giovedì 31 gennaio 2013

Lo sguardo degli altri: parole e immagini verso il 23° Festival del cinema africano, d'Asia e America latina


L'associazione Sunugal, c/o lo spazio Maschere Nere alla Fabbrica del vapore di Via Procaccini 4 , a Milano, domenica 3 febbraio presenta due cortometraggi africani in attesa della nuova edizione del Festival del cinema africano, d'Asia e America latina che si terrà, nel capoluogo lombardo, dal 4 al 10 maggio 2013.
Una guardia giurata e una statua africana a grandezza naturale: l'uomo è di turno davanti a un edificio, la statua è incatenata, come gli antichi schiavi, all'ingresso di una galleria d'arte. Un confronto silenzioso e significativo, per riflettere sugli stereotipi del colonialismo e dello schiavismo moderno. Tutto questo in Abandon de post, di Mohamed Bouhari, che, alla XXIma edizione del Festival, si è aggiudicato il Premio Fondazione ISMU con la seguente motivazione: “ Un film originale, intelligente, sarcastico, che confronta, con sguardo ironico e disincantato, gli stereotipi del colonialismo e dello schiavismo con le figure dei “nuovi schiavi” della società occidentale, affidando il proprio senso all'intensità degli sguardi, alle allusioni del non detto, più che alle parole. Attraverso il rigore del bianco e nero e la geometria delle immagini, il film ci porta “dentro” la ribellione del protagonista e ci fa partecipi del risveglio del suo orgoglio”.
E un'altra storia, di registro diverso, in Un trasport en commun, per la regia di Dyan Gaye, presentato nel 2009. Tutto prende l'avvio da un viaggio, a bordo di un taxi tradizionale adibito al trasporto collettivo, da Dakar a Saint-Louis. Sei passeggeri si incontrano sul luogo di partenza, ma manca il settimo. Dopo un periodo di attesa, i passeggeri dividono equamente la quota mancante e decidono di partire. Stretti nei sedili dell'auto, viaggiano individui diversi tra loro, ma accomunati da sentimenti, desideri, nostalgie e speranze. Si intrecciano le storie di Souki, diretta al funerale di suo padre; di Malick che vuole salutare la sua fidanzata prima di emigrare in Italia in cerca di un lavoro; di Madame Berry che vuole ricongiungersi ai suoi figli, lasciati anni prima...Ma l'originalità del cortometraggio consiste nell'approfondire temi seri e attuali con la leggerezza del musical. La sceneggiatura del film, infatti, non è solo recitata, ma anche cantata a ritmo di blues.
Un trasport en commun ha vinto due premi: il Premio ENI “per la scelta di utilizzare un genere come il musical, inconsueto nel cinema sub-sahariano, senza rinunciare a raccontare gli aspetti sociali e individuali della realtà contemporanea senegalese”; e il Premio CINIT che consiste nell'acquisizione dei diritti di distribuzione home-video in Italia. I due cortometraggi, infatti, si possono acquistare presso il COE (Centro Orientamento Educativo) di Via Lazzaroni, a Milano, che organizza il Festival, aspettando le novità della prossima edizione.


 





Breve cronaca della situazione dei ROM: nomadi per necessità

Nel luglio dello scorso anno, a Roma, la giunta Alemanno aveva chiesto prima lo sgombero dei rom dall'ex cartiera di via Salaria, poi la loro espulsione. E Sveva Belviso, vicesindaco, il 4 gennaio di quest'anno ha dichiarato: " Chiederò al Prefetto il decreto di espulsione per 319 di loro con l'allontanamento coatto. Non è una forma di cattiveria, ma bisogna capire che così non si può andare avanti, non possiamo permettercelo".
Di contro, l'Associazione 21 luglio - che svolge attività di ricerca sulle condizioni degli insediamenti rom in Italia, con particolare attenzione ai diritti dell'infanzia - ha verificato che, tra le persone soggette al decreto di espulsione vi siano: una donna in stato di gravidanza, una coppia giovanissima e una persona invalida al 50% e ha dichiarato: " Sfugge il senso logico di un Piano Nomadi che non è diventato altro che lo specchio di una schizofrenia che ha investito gli amministratori locali, proiettati a barattare il facile consenso con operazioni di facciata, piuttosto che interessati a risolvere i problemi reali dei cittadini, rom e non rom, presenti nella città".
Ma la questione non riguarda solo un'amministrazione di destra: anche a Desio, il sindaco di centrosinistra, Roberto Corti, ha firmato un'ordinanza per vietare l'uso di camper, roulottes e tende nei parcheggi e nelle aree periferiche. Un'ordinanza che è diventata esecutiva perchè alcuni cittadini avevano lamentato la presenza di rifiuti.
Ma, per fortuna, una voce fuori dal coro c'è. Tommaso Claudio Corvatta, sindaco di Civitanova Marche e anche medico, il 29 dicembre 2012 ha messo a disposizione la sua seconda casa a una famiglia rom.
Dopo aver percorso tutte le strade istituzionali - Protezione civile, Prefettura, Provincia - ha valutato che ci fosse un'emergenza umanitaria per le cinque persone, tra cui una donna incinta e un'altra tumorale, costrette a vivere per strada, al gelo. Il sindaco ha spiegato di aver preso la decisione da privato cittadino e da medico.
Dal 5 gennaio la famiglia rom è stata presa in carico dall'attivista Laura Mazzola in attesa che sia pronta una roulotte messa a disposizione da un benefattore. Per gli altri rom - una ventina - presenti sul territorio, Corvatta e la sua amministrazione stanno cercando una soluzione definitiva, dicendo: "Basta con ipocrisie e stupido razzismo".
 Intanto gli esponenti dell'associazione Rom e Sinti di Milano hanno espresso rabbia e disappunto perchè, per il secondo anno consecutivo nella Giornata della Memoria, la giunta si è dimenticata lo sterminio perpetrato contro di loro dai nazisti che li hanno accomunati agli ebrei e che hanno attuato lo sterminio su base razziale, dando il via all'orrore dell'Olocausto.

