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mercoledì 24 settembre 2014

Una mostra ripercorre la lotta per i diritti civili

©George Tames/The New York Times.



Grandi pannelli a parete si susseguono e ripercorrono la Storia: la Storia dei diritti civili negli Stati Uniti e nel mondo occidentale.

Per celebrare il 50mo anniversario dall'assegnazione del Nobel per la Pace a Martin Luther King, Milano dedica una grande, ricca mostra sulle lotte per affermare i diritti di tutte e di tutti. Freedom Fighters, questo il titolo dell'esposizione a Palazzo Reale, inaugurata il 22 settembre e che terminerà il 12 ottobre 2014.

Freedom Fighters è promossa dal Comune di Milano, dal Robert F. Center for Justice and Human Rights Europe in collaborazione con l'Ambasciata degli Stati Uniti, con la cura di Alessandra Mauro e Sara Antonelli.

Immagini iconiche dei più celebri fotografi ricordano la segregazione razziale negli anni'50, gli scontri di Birmingham, il movimento dei “Freedom Riders”; il ritorno di Martin Luther King dopo aver ricevuto il Premio Nobel, le riunioni dei fratelli Kennedy e i loro incontri con i movimenti di emancipazione. Elliot Erwitt, Eve Arnold, Bruce Davidson, Danny Lyon celebrano giustizia e libertà.


La mostra propone anche video di repertorio e documenti che dal 1776 – anno in cui il Comitato dei Cinque presenta la Dichiarazione di Indipendenza americana – testimoniano la Storia fino alla marcia su Washington.

Anche il Presidente della Repubblica, Giorgio napolitano, ha voluto commentare l'iniziativa culturale milanese con una lettera alla Presidente del Robert F. Center for Justice and Human Rights Europe, Marialina Marcucci, in cui si legge: “ La mostra offre un significativo stimolo a riflettere sul valore attuale delle posizioni allora assunte per la realizzazione di una società più giusta, inclusiva e solidale, ma anche sulle condizioni di quanti, in tutto il mondo, vedono tutt'ora calpestati i loro diritti”. L'assessore alla cultura di Milano, Filippo Del Corno, ha aggiunto: “ La fotografia diventa il linguaggio per raccontare il lungo e tortuoso cammino della battaglia per i diritti civili negli Stati Uniti. Una lotta che non è mai terminata né terminerà, negli Stati Uniti come dovunque perchè esisterà sempre un diverso, uno straniero, una minoranza da difendere e proteggere dall'arroganza di 'altri' e dei più forti”.

Dall'8 al 10 ottobre, inoltre, sempre nelle sale di Palazzo Reale, si terrà un'altra mostra, di artisti moderni e contemporanei, dal titolo I have a dream al termine della quale verrà indetta un'asta per finanziare il Centro Robert F. Kennedy. Le curatrici, Melissa Proietti e Raffaella A. Caruso, spiegano: “ I have a dream nasce come breve ed intensa ricognizione su come il sogno della democrazia, la battaglia per l'uguaglianza e i diritti condotta da John e Robert Kennedy e da Martin Luther King sia ancora viva nel ricordo ma anche nell'attaulità degli intenti ed abbia profondamente inciso su più generazioni di artisti. Si è inteso mettere a confronto gli artisti dell'immediato dopoguerra che hanno vissuto sulla loro pelle censure ed entusiasmi di rinnovamento e gli artisti che hanno negli occhi l'ennesimo oltraggio alla democrazia pepretrato con l'attentato alle Torri Gemelle. Si è loro chiesto di interpretare il tema in senso narrativo e metaforico, con la forza allusiva e primordiale dell'astrattismo, con le evocazioni simboliche di un figurativo sui generis dai tempi aperti della tradizione 'classica' o dai ritmi sincopati del pop, donando però sempre immagini di speranza, di denuncia e mai di violenza. Perchè l'arte è vita e bellezza. Maestri di ogni 'colore', timbro, formazione hanno regalato il loror entusiasmo, rivivendo memoarie e speranze, passato e futuro, in una miscellanea di sensazioni che solo il sogno fa vivere in una assurda e meravigliosa dimensione 'contemporanea'”.

mercoledì 11 dicembre 2013

Obama e Mandela: un ideale passaggio di testimone


Un filo diretto lega il primo presidente nero americano al primo presidente nero sudafricano che ora non c'è più. Barack Obama ha pronunciato, ieri, un discorso intenso e profondo, in occasione della cerimonia in ricordo di Mandela a Johannesburg, in cui si sono avvertite, chiaramente, la commozione e la gratitudine per quel piccolo grande uomo che ha cambiato la Storia, che ha lottato per l'uguaglianza, che ha difeso la democrazia: ideali che il Presidente degli Stati Uniti vuole continuare ad affermare con forza, portando avanti quell'operato così importante per il bene di tutti e che Mandela ha esercitato per tutta la sua esistenza.
Vogliamo riportare il discorso tenuto da Obama perchè la scelta delle sue parole - e gli esempi dei grandi leader che ha citato - siano un monito per il nostro agire e per la politica e affinchè rimanga un po' di Madiba in ognuno di noi.




