venerdì 28 febbraio 2014

Agnese Moro e il senso del perdono



Lunedì 17 febbraio si è svolto un incontro importante presso il Conservatorio di Milano: il Centro Asteria ha invitato Agnese Moro - sociopsicologa e figlia dello statista Aldo Moro - per un approfondimento e per un dibattito con gli studenti di alcune scuole superiori: un'iniziativa utile, importante e anche ricca di emozioni per parlare di giustizia e di perdono.

L'Associazione per i Diritti Umani ha partecipato all'incontro e ha realizzato per voi il video pubblicato di seguito. Lasciamo la parola ad Agnese Moro che ringraziamo di cuore per le sue parole e per la sua testimonianza e ringraziamo anche il Centro Asteria per questa opportunità.





In questi giorni e fino al 2 marzo, inoltre, sono in scena due spettacoli teatrali. Presso il Teatro Elfo-Puccini di Milano lo spettacolo intitolato: Aldo Morto -Tragedia di e con Daniele Timpano. Un attore, nato negli anni'70 e che di quegli anni non ha alcuna memoria, partendo dalla tragica vicenda del rapimento di Aldo Moro, si confronta con l'impatto che questo evento ha avuto nell'immaginario collettivo.

Lo spettacolo ha vinto il Premio “Rete critica 2012” e ha ottenuto una segnalazione speciale per il Premio In-box e Premio Ubu come “migliore novità italiana”.

Enigma Moro” di scena, invece, alla Sala AcomeA del Parenti. L’attore e regista Roberto Trifirò alla prova con Leonardo Sciascia, uno dei più grandi scrittori e coscienze civili del nostro Paese., spettacolo liberamente ispirato a “L’Affaire Moro” del celebre scrittore siciliano. Sul palco con Alessandro Tedeschi, Trifirò si addentrerà tra le lettere che Moro scrisse prima di essere assassinato dalle BR e che Sciascia era il solo a considerare autentiche, non annebbiate dall’angoscia o dalle pressioni psicologiche in cui l’uomo Moro si trovava (Info: 02 59995206).


giovedì 27 febbraio 2014

Pussy Riot: dalla realtà al cinema




I giochi olimpici invernali di Sochi sono terminati e fanno ancora discutere: sì di sport, ma anche di diritti umani.
Foto Ansa

Lo scorso 20 febbraio, infatti, quattro ragazze del gruppo dissidente Pussy Riot hanno tentato di cantare un brano, decisamente allegorico, davanti al Municipio della città che ospita le Olimpiadi: “Putin vi insegnerà ad amare la patria”, questa una delle frasi della canzone con cui le attiviste tentavano di portare avanti la loro protesta, ma sono state accerchiate e fermate dai militari del Corpo dei Cosacchi che le hanno tratte in arresto dopo averle apostrofate con frasi del tipo: “Vi siete vendute agli americani”.

Durante il fermo pare che le giovani donne siano state trattate duramente: una di loro, Nadezhda Tolokonnikova, ha riportato alcune contusioni al torace causate da colpi di manganello e, per qualche minuto, ha perso l'uso della vista per lo spray al peperoncino spruzzato dai soldati.

Il “fenomeno Pussy Riot” fa parlare, fa discutere: e così la loro storia e il loro impegno politico-sociale viene raccontato anche dal Cinema, per continuare a riflettere su temi attuali, ma anche tanto universali, quali: il senso della ribellione, la lotta per i diritti di base, il significato della libertà.  
Foto AdnKronos

Candidato agli Oscar 2014, il documentario Pussy Riot- A punk prayer di Mike Lerner e Maxim Pozdorovkin (uscito nelle sale italiane lo scorso mese di dicembre) ha anche ottenuto il Premio speciale della Giuria al Sundance Festival: il film intreccia storie individuali alla grande Storia degli ultimi 20 anni, in Russia, in Europa.

Le immagini partono dall'esibizione del gruppo anti-Putin tenutosi nella cattedrale del Cristo Salvatore, a Mosca nel febbraio 2012 e segue le vicende delle ragazze fino alla loro condanna a due anni di carcere.

Intanto i genitori di Nadia, Masha e Katia raccontano e ricordano il proprio Passato, collegato da un filo diretto al Presente delle loro figlie e dei figli di molti altri. Manifestazioni, proteste, clamore, l'arresto, il processo: un forte grido di libertà che, però, non viene accolto da tutti.

Il documentario, infatti, mostra anche come la popolazione russa sia divisa: chi sostiene il gruppo e chi, invece, si sente offeso dal suo modo di protestare...come se l'apparenza fosse più importante della sostanza. Intanto Katia è stata liberata, altre due femministe sono detenute in campi di lavoro (ma dovrebbero essere liberate entro quest'anno) e tutte le Pussy Riot sono diventate un simbolo.



mercoledì 26 febbraio 2014

End Famale Genital Mutilation



Articolo di Monica Macchi che ringraziamo sempre molto.



Erik Ravelo è un artista cubano diventato famoso per alcune campagne pubblicitarie come Unhate, progettata per Benetton, fotomontaggi fantapolitici tra leader che si baciano (questo ha destato particolare scalpore…);
 
 
Fahma Mohammed è invece una studentessa somala di Bristol di 17 anni che ha lanciato tramite Change.org una petizione ripresa poi dal “The Guardian” per azioni capillari di sensibilizzazione nelle scuole britanniche sulle mutilazioni genitali femminili. Secondo gli ultimi dati OMS questa pratica colpisce ancora più di 130 milioni di bambine nel mondo: nel solo Regno Unito, nonostante sia illegale dal 1985, si calcola che ogni anno vengano infibulate o escisse circa 66.000 bambine e ragazze e ce ne siano più di 20.000 “a rischio”.
Erik ha voluto dare il suo contributo a questa campagna creando il logo presentato lo scorso fine settimana: una lametta arrugginita e affilata che evoca l’inequivocabile ma rotta, quindi inutilizzabile e per di più trafitta in diagonale dallo slogan della campagna: “End Female Genital Mutilation”.  
Ed ecco il testo della petizione (che si può ancora firmare) a Micheal Gove sottosegretario
 
britannico all’educazione per formare insegnanti sul tema delle MGF prima dell’estate, “la stagione del taglio” quando approfittando delle vacanze scolastiche, molte ragazze vengono rimandate nei Paesi d’origine per essere sottoposte a questo rito che le priva del piacere sessuale e le condanna al dolore e a continue infezioni.



Warning: This petition is about FGM and may be distressing for some readers.


You wouldn't think school girls in the UK have to worry about female genital mutilation (FGM), but we do. Although it is illegal in the UK, it is still happening - 24,000 girls in the UK are currently at risk of FGM. People just don't talk about it, doctors don't check for it and teachers don't teach it.
FGM is child abuse. It forces girls into a future of pain from the moment they are cut. They face the risk of infertility, pain during urination, menstruation, childbirth and sexual intercourse. The pain doesn’t go. It’s a traumatic experience they have to live with every single day, physically and emotionally.

That’s why I’ve started this campaign with The Guardian.