Quest'articolo è solo un anticipo sul tema: nel prossimo week end verrà pubblicato un approfondimento a cura del NAGA, associazione di volontariato che si occupa, soprattutto dal punto di vista medico-sanitario, dei rom e dei sinti (e non solo).


mercoledì 30 gennaio 2013

Cittadinanza e disabilità: il caso del ragazzo di origini albanesi, affetto dalla sindrome di Down



“Sono una cittadina albanese che vive regolarmente in Italia da molti anni. Mio figlio è nato qui e ha appena compiuto 18 anni, ma è affetto dalla sindrome di Down. Può diventare cittadino italiano entro il compimento del suo diciannovesimo compleanno? Posso presentare io per lui la domanda al Comune di residenza?”.
Questa è la lettera riportata da varie testate e anche dal sito www.stranieriinitalia a cui ha fatto seguito la risposta, anch'essa rimbalzata su vari giornali e sul sito del Corriere della Sera: la risposta alla domanda posta dalla signora è negativa. La richiesta di cittadinanza, da parte del figlio, è stata respinta perchè il ragazzo down è considerato “incapace di intendere e di volere” e, perciò, non idoneo a presentare tale richiesta.
Il Dott. Gaetano De Luca - avvocato della Ledha (Lega per i diritti delle persone con disabilità) - ha spiegato che: “Lo scoglio sta nel giuramento, passaggio imprescindibile quando si vuole ottenere la cittadinanza per un diciottenne straniero nato in Italia. Si tratta di un atto personalissimo e dunque nessuno, neanche il genitore o un amministratore di sostegno nominato dal Tribunale, può pronunciarlo per conto di un figlio o di un tutelato”
Anna Contardi, coordinatrice nazionale Aipd (Associazione Nazionale italiana Persone Down) ha aggiunto: “ Riteniamo grave negare il diritto di cittadinanza a una persona straniera con sindrome di Down per un pregiudizio di incapacità di effettuare il giuramento richiesto. Tra le persone con sindrome di Down c'è una grande variabilità e, negli ultimi anni, abbiamo visto alcune persone affette dalla sindrome, andare a lavorare e crescere in autonomia. Crediamo che questo episodio cozzi con lo spirito di accoglienza verso i giovani stranieri auspicato di recente dallo stesso Presidente Napolitano e tanto più necessario nei confronti di persone in difficoltà: il nostro Paese è noto per le sue scelte inclusive nei confronti di persone con disabilità e non vogliamo tornare indietro”.
Questa situazione non riguarda solo il ragazzo di origini albanesi, ma molte altre persone (ad esempio Cristian, di madre colombiana e nato in Italia); così come i 10.500 alunni immigrati con disabilità intellettiva delle scuole italiane, secondo i dati del Ministero dell'Istruzione, relativi all'anno scolastico 2009-2010.
L'associazione Ledha fornirà supporto legale alla madre e al ragazzo di origini albanesi e, sempre secondo l'opinione dell' avvocato De Luca: “Basterebbe che l'Italia rispettasse la Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, ratificata nel nostro Paese con la legge n.18 del 2009. Tale legge obbliga gli Stati firmatari a riconoscere alle persone disabili il diritto di cambiare cittadinanza”.

Rapporto HUMAN RIGHTS WATCH: l'occupazione israeliana dei territori palestinesi



Jubbet al-Dhib è un villaggio palestinese di 160 persone a sud-est di Betlemme. I bambini, per raggiungere la scuola in altri villaggi, devono percorrere un sentiero sterrato di 1,5 Km. Il villaggio non ha neanche l'energia elettrica perchè le autorità israeliane hanno respinto un progetto (finanziato da donatori internazionali) che avrebbe fornito lampioni a energia solare. Gli abitanti di Jubbet al-Dhib usano, per l'illuminazione, piccoli gruppi elettrogeni a carburante. I residenti, inoltre, si alimentano con prodotti conservati perchè, ad esempio, la carne e il latte vanno consumati velocemente a causa della mancanza dei refrigeratori.
Sde Bar è una comunità ebraica di circa 50 persone; è collegata a Gerusalemme da una nuova autostrada, la "Lieberman Road"; la comunità è anche fornita di una scuola superiore, di elettricità e di fondi per lo sviluppo residenziale.
Questi sono due esempi riportati nel rapporto di Human Rights Watch sui territori arabi occupati da Israele, intitolato: L'Apartheid in Palestina. Il libro sarà presentatao il 1 febbraio, alle 17.30, presso il Palazzo Ducale di genova, alla presenza del Prof. Alessandro Dal Lago.
Jubbet al-Dhib e Sde Bar si trovano, entrambi, nell'" Area C", in quel territorio che - in base agli accordi provvisori di pace di Oslo del 1995 - sono sottoposti al controllo civile e militare israeliano.
Il rapporto di Human Rights Watch mette in evidenza le pratiche israeliane che promuovono la vita nelle colonie e soffocano la crescita delle comunità palestinesi, controllandone molti aspetti della vita quotidiana, come, ad esempio: l'accesso alle reti elettriche, le richieste di permessi edilizi per le abitazioni, scuole e ambulatori medici e per le infrastrutture.
Un trattamento così diverso a causa dell'origine etnica e nazionale - non giustificabile da oggettivi pericoli di sicurezza - va a violare il divieto fondamentale di discriminazione.
Il testo del rapporto è stato tradotto anche in lingua italiana - con la cura di Gianfranca Scutari - con l'intento di farlo conoscere a tutti i gruppi, istituzioni e organizzazioni che danno il loro contributo per il pieno riconoscimento dei diritti umani, politici e sociali della popolazione palestinese. E'stato usato un linguaggio semplice per agevolarne la lettura anche e soprattutto a chi non conosce la situazione o abbia, come unica fonte di informazione, i giornali e la televisione che, spesso, riportano notizie poco chiare.