Per Graça Machel e la famiglia Mandela, al Presidente Zuma e membri del governo, ai capi di Stato e di governo, passati e presenti, gli ospiti illustri – è un onore singolare di essere con voi oggi, per celebrare una vita diversa da qualsiasi altra…
Per il popolo del Sud Africa – persone di ogni razza e ceto sociale – il mondo vi ringrazia per la condivisione di Nelson Mandela con noi.La sua lotta è la vostra lotta. Il suo trionfo è stato il tuo trionfo. La vostra dignità e speranza trovarono espressione nella sua vita, e la vostra libertà, la vostra democrazia è la sua eredità amato.
E ‘difficile per elogiare un uomo – per catturare in parole non solo i fatti e le date che fanno una vita, ma la verità essenziale di una persona – le loro gioie e dolori privati, ai momenti di quiete e qualità uniche che illuminano l’anima di qualcuno.
Quanto più difficile farlo per un gigante della storia, che si è trasferito una nazione verso la giustizia, e nel processo si trasferisce miliardi in tutto il mondo.
Nato durante la prima guerra mondiale, lontano dai corridoi del potere, un ragazzo cresciuto immobilizzare i bovini e istruito dagli anziani della sua tribù Thembu – Madiba sarebbe emerso come l’ultimo grande liberatore del 20 ° secolo.
Come Gandhi, che porterebbe un movimento di resistenza – un movimento che al suo inizio ha tenuto poche possibilità di successo. Come re, avrebbe dato potente voce alle rivendicazioni degli oppressi, e la necessità morale della giustizia razziale.
Avrebbe sopportare una reclusione brutale che ha avuto inizio al tempo di Kennedy e Krusciov, e ha raggiunto gli ultimi giorni della Guerra Fredda. Emergendo dal carcere, senza la forza delle armi, avrebbe – come Lincoln – tenere il suo paese insieme quando minacciava di rompersi.
Come padri fondatori dell’America, avrebbe eretto un ordinamento costituzionale di preservare la libertà per le generazioni future – un impegno per la democrazia e Stato di diritto ratificato non solo dalla sua elezione, ma dalla sua volontà di dimettersi dal potere.
Data la scansione della sua vita, e l’adorazione che egli giustamente guadagnato, si è tentati poi ricordare Nelson Mandela come icona, sorridente e sereno, distaccato dalle vicende cattivo gusto degli uomini inferiori. Ma Madiba si è fortemente resistito un ritratto tale senza vita.
Invece, ha insistito per aver condiviso con noi i suoi dubbi e le paure, i suoi errori di calcolo insieme con le sue vittorie. ”Non sono un santo», disse, «a meno che non si pensa di un santo, come un peccatore che continua a provarci.”
E ‘proprio perché poteva ammettere di imperfezione – perché poteva essere così pieno di buon umore, anche male, nonostante i pesanti fardelli che portava – che abbiamo amato così. Non era un busto di marmo, era un uomo di carne e sangue – un figlio e il marito, un padre e un amico. Ecco perché abbiamo imparato tanto da lui, è per questo che possiamo imparare da lui ancora.
Per niente ha conseguito era inevitabile. Nell’arco della sua vita, vediamo un uomo che ha guadagnato il suo posto nella storia attraverso la lotta e l’astuzia, la persistenza e la fede. Egli ci dice che cosa è possibile, non solo nelle pagine dei libri di storia polverosi, ma nelle nostre vite.
Mandela ci ha mostrato il potere di azione, di rischiare in nome dei nostri ideali. Forse Madiba era giusto che ha ereditato “, una ribellione orgoglioso, un senso ostinato di equità” da suo padre. Certamente ha condiviso con milioni di neri e colorati sudafricani la rabbia nato, “mille offese, mille umiliazioni, mille momenti non ricordati … il desiderio di combattere il sistema che imprigionava la mia gente.”
Ma come altri primi giganti della ANC – i Sisulus e Tambos – Madiba disciplinato la sua rabbia, e incanalata il suo desiderio di combattere in organizzazione e le piattaforme, e le strategie di azione, così gli uomini e le donne potrebbero stand-up per la loro dignità.
Inoltre, ha accettato le conseguenze delle sue azioni, sapendo che in piedi fino agli interessi potenti e ingiustizie ha un prezzo. ”Ho combattuto contro la dominazione bianca e ho combattuto contro la dominazione nera”, ha detto al suo processo 1964. ”Ho accarezzato l’ideale di una società democratica e libera in cui tutte le persone vivano insieme in armonia e con pari opportunità. E ‘un ideale che spero di vivere e di raggiungere., Ma se necessario, è un ideale per che sono pronto a morire. “
Mandela ci ha insegnato il potere di azione, ma anche di idee, l’importanza della ragione e degli argomenti, la necessità di studiare non solo quelli siete d’accordo, ma chi non lo fai. Ha capito che le idee non possono essere contenute da muri della prigione, o estinte dal proiettile di un cecchino. Girò il suo processo in un atto d’accusa di apartheid a causa della sua eloquenza e passione, ma anche la sua formazione come un avvocato.
Ha usato decenni in carcere per affinare le sue argomentazioni, ma anche per diffondere la sua sete di conoscenza ad altri nel movimento. E ha imparato la lingua ei costumi del suo oppressore modo che un giorno avrebbe potuto meglio trasmettere a loro come loro libertà dipendeva la sua.
Mandela ha dimostrato che l’azione e le idee non bastano, non importa quanto a destra, devono essere cesellato in leggi e istituzioni.
Lui era pratico, testando le sue convinzioni contro la superficie dura della circostanza e della storia. Su principi fondamentali era inflessibile, ed è per questo poteva respingere le offerte di liberazione condizionale, ricordando il regime dell’apartheid che “i detenuti non possono stipulare contratti.” Ma, come ha dimostrato nei negoziati scrupoloso per trasferire il potere e redigere nuove leggi, non aveva paura di compromettere per il bene di un obiettivo più grande.
E perché non era solo un leader di un movimento, ma un politico abile, la Costituzione che è emerso era degno di questa democrazia multirazziale, fedele alla sua visione di leggi che proteggono minoranza nonché i diritti di maggioranza, e le preziose libertà di ogni Sud Africano.
Infine, Mandela capì i legami che legano lo spirito umano. C’è una parola in Sud Africa-Ubuntu – che descrive il suo dono più grande: il suo riconoscimento che siamo tutti legati insieme in modi che possono essere invisibili a occhio, che c’è una unità per l’umanità; che otteniamo noi stessi, condividendo con noi gli altri, e la cura per chi ci circonda. Noi possiamo mai sapere quanto di questo era innata in lui, o quanto di è stata sagomato e brunito in una cella di isolamento scuro.
Ma ricordiamo i gesti, grandi e piccoli – introduzione suoi carcerieri come ospiti d’onore al suo insediamento, tenendo il passo in uniforme Springbok, girando strazio della sua famiglia in una chiamata a lottare contro l’HIV / AIDS – che ha rivelato la profondità della sua empatia e comprensione . Egli non solo ha incarnato Ubuntu, ha insegnato milioni di scoprire che la verità dentro di sé.
Ci è voluto un uomo come Madiba per liberare non solo il prigioniero, ma il carceriere e, per dimostrare che è necessario fidarsi degli altri in modo che possano fidarsi di voi, per insegnare che la riconciliazione non è una questione di ignorare un passato crudele, ma un mezzo di confrontarsi con l’inclusione, generosità e verità. Ha cambiato le leggi, ma anche i cuori.
Per il popolo del Sud Africa, per chi ha ispirato in tutto il mondo – la scomparsa di Madiba è giustamente un momento di lutto, e un tempo per celebrare la sua vita eroica. Ma credo che dovrebbe anche indurre in ciascuno di noi un momento di auto-riflessione. Con onestà, a prescindere dalla nostra stazione o circostanza, dobbiamo chiederci: quanto bene ho applicato le sue lezioni nella mia vita?
E ‘una domanda che mi pongo – come uomo e come presidente. Sappiamo che, come il Sud Africa, gli Stati Uniti ha dovuto superare secoli di sottomissione razziale. Come era vero qui, ha preso il sacrificio di innumerevoli persone – conosciuti e sconosciuti – di vedere l’alba di un nuovo giorno. Michelle e io siamo i beneficiari di quella lotta.
Ma in America e Sud Africa, e paesi in tutto il mondo, non possiamo permettere che il nostro progresso nuvola del fatto che il nostro lavoro non è finito. Le lotte che seguono la vittoria di uguaglianza formale e suffragio universale non possono essere come piene di dramma e chiarezza morale di quelli che è venuto prima, ma non sono meno importanti.
Per tutto il mondo di oggi, vediamo ancora i bambini che soffrono la fame e le malattie, le scuole degradate, e poche prospettive per il futuro. In tutto il mondo oggi, uomini e donne sono ancora in carcere per le loro convinzioni politiche, e sono tuttora perseguitati per quello che sembrano, o come adorano, o che amano.
Anche noi, dobbiamo agire a favore della giustizia. Anche noi, dobbiamo agire in nome della pace. Ci sono troppi di noi che felicemente abbracciare l’eredità di Madiba della riconciliazione razziale, ma con passione resistere anche modeste riforme che avrebbero sfidare la povertà cronica e crescente disuguaglianza. 
Ci sono troppi leader che sostengono la solidarietà con la lotta di Madiba per la libertà, ma non tollerano il dissenso dal loro stesso popolo. E ci sono troppi di noi che stanno in disparte, confortevole compiacimento o cinismo quando le nostre voci devono essere ascoltate.
Le questioni che abbiamo di fronte oggi – come promuovere l’uguaglianza e la giustizia, per difendere la libertà ei diritti umani, per porre fine dei conflitti e settario la guerra – non hanno risposte facili. Ma non c’erano risposte facili di fronte a quel bambino in Qunu. Nelson Mandela ci ricorda che sembra sempre impossibile fino a quando si è fatto. Sud Africa ci mostra che è vero.
Sud Africa ci mostra che possiamo cambiare. Possiamo scegliere di vivere in un mondo non definito dalle nostre differenze, ma le nostre speranze comuni.Possiamo scegliere un mondo non definito da conflitti, ma per la pace e la giustizia e di opportunità.
Non riusciremo mai a vedere artisti del calibro di Nelson Mandela di nuovo.Ma lasciatemi dire ai giovani dell’Africa, e dei giovani di tutto il mondo – si può fare il lavoro della sua vita tua.
Più di trent’anni fa, quando era ancora studente, ho imparato di Mandela e le lotte in questa terra. Si agita qualcosa in me. E mi ha svegliato alle mie responsabilità – per gli altri, e per me – e mi mise in un viaggio improbabile che mi trovi qui oggi. E mentre io sarò sempre a corto di esempio di Madiba, fa venire voglia di essere migliore.
Egli parla di ciò che è meglio dentro di noi. Dopo questo grande liberatore si riposa, quando siamo tornati alle nostre città e villaggi, e ricongiunto nostra routine quotidiana, cerchiamo di ricerca, quindi per la sua forza – per la sua grandezza di spirito – da qualche parte dentro di noi.
E quando la notte fa buio, quando l’ingiustizia pesa sui nostri cuori, o dei nostri migliori progetti sembrano fuori dalla nostra portata – pensare di Madiba, e le parole che lo hanno portato conforto tra le quattro mura di una cella:
Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la vita,
io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.