I know of people who have been cut - anyone who knows girls from FGM affected communities will know girls who have been cut. We were told Ofsted would be asking schools what they are doing to protect these girls from FGM, but it never happened.

Me and my classmates campaigned for our school to do more on FGM. Now all the girls at school know the risks of FGM and feel able to talk about it. But this is one school. We need this to happen at every school in the country - so that no girl is missed.

We need to act now. Many girls are sent away to be cut over the summer holidays. Some are cut at home. They call it the 'cutting season'. If every headteacher was given the information they need to talk about FGM to students and parents we could reach every girl who is at risk before the holidays. We could convince families not to send their daughters to be cut and we can help girls who are at risk. We could break the cycle so the next generation is safe.

That’s why I’m calling for Michael Gove to get schools to teach about FGM before the summer holidays.

Michael Gove -- we’re serious, we’re not going to back down and we won’t go away.





martedì 25 febbraio 2014

Milano verso il 1 marzo, giornata dello sciopero dei lavoratori migranti



Cari amici, vi riportiamo qui di seguito il comunicato stampa e alcune informazioni importanti per la manifestazione del 1 marzo alla quale saremo presenti anche noi per dare il nostro appoggio ai migranti, agli organizzatori e per fare alcune riprese in modo da poterle condividere ed essere, così, ancora più numerosi.

Grazie a tutti.


 

I DIRITTI PER LE/I MIGRANTI = DIRITTI PER TUTTE E TUTTI 
 
Manifestazione cittadina a Milano 
 
partenza da Piazzale Loreto/arrivo in Duomo 
 
Concentramento alle ore 14,30 
 
La Milano antirazzista si mobilita come "Milano Senza Frontiere" e chiama tutte e tutti a scendere in piazza l’1 marzo per riportare l'attenzione sui diritti negati o violati delle cittadine e dei cittadini migranti. 
 
La manifestazione dell’1 marzo è diventata uno degli appuntamenti simbolo distintivi dell’antirazzismo italiano. 
 
Anche quest’anno vogliamo ribadire in modo nonviolento a gran voce che garantire i diritti delle e dei migranti vuol dire garantire i diritti di tutta la  cittadinanza.
 
Solo insieme, migranti ed autoctoni, possiamo rispondere al clima di razzismo e di paura, che alcuni esponenti di istituzioni, partiti politici o mass media vogliono affermare nel paese. 
 
Solo insieme possiamo costruire una risposta alla crisi economica e reagire contro chi fomenta la guerra tra poveri facendo crescere la solidarietà per rendere concreto il sogno di una società di convivenza, in cui tutte le persone possano godere degli stessi diritti, senza distinzioni basate sulla provenienza  
 
Per ciò chiamiamo tutte e tutti a manifestare l’1 Marzo a Milano, in preparazione della prossima manifestazione nazionale contro ogni forma di razzismo e per i diritti delle e dei migranti. 
 
Il ritrovo è alle 14.30 in Piazzale Loreto/angolo via Padova,fino a Piazza Duomo, dove in ultimo si concentrerà, e dal palco allestito sotto l'Arengario si potranno ascoltare testimonianze e contributi sui temi e le richieste che vogliamo riportare in primo piano nel dibattito politico.
 
Durante la manifestazione verrà richiesto:
  • La chiusura immediata dei Centri di Identificazione ed Espulsione e la chiusura definitiva del Centro di via Corelli a Milano 
  • Una nuova legge sull’immigrazione
  • Svincolare il permesso di soggiorno dal lavoro
  • Il diritto di cittadinanza per le bambine e i bambini nati e/o cresciuti in Italia
  • Il diritto di voto per i/le migranti che risiedono in Italia 
  • Il diritto al lavoro per tutti e tutte come previsto dalla Costituzione 
  • Parità di diritti fra cittadini 
  • Il diritto al reddito per tutti e tutte 
  • Una legge per il diritto d’asilo e reali politiche di accoglienza 
  • No alla discriminazione nell'acceso ai diversi servizi 
  • Garantire l'esercizio della libertà di culto 
               
MILANO SENZA FRONTIERE




    


lunedì 24 febbraio 2014

Per la cittadinanza a Mohamed Ba



Il 26 febbraio, in collaborazione con l’associazione Asnada e con il patrocinio della Fondazione Cariplo, verrà proiettato il film Va’ Pensiero del regista Dagmawi Yimer presso il Cinema Anteo di Milano (ore 21,00) per voltare pagina e rilanciare la petizione che chiede il conferimento della cittadinanza a Mohamed Ba. Firmala anche tu ora, aiutaci a raggiungere quota mille, manca pochissimo.
http://www.change.org/it/petizioni/al-presidente-della-repubblica-giorgio-napolitano-cittadinanza-per-mohamed-ba-vittima-di-attentato-razzista.



L'Associazione per i Diritti Umani sostiene questa richiesta importantissima.

E, nell'occasione, certi di farvi cosa gradita,ripubblichiamo i due incontri che la nostra associazione ha realizzato proprio con Mohamed Ba nei mesi scorsi, ringraziandolo ancora tantissimo per questi momenti di riflessione così ricchi e interessanti.







Vi ricordiamo che il materiale video di tutti i nostri incontri è disponibile anche sul canale YOUTUBE dell'Associazione per i Diritti Umani.


domenica 23 febbraio 2014

L'elogio della diversità

Non vogliamo commentare il Festival di Sanremo, ma se c'è un'oasi felice tra tante inutili e insulse canzoni, quell'isola è il monologo di Luciana Littizzetto sul tema, serio, della diversità: intesa come ricchezza e come valore aggiunto. Una bellezza che va custodita e rispettata.
Riportiamo, quindi, il video del monologo, nel caso qualcuno di voi non lo abbia ascoltato, perché lo riteniamo importante.



sabato 22 febbraio 2014

Cosa succede in Ucraina


Si contano 100 vittime tra i protestanti, in Ucraina, mentre il Presidente Yanucovich annuncia, in un comunicato, l'accordo tra il governo ucraino, l'opposizione, l'Unione europea e la Russia: l'intesa prevede elezioni anticipate, un governo di coalizione e una riforma della Costituzione.

In Italia è arrivata la figlia della leader dell'opposizione Yulia Timoshenko, Yevhenia, che che ha affermato: “Questa guerra civile non è tra fratelli, ma tra il regime e il suo popolo. Se non ci sarà un cambiamento le proteste continueranno. Perchè bisogna sentire le richieste del popolo, serve un cambiamento politico con nuove elezioni e riforme. Non si può consegnare il Paese alla Russia...il cambiamento è chiesto dal popolo e la Russia deve accettarlo”.