martedì 29 gennaio 2013

Milano, fin qui tutto bene: l'ultimo libro di Gabriella Kuruvilla





Via Padova, Viale Monza, Via Paolo Sarpi e la zona di Corvetto: queste sono le quattro zone della città di Milano che accolgono o escludono le esistenze di molti, italiani e stranieri. E quattro persone raccontano le loro storie nel nuovo lavoro di Gabriella Kuruvilla, scrittrice italo-indiana, ma anche giornalista e pittrice, intitolato Milano, fin qui tutto bene, Editori Laterza.
Le storie sono quella di Samir, lavapiatti egiziano che si sente come un rifiuto umano e dice: “Siamo gettati nel mare sulle coste e veniamo lasciati in attesa di essere smaltiti altrove”; oppure quella di Anita - una ragazza madre, orfana perchè ha perso i genitori in un incidente stradale – che, al contrario di Samir, si sente protetta proprio in quella Via Padova che tutti indicano come il ghetto pericoloso della città meneghina. Anita sostiene che qui è “tutto una ex-industria”, il centro commerciale, come la chiesa evangelica: in effetti, la lunga via non è “bella” o elegante, ma è un tripudio di casermoni e di insegne di negozi in tutte le lingue, ma lei (e la sua creatura) si trovano bene, hanno trovato un posto pieno di varia umanità e quella moltitudine di facce, di colori, di odori, per loro è “casa”. E poi ancora, la storia di Tony che – nella zona altrettanto periferica di Corvetto – fa il ragazzo di strada ed è convinto che non ci sia una gran differenza tra gli immigrati dall'estero della Milano di oggi e i migranti dal meridione della città di ieri. E Stefania che, abbandonata dal marito, dipinge i cinesi di Via Paolo Sarpi, la chinatown colorata e chiassosa nonostante i volti impassibili dei suoi nuovi abitanti.Ma, oltre a queste storie, si racconta anche di Pietro, Lejla, Gioia...
Gabriella Kuruvilla mescola parole e immagini (le fotografie all'interno del testo sono di Silvia Azzari), slang e dialetti, per restituire al lettore un quadro sensoriale, una mappa originale e, forse, poco conosciuta a fondo, di una città, Milano, in continua trasformazione, dove la ricchezza è data anche e soprattutto dalla presenza, dalle idee, dalle proposte e anche dalle lamentele, dalle richieste e dalle speranze di chi l'ha scelta come nuovo approdo.



L'Egitto si infiamma ancora


Era una sera di febbraio, di un anno fa, a Port Said, sulla costa del Mediterraneo.
Una sfida di campionato di calcio si è trasformata in una tragedia. Due squadre in campo: Al Ahly, i cui ultras sono considerati tra le menti della rivoluzione che portò alla cacciata di Mubarak e Al Masri, i cui tifosi sono fedeli, invece, al regime del raìs.
Ufficialmente si era parlato di “scontri tra tifoserie rivali” , invece si è trattato di una resa dei conti a sfondo politico, di una spedizione punitiva – con mazze e coltelli – che ha visto come vittime i tifosi dell'Al Ahly, con il risultato (purtroppo non calcistico) di 74 morti e centinaia di feriti.
Nel frattempo si è giocata la Champions africana e l' Al Ahly ha vinto contro l'Esperance di Tunisi, ma si è trattato di un amaro successo dato che la squadra non ha potuto disputare nemmeno una partita, sostenuta dai suoi tifosi, a Il Cairo.
Ieri, 26 gennaio 2013, è stata emessa la sentenza nel processo per quel massacro: la corte ha chiesto la condanna a morte per 21 dei 74 imputati. Per legge le condanne dovranno essere confermate dal Gran Muftì d'Egitto; la sentenza per gli altri imputati – tra cui nove poliziotti e tre manager della squadra avversaria – sarà pronunciata il 9 marzo.
Centinaia di ultras e tifosi dell' Al Ahly hanno festeggiato la sentenza nei pressi della sede del club: il padre di un ragazzo di 17 anni morto nell'attacco allo stadio ha detto: “Ora voglio vedere quegli uomini morire davanti ai miei occhi, come loro hanno visto l'omicidio di mio figlio” e un altro tifoso ha aggiunto: “La nostra situazione a Port said è molto grave perchè i bambini vengono presi dalle loro case e sono costretti a indossare le magliette verdi”, facendo riferimento alle divise della squadra dell' Al-Masry.
Molti attivisti ed osservatori sono convinti che l'attacco di un anno fa sia stato premeditato. Alla lettura della sentenza, i parenti delle vittime hanno esulato al grido di “Viva la giustizia!” e “Allah akhbar”, ma in città regna il caos. Negozi e uffici sono stati chiusi, nelle strade sono stati dati alle fiamme copertoni di auto; nei pressi del Ministero dell'Interno centinaia di supporters dell'Ahly hanno chiesto che vengano giudicati anche i poliziotti che, all'epoca, secondo loro, non hanno agito per fermare la tragedia . E la Polizia ha risposto con lancio di lacrimogeni e proiettili veri. L'esercito è schierato in tutta la città per contenere la violenza.
Mentre il presidente, Mohamed Morsi, ha cancellato un viaggio in Etiopia: avrebbe dovuto recarsi ad Addis Abeba per partecipare al summit dell'Unione Africana; ieri, invece, ha dichiarato ieri lo stato d'emergenza nelle città di Port Said, Suez e Ismalia dopo giorni di proteste violente e scontri che hanno fatto almeno 33 vittime. 

 


lunedì 28 gennaio 2013

Medici Senza Frontiere: continua l'attività in Mali, nell' area di Konna

L'èquipe di Medici Senza Frontiere (MSF) garantisce assistenza medica in Mali e nelle altre  zone coinvolte nel conflitto (Mauritania, Buokina Faso, Niger) con 450 operatori umanitari maliani e internazionali. Ma non è per nulla facile aiutare le popolazioni, ricevere nuovi rifornimenti ed entrare nelle zone off-limit perchè controllate dall'esercito o da diversi gruppi armati.
Alcuni giorni fa, l'organizzazione medico-sanitaria aveva chiesto, alle autorità civili e militari maliane e al governo francese, di poter accedere all'area di Konna, tra il Nord e il Sud del Paese, dove si susseguono combattimenti e bombardamenti. E' necessario, ovviamente, prendersi cura dei feriti, ma è preoccupante anche la situazione dei bambini che devono essere vaccinati contro il morbillo.
La mattina del 24 gennaio, due medici e due infermieri sono riusciti ad entrare a Konna. Dario Bertetto, capo missione di MSF in Mali, ha dichiarato che: " Le strutture sanitarie sono vuote, non ci sono nè pazienti nè personale sanitario"; si stanno preparando, quindi, delle cliniche mobili per fornire l'assistenza sanitaria di base e attività nutrizionali adeguate.