Che una grande anima che era. Ci mancherà profondamente. Che Dio benedica il ricordo di Nelson Mandela. Dio benedica il popolo del Sud Africa.”


giovedì 29 agosto 2013

Anniversario di un discorso ancora attuale



...I have a dream that my four little children will one day live in a nation where they will not be judged by the color of their skin, but by the content of their character...”

Quanto sono ancora attuali e importanti le parole del celebre discorso che Martin Luther King pronunciò esattamente cinqunat'anni fa, il 28 agosto 1963. Parole importanti per il mondo e per un'Italia in cui si insultano ancora calciatori e ministri di colore.
A Washington decine di migliaia di persone si sono riunite davanti al Lincoln Memorial per celebrare l'anniversario del pastore protestante: un discorso, una preghiera a favore dei diritti civili dei neri. Quel giorno del '63 radunò 250.000 persone: 50.000 afroamericani e i “big six”, i sei rappresentanti delle più importanti organizzazioni internazionali che operavano per affermare i diritti civili. Quella fu denominata la “Marcia per il lavoro e la libertà”, una manifestazione pacifica, ma fondamentale con la quale furono avanzate richieste chiare, tra le quali: una precisa legislazione sui diritti civili; la fine della segregazione razziale, soprattutto nelle scuole; stipendi adeguati alle prestazioni di lavoro; e lo stop alla brutalità della polizia nei confronti degli attivisti.
Senza la marcia del 1963 e senza coloro che vi hanno parteciapto non sarei il Ministro della Giustizia”, ha affermato Eric Holder il primo afroamericano diventato Ministro negli Stati Uniti, il quale ha aggiunto: “...la nostra attenzione ora si è ampliata. Include le donne, i latinos, gli asiatici americani, i gay e le elsbiche, le persone disabili e tutti coloro che nel Paese reclamano ancora uguaglianza. Ritengo che nel 21mo secolo vedremo un'America più perfetta e giusta”.
Ieri hanno preso parte alle celebrazioni anche il Presidente Obama e Jimmy Carter, ma noi vogliamo chiudere ricordando anche le parole pronunciate dal figlio maggiore di M.L. King, Martin Luther King III: “ Non è il momento delle commemorazioni nostalgiche. E non è il momento delle autocelebrazioni. Il lavoro non è finito. Il viaggio non è completato, possiamo e dobbiamo fare di più”.