Ma per comprendere meglio cosa sia accaduto e cosa stia succedendo in Ucraina vi proponiamo un video del tg2 (del 19 febbraio scorso) con l'intervento di Marianna Soronevych, giornalista impegnata nel sostegno della comunità ucraina in Italia.


venerdì 21 febbraio 2014

Carcere e creatività





Tra le fine di novembre 2013 3 l'inizio del nuovo anno, si è tenuto il XIV Convegno Internazionale di Urbania, nell'ambito del quale la Rivista dei Teatri della diversità ha ospitato un seminario che, con il sostegno del Servizio delle Politiche Sociali della Regione Marche, ha illustrato un progetto svolto negli istituti penitenziari regionali. Il progetto, che si è sviluppato tra il 2012 e il 2013, ha visto la collaborazione tra sette gruppi teatrali e alcuni detenuti che hanno avuto l'opportunità di partecipare a corsi di teatro per poi mettere in scena gli spettacoli in alcuni teatri.

Art'O Teatro di Ancona-Barcaglione; Sassi nello stagno di Camerino; La Pioletta per il carcere di Fossonbrone; Teatro Aenima di Pesaro: queste alcune realtà artistiche che hanno lavorato con le persone recluse per ridare loro fiducia in se stesse e autostima; per far fare esperienze positive e condivise; per fornire gli strumenti di un mestiere che arricchisce l'interiorità e le relazioni con gli altri.

Il progetto nasce tre anni fa, anche con la collaborazione di alcuni esponenti del Coordinamento Teatro in Carcere, e ha visto la stipula di un Protocollo d'Intesa che si impegna ad inserire - tra le materie di insegnamento dell'Istituto Superiore di Studi Penitenziari – quella della Drammaturgia Teatrale, alla luce della valenza pedagogica testimoniata dalle varie attività di questo tipo, attive in molte carceri italiane.

A questo proposito, durante il mese di febbraio in corso, è andato in sena, presso il Teatro Elfo-Puccini di Milano, lo spettacolo dal titolo Terra e acqua, per la regia di Mimmo Sorrentino e con la partecipazione dei giovani detenuti della Casa Circondariale di Vigevano.

Scrivete una preghiera. Ma non il Padre nostro. Voglio una preghiera personale”: da queste parole prende vita lo spettacolo: a partire dalle preghiere dei detenuti, preghiere che raccontano come il carcere è non solo un luogo fisico, ma anche un luogo dell'anima, perchè “tutti abbiamo un carcere dentro di noi”.   


A tema in un certo senso “religioso” anche il testo di un altro spettacolo, portato in scena sempre all'Elfo – Puccini a dicembre scorso: Se Betlemme avesse lu mare, a cura di Gianfelice Facchetti con Fabrice, Filippo, Fteh, Gianfranco, Hassan, Luis, Marco, Mauro, Michel, Pierre, Stalin e Youssef: tutte persone detenute nella Casa Circondariale di Monza.

Si tratta della storia di una compagnia sgangherata di commedianti, condannata a rappresentare tutti gli anni un presepe vivente. La particolarità, però, sta nel fatto che anche i ruoli “bestiali” (il bue e l'asinello, ad esempio) sono interpretati da persone, così come il ruolo della Maria è interpretato da un uomo...un gioco di ruoli, di scambi per persone che si mettono in gioco fino in fondo, che imparano a mettersi nei panni degli altri....di tutti gli altri. Per arrivare alla riflessione su Gesù come un “povero Cristo”, un povero cristo come noi.

Questi spettacoli fanno parte del progetto “Teatro e Carcere” che continuerà il suo cammino e noi lo seguiremo.

giovedì 20 febbraio 2014

Concerto e viaggio nella cultura Rom





Santino Spinelli e Alexian Group: Concerto e viaggio nella cultura Rom




Venerdì 21 febbraio ore 21 - Teatro del Lido di Ostia

SANTINO SPINELLI E ALEXIAN GROUP in concerto


con Alexian Santino Spinelli fisarmonica e canto
Antonio Ranieri
percussioni, Giulia Spinelli violoncello, Evedise Spinelli arpa celtica e canto,

Dino Tonelli tromba, Matteo Bisbano tastiera



INGRESSO LIBERO A SOTTOSCRIZIONE



La campagna di informazione ‘Romaidentity - Il mio nome è Rom’ presenta il concerto del musicista e compositore Rom Santino Spinelli con l’Alexian Group, che si terrà Venerdì 21 febbraio alle ore 21 al Teatro del Lido di Ostia (Via delle Sirene 66, Lido di Ostia) nell’ambito della rassegna Dialog Festival, con ingresso libero a sottoscrizione. All’evento interverranno giovani attivisti Rom che frequentano i corsi di formazione promossi dalla campagna Romaidentity e rappresentanti delle associazione partner del progetto: Ricerca e Cooperazione, Ass. Stampa Romana e Affabulazione.

Il concerto è un percorso musicale e canoro in lingua romaní che offre un viaggio ideale attraverso la storia e la cultura Rom. Si tratta di un percorso artistico suggestivo, una vera e propria carovana esistenziale e culturale che fissa momenti importanti di un lungo viaggio. I Rom provengono dall’India e attraverso la Persia, l’Armenia e l’Impero Bizantino sono arrivati in Europa. I Rom Abruzzesi sono cittadini Italiani e rappresentano il primo gruppo arrivato in Italia oltre sei secoli fa, dalle coste greche. Nella musica di Santino Spinelli – in arte Alexian - si rintracciano le diverse tradizioni musicali romanès, gli intrecci del passato e ghi echi di una cultura millenaria ma la sua proposta artistica è un percorso originale, di grande impatto emotivo.

Alexian Santino Spinelli è un Rom italiano appartenente alla comunità romanès di più antico insediamento in Italia. Musicista, compositore, saggista e poeta. La sua poesia “Auschwitz” è incisa sul monumento che si trova davanti al Parlamento tedesco a Berlino dedicato al genocidio dei Rom e Sinti. Insegna Lingue e processi interculturali – Lingua e Cultura Romanì – all’ Università di Chieti. E’ stato insignito di numerosi premi fra cui: “Ethnoworld Award 2003″ dall’ Università Bocconi di Milano, il “Premio Pigro 2003 alla carriera” nell’ambito del festival nazionale dedicato ad Ivan Graziani e il Premio Flaiano per l’ opera Teatrale “Duj furatte Mulò”, il Premio Historium “Mecenate della cultura”.

La campagna “ROMAIDENTITY- Il mio nome è Rom” è parte del progetto Conflicts, mass media and rights: A raising awareness campaign on Roma culture and identity. E’ promossa dalla ong Ricerca e Cooperazione insieme a Associazione Stampa Romana, Associazione Rom Sinti@Politica, Università La Sapienza, Affabulazione e altre associazioni e istituzioni di Romania e Spagna. Attraverso iniziative di ricerca, formazione, sensibilizzazione ed educazione interculturale il progetto vuole aumentare la conoscenza e la disponibilità all’accoglienza e all’integrazione della popolazione Rom in Europa.



