giovedì 31 ottobre 2013

Quella classe di stranieri così vera, così reale: il film di Daniele Gaglianone




A due anni da Ruggine, Daniele Gaglianone torna sui banchi di scuola, in selezione ufficiale alle decima edizione della sezione “Giornate degli Autori” alla Mostra del Cinema di Venezia con il film intitolato “La mia classe”.
Mamon, Bassirou, ShadiShujan, Mahobeboeh, Issa, Mussa e tutti gli altri sono i protagonisti, ciascuno con il proprio vissuto e con le proprie aspettative.
Valerio Mastandrea, unico attore professionista, impersona un insegnante che prepara una classe di 'veri' stranieri, che hanno bisogno di imparare l'italiano, per vivere da noi e per ottenere il permesso di soggiorno. Girato a Roma, il film è diventato un'altra cosa quando, a poche settimane dall'inizio delle riprese è accaduto ad uno dei ragazzi un fatto reale e grave, il mancato rinnovo del documento e il rischio di espulsione.

Abbiamo intervistato Daniele Gaglianone che ringraziamo tantissimo per la sua disponibilità

Come sono stati scelti i ragazzi che hanno preso parte al film?

Li abbiamo scelti in classi vere, siamo andati in giro ad assistere a lezioni vere, reali di insegnanti di italiano per stranieri sia per attrezzarci meglio al personaggio del professore sia per formare la classe. Abbiamo frequentato classi di scuole istituzionali e di associazioni culturali che, attraverso il volontariato, si rivolgono agli stranieri.
Abbiamo composto la classe secondo un criterio molto semplice: eravamo in cerca di persone e non di bandiere. La composizione della classe, infatti, è squilibrata perchè ci sono, ad esempio, tre curdi e tre bengalesi: cioè non ci siamo preoccupati di creare un'omogeneità o di considerare le persone come rappresentanti di etnie e questo perchè il nostro approccio al film voleva andare al di là degli stereotipi.

Avete avuto qualche difficoltà con i ragazzi oppure hanno raccontato con spontaneità il proprio vissuto?

Il rapporto tra noi è stato coltivato, siamo entrati in confidenza piano piano e le cose sono avvenute in maniera abbastanza naturale. Tra aprile e ottobre abbiamo contattato le persone, spiegato il progetto e ci siamo conosciuti in modo tale che, nel momento in cui si doveva lavorare insieme, ci fosse già la sintonia. Poi, come capita nella vita, ci sono persone con cui ti intendi di più e quelle con cui c'è bisogno di più tempo.

Quali sono le richieste o le aspettative espresse dai racconti dei ragazzi?

La cosa fondamentale che chiedono è molto semplice: quella di essere considerati degli individui.
Come il film cerca di dimostrare, la loro condizione li porta davanti a certe questioni in maniera problematica, come, per esempio, alla questione del lavoro: qualcuno è disposto a fare lo “schiavo”, altri no. In fondo, chiedono di poter vivere e non di sopravvivere.

Il personaggio di Valerio Mastrandrea, il professore, non è solo un personaggio  filmico...

Parlare del personaggio di Valerio vuol dire parlare anche della struttura del film. La struttura è, infatti, a più livelli che sono tre: un livello immanente, che comprende i primi due e che si può intuire solo alla fine; un primo livello in cui Valerio interpreta un profesore come attore, e poi c'è il secondo livello in cui Valerio è lui, una persona. Alla fine, il primo e il secondo si confondono, soprattutto quando Valerio recita il monologo.
Nel film ci sono un breve prologo e un breve epilogo, estranei al film che stiamo girando in classe, che hanno reso il progetto rischioso perchè si tratta di un film di finzione, ma girato in modo tale che l'impressione di realtà sia così forte da far dire allo spettatore: “ E' vero o non è vero?”.

Infatti, durante le riprese, è accaduto qualcosa che ha fatto cambiare la direzione...

In realtà è accaduta prima dell'inizio delle riprese.
Di fronte all'impossibilità, da parte di alcuni ragazzi, di lavorare al film ci siamo immaginati che il fatto stesse accadendo in quel momento.
Il film è stato pensato cercando di andare oltre quelle formule che rischiamo di essere ricattatorie per cui tu cogli le persone in difficoltà, all'inizio, e ti relazioni o con indifferenza oppure dando aiuto. Qui, invece, per metà film c'è una dimensione ludica della lezione che porta a far scattare l'empatia con i personaggi, che non è ricattatoria. Ma quando alla fine ti raccontano il loro inferno, a quel punto non sono più cose che accadono al “solito immigrato”, ma accadono a una persona che, nel frattempo, ti è diventata familiare, a un tuo amico.
Non si tratta più di una questione che riguarda gli “altri”, ma è una tua responsabilità perchè quella perosna è entrata nella tua vita.

Quali riflessioni vorresti che scaturissero da questo lavoro?

Mi auguro che questo film venga visto da più persone possibile e che faccia scaturire delle domande diverse. C'è una battuta molto dura che dice Valerio: “Quello che facciamo non serve a un cazzo”: ecco, forse se ce lo diciamo, quello che facciamo può servire sul serio.
Anche se il peso del passato è importante, i protagonisti sono persone e questo al di là della loro nazionalità. E sono perosne in difficoltà.
Forse vorrei che questo fosse un film sull'integrazione, ma sull'integrazione nostra: siamo noi che ci dobbiamo integrare a una situazione nuova, complicata e difficile. 

 


mercoledì 30 ottobre 2013

Una campagna contro i pregiudizi



Parte lunedì 11 novembre alle 11.30 con la conferenza dal titolo “Conflitti, mass media e diritti” che si terrà in Corso Vittorio Emanuele II 349)e, alle 20.30 con lo spettacolo “Senza Confini - Ebrei e Zingari” di Moni Ovadia presso il Teatro Vittoria, Piazza di Santa Maria Liberatrice 10, Roma, Ingresso libero a sottoscrizione, una campgna per combattere gli setereotipi negativi e i pregiudizi sui rom, anche a seguito dei fatti di cronaca di cui abbiamo parlato negli articoli precedenti. 
 
Offrire una fotografia reale della popolazione Rom in Italia e in Europa, dando spazio alla cultura romanì e ai giovani Rom impegnati nel miglioramento delle condizioni di vita delle proprie comunità, e’ l’obiettivo della campagna ROMAIDENTITY- IL MIO NOME E’ ROM promossa dalla ong Ricerca e Cooperazione insieme a Associazione Stampa Romana, Associazione Rom Sinti @ Politica, Università La Sapienza e altre associazioni e istituzioni di Italia, Romania e Spagna.