Testo del discorso di Martin Luther King

Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte della cattività.
Ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione; cento anni dopo, il negro ancora vive su un’isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale; cento anni dopo; il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra.
Per questo siamo venuti qui, oggi, per rappresentare la nostra condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti alla capitale del paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della repubblica scrissero le sublimi parole della Costituzione e la Dichiarazione d’Indipendenza, firmarono un “pagherò” del quale ogni americano sarebbe diventato erede. Questo “pagherò” permetteva che tutti gli uomini, si, i negri tanto quanto i bianchi, avrebbero goduto dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perseguimento della felicità.
E’ ovvio, oggi, che l’America è venuta meno a questo “pagherò” per ciò che riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare questo suo sacro obbligo, l’America ha consegnato ai negri un assegno fasullo; un assegno che si trova compilato con la frase: “fondi insufficienti”. Noi ci rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti nei grandi caveau delle opportunità offerte da questo paese. E quindi siamo venuti per incassare questo assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e della garanzia di giustizia.
Siamo anche venuti in questo santuario per ricordare all’America l’urgenza appassionata dell’adesso. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi il tranquillante del gradualismo. Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall’oscura e desolata valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia.; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio. Sarebbe la fine per questa nazione se non valutasse appieno l’urgenza del momento. Questa estate soffocante della legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto un tonificante autunno di libertà ed uguaglianza.
Il 1963 non è una fine, ma un inizio. E coloro che sperano che i negri abbiano bisogno di sfogare un poco le loro tensioni e poi se ne staranno appagati, avranno un rude risveglio, se il paese riprenderà a funzionare come se niente fosse successo.
Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia.
Ma c’è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tiepida soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste.
Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell’anima.
Questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà. Questa offesa che ci accomuna, e che si è fatta tempesta per le mura fortificate dell’ingiustizia, dovrà essere combattuta da un esercito di due razze. Non possiamo camminare da soli.
E mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti. Non possiamo tornare indietro. Ci sono quelli che chiedono a coloro che chiedono i diritti civili: “Quando vi riterrete soddisfatti?” Non saremo mai soddisfatti finché il negro sarà vittima degli indicibili orrori a cui viene sottoposto dalla polizia.
Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle strade e negli alberghi delle città. Non potremo essere soddisfatti finché gli spostamenti sociali davvero permessi ai negri saranno da un ghetto piccolo a un ghetto più grande.
Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono:”Riservato ai bianchi”. Non potremo mai essere soddisfatti finché i negri del Mississippi non potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente.
Non ha dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove e tribolazioni. Alcuni di voi sono venuti appena usciti dalle anguste celle di un carcere. Alcuni di voi sono venuti da zone in cui la domanda di libertà ci ha lasciato percossi dalle tempeste della persecuzione e intontiti dalle raffiche della brutalità della polizia. Siete voi i veterani della sofferenza creativa. Continuate ad operare con la certezza che la sofferenza immeritata è redentrice.
Ritornate nel Mississippi; ritornate in Alabama; ritornate nel South Carolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana; ritornate ai vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione.
E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno. E’ un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.
Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.
Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.
Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi!
Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud.
Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.
Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l’America vuole essere una grande nazione possa questo accadere.
Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.
Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.
Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.
Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.
Ma non soltanto.
Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.
Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.
Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.
E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual:“Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente”.

lunedì 22 luglio 2013

Il discorso di Malala per il diritto all'istruzione

Stan Honda/AFP/Getty Images

Malala Yousafazai (di cui abbiamo già raccontato la storia) - la ragazza che rivendicò il diritto allo studio per tutte le ragazze pakistane come lei e che, per questo motivo, fu ferita gravemente alla testa dai talebani - ha compiuto sedici anni. Le Nazioni Unite le hanno dedicato il “Malala Day”: “Ecco la frase che i taleban non avrebbero mai voluto sentire 'Buon sedicesimo compleanno, Malala', così l'ex Premier britannico, Gordon Brown, ha dato inizio alla giornata. Una giornata segnata dal discorso della ragazzina, candidata al Nobel per la pace per il suo impegno sui diritti umani. “Malala tu sei la nostra eroina, sei la nostra grande campionessa, noi siamo con te, tu non sarai mai sola”: il segretario generale dell'ONU, Ban Ki-Moon, ha ringraziato Malala con queste parole dopo il discorso che ha ricevuto l'ovazione di tutti i rappresentanti delle istituzioni presenti nella sala del Palazzo di Vetro.
Un discorso importante.








Cari fratelli e sorelle ricordate una cosa. La giornata di Malala non è la mia giornata. Oggi è la giornata di ogni donna, di ogni bambino, di ogni bambina che ha alzato la voce per reclamare i suoi diritti.
Ci sono centinaia di attivisti e di assistenti sociali che non soltanto chiedono il rispetto dei diritti umani, ma lottano anche per assicurare istruzione a tutti in tutto il mondo, per raggiungere i loro obiettivi di istruzione, pace e uguaglianza.
Migliaia di persone sono state uccise dai terroristi e migliaia di altre sono state ferite da loro. Io sono soltanto una di loro. Io sono qui, una ragazza tra tante, e non parlo per me, ma per tutti i bambini e le bambine. Voglio far sentire la mia voce non perché posso gridare, ma perché coloro che non l’hanno siano ascoltati. Coloro che lottano per i loro diritti: il diritto di vivere in pace, il diritto di essere trattati con dignità, il diritto di avere pari opportunità e il diritto di ricevere un’istruzione.
Cari amici, nella notte del 9 ottobre 2012 i Taliban mi hanno sparato sul lato sinistro della fronte. Hanno sparato anche ai miei amici. Pensavano che le loro pallottole ci avrebbero messo a tacere. Ma hanno fallito. E da quel silenzio si sono levate migliaia di voci. I terroristi pensavano che sparando avrebbero cambiato i nostri obiettivi e fermato le nostre ambizioni, ma niente nella mia vita è cambiato tranne questo: la debolezza, la paura e la disperazione sono morte. La forza, il potere e il coraggio sono nati. Io sono la stessa Malala. Le mie ambizioni sono le stesse. Così pure le mie speranze sono le stesse.
Cari fratelli e sorelle io non sono contro nessuno. Nemmeno contro i terroristi. Non sono qui a parlare in termini di vendetta personale contro i Taliban o qualsiasi altro gruppo terrorista. Sono qui a parlare a favore del diritto all’istruzione di ogni bambino. Io voglio che tutti i figli e le figlie degli estremisti, soprattutto Taliban, ricevano un’istruzione. Non odio neppure il Taliban che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano ed egli mi stesse davanti e stesse per spararmi, io non sparerei. Questa è la compassione che ho appreso da Mohamed, il profeta misericordioso, da Gesù Cristo e dal Buddha. Questa è il lascito che ho ricevuto da Martin Luther King, Nelson Mandela e Muhammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non-violenza che ho appreso da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. E questo è il perdono che ho imparato da mio padre e da mia madre. Questo è quello che la mia anima mi dice: siate in pace e amatevi l’un l’altro.
Cari fratelli e sorelle, tutti ci rendiamo conto dell’importanza della luce quando ci troviamo al buio, e tutti ci rendiamo conto dell’importanza della voce quando c’è il silenzio. E nello stesso modo quando eravamo nello Swat, in Pakistan, noi ci siamo resi conto dell’importanza dei libri e delle penne quando abbiamo visto le armi. I saggi dicevano che la penna uccide più della spada, ed è vero.
Gli estremisti avevano e hanno paura dell’istruzione, dei libri e delle penne. Hanno paura del potere dell’istruzione. Hanno paura delle donne. Il potere della voce delle donne li spaventa. Ed è per questo che hanno appena ucciso a Quetta 14 innocenti studenti di medicina. È per questo che fanno saltare scuole in aria tutti i giorni. È per questo che uccidono i volontari antipolio nel Khyber Pukhtoonkhwa e nelle Fata. Perché hanno avuto e hanno paura del cambiamento, dell’uguaglianza che essa porterebbero nella nostra
società.
Un giorno ricordo che un bambino della nostra scuola chiese a un giornalista perché i Taliban sono contrari all’istruzione. Il giornalista rispose con grande semplicità. Indicando un libro disse: “I Taliban hanno paura dei libri perché non sanno che cosa c’è scritto dentro”. Pensano che Dio sia un piccolo essere conservatore che manderebbe le bambine all’inferno soltanto perché vogliono andare a scuola. I terroristi usano a sproposito il nome dell’Islam e la società pashtun per il loro tornaconto
personale. Il Pakistan è un paese democratico che ama la pace e che vorrebbe trasmettere istruzione ai suoi figli. L’Islam dice che non soltanto è diritto di ogni bambino essere educato, ma anche che quello è il suo dovere e la sua responsabilità.
Onorevole Signor Segretario generale, per l’istruzione è necessaria la pace, ma in molti paesi del mondo c’è la guerra. E noi siamo veramente stufi di queste guerre. In molti paesi del mondo donne e bambini soffrono in altri modi. In India i bambini poveri sono vittime del lavoro infantile. Molte scuole sono state distrutte in Nigeria. In Afghanistan la popolazione è oppressa dalle conseguenze dell’estremismo da decenni. Le giovani donne sono costrette a lavorare e a sposarsi in tenera età. Povertà, ignoranza, ingiustizia, razzismo e privazione dei diritti umani di base sono i problemi principali con i quali devono fare i conti sia gli uomini sia le donne.
Cari fratelli e sorelle, è giunta l’ora di farsi sentire, di lottare per cambiare questo mondo e quindi oggi facciamo appello ai leader di tutto il mondo affinché proteggano i diritti delle donne e dei bambini. Facciamo appello alle nazioni sviluppate affinché garantiscano sostegno ed espandano le pari opportunità di istruzione alle bambine nei paesi in via di sviluppo. Facciamo appello a tutte comunità di essere tolleranti, di respingere i pregiudizi basati sulla casta, sulla fede, sulla setta, sulla fede o sul genere. Per garantire libertà e eguaglianza alle donne, così che possano stare bene e prosperare. Non potremo avere successo come razza umana, se la metà di noi resta indietro. Facciamo appello a tutte le sorelle nel mondo affinché siano coraggiose, per abbracciare la forza che è in loro e cercare di realizzarsi al massimo delle loro possibilità.
Cari fratelli e sorelle vogliamo scuole, vogliamo istruzione per tutti i bambini per garantire loro un luminoso futuro. Ci faremo sentire, parleremo per i nostri diritti e così cambieremo le cose. Dobbiamo credere nella potenza e nella forza delle nostre parole. Le nostre parole possono cambiare il mondo. Perché siamo tutti uniti, riuniti per la causa dell’istruzione e se vogliamo raggiungere questo obiettivo dovreste aiutarci a conquistare potere tramite le armi della conoscenza e lasciarci schierare le une accanto alle altre con unità e senso di coesione.
Cari fratelli e sorelle non dobbiamo dimenticare che milioni di persone soffrono per ignoranza, povertà e ingiustizia. Non dobbiamo dimenticare che milioni di persone non hanno scuole. Lasciateci ingaggiare dunque una lotta globale contro l’analfabetismo, la povertà e il terrorismo e lasciateci prendere in mano libri e penne. Queste sono le nostre armi più potenti. Un bambino, un maestro, una penna e un libro possono fare la differenza e cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione ai mali del mondo. L’istruzione potrà salvare il mondo.