Ufficio Stampa Ludovica Jona – l.jona@ongrc.org – 338 8786870

Rossella Barrucci - rossellabarrucci@gmail.com – 342 0777138

promozione@teatrodellido.it : 06 5646962



mercoledì 19 febbraio 2014

Dahab e Hurria



di Monica Macchi


Dahab Abdel Hamid, una ragazza di 19 anni è stata arrestata a Shubra, quartiere tra i più poveri del Cairo (dove Yousef Chahine ha ambientato il suo ultimo film Hyya Fauda, denuncia della corruzione della polizia all’epoca di Mubarak) lo scorso 14 gennaio nei tafferugli seguiti ad alcune manifestazioni a sostegno dell’ex presidente Mohammed Morsi. Dahab è stata arrestata nonostante fosse incinta all’ottavo mese: da allora è stata incarcerata nella stazione di polizia di El Amirya, con continui rinnovi di detenzione per esigenze d’indagine (quindi senza né processo né condanna): l’accusa è “appartenenza a un gruppo terroristico”, cioè i Fratelli Musulmani che sono da mesi ufficialmente fuorilegge, e “partecipazione a protesta non autorizzata”, nonostante suo marito Ashraf Sayed abbia dichiarato che Dahab aveva appuntamento dal ginecologo per una visita di controllo e si sia così trovata per caso coinvolta per caso nelle retate. 


Due giorni fa Dahab ha partorito all’ospedale Zaitoun con un taglio cesareo ammanettata alla barella: l’attivista per i diritti umani Nermeen Yosri è andata a trovarla e ha postato in rete alcune foto che hanno scatenato un’indignazione collettiva tanto più che Dahab è stata riportata subito in cella e il marito ha denunciato al canale televisivo Al-Nahar che le viene impedito persino di allattare o tenere in braccio la figlia perché le manette le vengono tolte solo per andare in bagno. Per tutta risposta un funzionario del ministero degli interni ha dichiarato che Dahab sta ricevendo “la migliore assistenza possibile” aggiungendo che la foto di lei ammanettata “potrebbe essere stata scattata mentre veniva trasportata in ospedale”….alquanto improbabile come si può arguire dalla presenza della neonata per di più già vestita!


Il Consiglio nazionale per i diritti umani e ben sedici organizzazioni che a vario titolo sostengono e tutelano i diritti umani hanno chiesto indagini non solo sul caso di Dahab e sulle persone in stato di detenzione ma anche sull’aumento delle accuse di torture e molestie sessuali tra cui il “ritorno” dell’obbligo dei test di verginità per le ragazze arrestate. Del resto, Abdel-Fattah al-Sisi, accreditato come prossimo presidente, nell’aprile del 2012, quando era ancora un militare semisconosciuto, ha difeso e sostenuto i test di verginità come strumento “per proteggere le ragazze dallo stupro, e i soldati e gli ufficiali dalle accuse di stupro”. Secondo Mohammed Emessiry, ricercatore di Amnesty International, le varie forme di torture non sono più riservate solo ai prigionieri politici, ma sono utilizzate per far passare il messaggio di cosa potrebbe accadere a tutti coloro che si oppongono al governo. Il Ministero dell'Interno ha rifiutato di rispondere alle domande di vari giornali e siti che hanno rilanciato le accuse sul trattamento dei detenuti in custodia egiziana, ma ha rilasciato una dichiarazione negando qualsiasi abuso e dicendo che era aperto e disponibile a ricevere denunce da presunte vittime.

Oggi, sotto l’onda delle proteste, soprattutto ma non solo in rete, il quotidiano egiziano Al-Ahram on line ha dato la notizia che il Procuratore generale ha ordinato la liberazione di Dahab per “motivi di salute”.



PS Dahab ha deciso di chiamare sua figlia Hurrya, “Libertà”.




martedì 18 febbraio 2014

La questione del velo islamico: una questione ancora aperta




Attorno alla questione del velo infuria un dibattito molto acceso: chi lo indossa vede in esso l'espressione della propria identità religiosa e culturale e, in alcuni casi, politica; chi lo critica lo considera un ritorno al passato, la prova di un islam oscurantista e misogino. Il saggio di Renata Pepicelli (Carocci Editori) affronta questo tema da un punto di vista storico, religioso e sociopolitico in una prospettiva temporale che va dall'alba dell'Islam fino ai giorni nostri.


Abbiamo intervistato per voi Renata Pepicelli, titolare dal 2008 di un assegno di ricerca presso il dipartimento di Politica, Istituzioni e Storia della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna Alma Mater Studiorum e Dottore di ricerca in “Geopolitica e culture del Mediterraneo” presso il Sum, Istituto Italiano di Scienze Umane / Università Federico II di Napoli.


Ringraziamo tantissimo l'autrice per la sua disponibilità.





Per le donne che lo indossano, portare il velo è una scelta o un'imposizione? Nel primo caso si tratta di una scelta politica, religiosa o culturale?



Per quella che è la mia esperienza di ricerca in Italia, ma anche nei Paesi a maggioranza musulmana della sponda sud del Mediterraneo, in molti casi il velo è una scelta.

Una scelta che può in alcuni casi anche essere condizionata da fattori sociali come, per fare un esempio, dall'idea che sia più semplice trovare marito perchè velate, in quanto il velo mostra un'immagine di donna più morigerata, pia e casta. Ma la scelta è dettata, soprattutto, da un riposizionamento delle donne, all'interno di un discorso religioso, che non avviene più solamente nella sfera privata, ma anche nella sfera pubblica.

Nel corso del '900 abbiamo visto le donne svelarsi soprattutto nelle grandi città, ma non solo; a partire dalla fine del '900, invece, abbiamo un “ritorno” sempre più significativo delle donne che decidono di indossare il velo che copre la testa e, in alcuni casi, assistiamo anche a forme di velo che coprono il volto, come il niqab. Ci sono casi di imposizione o di violenze familiari che impongono alle donne di velarsi, ma nella maggioranza dei casi si tratta di una scelta.

Sicuramente alla base c'è una scelta di carattere religioso: l'idea che l'Islam e il Corano richiedano alle donne un atto di modestia che è quello di non mostrare troppo il proprio corpo. In realtà il velo dovrebbe essere la punta dell'iceberg di una più ampia idea di modestia dei comportamenti femminili per cui l'hijab, che copre la testa, non significa altro che un modo più generale di comportarsi.



Cosa può dirci della condizione femminile nei Paesi delle rivoluzioni?



Sono da poco tornata dal Marocco dove ho fatto ricerca sulla condizione e sull'attivismo femminile dopo le rivolte del 2011-12 e, in particolare, dopo l'approvazione della Costituzione del 2011.

Il Paese è estremamente diviso, con grandi differenze tra le città e le zone rurali; basti pensare che è un Paese con un altissimo tasso di analfabetismo femminile che arriva fino al 60%. E poi abbiamo, invece, eccellenze femminili in diversi campi: nell'istruzione, nell'educazione, nell'imprenditoria, nell'attivismo sui diritti umani.