Alla conferenza pubblica “Conflitti, mass media e diritti” parteciperà l'attore Moni Ovadia, insieme a Paolo Butturini (Stampa Romana), Nazzareno Guarnieri (Associazione Rom Sinti @ Politica) e Natascia Palmieri (Ricerca e Cooperazione). Segurà lo spettacolo teatrale e, all'iniziativa, interverranno inoltre: Pietro Vulpiani (Unar – Ufficio Antidiscriminazioni Razziali) e Serena Tosi Combini (Fondazione Michelucci, Università di Verona) autrice del volume “La zingara rapitrice”.

Il premio Sakarov a Malala Yousafzai

Il premio Sakarov a Malala Yousafzai


Torniamo a parlare di Malala Yousafzai, la ragazza pakistana che viene dal Pakistan. Tra il 2007 e il 2009 la sua regione di origine, quella della valle dello Swat, è stata controllata dai talebani che hanno imposto una dura legge islamica e la chiusura delle scuole. Nel 2008 Malala pronuncia un discorso pubblico sul diritto all'istruzione e, un anno dopo, sotto pseudonimo, attiva un blog sul sito della Bbc. In seguito lei e suo padre, anche lui attivista, partecipano a numerosi documentari e video e la sua identità viene svelata. Nel 2012 la ragazza subisce un attentato: le sparano alla testa mentre si trova sull'autobus che la conduce da scuola a casa. “Diffonde idee occidentali”, questa la dichiarazione del leader del gruppo che ha tentato di ucciderla: ma Malala è viva. E' stata operata prima a Peshawar e poi a Londra.
Malala Yousafzai è diventata un simbolo: della libertà e dei diritti. A febbraio scorso il partito laburista norvegese ha appoggiato la sua candidatura al Nobel per la Pace; da poco è stata premiata come “ambasciatrice di coscienza” da Amnesty International e la scorsa settimana ha ricevuto anche il prestigioso premio Sakarov, che le verrà consegnato il prossimo 20 novembre.
Il Premio Sakarov prende il nome dallo scienziato e dissidente sovietico, Andrei Sakarov, ed è stato istituito nel 1988 dal Parlamento europeo per onorare proprio le persone che dedicano la propria vita alla difesa dei diritti umani e l'eurodeputato ALDE, Andrea Zanoni, ha spiegato il motivo dell'assegnazione del premio a Malala: “ Malala Yousafzai ha sfidato il regime talebano nel distretto di Swat, in Pakistan, con la sua battaglia per i diritti delle donne a ricevere un'adeguata istruzione. A simili donne va la riconoscenza dell''Europa per aver condotto una battaglia così fondamentale per tutte le donne del mondo. Grazie al suo coraggio e alla sua forza, migliaia di donne in Pakistan hanno raggiunto una maggior consapevolezza dei propri diritti e dell'importanza di ricevere un'istruzione”.


Malala è protagonista anche di una bella mostra dell'artista Marcello Reboani, inaugurata a Lecce il 25 ottobre - presso il Must – dopo il debutto a Firenze e che sarà allestita nel Salento fino al 26 novembre.
Il titolo: “ Ladies for human rights”. Curata da Melissa Proietti - in collaborazione con Rfk Center for Justice and Human Rights Europe - il percorso si snoda in 18 ritratti materici, in tecnica mista, di figure femminili che, nel corso del tempo, hanno operato per l'affermazione e la tutela dei diritti umani, sociali e civili di tutte e di tutti. Tra le donne rappresentate: Madre Teresa di Calcutta e Annie Lennox, Rita Levi Montalcini e Lady Diana, Maria Montessori e Audrey Hepburn. Le più giovani, Malala e Anna Frank, rappresentano il valore didattico dato all'iniziativa che si rivolge a tutti, ma in particolar modo, agli studenti per sensibilizzarli sui temi dei diritti umani.



martedì 29 ottobre 2013

Il dramma della “jihad del sesso” in Siria




Hanno rapporti con 20, 30, 100 miliziani e tornano in patria incinte”: queste le parole del Ministro dell'Interno tunisino, Lofti Ben Jeddou, riferendosi a ragazze e donne tunisine che si sono recate in Siria per offrire il proprio corpo ai soldati islamici impegnati nella lotta contro il regime di Bashar al Assad. La dichiarazione del Ministro è stata data davanti all'Assemblea nazionale costituente, rendendola nota a livello mondiale, mentre prima la notizia non aveva avuto il giusto risalto sulla stampa internazionale.
La “jihad del sesso” è considerata una forma legittima di guerra santa da parte di alcune frange salafite: in arabo “ jihad al Nikah” indica un matrimonio molto breve, anche della durata di poche ore, che permette a donne e ragazze di avere rapporti sessuali senza, appunto, la celebrazione di un'unione tradizionale. Confortate da questa regola, molte donne si sono convinte a concedersi ai miliziani, come supporto, come forma di lotta e anche per dar vita a futuri combattenti. E molte donne sono, in effetti, rimaste incinte e alcune di loro hanno già partorito.
E noi non facciamo niente, rimaniamo con le mani in mano”, ha continuato Lofti Ben Jeddou, “ Le ragazze vengono 'reclutate' da gruppi salafiti e da associazioni che si dicono caritatevoli, ma in realtà nascondono scopi ben diversi. Dalla Tunisia, si apprende dai media tunisini, partono non solo per la Siria, ma anche per l'Afghanistan e l'Iraq, spesso passando per la Turchia o la Libia. Dall'inizio dell'anno seimila tunisini sono stati fermati alla frontiera perchè in viaggio verso la jihad in Siria”. Anche il Muftì di Tunisi ha espresso la sua indignazione e ha definito questa pratica una vera e propria forma di prostituzione.
Un'altra piaga sociale, un'altra terribile conseguenza di una guerra che continua a non far sconti a nessuno, nemmeno a chi non è ancora nato.

lunedì 28 ottobre 2013

Fari puntati sui Rom



E' di qualche settimana fa la notizia del caso di Leonarda Dibrani: la quindicenne rom, espulsa dalla Francia, per essere rimandata in Kosovo, suo Paese d'origine. La ragazza è stata prelevata dalla polizia durante una gita scolastica a Parigi.
Leonarda viveva da cinque anni in un centro di accoglienza per richiedenti asilo politico, a Levier ai confini con la Svizzera, dove frequentava la scuola pubblica, mentre al resto della sua famiglia - i genitori e altri cinque figli - era già stata notificata l'espulsione. Il Presidente francese, Francois Hollande, aveva dichiarato: “Se Leonarda ne farà richiesta, le sarà garantita accoglienza in Francia, ma per lei sola”. Immediata la risposta da parte dell'interessata: “ Non tornerei in Francia da sola, non abbandonerò la mia famiglia. Non sono la sola ad andare a scuola, ci sono anche i miei fratelli e le mie sorelle”, quattro nati in Italia e la più piccola nata in Francia, secondo le dichiarazioni del padre.