venerdì 26 aprile 2013

Laura Boldrini, a Milano, per celebrare la festa della liberazione


Riportiamo, di seguito, il discorso del Presidente della Camera, Laura Boldrini, pronunciato ieri a Milano, in occasione della 68ma Festa della Liberazione. Un 25 aprile 2013, riscaldato dal sole, ma soprattutto da centinaia di persone colorate, attente, sorridenti, convinte che non si debba smettere di credere nei valori giusti, nella Costituzione, nell'impegno.

Laura Boldrini
Care amiche e cari amici,
è per me un grande privilegio rivolgermi a voi in questa Piazza e in questa città.
Ho sfilato nel corteo e ora vi vedo da qui. Siete tanti, siamo in tanti, tantissimi! E c’è ancora chi parla del 25 Aprile come di una ricorrenza stanca e invecchiata. E anche questa mattina c’è stato chi ha scritto che questa festa è morta. Vengano qui gli scettici, gli increduli! Questa festa è più viva che mai. È la festa di tutti. Di tutti gli italiani liberi.

Oggi festeggiamo la riconquista della libertà, il dono più prezioso per ogni essere umano. C’è gioia ma c’è anche commozione, perché il nostro pensiero va ai tanti che per farci questo dono, la libertà, hanno perso la vita, sono stati uccisi, torturati, internati nei campi di sterminio. Ed erano giovani, giovanissimi. Di diverso orientamento politico, di diversa fede religiosa. La Resistenza non fu di parte. Fu un moto popolare e unitario, per restituire dignità all’Italia intera.
Quando sono stata eletta presidente della camera, mi è stato regalato un libro che conoscete bene : “Le lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana”. Un libro straordinario perché non è scritto con la penna, è scritto con la vita. La vita di tante persone.
Quello che più mi colpisce di quelle lettere è l’età di chi le scrisse, a poche ore dalla morte. Quasi tutti attorno ai vent’anni. Tutti animati da una grande speranza per il futuro dell’Italia.
Vorrei che da qui, a tanti anni di distanza, a quei ragazzi della Resistenza inviassimo un grande applauso, che è il nostro grazie per tutto quello che hanno fatto, per noi e per l’Italia.
Durante la mia esperienza negli organismi internazionali ho conosciuto gli orrori della guerra, non me li hanno raccontati: nei Balcani come in Medio Oriente o in Africa, altre ragazze e altri ragazzi feriti, imprigionati, torturati. E se riescono a mettersi in salvo diventano rifugiati, persone costrette a fuggire dai loro paesi perché vittime di persecuzioni e di violenze.

Come Sandro Pertini, costretto dal fascismo a riparare in Francia, e molti altri italiani come lui.
Così sono quei giovani della primavera araba che hanno sfidato regimi dittatoriali che sembravano irremovibili e molti altri in tutto il mondo che continuano a farlo, rischiando la vita ogni giorno. Sono anche loro combattenti per la libertà. E alcuni vivono in casa nostra, che deve essere anche casa loro. Ce lo dice la Costituzione! Ce lo dicono i nostri ideali : libertà, uguaglianza, fraternità!
Mai più il fascismo. Mai più guerre. Questa l’invocazione dell’Italia libera, subito dopo il 25 Aprile. E questo monito avevano in testa i costituenti nel redigere la nostra carta fondamentale.
Oggi, insieme alla Liberazione, celebriamo i valori della Costituzione: il ripudio della guerra, l’uguaglianza, la giustizia sociale.