Sicuramente, negli ultimi dieci anni, il Marocco ha fatto dei grandi passi nel migliorare la legislazione del Paese in materia dei diritti delle donne, a partire dalla Mudawana, che è il nuovo codice della famiglia approvato nel 2004, poi la legge che permette alle donne di passare la nazionalità ai figli fino alla nuova Costituzione che, nell'articolo 19, sostiene una forte apertura verso l'uguaglianza tra uomo e donna. Quindi, da un punto di vista legislativo, dei passi in avanti, almeno in Marocco, sono stati fatti, però tante nuove leggi fanno fatica ad essere recepite dalla popolazione e ci troviamo ancora con una realtà in cui gli uomini e le donne non godono degli stessi diritti e in cui si registrano molti casi di violenza contro le donne. Un altro significativo passo avanti è ad esempio l’abolizione - avvenuta il il 23 gennaio di quest’anno - della norma in base alla quale il responsabile dello stupro di una minorenne poteva evitare il carcere sposandola. Ma, come ricorda anche Amnesty International, restano ancora molti ostacoli da superare. Nel codice penale marocchino la definizione di stupro è molto restrittiva, non si riconosce lo stupro coniugale come reato, e si fa una differenza tra le vittime di stupro sulla base della loro verginità. Va anche ricordato che il codice penale punisce i rapporti sessuali consensuali tra adulti non sposati.
Il Marocco è un Paese dalle fortissime contraddizioni: con grandi spinte al cambiamento sociale e culturale ma anche con spinte che vanno nella direzione opposta.



Ci può accennare al lavoro a fumetti di Takwa Ben Mohamed?



Takwa Ben Mohamed è una ragazza i cui genitori sono dei tunisini, esiliati in Italia vent’anni fa. Il padre era, ed è a tutt’oggi ,un rappresentante del Partito Islamista an-Nahda. Takwa e la sua famiglia lo hanno poi raggiunto qui in Italia quando lei era molto piccola.
E' cresciuta qui, si è formata qui, vivendo in un mondo fatto anche di stereotipi e razzismi. Quindi Takwa, nei suoi fumetti, parla spesso del problema del razzismo verso ragazzi che non sono figli di genitori italiani, come pure parla del velo che lei stessa indossa.



Quali sono le differenze, ma anche i punti in comune, tra le donne arabo-musulmane e le donne occidentali?



Fare qualunque generalizzazione è fuorviante: non siamo delle categorie uniche.

Sia da una parte sia dall'altra incidono moltissimo l'educazione, l'istruzione, il posizionamento religioso, la professione, gli orientamenti e i gusti personali...

Ad esempio ho fatto interviste a molte ragazze ventenni che hanno fatto parte del Movimento del 20 febbraio - quel movimento marocchino che ha cercato di seguire le orme dei giovani rivoluzionari egiziani e tunisini – e le storie che ho raccolto raccontano che molte di loro hanno lasciato i villaggi dei propri genitori per andare a studiare all'università, vivendo da sole in grandi città. Molte di loro sono attiviste per i diritti umani e/o si definiscono di sinistra, marginalizzano la religione alla sfera privata e non indossano il velo. Quindi, sono ragazze molto simili a quelle che studiano nelle nostre università. Ma poi troviamo ragazze che scelgono percorsi di vita diversi, per ragioni economiche, per mancanza di strumenti culturali o perchè fanno della religione una dimensione centrale della propria esistenza.

Trovare affinità o non affinità tra le donne arabo-musulmane e occidentali ci richiede sempre di posizionarle in base alle categorie che ho esposto e in base a queste categorie le donne possono essere molto simili o molto distanti.


lunedì 17 febbraio 2014

Patrocinio del Comune di Milano




Cari amici, lettori e colleghi,

siamo lieti di annunciare che l'iniziativa intitolata “La carovana dei diritti” (parte seconda) ha ottenuto il Patrocinio del Comune di Milano, Consiglio di zona 3.

Per noi un piccolo traguardo importante, anzi non un traguardo ma, speriamo, un punto di partenza per poter fare ancora di più e meglio, per offrirvi incontri e momenti di approfondimento importanti, per lavorare ancora e maggiormente con gli studenti delle scuole medie, superiori e con gli universitari, per avere altre opportunità di dibattito con tutti voi.

Ringraziamo molto i rappresentanti del Comune che hanno voluto sostenerci e anche i relatori e gli ospiti degli incontri della “Carovana dei diritti” che si sono resi disponibili per arricchire, con la loro presenza, questi momenti culturali.

Non vediamo l'ora di cominciare!

E vi aspettiamo numerosi!



Di seguito pubblichiamo di nuovo il volantino generale, dotato di stemmi istituzionali!

E, di volta in volta, pubblicheremo anche il volantino del singolo incontro, così potete segnarvi e ricordare giorni e orari.

Grazie di cuore ancora a tutti.





domenica 16 febbraio 2014

Milano verso Expo: Milano, donna e madre



Una sera come tante andiamo al ristornate: nuvole di drago, riso cantonese e pollo con anacardi. Angelo - un nome evocativo e molto italiano - con i suoi piccoli occhi a mandorla si avvicina e ci chiede: “Vi servono dei bicchieri?”. Proprio in quel periodo stavamo facendo un trasloco e, sì, bicchieri nuovi ci potevano essere utili. “Sono quelli dei gelati che ci avanzano”: robusti, di vetro, belli.

Chissà se Angelo, dopo innumerevoli ore chiuso dentro al ristornate di fronte alla chiesa di Via Casoretto, ha mai incrociato lo sguardo di Shady, il ragazzo di origine siriana che da tanto tempo non può entrare nel Paese di suo padre perchè lì, in passato, c'è stata la dittatura e, ora, infuria la guerra civile. Occhi di brace, quelli di Shady, ciglia lunghe che tradiscono dolcezza, ma espressione seria e concentrata quando racconta la durezza del regime e la repressione delle libertà. Forse Shady, qualche volta, attraversa Milano in metropolitana e forse, una volta, si è seduto accanto a Sanja che di solito corre per salire su un vagone che la porta in radio, dove lavora, in zona Garibaldi. Sanja è serba, di Belgrado e, nel 1999, durante i bombardamenti Nato nel quartiere della sua città, per poco viene mancata dalle bombe: il suo nome significa “colei che sogna” e questa giovane donna, forte e tenace, ha deciso di continuare a sognare a Milano, dove le persone hanno modi di dire buffi e abitudini strane, ma ti accolgono spesso con schiettezza e simpatia. Purtroppo non è sempre così: Ahmed è stato aggredito, tempo fa, mentre aspettava l'arrivo di un tram. In una fredda serata lui, abituato al calore anche umano dell'Africa, si è preso addirittura alcune coltellate in pancia, ma ad Ahmed torna il sorriso quando ripensa al Duomo, quel tempio così silenzioso, austero e pieno di pace, che custodisce la spiritualità di tutti.

Vorrei invitare questi amici - e molti altri - alla pasticceria di Via Padova dove spesso incontro Nordin: qui parliamo della sua famiglia e della sua Algeria. Chiacchiere profonde davanti a un buon croissant, per addolcire polemiche e ricordi.