Le conclusioni dell'inchiesta amministrativa ordinata dal Ministro dell'Interno, Manuel Valls, a proposito dell'espulsione confermano che sia stata: “conforme alle regole in vigore”.
Altro caso che ha visto i riflettori puntati sul popolo Rom, un caso diverso da quello precedente: una bambina bionda e dagli occhi chiari è stata trovata in un campo a Larissa, nella Grecia del nord, durante una perquisizione da parte delle forze dell'ordine.
Un uomo e una donna sono stati accusati per rapimento perchè il test del DNA ha provato che “Maria” (questo il nome dato alla bambina) non è figlia loro. I due hanno affermato di averla ricevuta in affidamento da una donna in stato di indigenza. Pare che la madre biologica di “Maria” sia stata trovata in Bulgaria e che abbia affidato la piccola ai due estranei proprio a causa della povertà.
Questi due fatti di cronaca hanno riacceso il dibattito sulle politiche da adottare nei confronti dell'etnia romanì: rom e sinti. E hanno contribuito a riaffermare alcuni stereotipi negativi, primo fra tutti quello che vede i Rom come “rapitori di bambini”. Soprattutto durante le numerose trasmissioni televisive in cui ospiti e opinionisti (!) prendono la parola, alcuni sottolineano che non si debba generalizzare, ma - continuando a discutere in maniera superficiale e poco corretta di questo argomento - il messaggio infarcito di pregiudizi continua a passare.
Come scritto dall'Associazione 21 Luglio in un suo ultimo rapporto, uno studio del 2008 dell'Università di Verona ha mostrato come dal 1986 al 2007, in Italia, nessun caso di presunto "rapimento" di bambini non rom da parte di rom e sinti si sia concluso con una condanna per sequestro o sottrazione di persona.
Nessun bimbo
gagiò, dunque, è stato mai trovato nelle mani delle comunità rom e sinte in quell'arco di tempo. Ma se fosse vero il contrario? Se fossero le istituzioni a sottrarre i bambini rom alle proprie famiglie affidandoli in adozione alle famiglie della società maggioritaria?
Questa è la provocazione che si pone come base di discussione per un convegno che l'Associazione romana ha organizzato per il 29 ottobre e di cui vi diamo comunicazione.


Martedì 29 ottobre alle ore 17, a Roma, presso la sede della Regione Lazio (Sala Tirreno, via Rosa Raimondi Garibaldi 7, Palazzina C), l'Associazione 21 luglio organizza il convegno “Mia madre era rom”, nel corso del quale sarà presentato l'omonimo rapporto dell'Associazione, che analizza in maniera scientifica la situazione dei minori rom, a Roma e nel Lazio, che oggi non vivono più presso le proprie famiglie.

Dalla ricerca, realizzata in collaborazione con la
Facoltà di Antropologia culturale dell’Università di Verona, emergono dati allarmanti, che mettono in risalto un flusso sistematico e istituzionalizzato di minori dalle famiglie rom a quelle non rom in attesa di adozione, "giustificato" dalle precarie condizioni abitative alle quali le comunità rom e sinte nel Lazio sono costrette dalle poliitche locali in atto.

Il rapporto, in particolare, si sofferma sulla presenza dei minori rom nelle storie che il Tribunale per i Minorenni di Roma ha affrontato dal 2006 al 2012.


Interventi di:
Angela TULLIO CATALDO, autrice della ricerca – Associazione 21 luglio

Rita VISINI, Assessore alle Politiche Sociali della Regione Lazio

Melita CAVALLO, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Roma

Edoardo TRULLI, Vice Presidente dell’Ordine Assistenti Sociali della Regione Lazio

Vito SAVASTA, Mediatore sociale

venerdì 25 ottobre 2013

La libraia di Marrakech: la lettura come strumento di libertà




Jamila Hassoune: un’infanzia trascorsa tra le mura di casa, immersa tra i libri e poi l’idea della Carovana itinerante per portare libri e autori in giro per i villaggi. Un inserto fotografico documenta ampiamente le giornate della carovana, fitte di incontri con i giovani e con le comunità locali. La voce di Jamila commenta le vicende del suo Paese, il Marocco: il ruolo delle donne, la riforma del codice di famiglia, gli esiti degli «anni di piombo», l’islamismo, la condizione dei giovani, l’analfabetismo, fino ad arrivare alle piazze delle rivoluzioni.


Abbiamo rivolto alcune domande a Jamila Hassoune e pubblichiamo l'intervista anche in inglese per attenerci fedelmente alle sue risposte (Traduzione italiana a cura di EsseBi). Ringraziamo molto l'autrice e la traduttrice.

Could you tell us the path that led you to become "The librarian of Marrakech"? Ci può parlare del percorso che l’ha portata a diventare La libraia di Marrakech? 

The librarian or better bookseller of Marrakech was a dream like a reader to do something with books and like this journalist said when I explained what I can with books she said am intime dating books for me. I can only breath though books, I can understand more and analyse only through them; of course when my father was running a bookstore working for somebody was imagining that is the work I can do, but for me it's not only selling books I want people to read and to be informed when the city doesn't answer to my attempt, I went to the rural and in Marrakech I am the first woman bookseller opened the spaces for debat with books everywhere, seminars in cafés, in hotels, at the bookstore for many years I built first this bridge between rural and city and I created rural book projetcs and start the book caravan till today and only rest a traveller bookseller I respond to demand and organize meetings between peoples discussing different subjects debating. 


La libraia, o meglio, la venditrice di libri di Marrakech è stato un sogno, come per un lettore fare qualcosa con i libri o come ha detto quella giornalista che, quando ho spiegato cosa sono per me i libri ha detto che io ho un rapporto speciale con loro. Io respiro solo attraverso i libri, comprendo meglio e analizzo attraverso i libri. Certamente, quando mio padre gestiva un negozio di libri per conto di altri, io potevo già immaginare come sarebbe stato il mio lavoro, ma per me non è solo una questione di vendere i libri; voglio che le persone leggano e siano informate. Quando la città non risponde alle mie sollecitazioni, mi rivolgo alla campagna e a Marrakech sono stata la prima libraia donna ad aver creato spazi per discussioni e dibattiti attraverso i libri dovunque, nei caffè, negli alberghi, in libreria. Sono stata la prima a costruire un ponte ideale tra le campagne e la città e a creare progetti di libri per le campagne e ad iniziare la carovana dei libri, tuttora esistente; e sono una venditrice di libri itinerante, che soddisfa la domanda ed organizza incontri e dibattiti su molteplici argomenti.