Workshop: "Le competenze interculturali dei migranti nei progetti di co-sviluppo"

Il 28 e il 29 gennaio 2013, a Milano - presso la Biblioteca centrale Sala del Grechetto di Corso di Porta Vittoria e presso l'Acquario Civico di Viale Gadio - la Rete Europea per le Migrazioni e lo Sviluppo (EUNOMAD) e il Comune di Milano presentano un programma di incontri per relazionare i risultati del workshop intitolato: "Le capacità interculturali dei migranti nelle pratiche del cosviluppo"
Ma cosa si intende per "capacità interculturali"? Basate sull'appartenenza a culture differenti, esse si riferiscono alla capacità di creare uno scambio tra due o più dimensioni culturali, favorendo idee, proposte, valori.
In questo senso i migranti sono degli attori importanti in grado di avvicinare comunità distanti tra loro e di innescare un'interazione e un arricchimento utili a tutti i gruppi coinvolti. 
I percorsi di cosviluppo condivisi, in particolare, si propongono proprio come azioni rivolte allo sviluppo della cittadinanza attiva dei migranti, sia nei luoghi in cui vivono, sia nei luoghi da cui provengono.
Durante il workshop - proposto nel mese di ottobre 2012 e a cui hanno partecipato molte associazioni e ONG - si è indagato il ruolo delle associazioni stesse di migranti all'interno della cooperazione: a partire dall'analisi delle pratiche, sono stati evidenziati i meccanismi che permettono oppure ostacolano il riconoscimento delle competenze interculturali e l'impatto di queste competenze nelle iniziative di coesione sociale e opportunità socio-economiche.

domenica 27 gennaio 2013

La giornata della Memoria: non solo retorica

Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria perchè in questa stessa data, nel 1945, le truppe sovietiche dell'Armata Rossa scoprono il campo di concentramento di Auschwitz e liberano i superstiti.
In Italia gli articoli 1 e 2 della legge n. 211 del 20 luglio 2000 definiscono così le finalità e le celebrazioni del Giorno della Memoria:
  "La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all'articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinchè simili eventi non possano mai più accadere."

 Ma le ricorrenze non dovrebbero essere un momento di vuota e superficiale retorica, come spesso accade; devono servire a far crescere l'umanità, contribuire alla costruzione del pensiero critico. Si dice sempre che "ricordare il Passato serve a migliorare il Presente e il Futuro", ed è vero: ma in che senso? Nel senso che ciò che è accaduto in Passato - e le persone che hanno vissuto prima di noi - fanno parte della nostra identità, di ciò che noi siamo oggi. Ma gli errori, spesso gravi, sono stati fatti e c'è il rischio di commetterne altri. Giorno dopo giorno, quindi, bisogna riflettere e imparare, chiedere e capire per lasciare alle future generazioni un terreno fertile su cui continuare a vivere con rispetto, equilibrio, onestà.

Durante questo weekend, proprio in occasione della Giornata della Memoria, è uscito nelle sale cinematografiche italiane il film intitolato In Darkness, della regista polacca Agnieszka Holland.                   
Tratto dal romanzo "In the sewers of Lvov" di Robert Marschall, racconta la storia, vera, di Leopold Socha, ladruncolo operaio del sistema fognario della cittadina di Lvov, nella Polonia occupata dai nazisti. In cambio di denaro, un gruppo di uomini-donne-bambini-anziani ebrei, nascosti nelle fogne, baratta con l'uomo il suo silenzio. E lui accetta di nasconderli e di sfamarli.
Anche gli spettatori vengono calati nel buio del sottosuolo (e nell'oscurità di una immane tragedia) tra ratti ed escrementi, urla e rumori di mitra.
La macchina da presa rimane quasi sempre a livello del suolo, come gli ebrei nascosti nei cunicoli, come quegli esseri umani che non possono mai alzare la testa. E la città è come divisa in due: il buio e il terrore sottoterra, la luce accecante e patinata in superficie
Molte le citazioni del celebre Schindler's List di Spielberg: prima di tutto, la trasformazione del protagonista che - insieme alla moglie, bussola morale - arriverà, alla fine, a dire "i miei ebrei": un percorso, quindi, interiore ed etico che dall'individualismo lo porta ad esprimere la compassione e la propria umanità. 
E poi l'uso sapiente della fotografia: le tinte si stemperano nella scena del rastrellamento del ghetto e l'unica nota di colore è data da una giacca blu di una donna ebrea in fuga (omaggio al cappottino rosso della bambina nel film citato del regista americano). Infine, anche la colonna sonora - in un'opera ben scritta come quella della Holland - diventa un elemento non solo stilistico, ma significante: quando i rifugiati ebrei si ritovano sotto la chiesa di Saint Bernard, canti religiosi ovattati giungono alle loro orecchie; ma quelle persone non vedono e non sentono. Sono sepolte vive, come quelle nascoste nel "buio", abbandonate, forse, anche da Dio.
Ma, come abbiamo anticipato, la speranza c'è; la luce torna ad illuminare le coscienze di quelli che hanno preso una decisione. Di coloro che hanno scelto di salvare delle vite e hanno scelto la giustizia e la verità.

  
          
 

sabato 26 gennaio 2013

Che genere di Islam: un saggio che parla di omosessuali, queer e transessuali nel mondo islamico





Sayeh Sky è una cantante rap iraniana e, nelle sue canzoni, racconta come abbia comunicato il fatto di essere omosessuale e lamenta i diritti negati ai trans nel suo Paese (ora, però, vive in Canada). Nel 1988 l'univeristà egiziana di Al-azhar rifiutò di ammettere alla sessione finale degli esami uno studente perchè aveva subito un'operazione che da uomo lo aveva fatto diventare donna; il caso diventò famoso, sulla stampa internazionale, come il "sesso di Sally". Nel 2010 il canale televisivo libanese Al-hurra ha trasmesso una puntata - di un'ora e mezzo - intitolata " L'omosessualità femminile nel romanzo arabo". E poi ancora: un'analisi attenta delle parole del Corano sul tema dell'omosessualità.
Questi sono solo alcuni esempi delle informazioni e degli approfondimenti che sono al centro del saggio intitolato Che genere di Islam: omosessuali, queer e transessuali tra shari'a e nuove interpretazioni, di Jolanda Guardi e Anna Vanzan, edizioni Ediesse.
Il lavoro prende in considerazione il testo sacro islamico (e le sue interpretazioni nel tempo), la letteratura moderna e contemporanea, il Cinema per un'analisi del cambiamento nel modo di DIRE l'omosessualità e anche  una concezione politica del corpo.
Attraverso una panoramica della storia e delle situazioni riguardanti l'omosessualità nel mondo arabo-persiano-islamico, le autrici hanno voluto ribaltare i preconcetti comuni sull'"Islam omofobico", dimostrando che sia l'Islam sia l'omosessualità sono due categorie, due concetti sempre "in divenire" e mutevoli.
Dalla lettura del testo si evince, ad esempio, che fra i musulmani non c'è una visione unica e negativa nei confronti di orientamenti sessuali diversi, ma un tentativo (almeno da parte di alcuni) di conciliare Fede e "diversità". E, inoltre, si sottolinea il fatto che sia inutile e poco costruttivo applicare stereotipi occidentali ad un tema così complesso all'interno di una cultura, quella islamica, ricca di sfumature.