È una giornata di ricordo. Ma deve essere anche l’occasione per riflettere e per chiederci : da che cosa ci siamo liberati il 25 Aprile?
Da un regime politico totalitario, innanzitutto. Ma anche dai valori che propugnava.
Ci siamo liberati dal mito della nazione e del popolo come comunità chiusa, che deve essere “purificata” da coloro che possono infettarla : i dissenzienti, i diversi, i deboli, le minoranze etniche e religiose.

Ci siamo liberati dall’autoritarismo e dal conformismo.
Ci siamo liberati da una concezione del potere tutta basata sulla violenza, dall’idea di superiorità razziale, dall’espansionismo aggressivo.
Ci siamo liberati dalla celebrazione della virilità, del maschilismo, della riduzione della donna a “madre e sposa”, dalla sua esclusione dal mercato del lavoro, dalla società e dalla politica.
Da tutto questo ci siamo liberati!

E abbiamo abbracciato altri valori: quelli di una società pluralista, dei diritti individuali e collettivi, della cittadinanza attiva. Quelli del ripudio della guerra e della ricerca della pace tra i popoli. Quelli della liberazione delle donne e dell’uguaglianza di genere.
Sono gli stessi valori che troviamo scolpiti nella Dichiarazione universale dei diritti umani, che è per me l’espressione più alta della cultura antifascista.
Sono i nostri valori, i valori della repubblica italiana.

Guai però a considerarli acquisiti una volta per tutte. Essi sono continuamente minacciati da gruppi e organizzazioni neofasciste. Gruppi pericolosi, perché cercano di fare proseliti tra i giovani. Approfittano dello smarrimento di ragazze e ragazzi ai quali è stata sottratta la fiducia nel futuro.
Vi è un pullulare di siti Internet che inneggiano al fascismo e al nazismo, all’odio razziale e alla violenza contro le donne. Questo, in un paese civile, non è tollerabile !
Esiste una convenzione del consiglio d’Europa, ratificata dall’Italia, che impegna gli Stati a punire chi, anche attraverso la rete, diffonde materiale xenofobo e, per odio razziale, minaccia e insulta altre persone.

Questa Convenzione va applicata rigorosamente.
Ma serve anche altro. Serve una battaglia culturale, di idee, di valori. Parliamo con i nostri ragazzi, non lasciamoli in preda a questa sottocultura ; trasmettiamo loro, nel modo più semplice e più chiaro possibile, la bellezza di quei valori che ci vedono insieme oggi, su questa piazza e in tante altre piazze d’Italia.

E smentiamo quei luoghi comuni che continuano a scorrere come un veleno nelle vene della società. Capita ad esempio di ascoltare perfino esponenti della politica e della cultura, affermare che ci sarebbero differenze tra un fascismo “buono” e un fascismo “cattivo”. Il primo sarebbe il fascismo “con il senso dello Stato”, il fascismo “modernizzatore”, il fascismo ricco di valori – l’onore, la patria, la famiglia. Il fascismo “cattivo” sarebbe quello dell’alleanza con Hitler, delle leggi razziali, della guerra.
Queste idee vengono da lontano e hanno fatto breccia in una parte dell’opinione pubblica. Si sono perfino convertite in luoghi comuni, in chiacchiera da bar. Ma sono idee completamente sbagliate e bisogna dirlo con forza!
Bisogna dire che non è mai esistito un fascismo buono. Che il fascismo è stato un regime illegittimo perché nato dall’esercizio massiccio della violenza squadristica e da una pratica del potere basata sull’assassinio politico, sulla soppressione delle libertà individuali e collettive, sulla persecuzione degli oppositori, sulla manipolazione dell’informazione.
Ce ne siamo liberati, con il 25 Aprile del 1945 e con la Costituzione del ’48.

Ma il germe dell’autoritarismo è sempre pronto a diffondersi, soprattutto in tempi di crisi economica. Non possiamo dimenticare che tra le cause scatenanti il fascismo vi fu la disoccupazione di massa che fece seguito alla prima guerra mondiale. E che il partito di Hitler fu sospinto al potere da masse di popolo senza lavoro e senza reddito, dopo la grande crisi del ’29.
Anche oggi, in diversi paesi europei, maturano risposte autoritarie e illiberali alla grave crisi economica che comprime come in una morsa la vita di milioni di persone.
Dobbiamo quindi stare in guardia e respingere ogni insorgenza neofascista e ogni populismo autoritario.
Ma dobbiamo soprattutto, le istituzioni debbono – il parlamento, il governo, le regioni – dare lavoro ai giovani, aiutare i pensionati, sostenere le madri e i padri di famiglia che perdono il lavoro, gli artigiani e i piccoli imprenditori strangolati dalla crisi.

No. Nessuno deve essere lasciato solo. Anche così si difende la democrazia!
E la democrazia ha bisogno costantemente di essere difesa. Quante volte gli italiani sono stati chiamati, nella storia repubblicana, a difendere la libertà e le istituzioni democratiche!
È stato necessario, perché il fascismo ha lasciato una impronta profonda sulla vita della Repubblica.
La vita delle istituzioni italiane è stata particolarmente travagliata, molto più di tutte le altre democrazie europee. È stata attraversata in modo più violento che altrove dalle lacerazioni della guerra fredda. Minacciata più di altre dalla presenza inquietante di strutture parallele, da settori militari e civili infedeli,dal rumore di sciabole…

L’Italia è stata colpita ripetutamente dalla violenza politica, dal massacro indiscriminato di cittadini inermi, dall’attacco militare della mafia, dalla barbarie del terrorismo, dall’assassinio a tradimento di servitori dello stato e di politici, sindacalisti, giornalisti. Tanti, troppi, anche dopo la Resistenza, hanno continuato a morire per difendere la nostra libertà e la nostra democrazia. Ci inchiniamo ancora una volta alla loro memoria, abbracciamo le loro famiglie, sentiamo come fosse nostro il loro dolore.
Anche grazie al loro sacrificio, l’Italia ha superato con coraggio quella fase terribile della sua storia.

Ma si tratta di una ferita dolorosa. Una ferita ancora aperta. Tante, troppe di quelle vite perdute nelle piazze, sui treni, sugli aerei, non hanno ricevuto giustizia. In tanti, troppi casi le istituzioni non hanno saputo dare una parola di certezza sugli esecutori e sugli strateghi del terrore.
Questa mancanza di verità e giustizia è una sconfitta per le istituzioni.
Per questo, ci tengo a dire proprio oggi, 25 aprile, che mi unisco a quanti chiedono l’abrogazione completa e definitiva del segreto di stato per i reati di strage e terrorismo.
Perché in un paese civile la verità e la giustizia non si possono barattare e non si possono calpestare.