 How important is spreading the culture in disadvantaged areas, in particular in rural areas? Quant’ è importante diffondere la cultura nelle aree disagiate, in particolare nelle zone rurali? 

My choose was rural area because there was need and still have needs there they don’t have a lot of things so they are virgin to work with them so for books and culture they love and they are curious and if they represent 50 percent of Morocco and this is the future those people are very open and with my work very open and important to built bridge with them between city and rural but to go to see them there and work with them. 

Ho scelto di rivolgermi alle popolazioni rurali, in quanto là c’era e ancora c’è il bisogno vero. Queste popolazioni sono povere e vergini nei confronti della cultura. Lavorare con loro, per i libri e per la cultura che amano e nei confronti della quale provano curiosità, pensando che rappresentano il 50% della popolazione del Marocco, vuol dire lavorare per costruire un ponte ideale tra le campagne e la città. 

A book can also be a weapon of power? And how important is education for women in Morocco and in other arab countries? Un libro può anche essere considerato uno strumento, un’arma di potere? Quanto importante è l’istruzione delle donne in Marocco e in altri Paesi arabi? 

A book and education on general are power , to be informed to have ideas to have knowledge could open for you many paths, you can analyse , you can critisize things and compare you can discuss also with different people could be the road for good citizenship, a woman is half of society like we say, children and young people on arabic world spend more time with their mothers who could transfer knowledge, information and education how we can have citizen to run a country if the mothers couldn’t participate really on that women educated knows very well their rights and could defend themselves they could have access to a good job to share the material responsibility with men and also to help for high education for children.

 I libri e l’istruzione in generale sono strumenti di potere, forniscono informazioni, idee, conoscenza, possono aprire molte strade. Sono strumenti di analisi, di critica, di paragone, tramite i quali si può instaurare un dialogo con gente diversa. Possono aiutare a diventare buoni cittadini. Le donne rappresentano il 50% della società, bambini e giovani, nel mondo arabo, ora trascorrono più tempo con le loro madri, che trasferiscono loro cultura, conoscenza, informazioni e istruzione. Come possiamo pensare di avere cittadini che governano un Paese, se le madri non hanno gli strumenti per partecipare alla vita sociale. Le donne istruite conoscono molto bene i loro diritti e possono difendersi. Possono ottenere un buon lavoro, assumersi le responsabilità e condividerle con gli uomini, nonché contribuire all’istruzione dei figli. 

 Could you mention the new family-code, introduced in Morocco in 2004, and comment on it ? Ci può parlare del nuovo codice di comportamento della famiglia, introdotto in Marocco nel 2004, e commentarlo? 

A good success and realization was the code of the new family comes like revolution to change but also it initiates debat and discussion between who are not with or who trust on it the battle was to go on the field and explain to the people what is this now with the new constitution is another revolution, another success, because it appuys this innovation the code comes for the family and the men and women and the children and for women there are many good things a big work starts many years ago by men and women and finally was established law an texts are here now we have to change mentality to accept and to practice that that is why culture and education are very important and my work is necessary here. 

La realizzazione del nuovo codice di comportamento della famiglia è stato un grande successo, una specie di rivoluzione, tramite il quale sono anche iniziati dibattiti e discussioni tra favorevoli e contrari. È stato necessario scendere in campo e spiegare alla gente che, con questo nuovo codice, è iniziata un’altra rivoluzione, che porterà altri successi, perché esso appoggia il rinnovamento. Il codice è a favore della famiglia, di uomini e donne, dei figli. E per le donne prevede molte cose positive. È stato fatto un gran lavoro, intrapreso molti anni fa da uomini e donne e che finalmente ora è divenuto legge, il cui testo è ora qui, davanti a noi. Adesso, dobbiamo cambiare la mentalità delle persone. Ecco perché cultura ed istruzione sono importanti, ed ecco perché il mio lavoro è così necessario qui.

giovedì 24 ottobre 2013

In piazza con i cittadini eritrei








Un appello e una manifestazione che, come Associazione per i Diritti Umani, ci sentiamo di sostenere. Il testo e l'appello sono firmati dal Coordinamento Eritrea Democratica e altre associazioni (che leggete in calce) che ci hanno chiesto di pubblicarli.



La morte di queste persone si doveva e si poteva evitare.
All’interno dell’Unione europea si susseguono appelli, i politici ripetono frasi di circostanza, a cui però non seguono i fatti. Bisogna invece offrire un’alternativa a queste persone in fuga dalla dittatura, da guerra e violenze, altrimenti sono costrette ad affidarsi ai trafficanti di morte.
I morti continueranno a esserci finché non offriremo reali alternative di accoglienza.
Questo è l'ennesimo naufragio: dal 1998 oltre 20.000 esseri umani sono stati inghiottiti dalle acque del Mar Mediterraneo, e oltre 5.000 sono caduti vittime del traffico di organi umani nel Sinai; un numero imprecisato ha trovato la morte nel viaggio disperato nelle sabbie del Sudan e dell'Egitto. È ora di fermare una carneficina che dura da troppi anni.
Perché queste persone partono? Cosa le spinge ad assumersi rischi enormi nella traversata di deserti e mari? Più concretamente, osservando ad esempio che una grande percentuale di coloro che sbarcano sulle nostre coste arrivano dal Corno d'Africa, qual è la nostra posizione politica nei confronti dei governi di quei Paesi?
L'Eritrea è un carcere a cielo aperto: più di 10.000 perseguitati, buona parte rinchiusi in prigioni disumane, prigionieri per reati di opinione o politici. Si ignora quanti siano ancora in vita, quanti siano stati uccisi e/o siano deceduti. L'Eritrea è un paese chiuso a qualsiasi controllo umanitario, privo di stampa e di informazione libera, se non quella del regime. L'economia dell'Eritrea è morta a causa della completa militarizzazione del Paese. Le poche risorse provengono dalle rimesse degli emigrati. Bambini soldati e/o schiavi sono costretti ai lavori forzati e sottoposti a lavaggio del cervello. Un quarto della popolazione eritrea vive all’estero, il che ne fa uno dei Paesi con il più alto numero di rifugiati all'estero del mondo. I parenti in patria sono sottoposti a ricatti economici impossibili da pagare (in particolar modo l’odiosa imposta del 2% che grava sui redditi prodotti all’estero dalla diaspora), destinati alla tortura e alla galera.
In Eritrea Isayas Afeworki è al potere da esattamente vent'anni. È un uomo che viola
sistematicamente i diritti del suo popolo. Nonostante ciò l'Italia ha fatto e fa ottimi affari con lui.