Per un ulteriore punto di vista sull'argomento, pubblichiamo, di seguito, un'intervista a 
CHRIS BELLONI, regista del documentario intitolato I am gay and muslim .

L'intervsita è in lingua inglese. Per la traduzione in italiano, potete andare sul sito www.corriereimmigrazione.itwww.corriereimmigrazione.it
(Traduzione dall'inglese all'italiano a cura di EsseBi)



An intervew to Chris Belloni: filmaker . His new documentary is " I am gay and muslim".


When people talk about the “identity” of a person, what do they refer to?

People often refer to someone’s sexual identity if they speak about ‘identity’. I think that someone’s identity is multi-layered and consists of many different aspects. In my film I AM GAY AND MUSLIM the guys openly share their experiences about their religious and sexual identity. These two identities seem opposed to each other and therefore it is interesting to hear them speak about it. But the Moroccan identity is also very important to them.

Many people consider being homosexual and Muslim as a contradiction: in your opinion, prejudices towards homosexuality derive from culture or from the Koran?

Many Muslim people condemn homosexuality based on their beliefs of the Koran. However, I have met the homosexual imam Muhsin Hendricks from South-Africa and he has another interpretation about homosexuality and the Koran. Imam Hendricks theological methodology is based on Loth referring to story of Sodom and Gomorrah. People who entered the cities of Sodom and Gomorrah were abused and raped by its inhabitants. Muslims often refer to this story to condemn homosexuality whereas this imam says that homosexuality is between the love of two men instead of abuse and male-to-male rape.

In the Arabic-Islamic world, are there any cases of transgender people?

Of course many cases are known of transgender people in Arab world but also in Turkey for instance. One of the most famous singers in Turkey is transgender. She used to be man and is woman now. However, she detests homosexuality; she wants to be accepted as woman who loves men.

And what about bisexuality? Can you talk about some situation you personally know?
I have had about 80 interviews with homosexual/bisexual guys in Morocco for my filmproject. Many of them consider themselves bisexual because it costs some time to admit to be homosexual. Others consider themselves bisexual because they want to have a normal family life with wife and children. In other words: they are homosexual because they feel attracted to men, but call themselves bisexual because they want to be accepted by society and start a family life.


Can you tell us how is the life of a person who has to hide his own sexual attitude? What are the greatest difficulties?

Many gay guys in Morocco live in very dire circumstances. Most of them have to hide their true (homosexual) feelings for their whole life. Some of them have more open and liberal parents, but this is only possible for a few: 9 out of 80 interviewees had told their parents. Most of them live half-open; they have told some (gay-)friends or some close friends. But it is very difficult to be open about your homosexuality towards family members such as parents or siblings. Remarkably enough many guys have their first sexual experience with a relative, notably a cousin.

Do you believe that documentary movies may be a useful instrument to inform people about the real situation of Muslim homosexuals and to promote reflexions and constructive debates about this subject?

Yes, I surely think that portraying the lives of people (as documentaries do) have a positive result on the live of people. Maybe not directly of the protagonists who appear in the film, but the LGBT community in Morocco certainly benefits from it. I AM GAY AND MUSLIM has been screened at numerous international filmfestivals around the world and in many countries the situation of LGBT people in Morocco in being discussed. Furthermore, the film has been screened a few times in Morocco for selected audiences in cooperation with the embassy of the Netherlands. Many NGO’s, human rights organizations and diplomats from western embassies have seen the film and try to strengthen projects fighting for LGBT rights in Morocco. Last but not least: many gay guys in Morocco are aware of this film and they feel empowered that some guys dared to share their stories. So yes, I do think that a documentary like mine does make some progress in the emancipation process of LGBT people in Morocco.

What has been the reaction of people who have played a part in the movie, when you have proposed them your project?

I met many gay guys in Morocco and most of them wanted to share their stories with me. However, just a few of them actually wanted to share their stories on camera, which is very understandable. The guys who appear in the film are true heroes and I guess they make significant changes by appearing in the film. Nevertheless, it costs me a lot of time and effort to convince them to cooperate in this project. Up until now, the guys in the film did not encounter any problems. Let’s keep the fingers crossed.

What do you hope for the future?

I have good hopes for the future of LGBT people in Morocco. There are some minor changes in the positive direction. The most important thing is that article 489 of the penal code which forbids homosexuality (‘unnatural acts’) needs to be abolished. The country is not ready for this yet, but one can see the tendency that this law is victimizing less people. It would be really difficult to have homosexuality accepted in a Muslim country as Morocco but I think people should be more aware about the phenomenon of homosexuality and more education about it that in one day parents can sort of accept their child if they happen to be gay. 


 



venerdì 25 gennaio 2013

Ferite a morte: il teatro per riflettere sulla violenza contro le donne

La violenza sulle donne è divenato, purtroppo, un fenomeno vastissimo all'estero (come in Messico, ad esempio) e anche in Italia, come conferma la cronaca quotidiana.
Maura Misiti - demografa al Cnr - sostiene che nel nostro Paese: " nonostante il lavoro dell'Istat sulla violenza femminile, è impossibile sapere quante donne vengano realmente uccise in quanto donne, perchè l'unica fonte che abbiamo sono solo le notizie di conaca. una base assolutamente non scientifica...Non c'è ancora un'aggravante specifica e le istituzioni, come le forze dell'ordine, non sono abbastanza sensibilizzate sul tema". 
Le Nazioni Unite hanno ripreso l'Italia, stigmatizzando proprio l'indifferenza istituzionale al fenomeno. E il Comitato CEDAW ha stilato un rapporto in cui si registra la scarsa attenzione ai centri antiviolenza che operano sul territorio, il persistere di una rappresentazione stereotipata e svilente delle donne e un'informazione che racconta in maniera obsoleta e superficiale la violenza che subiscono.