Vorrei concludere con le parole che Piero Calamandrei rivolse ai giovani, qui a Milano, dieci anni dopo la Liberazione. Era un discorso sulle origini della nostra Costituzione. “Se volete andare in pellegrinaggio – disse Calamandrei – nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate li, o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione”.
Grazie, per avermi invitato a questa bella manifestazione, per avermi accolto con tanto affetto, per avermi permesso, in questa giornata di festa, di stare qui con voi, a Milano, città medaglia d’oro della Resistenza.


domenica 17 marzo 2013

Due Neopresidenti, due discorsi importanti


Quasi a sorpresa, ieri, sono stati nominati i Presidenti di Camera e Senato: Laura Boldrini , ex portavoce dell'Agenzia Onu per i rifiugiati politici, e Piero Grasso, ex procuratore nazionale antimafia: riportiamo di seguito i loro discorsi di insediamento. Senza commenti perchè le loro parole bastano a far sperare un Paese che deve ritrovare la direzione giusta.



«Vorrei innanzitutto indirizzare il mio saluto rispettoso al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano».

«Faccio i miei auguri soprattutto ai più giovani: a chi siede per la prima volta in quest'aula. Sono sicura che insieme riusciremo nell'impegno straordinario di rappresentare nel migliore dei modi le istituzioni repubblicane».

«Arrivo a questo incarico dopo aver trascorso tanti anni a difendere e rappresentare i duiritti degli ultimi in Italia e nel mondo. E' un'esperienza che mi accompagnerà sempre e che metto al servizio di questa Camera».

«Il mio pensiero va a chi ha perduto certezze e speranze. Abbiamo l'obbligo di fare unabattaglia vera contro la povertà, e non contro i poveri: dobbiamo garantirli uno a uno. Quest'Aula dovrà ascoltare la sofferenza sociale. Dovremo farci carico dell'umiliazione delle donne uccise da violenza travestita da amore. Dovremo stare accanto ai detenuti che vicono in condizioni disumane e degradanti. Dovremo dare strumenti a chi ha perso il lavoro o non lo ha mai trovato, a chi rischia di perdere la Cig, ai cosiddetti esodati, che nessuno di noi ha dimenticato. Ai tanti imprenditori che costituiscono una risorsa essenziale per l'economia italiana e che oggi sono schiacciati dal peso della crisi, alle vittime del terremoto e a chi subisce gli effetti della scarsa cura del nostro territorio».

«In Parlamento sono stati scritti dei diritti costruiti fuori da qui e che hanno liberato l'Italia e gli italiani dal fascismo. Ricordiamo il sacrificio di chi è morto per le istituzioni e dei morti per la mafia, che oggi vengono ricordati a Firenze».

«Molto dobbiamo anche al sacrifio di Aldo Moro e della sua scorta. Scrolliamoci di dosso ogni indugio, nel dare piena dignità alla nostra istituzione che sta per riprendere la centralità del suo ruolo».

«Facciamo di questa Camera la casa della buona politica. Il nostro lavoro sarà trasparente, anche in una scelta di sobrietà che dobbiamo agli italiani».

«Sarò, la presidente di tutti, a partirte da chi non mi ha votato, ruolo di garanzia per ciascuno di voi e per tutto il Paese».

«L'Italia è Paese fondatore dell'Unione europea, dobbiamo lavorare nel solco del cammino tracciato da Altiero Spinelli. Lavoriamo perché l'Europa torni ad essere un grande sogno, un luogo della libertà, della fraternità e della pace. Anche i protagonisti della vita religiosa ci spingono a fare di più, per questo abbiamo accolto con gioia i gesti e le parole del nuovo pontefice, venuto emblematicamente "dalla fine del mondo"».

«Un saluto anche alle istituzioni internazionali e - permettetemi - anche un pensiero per i molti, troppi volti senza nome che il nostro Mediterraneo custodisce».

«La politica deve tornare ad essere una speranza, una passione». 


 


