Il mese
di agosto sta per terminare, le città si riempiono e,
nell'indifferenza di molti, continuano a sbarcare immigrati a
Lampedusa. Da lì vengono parcheggiati nei CIE (questo argomento è
stato da noi più volte trattato), ma il 10 agosto scorso è accaduto
un fatto più grave del solito: nel centro di accoglienza Sant'Anna
di Isola di Capo Rizzuto è scoppiata una rivolta che ha visto
coinvolta una cinquantina di persone. Un uomo di nazionalità
marocchina, di 31 anni, si è sentito male ed è stato portato al
Pronto Soccorso dell'ospedale civile di Crotone dove è deceduto per
una cardiopatia, probabilmente aggravata dall'uso di farmaci. La
struttura di Capo Rizzuto è stata chiusa alla vigilia di ferragosto,
dopo che la Procura l'ha dichiarata inagibile.
La
notizia della morte dell'immigrato ha riacceso i riflettori sulle
condizioni di sopravvivenza delle persone che vengono portate nei
centri di identificazione e di espulsione: in un'interessante
intervista ad Alexandra D'Onofrio - pubblicata nel mese di luglio
sulla nostra piattaforma, nella quale si parlava del suo documentario
intitolato “La vita che non CIE” - sono state raccontate le
difficoltà, le paure, le aspettative di uomini, giovani e meno
giovani, che partono dai loro Paesi d'origine, affrontando un viaggio
pericoloso, per ritrovarsi all'interno di edifici-prigioni senza aver
commesso reato, senza documenti, senza capire cosa stia accadendo; per
mesi e mesi restano rinchiusi, abbandonati a se stessi, spesso senza
conoscere la lingua con cui chiedere e comunicare e, per calmare
l'ansia (ma anche per tenere sotto controllo l'aggressività) vengono sedati
con psicofarmaci. E questa è solo una parte della situazione.
In
alcuni casi, quindi, chi ha ancora forza e lucidità prova a
protestare, usando mobili e arredi, bruciando materassi. Un modo per
farsi sentire, una maniera per esprimere rabbia ed esasperazione.
Negli ultimi giorni la rivolta ha toccato anche il CIE di Gradisca,
in provincia di Gorizia, in cui sono rimasti feriti due immigrati
(per uno di loro la prognosi è ancora riservata). All'interno
dell'edificio, circa trenta detenuti sono saliti sul tetto, gridando
slogan per denunciare le loro condizioni; all'esterno, si è creato
un presidio durante il quale i manifestanti hanno esposto cartelli
con le scritte: “Chiudiamo i lager di Stato” oppure “
Libertà/Freedom/Liberté”. A dar forza alla richiesta anche le
parole della vicepresidente della Provincia di Gorizia, Mara Cernic,
che ha dichiarato: “ Siamo contrari a questo modo di gestire
l'immigrazione, che risulta inadeguato sul piano del rispetto dei
diritti umani”.