Milano: signora capricciosa che accoglie e respinge. Milano: madre severa che educa e nutre. Milano: una donna imperfetta probabilmente, ma capace di dare vita.

sabato 15 febbraio 2014

Verso il 1 marzo a Milano

Il 1 marzo, ogni anno, è la data che vede lo sciopero dei lavoratori migranti in Italia. Ne parleremo approfonditamente, ma in questi giorni si stanno già organizzando le varie manifestazioni che si svolgeranno nelle città italiane.
L'Associazione per i Diritti Umani scenderà in piazza insieme a "Stessa barca" che sta preparando anche un appello dal titolo "Milano senza frontiere".
Riportiamo qui di seguito il report dell'ultima riunione del 6 febbraio e vi terremo aggiornati sul contenuto e sulle riflessioni delle prossime.
Sicuramente ci incontreremo in manifestazione dove l'Associazione per i Diritti Umani di Milano farà anche delle interviste ad alcuni partecipanti per dare ancor più risalto all'iniziativa. Ringraziamo "Stessa barca" e altre associazioni che si sono messe in contatto con noi: siamo contenti di fare rete anche in questa importante occasione.

Report riunione 6 febbraio 2014

Nella riunione si è discussa la bozza d'appello per la manifestazione. La discussione ha cercato di costruire la massima convergenza possibile tra i diversi soggetti partecipanti all'assemblea con l'obiettivo che la manifestazione sia il più partecipata possibile. Quindi, è stato definito l'appello per la manifestazione.


L'appello sarà firmato con la sigla MILANO SENZA FRONTIERE.
Tutte le organizzazioni che vogliono aderire alla manifestazione possono mandare la loro adesione alla mail
stessabarcamilano@gmail.com
Le adesioni saranno man mano riportate sull'appello. Si invita le associazioni di Milano e Provincia a partecipare e far crescere la manifestazione.


Lo slogan della manifestazione sarà: Diritti per i/le migranti = diritti per tutti e tutte. Sugli 11 punti che vengono riportate nell'appello si chiederà alle associazioni, che parteciperanno alla manifestazione, di fare degli striscione per dare a questi contenuti la più ampia visibilità. Quindi si chiede alle associazioni di scegliere uno dei punti e di comunicare alla mail
stessabarcamilano@gmail.com quale punto hanno scelto per cercare di avere bilanciare la visibilità in piazza dei punti.

La manifestazione partirà da Piazzale Loreto angolo via Padova per il particolare valore simbolico che ha quella zona di Milano.
Si è creato un gruppo che definirà con la Questura il percorso della manifestazione con l'obiettivo che la manifestazione finisca in piazza Duomo.



Entro settimana prossima sarà inviato via mail il PDF del volantino preparato per la manifestazione. Saranno anche stampate dieci mila copie di questo volantino (a colori). E' stata fatta una colletta per coprire i costi del volantino.


La prossima riunione per continuare la preparazione della manifestazione sarà GIOVEDI 13 FEBBRAIO ALLE ORE 20,30 nel Circolo Arci Corvetto in via Oglio 21.

venerdì 14 febbraio 2014

Dire NO al femminicidio

Oggi, 14 febbraio, non è San valentino, la festa sdolcinata e commerciale degli "innamorati". Oggi, 14 febbraio, è la Giornata Mondiale contro il femminicidio.
Ancora qualche ora per questa ricorrenza, ma dire NO alla violenza, di qualunque tipo, nei confronti delle donne deve essere assodato nei fatti prima che nelle parole.
Quindi: poche parole e tanta solidarietà e aiuto concreto a chi è stata vittima e a chi ancora lo è.



Per conoscere meglio la comunità cinese



Pochi giorni fa è iniziato un nuovo anno per i cinesi e per molte altre popolazioni orientali: l'anno del Cavallo. In occasione di questa festività, abbiamo rivolto alcune domande a Sergio Basso, regista del film Giallo a Milano. Un lavoro pluripremiato che aiuta gli spettatori a conoscere più a fondo una comunità considerata troppo chiusa, ma composta da uomini, donne, bambini, ragazzi che, come tutti, hanno paure e coltivano desideri, vivono la fatica della quotidianità e sognano un futuro più roseo.

Ringraziamo molto Sergio Basso per il tempo che ha voluto dedicarci e per le riflessioni suscitate dal suo intervento che riportiamo di seguito.


Quando e perché è nato questo lavoro?


Ho vissuto in Cina. Tra il 1996 e il 2008, a più riprese.

Assistere alla disinformazione mediatica alla quale la comunità cinese in Italia è sottoposta è desolante.

Altrettanto sconfortante è vedere come la società italiana continua a non raccogliere la sfida stimolante di un avvenire multiculturale, ma si arrocca sui temi vuoti dell’identità e della tradizione.

Io credo che noi non siamo chi sono stati i nostri padri, ma gli incontri che vorremmo fare. Il tempo che spendiamo a dare una definizione statica di noi, è tempo che non usiamo per incontrare l’altro.

“Giallo a Milano” non è un réportage, ma un film. Un’opera che scuota le menti, che solletichi i cervelli ma anche diverta la pancia.

Sono stufo di un approccio ai Cinesi “da entomologo”, come se fossero insetti incapaci di comunicare i propri sentimenti. In TV, ai congressi universitari, alle tavole rotonde municipali…si contattano sempre sociologi, antropologi, sinologi per spiegare chi sono i Cinesi. Non si dà mai ai Cinesi stessi l’opportunità di esprimere le proprie speranze, le proprie paure.

Si ventila la scusa che si tratta di una comunità particolarmente chiusa e che non parla la nostra lingua: forse i Friulani e i Siciliani che arrivavano a Brooklyn a fine Ottocento sapevano l’inglese?

Oltre a 150 ore di girato negli ultimi anni, il film si avvale delle foto in bianco e nero dei primi Cinesi in Italia negli anni Venti, i cosiddetti “pionieri”, e gli “home movies”, in super8 e in mini-DV, delle loro famiglie.

Uno di loro, un collaboratore di giustizia, è raccontato in animazione, per tutelarne l’identità e raccontarne la mirabolante odissea che l’ha portato sino in Italia


Ci può anticipare le storie di alcune persone che ha incontrato?   





Posso fare di meglio, rimandare alla piattaforma crossmediale che presenta i personaggi del film, raccontando anche episodi ulteriori, inediti rispetto al documentario, ed è stata creata insieme al Corriere della Sera con lo studio d’animazione La Testuggine:

www.corriere.it/gialloamilano

A che punto è il dialogo tra italiani e cinesi, soprattutto dopo l'episodio di guerriglia che ha visto coinvolti stranieri e Polizia?

Ai lumbard stavano antipatici i terroni perché erano troppo pigri, adesso stanno antipatici i cinesi perché lavorano troppo e puzzano…a nessuno viene il dubbio che il problema siamo noi? È vero che l’afflusso di Cinesi nella zona è aumentato esponenzialmente negli ultimi dieci anni, e la gente ha bisogno di tempo per abituarsi all’Altro; però è anche vero che prima i Cinesi di Paolo Sarpi si sono presi i negozi, e poi il Comune ha cercato di spostarli e ha trasformato una zona di esercizi commerciali in una ZTL, spaccando le gambe ai negozianti, non solo quelli orientali. Come se non bastasse, speculazioni edilizie vorrebbero i Cinesi fuori dai piedi, per far lievitare i costi delle case. Insomma, diciamo che non mancano gli ingredienti per un bel po’ di attrito.