È possibile che uno Stato come l’Italia, firmatario della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, collabori con associazioni e
consolati legati al regime eritreo che di fatto ledono diritti fondamentali e inderogabili?
È giusto che in uno stato di diritto i cittadini eritrei subiscano una doppia imposizione fiscale, frutto di persecuzioni e intimidazioni imputabili ai consolati o alle suddette associazioni o a persone fedeli alla politica del regime, residenti nel territorio italiano, che operano come veri e propri esattori di tasse in nome e per conto dello stato Eritreo?
Noi chiediamo una protezione completa e non parziale.
Che vengano valutate le ragioni della esistenza di ambasciata/consolati eritrei in Italia, presenza nociva e diseducativa per una convivenza civile e pacifica.
Crediamo sia interesse nazionale Italiano proteggere i suoi cittadini, pertanto chiediamo:

  1. Che l'Italia chiarisca la sua posizione con il governo eritreo

  1. Un indagine accurata sul sistema di tassazione eritrea del 2%, sul sistema di rilascio dei documenti e sulle garanzie di tutela ai cittadini eritrei


CHIEDIAMO INOLTRE ALL'ITALIA

  1. Che la legge Bossi-Fini venga modificata - integrata con nuove norme per i RIFUGIATI POLITICI e che si preveda una legge organica sull'asilo.
  2. Che si crei un corridoio umanitario per il DIRITTO D'ASILO EUROPEO (che permetta ai migranti bloccati in “paesi terzi” di raggiungere legalmente l’Europa) e che i pattugliamenti diventino azioni di soccorso e non di respingimento o rimpatrio forzato.
  3. Che si rafforzi la politica di accoglienza europea perché i paesi di approdo, come l'Italia, possano essere luoghi di prima accoglienza dove siano possibili i ricongiungimenti familiari con i parenti residenti in altri paesi europei per poter costruire un futuro.
  4. Per i defunti: chiediamo la RESTITUZIONE DELLE SALME alle loro famiglie in Eritrea, perché possano essere onorati almeno da morti.

Il regime attuale ci ha tolto la libertà conquistata per noi dai patrioti con la lotta di liberazione. La nostra presenza in Italia è la testimonianza del nostro involontario esilio.



Coordinamento Eritrea Democratica
Eritrean Youth Solidarity for National Salvation Italy
ASPER-ERITREA.Associazione per la tutela dei diritti umani del Popolo Eritreo
ENCDC Europe
MOSSOB Comitato Italiano per Eritrea Democratica

Le foto di Mauro Prandelli: per continuare a riflettere sul tema delle migrazioni


Dal 17 al 20 ottobre 2013 si è tenuto, a Lodi, il Festival della fotografia etica: “etica” una parola, un aggettivo che indicano un comportamento oppure una scelta. Una parola, un aggettivo ormai in disuso.
Le immagini delle numerose esposizioni che hanno arricchito il programma della manifestazione (www.festivaldellafotografiaetica.it) hanno aperto squarci sul mondo e sull'attualità, ma soprattutto nella mente e nelle coscienze di chi le ha potute vedere. Interessantissima, ad esempio, la mostra intitolata “Battle to death” di Fabio Bucciarelli, vincitore del World Report Award (e di altri premi prestigiosi internazionali) con il suo sguardo attento e critico sulla Siria; ricordiamo anche la mostra organizzata dal CESVI “Libya-Off the Wall”; così come “Trieste: storie a parte” sul disagio mentale di Carlo Gianfierro.

L'Associazione per i Diritti Umani ha visitato il festival e ha voluto registrare, per voi, l'incontro di presentazione di un'altra mostra molto importante: EVROS PORTA ORIENTALE d'EUROPA. Un muro contro l'immigrazione, del fotografo Mauro Prandelli.
Un fiume, l'Evros, che separa la Grecia dalla Turchia: è diventato una delle vie preferenziali per l'immigrazione verso l'Europa cosiddetta "ricca" e, nel 2012, Frontex, forza militare formata e sostenuta dall'Unione Europea, ha dato via al progetto "Poseidon" teso a controllare il flusso migratorio.
Il fotografo Mauro Prandelli è stato sull'Evros, ha conosciuto e ritratto alcuni migranti, ha riportato, nelle sue immagini, paure, difficoltà, sogni e speranze.
E in questo video racconta quegli incontri e il suo lavoro.

Ringraziamo tantissimo Mauro Prandelli per averci permesso di condividere con i nostri lettori questo utile approfondimento (www.mauroprandelli.com)





(Potete visionare il filmato e scoprire gli altri nostri video anche sul canale dedicato YOUTUBE dell'Associazione per i Diritti Umani)

mercoledì 23 ottobre 2013

Continua la "carovana dei diritti"

Il nostro viaggio continua con voi e grazie a voi.
Mercoledì prossimo, 30 ottobre, alle 20.30 presso la Casa per la pace di Milano, in Via M. D'Agrate 11,  l'Associazione per i Diritti Umani continua la CAROVANA dei DIRITTI con la presentazione del libro:

FERITE di PAROLE. LE DONNE ARABE in RIVOLUZIONE. MILLE FUOCHI di VOCI, di GESTI e di STORIE di VITA.     di Leila Ben Salah e Ivana Trevisani.

Alla presenza di Ivana Trevisani, psicologa, antropologa
Noah Hassaan, traduttrice
Monica Macchi, esperta di mondo arabo e redattrice per formacinema.it


Un'altra occasione importante per approfondire temi di stretta attualità 





The spirit of '45, di Ken Loach

The spirit of '45, di Ken Loach

Recensione di Cinzia Quadrati, critico cinematografico e collaboratrice del Festival africano, d'Asia e America latina. Ringraziamo molto Cinzia Quadrati per questo suo contributo.


