oggetto di una lotta, di una tensione tra visioni diverse e contrastanti, si ripercuota negativamente, in modo particolare, sui diritti delle donne.

Da qui, la scelta di ripercorrere alcune delle principali questioni che sorgono a fronte della confusa e spesso insufficiente applicazione del principio di laicità costituzionale.


Gli effetti di questo smarrimento del principio di laicità sono, infatti, molto chiari se si guarda ad alcuni episodi degli ultimi anni, che hanno visto le donne, loro malgrado, protagoniste.

Mi riferisco alla vicenda della legge sulla procreazione medicalmente assistita, ai tentativi di paralizzare la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, all’assenza delle donne nelle istituzioni.

Esempi dai quali emerge come la crisi del principio di laicità tocchi prima di tutto il ruolo e la posizione delle donne nella società. Donne assenti nelle istituzioni e negli organi decisionali, donne costrette a una visione della maternità come supremo sacrificio, donne private del diritto fondamentale di decidere se portare avanti o meno una gravidanza.

Donne che non possono scegliere, emarginate e, spesso, sole.


Ho scelto di dedicare questo mio lavoro alle donne della mia vita, sentendo in modo molto forte il compito di un mio impegno civile e politico, nella speranza che siano le giovani donne ad accettare e, finalmente, a vincere la grande sfida di costruire una democrazia veramente paritaria.