Credo che sotto sotto ci sia un gran misoneismo da parte italiana, cioè siamo terrorizzati dal fatto che il volto dei quartieri ci cambia attorno. Ma è il normale destino di una qualunque città che pulsi, che viva. Le culture si avvicendano.

In altre parole, i Cinesi non vengono da Vega e non hanno tre polmoni. E ti dirò di più, non c’è alcuna comunità: c’è una somma di persone che cercano con maggiore o minore successo di conquistare un equilibrio, una dignità, una felicità, formando una famiglia, credendo nel futuro. Allora la posta in gioco è: ce ne frega qualcosa di queste persone? Perché è molto facile continuare a tenerli a una certa distanza etichettandola come una “comunità”, che suona un po’ come una massa indistinta, compatta, impenetrabile. Invece sono il vicino di casa. Persone. Sentimenti.


Quali sono le sue conclusioni dopo aver intervistato i ragazzi di "seconda generazione"?

La prima generazione forse si è anche un po’ autoghettizzata. Il problema è innegabile, ma è comune di qualunque comunità migrante nella storia dell’umanità. Una delle squadre di calcio di Istanbul si chiama Galatasaray, dal nome di un quartiere della città, vale a dire è il “Serraglio dei Galati”, ed era il “Ghetto” dei mercanti genovesi, la loro testa di ponte in terra ottomana. Ancora, gii Italiani a Brooklyn non bussavano certo alle porte degli irlandesi per una festa di buon vicinato.

E poi vedo raramente ecuatoriani, nigeriani o egiziani uscire alla sera mescolandosi agli italiani. Lo dico con rammarico; lo dico per sottolineare che non è un problema solo cinese. È tipico delle prime generazioni, “fare gruppo”, per capire come sfangarla. Tra l’altro è tipico perché ogni civiltà ha il sacrosanto diritto di divertirsi come vuole, ha le sue feste comandate, i suoi riti di passaggio e di aggregazione.

Credo che il futuro sia in un meticciamento in cui ciascuno perde un po’ della propria identità e assorbe quella del prossimo.

Però c’è un tempo-ritmo in questo meticciamento; non va forzato; le istituzioni potrebbero però catalizzarlo invece di demonizzarlo come una perdita di identità.

Gli studenti universitari italiani che oggi hanno come compagni di corso dei colleghi cinesi, a Economia, Lingue e Letterature Orientali, Ingegneria non potranno essere razzisti a quarant’anni: daranno per scontato che nel loro orizzonte identitario ci siano anche gli italo-cinesi: “xiangjiao”, cioè “banane”, come essi stessi si chiamano, gialli fuori, ma bianchi dentro.

Molti di questi ragazzi hanno un’intraprendenza ed una solarità stupefacenti: penso a Francesco Wu e a Shi Yang, ad esempio.

Qual è (se c'è) il collegamento tra questo film è un altro suo documentario dal titolo "Cine tempestose"?

In comune hanno l’amore per la Cina. “Cine tempestose” potrebbe essere per così dire il prequel di “Giallo a Milano”, si occupa dei primi italiani che andarono a vivere in Cina sotto Mao. Quindi racconta una piccola ondata migratoria al contrario, dall’Italia alla Cina, a partire da fine anni Cinquanta.

Oggi la Cina è sulla bocca di tutti, ogni grande città italiana ha un dipartimento di cinese e partire per l’Asia non sembra più un viaggio impossibile.

Ma fino a pochi anni fa non era così.

Negli anni Cinquanta un gruppo di pionieri si avventurò nell’Impero di Mezzo per decifrarne un po’ di cultura e riportarne la fiammella in Europa.

Perché mai dei ventenni si lanciarono in esperienze di questo tipo in lande allora così distanti ? Cosa li spingeva?

Ogni orientalista nasconde storie pazzesche - e i sinologi italiani non sono da meno.

Jacques Pimpaneau saltò sull’Orient Express per aprire una galleria d’arte contemporanea francese in piena Beijing, finì per innamorarsi dell’Opera di Pechino e ad acquistare dischi ad Hong Kong. Correva l'anno 1958. Oggi è tra i più grandi sinologi di Francia e la sua collezione è esposta permanentemente in un palazzo di Lisbona.

Chi non ha seguito con i figli almeno una puntata della saga animata di Dragon Ball? Il cartone è giapponese, ma affonda le proprie radici in un romanzo cinese, tradotto negli anni Trenta da Arthur Waley, grande sinologo inglese nonché bibliotecario del British Museum. Waley però non andò mai in Cina: i suoi rimasero viaggi solo della mente. Tornò comunque utile ai servizi segreti per decifrare i messaggi dei Giapponesi durante la seconda guerra mondiale.

Proprio così: gran parte degli orientalisti del Novecento furono anche spie per i rispettivi Paesi, una specie di Lawrence d'Arabia...d'Oriente.

Robert van Gulik venne spedito nella Cina fra le due guerre dal governo olandese. Il raggio dei suoi interessi è stupefacente: si occupò di storia dell'arte orientale, di allevamento dei gibboni, di storia della sessualità in Cina e trovò pure il tempo di fare la spia in Egitto. Cultore del teatro delle ombre indonesiano, a Chongqing avreste potuto incrociarlo con una scimmia abbarbicata sulla spalla. Molti lo conoscono però come l'autore dei gialli del giudice Di, divenuti recentemente anche caso cinematografico.

E gli orientalisti italiani? Non sono certo da meno:

Renata Pisu diede a suo fratello Silverio l'idea di sceneggiare l'adattamento per il fumetto de Lo scimmiotto per le matite fatate di Milo Manara; Magda Abbiati mollò Venezia in pieno Sessantotto inseguendo il sogno maoista.

Alessandra Lavagnino si innamorò della Cina perché il padre era il compositore delle musiche del primo documentario italiano sulla Repubblica popolare. Ben prima di Antonioni: il regista era Carlo Lizzani, che dalla Cina portava alla bambina Alessandra giochi e storie che la facevano sognare. Oggi Alessandra Lavagnino è la sinologa di punta dell'Università di Milano.

E così Bertuccioli e sua moglie; Enrica Collotti Pischel, Edoarda Masi e Cristina Pisciotta.

Tra gli anni Cinquanta e i Sessanta una manciata di Europei ogni anno riusciva ad entrare nella Cina comunista come studente universitario. Vivevano in campus, a stretto contatto con i coetanei cinesi, condividendone la vita di ogni giorno.

Un baule di storie, fotografie, souvenir, romanzi, poesie, per raccontare, attraverso il prisma di un viaggio verso il Far East, un'Italia che non c’è più. O che c'è ancora?

Nella convinzione che ascoltare la loro esperienza possa aiutarci a capire meglio anche la Cina di oggi.

Giallo a Milano ha riscosso molto successo...