Dopo “La parte degli angeli” leggera ed aggraziata commedia, Ken Loach, regista figlio di operai, che da sempre cioè dagli anni '80-'90 ad oggi, dipinge e problematizza la società (operaia) dei suoi tempi, realizza un documentario sulla storia economica del suo Paese, l'Inghilterra com'era e com'è diventata.
Il film si apre con immagini di repertorio dell'immediato dopoguerra: giovani che festeggiano la fine della guerra, in un'esplosione di entusiasmo, di liberazione, di ritrovato ottimismo.
Dall'ottimismo al pragmatismo: comincia la ricostruzione economica del Paese, che è anche la sua ricostruzione sociale e morale. Lo stato interviene consolidando l'edilizia popolare, nazionalizzando miniere e ferrovie e costruendo il sistema sanitario pubblico. Con il passaggio dalla miseria materiale alla dignità abitativa e lavorativa, si costruisce l'anima della nazione, che nel sistema sociale si va, man mano affrancando e realizzando.
Loach ci presenta interviste dei protagonisti di questo cambiamento, che portano l'esperienza dei padri a confronto con la loro. Gli intervistati guardano al passato di cambiamenti e speranze, che si sono realizzate proprio nella costruzione di uno spirito comune, nel consolidamento del senso di appartenenza alla cosa pubblica, con orgoglio e riconoscenza.
Agli interventi di infermieri, operai, sindacalisti, dirigenti, si alternano commenti di storici: tutti d'accordo sulla portata rivoluzionaria di quel sistema, in cui l'economia era al servizio delle persone e non viceversa. 



Perché poi, qualcosa è cambiato: c'è stato l'avvento di Margareth Tatcher e Loach non ha mai nascosto il suo non amore verso la lady di Ferro, stigmatizzato con il recente commento in occasione del suo funerale, che, ha dichiarato “come avrebbe fatto lei, sarebbe stato bene privatizzare e vendere al peggior offerente”.
La sintesi di quel processo che è iniziato negli anni '80 con l'era Tatcher, ma è continuato anche negli anni successivi e si è bruscamente accelerato con la recente crisi l'economia, che ha, via via, soppiantato l'economia con la finanza, sta in alcune parole pronunciate da un intervistato: l'economia capitalista è debole, ma la considerazione che se ne ha è molto forte.
La tesi dell'opera di Loach supportata dalle parole di tutti i protagonisti del suo film è limpida e cristallina, forse troppo: con la crisi dell'economia, alias della finanza, le privatizzazioni selvagge, già iniziate in epoca pre-crisi, sono aumentate e, con esse, il crollo economico e dei valori.
Il film, quindi, regge nel suo impianto ideativo e ideologico, che certo non sorprende, conoscendo l'opera e il pensiero di Loach, ma con un marcato schematismo, e un certo dogmatismo, delude sul piano estetico.

martedì 22 ottobre 2013

I bimbi siriani in fuga dalla guerra tra i passeggeri in stazione a Milano. Famiglie arrivate in Sicilia e dirette in Svezia.





Pubblicato sul Corriere della Sera il 27 settembre 2013



Riportiamo questo reportage perchè, oggi ancora di più, il tema dei richiedenti asilo e dell'immigrazione deve essere al centro delle riflessioni politiche e sociali. E anche perchè una decina di siriani, a distanza di mesi, è ancora accampata alla Stazion Centrale di Milano in attesa di essere trasferita in un centro di accoglienza o che sia trovata qualche altra soluzione, magari migliore.
Abbiamo anche deciso di pubblicare alcune fotografie di bambini siriani, nel loro Paese, prima della rivoluzione e della guerra: come augurio affinchè tornino a vivere in un clima sereno. (Le fotografie sono di Mariangela Possenti che ringraziamo per averle condivise con tutti noi)



