sabato 24 agosto 2013

L'estate dei CIE



Il mese di agosto sta per terminare, le città si riempiono e, nell'indifferenza di molti, continuano a sbarcare immigrati a Lampedusa. Da lì vengono parcheggiati nei CIE (questo argomento è stato da noi più volte trattato), ma il 10 agosto scorso è accaduto un fatto più grave del solito: nel centro di accoglienza Sant'Anna di Isola di Capo Rizzuto è scoppiata una rivolta che ha visto coinvolta una cinquantina di persone. Un uomo di nazionalità marocchina, di 31 anni, si è sentito male ed è stato portato al Pronto Soccorso dell'ospedale civile di Crotone dove è deceduto per una cardiopatia, probabilmente aggravata dall'uso di farmaci. La struttura di Capo Rizzuto è stata chiusa alla vigilia di ferragosto, dopo che la Procura l'ha dichiarata inagibile.
La notizia della morte dell'immigrato ha riacceso i riflettori sulle condizioni di sopravvivenza delle persone che vengono portate nei centri di identificazione e di espulsione: in un'interessante intervista ad Alexandra D'Onofrio - pubblicata nel mese di luglio sulla nostra piattaforma, nella quale si parlava del suo documentario intitolato “La vita che non CIE” - sono state raccontate le difficoltà, le paure, le aspettative di uomini, giovani e meno giovani, che partono dai loro Paesi d'origine, affrontando un viaggio pericoloso, per ritrovarsi all'interno di edifici-prigioni senza aver commesso reato, senza documenti, senza capire cosa stia accadendo; per mesi e mesi restano rinchiusi, abbandonati a se stessi, spesso senza conoscere la lingua con cui chiedere e comunicare e, per calmare l'ansia (ma anche per tenere sotto controllo l'aggressività) vengono sedati con psicofarmaci. E questa è solo una parte della situazione.
In alcuni casi, quindi, chi ha ancora forza e lucidità prova a protestare, usando mobili e arredi, bruciando materassi. Un modo per farsi sentire, una maniera per esprimere rabbia ed esasperazione. Negli ultimi giorni la rivolta ha toccato anche il CIE di Gradisca, in provincia di Gorizia, in cui sono rimasti feriti due immigrati (per uno di loro la prognosi è ancora riservata). All'interno dell'edificio, circa trenta detenuti sono saliti sul tetto, gridando slogan per denunciare le loro condizioni; all'esterno, si è creato un presidio durante il quale i manifestanti hanno esposto cartelli con le scritte: “Chiudiamo i lager di Stato” oppure “ Libertà/Freedom/Liberté”. A dar forza alla richiesta anche le parole della vicepresidente della Provincia di Gorizia, Mara Cernic, che ha dichiarato: “ Siamo contrari a questo modo di gestire l'immigrazione, che risulta inadeguato sul piano del rispetto dei diritti umani”.