Dallo scorso mese di novembre - con debutto a Palermo - Serena Dandini porta sulla scena dei teatri italiani  uno spettacolo intitolato Ferite a morte, scritto proprio in collaborazione con la Dott.ssa Maura Misiti e che diventerà un libro, edito da Rizzoli.
Mogli, ex fidanzate, compagne, amanti che non ci sono più, raccontano la propria storia attraverso le voci di alcune di altre donne: scrittrici, giornaliste, donne dello spettacolo e della politica. Angela Finocchiaro, Lella Costa, Geppi Cuccciari, Lorella zanardo, Concita De Gregorio, per citarne solo alcune. 
La violenza sulle donne - ha spiegato la Dandini - "è un fenomeno trasversale che colpisce non solo il sud, ma anche il nord, la borghesia e i ceti medi, la destra e la sinistra. Anche gli uomini devono fare un'esame di coscienza perchè solo insieme ne potremo uscire".
Per questo, un altro importante obiettivo che si pone lo spettacolo, è quello di fare una campagna di sensibilizzazione sull'argomento anche nelle scuole.
Per chi volesse seguire lo spettacolo, aderire all'iniziativa, avere altre informazioni: si può consultare anche il sito dell'associazione Noi no : www.noino.org

Oppure si può aderire alla Convenzione "NO MORE!".
 

giovedì 24 gennaio 2013

La rivoluzione egiziana non è (solo) un blog di Internet



La storia si fa nelle strade, non su Internet”
Wahel Ghonim,
(creatore della pagina Facebook “Siamo tutti Khaled Said,”
nominato da Time, “persona più influente del 2011”)

Una delle chiavi interpretative dei 18 giorni di Tahrir è stata la “rivoluzione via Internet”. In effetti Internet ha creato spazi virtuali di incontro in cui l’anonimato ha rafforzato il senso di protezione e ha permesso il superamento della paura, fino a quel momento categoria chiave.
Dal canto suo il regime abituato ad esercitare una ferrea censura sulla sceneggiatura di film e pièces teatrali e un controllo pervasivo sui media non ha capito i meccanismi e le possibilità di circolazione della parola e di connessione in una rete. Celebre la definizione sprezzante di Gamal Mubarak sugli internauti come “amebe bloccate davanti al loro schermo che non sarebbero mai usciti dalle stanze in cui erano rintanati”. Internet è stato così semplicemente ignorato fino a quando Ibrahim al-Masry ha postato l’intervento “la mia arma è la mia macchina fotografica” pubblicando, dopo gli scontri seguiti alla bomba fuori la chiesa Al Qiddisayn ad Alessandria, un video di un soldato che colpisce un manifestante inerme e sanguinante sopra le dichiarazioni del ministero degli Interni che negava vi fossero scontri e feriti. Ma gli stessi blogger riconoscono che tutto questo non basta: sulla pagina “Siamo tutti Khaled Said” sono numerosissimi i post che identificano il 25 gennaio come il giorno in cui organizzarsi e alzare la voce nel mondo reale in mezzo agli egiziani; per questo viene chiesto di fare un passaparola tramite gli sms perché “non è possibile raggiungere la classe operaia egiziana via internet o Facebook. Tutti sottolineano dunque come il vero punto di svolta sia scendere nelle strade per rivendicare i diritti: lo stesso Ghonim dichiara “l’energia si è trasferita dal mondo virtuale a quello reale il motore della presa di coscienza e il fulcro di tutte le decisioni è diventata piazza Tahrir e la rete d’ora in poi servirà solo a commentare”

Il regime ancora una volta si affida alla vecchia strategia di cooptazione dei media di regime ormai logora e questa volta i risultati sono tragicomici: il 15 gennaio, giorno della fuga di Ben Ali dalla Tunisia (e mentre gli egiziani iniziano a cantare “O’balna O’balna” “Speriamo di essere i prossimi”) uno dei maggiori quotidiani titolava “Crescita vertiginosa dell’Egitto! Mubarak porta il Paese ai livelli più alti mai conseguiti in materia di sicurezza economica”; il 25 gennaio, i canali televisivi egiziani dedicano l’intera giornata alla celebrazione del giornata della polizia alternandola a video musicali; ed il 9 febbraio Suleiman ordina ai manifestanti: “andate a lavorare, smettetela di spaventare i turisti tornate alle vostre vite, salvate l’economia del paese” parlando di una congiura di non meglio specificate “forze occulte manipolatrici”.


Proprio per questo ruolo e per il fatto che anche al Cairo, ma soprattutto nel resto dell’Egitto pochi hanno accesso a Internet si sono sviluppati movimenti come i kaddabun e i mosireen http://www.indiegogo.com/Mosireen che sostengono il citizen journalism e montano piccoli cinema all’aperto per mostrare video che ancor oggi la tv di stato non mostra. Questi due movimenti sono nati in seguito al brutale pestaggio di una ragazza che rimane seminuda sul selciato della piazza da parte dell’esercito:

(Avvertenza: il video è un po' forte)


 
 
Questo video ha fatto il giro della rete con una dedica in arabo 

الى المغيبين اللذين يعتقدون ان الجيش و الشعب ايد واحده ....
 هل هؤلاء هم خير جنود الارض ؟!؟

Per chi non c’era e crede che l’esercito e il popolo siano una mano sola
Sarebbe questo l’esercito migliore della terra?!?” 