È tutto qui, in questo zaino di tela verde militare regalato dalla Croce Rossa e in una vecchia borsa portadocumenti. «Ogni altra cosa l'abbiamo venduta - dice la donna - orologi, anelli, collane. E così anche lei - indica la giovane che le siede accanto - ha tenuto soltanto questi», due bracciali d'oro. Il velo in testa, gli occhiali da sole, gli stessi vestiti da giorni, i mariti che parlano tra di loro e studiano come riprendere il viaggio, i bambini che giocano sull'erba stenta della stazione Centrale di Milano, una biondina si dondola sulla sbarra delle biciclette comunali: sono famiglie intere, e sono in fuga dalla Siria. Madri e padri trentenni, tre, quattro figli a coppia, a volte un genitore anziano. Sono sbarcati sulle coste siciliane, un po' di cibo e una coperta nei primi soccorsi, due notti nelle strutture d'emergenza e poi il treno da Catania a Milano, con l'idea di proseguire per il Nord. Magari la Svezia, sperano, che ha politiche di accoglienza per i profughi particolarmente generose. I soldi per il biglietto ce li hanno. Quest'uomo faceva l'idraulico, l'altro il commesso in un negozio. Gente semplice, dignitosa, con qualche risparmio. Scappati per le bombe, non per la miseria. I due gruppi qui nei giardinetti hanno cominciato il viaggio quasi un anno fa, quando era ancora possibile prendere un volo dalla Siria all'Egitto. Sono rimasti ad Alessandria finché non sono riusciti a imbarcarsi su uno degli scafi che attraversano il Mediterraneo, salvati da una nave cisterna, raccontano, e approdati a Siracusa. Milano è solo una tappa intermedia, da lasciare il prima possibile.
Li vedi che si muovono come ombre, silenziosi e attenti: non vogliono essere identificati, in Sicilia hanno fatto resistenza agli agenti che prendevano le impronte digitali, in Lombardia evitano gli sportelli di aiuto che siano del Comune o della Caritas: vogliono solo ripartire. Chi ha raggiunto il Nord è informato e sa che chiedere asilo in Italia non è un buon affare, perché ai rifugiati il Paese offre poco e perché inoltrare la pratica qui, in base ai regolamenti europei, significa non poter varcare il confine.
Devono anche stare attenti ai truffatori. In stazione si è sparsa la voce dell'arrivo a frotte dei siriani, raccontano che uomini nordafricani offrono passaggi clandestini, si prestano a fare biglietti, approfittano delle difficoltà a esprimersi in un'altra lingua che non sia l'arabo per togliere a queste famiglie gli ultimi soldi rimasti. È uno dei motivi per cui Abdallah e i suoi amici si danno il cambio in piazza. «Appena posso lasciare il lavoro - fa il marmista - vengo a vedere se ci sono connazionali che hanno bisogno di aiuto». Latte per i piccoli, un cambio di biancheria, ma soprattutto un tetto.
Safwan Bari si è portato a casa due donne e sette bambini, che con i suoi fanno undici. «Chiedo scusa per l'odore - nel salotto l'aria è irrespirabile -: sono due settimane che non si tolgono scarpe e vestiti», hanno pianto, hanno vomitato per il mare grosso, questo ragazzino coi ricci neri seduto sul divano ha pure rischiato di cadere in acqua. È la mamma a raccontarlo, Safwan traduce. Sono fuggiti da Erbin, quartiere alla periferia di Damasco, dopo l'attacco dell'esercito di Assad con le armi chimiche. Hanno raggiunto Latakia, la cittadina portuale a Nord di Homs, e lì hanno pagato. «Cinquemila dollari per ogni adulto, 2.500 per i bambini». Fanno 17.500, come ve li siete procurati? «Mio marito, commerciante d'automobili, li aveva messi da parte». Non abbastanza, però. Il resto viene da una colletta di amici e parenti, che si sono sacrificati perché almeno loro, i più giovani, si salvassero.
Gli scafisti «ci hanno detto che sarebbe stata una gita, che saremmo stati non più di settanta in una barca». E invece si sono ritrovati in 200, onde alte, acqua e cibo insufficienti, niente bagni, «i bambini si facevano la pipì addosso». Dieci giorni di sofferenza in mare fino a Lampedusa. Da lì, Catania e poi Milano. Hanno già fatto un primo tentativo di varcare la frontiera, vorrebbero arrivare in Germania, ma al Brennero la polizia austriaca li ha rimandati indietro. Adesso aspettano a casa di Safwan: «Sono siriano anche io - dice -, è il mio popolo, ma abbiamo bisogno di sostegno, da soli non ce la facciamo». Stanotte andrà a cercare un letto da un amico, per evitare alle donne l'imbarazzo di dividere l'alloggio con uno sconosciuto. Poi si vedrà.
Il centro di raccolta e di «smistamento» dei profughi è a poche centinaia di metri da casa sua, in un bar di Cologno Monzese ritrovo della comunità siriana a Nord di Milano. Ai tavolini sono tutti maschi e discutono di come affrontare l'emergenza. Non c'è posto per tutti, qualcuno dormirà in auto. S. M. per ora ha trovato ospitalità: 35 anni, rosso di barba e di capelli legati in una coda, una pallottola nel braccio sinistro sparata da un cecchino, nel suo quartiere alla periferia di Damasco aveva un negozio di scarpe, ma si dilettava anche di ritratti, ai matrimoni e alle feste. Quando è iniziata la rivolta, ha recuperato la macchina fotografica e racconta di essersi messo al servizio dei ribelli. Non vuole dire di aver combattuto, ma accetta di farsi scattare un'immagine, perché, dice «non ho paura, la mia faccia è già nell'album dei ricercati dalla polizia di Assad, mi hanno già bruciato casa e negozio, non ho famiglia, non ho più nulla». Per questo è fuggito. Lungo un percorso diverso, ma ugualmente costoso.
In macchina e a piedi ha raggiunto la frontiera con la Turchia. Di lì per arrivare a Istanbul ha pagato 2.500 dollari. Quindi un trafficante l'ha condotto sulla costa e imbarcato con altri cinque per un'isola greca, dove si è confuso tra i turisti e ha preso un traghetto per Atene. Altri 2.000 dollari per biglietto aereo e documenti falsi, tre imbarchi falliti, finché è riuscito a salire su un charter delle vacanze ed è atterrato ad Orio al Serio, Bergamo.
Ufficialmente, anche lui, qui in Italia non esiste.

lunedì 21 ottobre 2013

Convegno Media e Immigrazione: altri interventi interessanti

L'Associazione per i Diritti Umani pubblica anche gli interventi di alcuni relatori che hanno preso parte al convegno "MEDIA e IMMIGRAZIONE. Dalla Carta di Roma all'etica professionmale. Linguaggi per costruire la cittadinanza comune", organizzato da All Tv il 18 ottobre 2013.

Oltre a quello del Ministro Kyenge, riportiamo gli interventi di (in ordine di apparizione):
- Dijana Pavlovic, Attrice Italo - Serba
- Alina Harja, Direttore responsabile Actualitatea Magazine
- Khawvatmi Radwan, Presidiente "Movimento Nuovi Italiani"
- Kyle Scott, Console Generale U.S.A.
- Peter Gomez, Direttore de ilfattoquotidiano.it
- Stefania Ragusa, Direttore Responsabile Corriere Immigrazione





E' possibile vedere questo video anche sul canale dedicato YOUTUBE dell'Associazione per i Diritti Umani dove trovate anche altro materiale. 

domenica 20 ottobre 2013

Lea Garofalo: un'eroina contemporanea



E' Denise che ci invitati qui per dire Ciao alla sua mamma, e a lei vogliamo dare un forte abbraccio”, queste le parole di Don Ciotti in occasione del funerale civile per Lea Garofalo,
una cerimonia laica per la testimone di giustizia, ammazzata brutalmente il 24 novembre 2009 dal suo ex compagno e boss mafioso, Carlo Cosco.
Il corpo della donna fu ritrovato in un campo vicino a Monza, a novembre dello scorso anno e la figlia, Denise - ora in un luogo sconosciuto perchè soggetta ad un regime di protezione - ha voluto che il funerale fosse celebrato nella città di Milano perchè è qui che Lea si era rifatta una vita, scappando da Petilia Policastro (in provincia di Crotone) dove la sua famiglia gestiva gli affari della 'ndrangeta.
Le parole e le note delle canzoni di Vinicio Capossela, di Rino Gaetano, di Vasco Rossi; le bandiere colorate con il volto di questa eroina contemporanea; i cartelli che inneggiano alla giustizia e alla legalità: questi simboli e segnali di riconoscenza hanno abbracciato la salma della donna insieme a tantissime persone, di tutte le età, che hanno voluto darle l'ultimo saluto. E poi le letture, impressionanti, che restano come testamento morale e come mònito per tutti, come quella pagina di diario, datata 18 agosto 1992, in cui Lea scriveva: “ Non ho mai avuto affetto e amore da nessuno. Sono nata nella sfotuna e ci morirò. Oggi però ho la speranza per andare avanti e si chiama Denise. Avrà tutto quello che non ho mai avuto nella vita”.