“GAM” è uscito nelle sale italiane il 19 febbraio 2010, rimanendo in distribuzione fino a maggio dello stesso anno, in diverse città italiane.

Ha poi proseguito il suo cammino vincendo come Meuilleur film de commande” all’ Annecy Animation Film Festival 2010, “Best documentary director” al

China International Youth Film Festival 2010, Miglior film a carattere educativo e sociale “Cartoons on the bay” 2010, Nomination Globo d’Oro Miglior Documentario 2010, Finalista “Doc/It Professional Award” 2010. È stato presentato al Torino Film Festival 2009, Nyon Film Festival 2010, e all’estero a Oxford, in Ungheria, a Auckland (New Zealand), a Chongqing, a Beijing, a Shanghai, a Guangzhou, fino ad approdare alla messa in onda sulla RAI nel 2011. Altri festival:


2010 Ischia Film Festival

2010 Bolzano 4FF

2010 Bellaria Film Festival

2010 Up (stairs): una Notte sui Tetti, Lingotto, Torino

2010 Divercity Doc

2010 Festival "Histoires d'It. Le Nouveau Documentaire Italien", Parigi

2010 Sulle Tracce del Documentario

2010 Terra di Cinema - Festival de Tremblay-en-France

2010 Terra di Cinema - Festival du Cinéma Italien, Parigi, Istituto Italiano di Cultura

2010 Italia DOC

2010 BIF&ST – Bari International Film&Tv Festival

2010 Il Cinema Italiano Visto da Milano

2009 Filmmaker Doc Film Festival

2009 MI-Cine: Cine Italiano de Milan, Buenos Aires

giovedì 13 febbraio 2014

Aggiornamento Ucraina e i Giochi olimpici di Sochi




Quella in atto nelle ultime settimane in Ucraina è la più imponente mobilitazione cittadina dai tempi della Rivoluzione arancione del 2004 e nasce dalla volontà, da parte di chi è sceso nelle piazze del Paese, di entrare in Europa e di non fare più parte dell'orbita russa attraverso l'unione doganale voluta da Putin.

Nei giorni scorsi i dimostranti anti-governativi avevano attuato uno sgomebro del Ministero della Giustizia e questo ha prodotto due effetti: le dimissioni del Premier Azarov e l'abolizione, da parte del Parlamento, di 9 delle dodici leggi anti-manifestazioni - approvate il 16 gennaio – tra cui quella che prevedeva la pena di quindici anni di reclusione per i trasgressori dei divieti sulla partecipazione alle dimostrazioni.

Il Presidente, Viktor Yanukovich ha proposto, inoltre, un patto all'opposizione: l'amnistia per gli antigovernativi arrestati in cambio che tutti gli edifici occupati siano sgomberati. Nonostante questo, però, in molte regioni gli scontri tra rivoltosi e forze dell'ordine continuano a Kiev e in altre zone, in particolare nell'area ovest del Paese.

Il leader del Cremlino, Vladimir Putin, non ha gradito l'ingerenza americana e europea nella situaizone in Ucraina: “Posso solo immaginare come i nostri patners europei avrebbero reagito se, in piena crisi a Cipro o in Grecia, il nostro Ministro degli esteri fosse andato in visita facendo appelli antieuropei”, ha affermato Putin, per poi continuare col dire: “ Pensiamo che non sia positivo, in generale e, considerando certe relazioni speciali esistenti tra Russia e Ucraina, è semplicemente inaccettabile per noi. Ecco perchè la Russia non interverrà in Ucraina...Riguardo a dare consigli su cosa fare e come penso che il popolo ucraino se la possa cavare da solo”.

E, a proposito di Russia: mentre sono stati inaugurati i Giochi olimpici invernali Sochi 2014, Amnesty International lancia una campagna mondiale per porre i riflettori, non sullo sport, ma sulle continue violazioni dei diritti umani. “La fiamma olimpica può gettare luce sulle violazioni dei diritti umani che le autorità preferirebbero nascondere dietro le decorazioni celebrative. E' importante che tutti coloro che hanno un interesse ai Giochi siano a conoscenza delle restrizioni imposte dalle autorità russe alla società civile e ai cittadini comuni e usino la loro influenza per opporvisi”, queste le parole di John Dalhuisen, direttore del programma Europa e Asia centrale.

La campagna di Amnesty prevede di puntare l'attenzione su:
  • tre prigionieri di coscienza, Vladimir Akimenkov, Artiom Saviolov e Mikhail Kosenko, detenuti da oltre un anno solo per aver esercitato pacificamente i loro diritti alla libertà di espressione e di riunione. Nel maggio 2012, sono stati arrestati in piazza Bolotnaya a Mosca, tra l'ondata di proteste di massa che è seguita alle tanto contestate elezioni parlamentari e presidenziali del 2011 e 2012. Tredici persone sono sotto processo a Mosca in relazione alle proteste di piazza Bolotnaya e molti altri sono ancora in attesa di processo su questo caso.
  • La legislazione che limita le proteste pacifiche impone severe ammende agli organizzatori di manifestazioni per violazione di una lista restrittiva di norme e regolamenti, spesso applicate arbitrariamente. Nel 2013 più di 600 persone sono state arrestate nel corso di 81 eventi nella sola area della città di Mosca.
  • La legislazione sugli "agenti stranieri" del 2012 ha scatenato un giro di vite sulle ong in tutto il paese, inclusa l'ispezione dell'ufficio di Amnesty International a Mosca. Casi portati in tribunale dalla Procura contro le ong hanno portato a multe salate contro diverse organizzazioni e i loro leader. Molte più ong in tutta la Russia hanno ricevuto la richiesta ufficiale di registrarsi come "agenti stranieri" o affrontare sanzioni simili.
  • La legislazione omofobica introdotta nel 2013 è usata per limitare i diritti alla libertà di espressione e di riunione delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuate (Lgbti) e ha già incoraggiato la violenza omofobica in tutta la Russia. Eventi Lgbti sono stati interrotti da contromanifestanti e vietati dalle autorità, con i partecipanti detenuti per la promozione di "propaganda di rapporti non tradizionali tra minori". Chiunque violi la legge, inclusi gli stranieri, affronta multe fino a 3000 dollari.
  • La legge sulla "blasfemia" introdotta dopo che il gruppo punk Pussy Riot ha messo in scena una breve e pacifica, sebbene provocatoria, performance politica nella principale Chiesa ortodossa russa a Mosca nel 2011. Due degli interpreti stanno attualmente scontando una condanna a due anni di carcere dopo un processo politicamente motivato: una di loro, Nadezhda Tolokonnikova, è in sciopero della fame ed è detenuta in isolamento dopo essersi lamentata delle condizioni carcerarie.
  • Il fallimento di indagare efficacemente sugli omicidi di giornalisti e attivisti per i diritti umani. Anna Politkovskaya è stata uccisa nel 2006, ma la mente della sua uccisione non è mai stata identificata. Nessuno è stato assicurato alla giustizia per le uccisioni di Natalia Estemirova, Khadzhimurad Kamalov e Akhmednabi Akhmednabiev, tra gli altri.