Care senatrici, cari senatori,
mi scuserete, ma voglio rivolgere questo mio primo discorso soprattutto a quei
cittadini che stanno seguendo i lavori di quest’Aula con speranza e apprensione per
il futuro del nostro Paese.
Il Paese mai come oggi ha bisogno di risposte rapide ed efficaci all’altezza della
crisi economica e sociale, ma anche politica, che sta vivendo. Mai come ora la storia
italiana si intreccia con quella europea e i destini sono comuni, mai come oggi il
compito della politica è quello di restituire ai cittadini la coscienza di questa sfida.
Quando ieri sono entrato per la prima volta da Senatore in quest’Aula mi ha
colpito l’affresco sul soffitto, che vi invito a guardare. Riporta quattro parole che
sono state sempre di grande ispirazione per la mia vita e che spero lo saranno ogni
giorno per ciascuno di noi nei lavori che andremo ad affrontare: Giustizia, Diritto,
Fortezza e Concordia.
Quella concordia, e quella pace sociale, di cui il Paese ha ora disperatamente
bisogno.
Domani è l’Anniversario dell’Unità d’Italia, quel 17 marzo di 152 anni fa in cui
è cominciata la nostra Storia come comunità nazionale dopo un lungo e difficile
cammino di unificazione. Nei 152 anni della nostra Storia, soprattutto nei momenti
più difficili, abbiamo saputo unirci, superare le differenze, affermare con fermezza
i nostri valori comuni e trovare insieme un sentiero condiviso. Il primo pensiero va
sicuramente alla fase costituente della nostra Repubblica, quando uomini e donne
di diversa cultura hanno saputo darci quella che è ancora oggi considerata una delle
Carte Costituzionali più belle e moderne del mondo.
Lasciatemi in questo momento ricordare Teresa Mattei, che dell’Assemblea
Costituente fu la più giovane donna eletta, che per tutta la vita è stata attiva per
affermare e difendere i diritti delle donne, troppo spesso calpestati anche nel nostro
Paese, e che ci ha lasciato pochi giorni fa.
Siamo davanti a un passaggio storico straordinario: abbiamo il dovere di esserne
consapevoli, il diritto e la responsabilità di indicare un cambiamento possibile perché
in gioco è la qualità della democrazia che stiamo vivendo e che lasceremo in eredità
ai nostri figli e ai nostri nipoti.
La crisi è a un punto tale che potremo risalire solo se riusciremo a trovare il
modo di volare alto e proporre soluzioni condivise, innovative e, lasciatemi dire,
sorprendenti che sappiano affrontare le priorità e allo stesso tempo avviare un
cammino a lungo termine: dobbiamo davvero iniziare una nuova fase costituente
che sappia stupire e stupirci.
Oggi è il 16 marzo e non posso che ringraziare il Presidente Colombo che
stamattina ci ha commosso con il ricordo dell’anniversario del rapimento di Aldo
Moro e della strage di via Fani che provocò la morte dei 5 agenti di scorta Raffaele
Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Al loro
sacrificio di servitori dello Stato va il nostro omaggio deferente e commosso. Oggi
bisogna ridare dignità e risorse alle Forze dell’Ordine e alla Magistratura.
Sono trascorsi 35 anni da quel tragico giorno che non fu solo il dramma di un
uomo e di una famiglia, ma dell’intero Paese: in Aldo Moro il terrorismo brigatista
individuò il nemico più consapevole di un progetto davvero riformatore, l’uomo e il
dirigente politico che aveva compreso il bisogno e le speranze di rigenerazione che
animavano dal profondo e tormentavano la società italiana. Come Moro scrisse in
un suo saggio giovanile «Forse il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente
la giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia fame e sete. Ma è sempre un
grande destino».
Oggi inoltre migliaia di giovani a Firenze hanno partecipato alla“Giornata della
Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie”, e mi è molto dispiaciuto
non poter essere con loro come ogni anno. Hanno pronunciato e ascoltato gli oltre
900 nomi di vittime della criminalità organizzata. Nomi di cittadini, appartenenti
alle forze dell’ordine, sindacalisti, politici, amministratori locali, giornalisti, sacerdoti,
imprenditori, magistrati, persone innocenti uccise nel pieno della loro vita. Il loro
impegno, il loro sacrificio, il loro esempio dovrà essere il nostro faro.
Ho dedicato la mia vita alla lotta alla mafia in qualità di magistrato. E devo
dirvi che dopo essermi dimesso dalla magistratura pensavo di poter essere utile al
Paese in forza della mia esperienza professionale nel mondo della giustizia, ma la
vita riserva sempre delle sorprese. Oggi interpreto questo mio nuovo e imprevisto
impegno con spirito di servizio per contribuire alla soluzione dei problemi di questo
Paese. Ho sempre cercato Verità e Giustizia e continuerò a cercarle da questo
scranno, auspicando che venga istituita una nuova Commissione d’Inchiesta su tutte
le Stragi irrisolte del nostro Paese.
Se oggi, davanti a voi, dovessi scegliere un momento in cui raccogliere la storia
della mia vita professionale precedente non vorrei limitarmi a menzionare gli amici e
i colleghi caduti in difesa della democrazia e dello Stato di diritto che ho conosciuto.
Non c’è infatti un solo nome e volto che può racchiuderli tutti e purtroppo, se dovessi
citarli tutti, la lista sarebbe troppo lunga. Mi viene piuttosto in mente e nel cuore un
momento che li abbraccia uno a uno ed è il ricordo della voce e delle parole di una
giovane donna. Mi riferisco al dolore straziato di Rosaria Costa, la moglie dell’agente
Vito Schifani morto insieme ai colleghi Rocco Dicillo e Antonino Montinaro nella
strage di Capaci il 22 maggio 1992 in cui persero la vita i magistrati Giovanni Falcone
e Francesca Morvillo.
Non ho dimenticato le sue parole il giorno dei funerali del marito, quel microfono
strappato ai riti e alle convenzioni delle cerimonie:
«chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli
uomini
della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani,
sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete
mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare...Ma loro non cambiano... [...]
...loro non vogliono cambiare...Vi chiediamo [...] di operare anche voi per la pace, la
giustizia, la speranza e l’amore per tutti»
Giustizia e cambiamento, questa è la sfida che abbiamo davanti. Ci attende
un intenso lavoro comune per rispondere, con i fatti, alle attese dei cittadini che
chiedono anzitutto più giustizia sociale e più etica, nella consapevolezza che il lavoro
è uno dei principali problemi di questo Paese.
Penso alle risposte che al più presto, ed è già tardi, dovremo dare ai disoccupati,
ai cassintegrati, agli esodati, alle imprese e a tutti quei giovani che vivono una vita a
metà: hanno prospettive incerte, lavori, chi ce l’ha, poco retribuiti, quando riescono
a uscire dalla casa dei genitori vivono in appartamenti che non possono comprare,
cercando di costruire una famiglia che non sanno come sostenere.
Penso all’insostenibile situazione delle carceri nel nostro Paese, che hanno
bisogno di interventi prioritari, a una giustizia che oggi va riformata in modo organico,
agli immigrati che cercano qui una speranza di futuro, ai diritti in quanto tali, che non
possono essere elargiti col ricatto del dovere e che non possono conoscere limiti,
altrimenti diventano privilegi.
Penso alle Istituzioni sul territorio, ai Sindaci dei Comuni che stanno soffrendo e
faticano a garantire i servizi essenziali ai loro cittadini. Sappiano che lo Stato è dalla
loro parte, e che il nostro impegno sarà di fare il massimo sforzo per garantire loro
l’ossigeno di cui hanno bisogno.
Penso al mondo della Scuola, nelle cui aule ogni giorno si affaccia il futuro
del nostro Paese, e agli insegnanti che fra mille difficoltà si impegnano a formare
cittadini attivi e responsabili
Penso alla nostra posizione sullo scenario europeo: siamo tra i Paesi fondatori dell’Unione e il nostro compito è portare nelle Istituzioni comunitarie le esigenze e
i bisogni dei cittadini. L’Europa non è solo moneta ed economia, deve essere anche
l’incontro tra popoli e culture.
Penso a questa politica, alla quale mi sono appena avvicinato, che ha bisogno
di essere cambiata e ripensata dal profondo, nei suoi costi, nelle sue regole, nei suoi
riti, nelle sue consuetudini, nella sua immagine, rispondendo ai segnali che i cittadini
ci hanno mandato e ci mandano in ogni occasione. Sogno che quest’Aula diventi
una casa di vetro, e questa scelta possa contagiare tutte le altre Istituzioni.
Di quanto radicale e urgente sia il tempo del cambiamento lo dimostra la scelta
del nuovo Pontefice, Papa Francesco, i cui primi atti hanno evidenziato un’attenzione
prioritaria verso i bisogni reali delle persone.
Voglio in conclusione rivolgere a nome dell’Assemblea dei senatori e mio
personale un deferente saluto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,
supremo garante della Costituzione e dell’unità italiana che con saggezza e salda
cultura istituzionale esercita il suo mandato di Capo dello Stato.
Desidero anche ringraziare il mio predecessore, il senatore Renato Schifani, per
l’impegno profuso al servizio di questa assemblea.
Un omaggio speciale indirizzo ai Presidenti emeriti della Repubblica, ai senatori
a vita e a Emilio Colombo che ha presieduto con inesauribile energia la fase iniziale
di questa XVII legislatura, lui che ha visto nascere la Repubblica partecipando ai
lavori dell’Assemblea Costituente.
Chiudo ricordando cosa mi disse il Capo dell’ufficio Istruzione del Tribunale di
Palermo Antonino Caponnetto, poco prima di entrare nell’aula del maxi processo
«Fatti forza, ragazzo, vai avanti a schiena dritta e testa alta e segui sempre e soltanto
la voce della tua coscienza».
Sono certo che in questo momento e in quest’Aula l’avrebbe ripetuto a ciascuno
di noi.