Questo video è stato importante anche perché ha squarciato il velo sulla “politica strategica” che vi era dietro le molestie a Tahrir: servivano a spaventare le donne e tenerle in casa e nello stesso tempo a screditare i rivoluzionari facendo il gioco di Mubarak “O io o il caos”. In questo senso si può leggere l’affermazione di El Hamalawy uno dei blogger più influenti, secondo cui “la rivoluzione non sarà twitterata”: la rete è stata e continua ad essere il supporto della piazza; supporto non sostituto.
Un progetto questo interessante da seguire anche perché è uno specchio dei problemi degli egiziani e sta cambiando forma: non solo le bugie dei militari, ma anche i diritti umani, la crisi economica, l’istruzione … aspetti che toccano la vita di tutti i giorni e che sono quelli che interessano davvero agli egiziani…ma spesso fuori dall’agenda politica come dimostra questa vignetta:



Macchi Monica
curatrice sezione Tahrir Square

Terremoto de L'Aquila: calamità e giustizia

946 pagine compongono le motivazioni della sentenza di primo grado con cui sono stati condannati a sei anni di carcere -  per omicidio colposo plurimo e lesioni gravi - gli scienziati e i tecnici che hanno partecipato alla riunione della Commissione Grandi Rischi, il 31 marzo 2009, pochi giorni prima del sisma nel capoluogo abruzzese.
La sentenza è dovuta al fatto che i tecnici e gli scienziati "si prestarono a un'operazione mediatica che 'disinnescò', in una parte della popolazione, la paura del terremoto e la indusse ad abbandonare le misure di precauzione individuale seguite per tradizione familiare in occasione di scosse significative". I partecipanti alla riunione della Commissione sono stati condannati per aver ceduto alle pressioni della Protezione Civile e del potere politico. 
Il Pm  Fabio Picuti, infatti, nella requisitoria finale ha inserito, come categoria giuridica, il concetto di "analisi del rischio", rischio prodotto da tre fattori: pericolosità, vulnerabilità e esposizione, sostenendo che, in questo caso, si fosse verificato un difetto di tale analisi. 
L'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha ribattuto, sostendendo che: " Si è focalizzata  l'attenzione sulla previsione a brevissimo termine, nonostante l'acclarata impossibilità di prevedere l'accadimento di una forte scossa sismica in temi di ora, luogo e intensità".
Ricordiamo, infine, le responsabilità legate ai materiali edilizi scadenti e il cinismo di chi ha visto, in quella tragedia, qualche possibilità di lucro. 
Intanto il terremoto del 6 aprile 2009 ha fatto 309 vittime e i loro parenti chiedono giustizia, così come ne hanno diritto tutti gli sfollati della città fantasma.

mercoledì 23 gennaio 2013

Il film "Lincoln" di Steven Spielberg: a favore della politica

A proposito di libertà, giustizia, uguaglianza: mentre negli Stati Uniti il Presidente giura sul testo sacro appartenuto ad Abramo Lincoln, in Italia esce, il 24 gennaio nelle sale cinematografiche, il film di Steven Spielberg, intitolato proprio e semplicemente Lincoln. Sì, perchè Lincoln non è solo il sedicesimo Presidente americano, ma è un simbolo.
Nel film uno dei temi principali è la centralità della politica nel garantire (o provare a farlo)  la dignità ai cittadini, a tutti i cittadini e non manca, ovviamente, la riflessione sul razzismo e sulla schiavitù (argomento ripreso anche da Quentin Tarantino nel suo Django Unchained, di cui si parlerà in un prossimo articolo). Parlare del Passato serve sempre a capire il Presente e a preparare il Futuro, si spera sulle giuste basi.
In Lincoln si racconta del travagliato percorso - fatto anche di contraddizioni e di compromessi - che portò all'approvazione del XIII Emendamento e alla fine della schiavitù. Ma, oltre a queste tematiche, c'è molto di più e il racconto si fa quantomai attuale. 
In Occidente - negli Stati Uniti come in Europa - si assiste ad un progressivo svilimento della politica, ma Spielberg ricorda che "fare politica" significa prendersi cura della "polis", della vita individuale e associata, di ciascuno di noi e anche del bene comune. E non è poco di questi tempi.
Attraverso lo sguardo fermo di Daniel Day-Lewis entriamo nel mondo labirintico del Potere, delle sue maglie e dei suoi intrighi che vanno a scontrarsi con gli ideali e con i valori da condividere. Ma è proprio questa la sfida della politica. Una sfida messa in scena da Lincoln (l'attore citato) e dal senatore radicale Thaddeus Stevens (Tommy Lee Jones), anche se i due protagonisti non sono così contrapposti, ma si propongono come individui che devono fare i conti con i propri dubbi, con le proprie opinioni, con la propria coscienza. 
La bravura dell'autore sta nel rendere vivida questa storia - anche attraverso la regia e la fotografia delle inquadrature - e di riportarla ai giorni nostri, in cui si rende necessario un approfondimento sul senso dell'agire in nome del benessere di tutti, sul senso di responsabilità, sul significato di una democrazia rappresentativa e su quello della parola "dignità".





Aria nuova per i diritti: dagli Stati Uniti

L'importanza della scelta delle parole. Nel discorso per il secondo mandato come Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha posto, come punto centrale e fondamentale, il tema dei diritti umani e civili. E - davanti a 700 mila persone radunatesi a Capitol Hill e al mondo intero - ha giurato su due bibbie: una che appartenne ad Abramo Lincoln e un'altra di Martin Luther King.
Nel suo Inaugural Address, Obama ha pronunciato le seguenti parole: "Ciò che ci unisce come nazione non è il colore della nostra pelle nè l'origine dei nostri nomi, ma che tutti gli uomini sono creati uguali e hanni diritti inaleniabili". E non si è fermato qui. Ha continuato, infatti, dicendo: "Il nostro viaggio non sarà completo fino a quando i gay non saranno trattati come tutti gli altri...Lo dice la legge che siamo nati tutti uguali", parlando anche di "nostri fratelli e nostre sorelle gay". 
Per quanto riguarda la situazione economica e la sperequazione sociale, il Presidente ha rivolto un pensiero e l'impegno nei confronti degli umili, dichiarando che: "Il nostro Paese non può avere successo quando un gruppo sempre più ristretto sta molto bene ed un gruppo sempre maggiore ce la fa a stento".
Un discorso, quindi, incentrato sul concetto di "uguaglianza" e sull'importanza dei diritti garantiti (come già suggeriva la scelta delle due bibbie su cui prestare giuramento), sperando che sia un segnale raccolto anche da altri Paesi, compresa l'Italia.





martedì 22 gennaio 2013

Mostra fotografica: donne, singles, saudite. In Occidente





Ragazze, donne che hanno lasciato la loro terra d'origine e ora vivono, da singles, in Occidente.
Le ha ritratte la giovane fotografa saudita, Wasma Mansour, classe 1980, e i suoi scatti sono esposti nella mostra Single Saudi Women - curata da Niccolò Fano - fino al 30 gennaio, presso “28 Piazza Di Pietra-Fine Art Gallery”, a Roma.
La ricerca fotografica di Wasma Mansour mira a rovesciare molti stereotipi sulla donna mediorientale, a toccare temi culturali di forte attualità e a suggerire anche una riflessione politica.
Nelle fotografie, ad esempio, spesso vengono immortalate borse che contengono i veli, ripiegati e non indossati; gli ambienti, in cui le figure femminili sono protagoniste, sono ambienti dalle caratteristiche occidentali (inglesi, in particolare), spazi e luoghi che esprimono anche l'interiorità delle persone; i volti sono sempre nascosti perchè la fotografa ha preferito far parlare gli oggetti, carichi di significati simbolici, che raccontano di donne che hanno sfidato le convenzioni, che chiedono libertà, che sole (senza uomini) cercano di costruirsi un futuro. Un percorso tra pubblico e privato per un'indagine sulla costruzione dell'identità.



Proibire le colture alimentari sui terreni avvelenati dalla camorra

La criminalità organizzata sta perpetrando un genocidio per aver sversato tonnellate di rifiuti tossici nelle campagne di molte province campane e non solo.

Migliaia sono le persone che si ammalano e muoiono per aver ingerito cibi contaminati dalle acque di falda di queste zone.


Firmando questa petizione chiederai al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, ai Ministri dell'Interno, delle Politiche Agricole, dell'Ambiente e della Salute di 

• individuare le aree insistenti sulle falde acquifere compromesse
• delimitare le aree siti di discariche legali e di sversamenti abusivi garantendo che all'interno della distanza di sicurezza sia impedita la coltivazione agricola
• destinare i terreni insistenti sulle falde acquifere compromesse e limitrofi a siti di discariche legali e di sversamenti abusivi, alle sole colture non alimentari come canapa, sugherete, faggete per la produzione di carta e qualsiasi altra coltivazione compatibile con il clima del territorio
• rendere disponibili fondi europei per incentivare, in collaborazione con le organizzazioni agricole, i proprietari dei terreni alla coltivazione di prodotti non alimentari, e operando per costituire l'indispensabile filiera produttiva.

L'introduzione di questo limite servirà a salvare in futuro molte vite umane, che inconsapevolmente acquistano e consumano prodotti ortofrutticoli provenienti da coltivazioni attigue a discariche, legali o abusive, irrigate con l'acqua di falde irreversibilmente contaminate.

La norma potrà inoltre agire da deterrente nei confronti di chi, dietro offerta di denaro, accetterà di ospitare sui propri terreni nuove discariche abusive. 

Per firmare la petizione, potete andare sul sito www.change.org

 

lunedì 21 gennaio 2013

A nome tuo: uno spettacolo teatrale sull'eutanasia



Dal 18 al 21 gennaio, al teatro PimOff di Milano, è in scena (e si potrà recuperare ancora, anche in altre città italiane) lo spettacolo intitolato A nome tuo, per la regia di Roberto Recchia e tratto dall'omonimo romanzo di Mauro Covacich, per Einaudi.
Ilaria è una trentenne con un lavoro da ricercatrice universitaria, una famiglia poco equilibrata e un fidanzato complicato. Ilaria nasconde un segreto: Ilaria è anche Miele, uno pseudonimo, un soprannome perchè da anni dedica la propria vita alle persone che cercano un aiuto per porre fine alla propria esistenza. La giovane donna, infatti, assiste i malati terminali che desiderano la “dolce morte”, fornendo loro i farmaci o gli strumenti adeguati. Ilaria porta avanti la propria scelta - una scelta difficile, ardita e solitaria – con convinzione e determinazione fino a quando incontrerà Grimaldi, un anziano perfettamente sano. Tra i due nascerà un rapporto forte, un legame intellettuale e umano che cambierà profondamente la vita della protagonista.
Anche il Cardinal Martini sosteneva che esistono: “zone di frontiera, dove non è subito evidente quale sia il bene. E' pertanto buona regola astenersi dal giudicare frettolosamente e poi discutere con serenità per non creare inutili divisioni”: il tema dello spettacolo è, infatti, ancora quantomai attuale. In molti Paesi - dagli stati Uniti alla Finlandia, dallo Zimbabwe alla Nuova Zelanda – nascono associazioni che difendono il diritto ad  una morte dignitosa. In Italia l'argomento è diventato oggetto di discussione (e di polemiche) soprattutto dopo il caso di Eluana Englaro.
Un romanzo ritenuto da molti "scomodo”, una pièce teatrale, e un film di prossima uscita - diretto da Valeria Golino - per far riflettere sui confini del libero arbitrio e della dignità , sui nostri diritti e sulla nostra libertà.


 

Ancora razzismo nel mondo del calcio

Dopo l'episodio accaduto qualche giorno fa, dobbiamo ancora parlare di calcio e razzismo.
Ed è ancora coinvolta la Pro Patria.
Sabato scorso, infatti, durante un incontro tra le formazioni giovanili della Berretti, la partita Casale-Pro Patria è stata interrotta a causa di un insulto razzista nei confronti di un giocatore, Fabiano Ribeiro.
La Pro Patria esclude l'episodio razzista, mentre il tecnico della formazione di casa ha dichiarato: “ Quello che è accaduto questa sera è un fatto grave e vergognoso, che va preso nelle sue giuste proporzioni e lo è ancora di più se si pensa che è avvenuto all'interno di una partita giocata tra ragazzi. E' tempo di dare un segnale forte considerato che già ci era capitato in precedenza di sentire insulti razzisti. Un fenomeno che va arginato.
La Lega Pro ha, intanto, deciso di rivolgersi alla Procura federale. Il presidente della Lega Pro, Mario Macalli, ha sostenuto che “se dall'inchiesta risultasse che si è compiuto un atto di razzismo, La Lega Pro prenderà tutti i provvedimenti necessari per condannare il gesto. Tali comportamenti razzisti non possono essere più ammessi e tollerati. Andremo fino in fondo all'indagine, porteremo avanti una lotta senza quartiere, non sono questi i valori che il calcio e la società devono trasmettere”.