Durante il funerale, che si è svolto ieri, sabato 19 ottobre 2013 in Piazza Beccaria, sono stati distribuiti dei segnalibri perchè, ha spiegato il sacerdote fondatore di Libera: “ Vogliamo riaffermare il potere dei segni contro i segni del potere. Il segnalibro riafferma l'importanza della cultura contro la mentalità mafiosa”. Il sacerdote, alla fine dell'incontro e con le lacrime agli occhi, ha gridato: “ Non basta parlare di verità, dobbiamo cercarla...Abbiamo tanto dolore dentro perchè non ce l'abbiamo fatta a salvarla” , ma sabato abbiamo preso tutti un impegno che è quello di non lasciare mai sola Denise e di ripartire per cercare di riaffermare non solo la verità, ma per combattere la “mafiosità” che, a volte, è anche dentro di noi, e troppo spesso si trova intorno a noi.
La voce di Denise rieccheggia nella piazza, una voce spezzata dal pianto che dice: “ Per me,oggi, è un giorno molto difficile, ma la forza me l'hai data tu, mamma. Se è successo tutto questo è solo per il mio bene e non smetterò mai di ringraziarti”.

venerdì 18 ottobre 2013

Convegno: MEDIA e IMMIGRAZIONE. Dalla Carta di Roma all'etica professionale.Linguaggi per costruire la Cittadinanza comune


L'Associazione per i Diritti Umani ha partecipato,Venerdì 19 ottobre, al convegno nazionale - organizzato da All -TV .tv - primo canale televisivo italiano che promuove la “cittadinanza comune” - dal titolo: “Media e Immigrazione, dalla Carta di Roma all'etica professionale: linguaggi per costruire la cittadinanza comune”.
Il convegno è stato articolato in quattro segmenti: “L'integrazione crea lavoro: All-tv, oltre la web tv”; “All-tv costruire la cittadinanza comune: progetto,obiettivi”; “Per un'informazione senza discriminazione” e la tavola rotonda “Ruolo dei media per costruire la cittadinanza comune e l'integrazione” a cui hanno partecipato il Ministro per l'Integrazione, Cècile Kyenge, Kyle Scott, Console generale USA, Khawatmi Radwan, Presidente “Movimento Nuovi Italiani”, Claudio Martelli, ex Ministro della Giustizia e Presidente Opera Onlus, Peter Gomez, Direttore del ilfattoquotidiano.it, Giancarlo Mazzucca, Direttore de Il Giorno, Francesco Piccinini, Direttore responsabile Fanpage.it e Stefania Ragusa, Direttore responsabile Corriere Immigrazione.

Pubblichiamo alcune dichiarazioni del Ministro Cècile Kyenge





Riportiamo, inoltre, le parole della Presidente della Camera, Laura Boldrini, in una lettera ufficiale di saluto, indirizzata a All Tv:

...La Carta di Roma è nata da una profonda riflessione sull'uso delle parole e delle immagini e sulla centralità del lavoro di formazione, fatto a partire dalle esperienze quotidiane dei giornalisti. La cronaca ci dice ogni giorno quanto sia importante che la questione epocale delle migrazioni venga affrontata con la necessaria consapevolezza deontologica.insieme alla nuova regolamentazione legislativa, che è compito del Parlamento, l'opera dei media è altrettanto fondamentale per far crescere il rispetto dei diritti in un Paese più giusto e più inclusivo”.

INDIFESA: la campagna di sensibilizzazione per i diritti delle bambine





Aumentano, di giorno in giorno, in Italia e nel mondo i reati rivolti contro i minori e, in particolare, contro le bambine. Secondo i dati elaborati dalle Forze dell'ordine italiane per Terres des Hommes, dal 2011, si è verificato un incremento del 15%: 822 vittime di vilenza sessuale, 1164 vittime di violenza domestica, per citare solo alcuni numeri.
Federica Giannotta, responsabile Diritti dei bambini per Terres des hommes, ha dichiarato: “L'evidenza di un filo 'rosa' tra questi terribili dati conferma l'urgenza di assicurare maggiore protezione alle bambine e alle ragazze”.
Per questo, l'associazione ha lanciato la campagna dal titolo Indifesa con la quale intende porre i riflettori sulla condizione di grave vulnerabilità da abusi e discriminazioni delle bambine in Italia e nel mondo. La campagna di sensibilizzazione e di raccolti fondi permetterà di finanziare progetti di assistenza e prevenzione degli abusi e progetti contro le discriminazioni quali, ad esempio: le “bambine domestiche” in perù, le “spose bambine” del Bangladesh, le “mamme bambine” in Costa d'Avorio e le bambine salvate dall'infanticidio in India.
Su questi e altri temi, come aborto selettivo, mutilazioni genitali, tratta e prostituzione, lavoro minorile, matrimoni e gravidanze precoci, mancato accesso all’istruzione, violenza e abusi sessuali, Terre des Hommes presenterà il 10 ottobre 2012, in occasione della prima Giornata ONU delle Bambine presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il dossier esclusivo “La condizione delle bambine e ragazze nel mondo”.


Con il numero 45501 della Campagna “ Indifesa di Terre des Hommes, attivo dall’1 al 21 ottobre, si può donare 2 Euro via SMS da cellulare TIM, Vodafone, Wind, 3, Postemobile Coop Voce e Nòverca. Si può anche donare 2 euro da rete fissa TWT e fino a 5 euro da rete fissa Telecom Italia, Infostrada e Fastweb.





Martedì 24 settembre 2013 presso l' Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Milano, alla presenza dell'Avv. Paolo Giuggioli, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano, del Dott. Pierfrancesco Majorino, Assessore alla Politiche sociali del Comune di Milano, del Dott. Mario Zevola, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Milano e della Dott.ssa Monica Frediani, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Milano e dai rappresentanti di Terres des Hommes e di altre associazioni, è stata presentata la Carta di Milano, sulla tutela dei diritti dell'infanzia.



Riportiamo, di seguito, i punti della Carta:



Le bambine e i bambini non sono oggetti, bensì soggetti attivi, con la loro dignità, i loro gusti, speranze, sensibilità, idee e valori di cui si arricchiscono e che con loro si rafforzano. Hanno diritti inalienabili e doveri. La rappresentazione delle bambine e dei bambini dovrebbe sempre tenere conto di questa grande ricchezza coinvolgendoli in modo attivo e coerente con gli obiettivi di comunicazione ed evitando l’uso meramente ostensivo, sensazionalistico e artificioso della loro immagine.

I bambini e le bambine sono tali indipendentemente dal colore della loro pelle, dalla provenienza etnica, dalla loro fede religiosa e dalla loro condizione sociale. La comunicazione deve saper raccontare tutte le diversità etniche, religiose, sociali e geografiche evitando stereotipi e messaggi discriminatori.


La comunicazione deve tenere conto delle differenti età dei bambini e delle bambine coinvolti rispettandone la naturale evoluzione. Non bisogna rappresentarli in comportamenti, atteggiamenti e pose inadeguati alla loro età e comunque non corrispondenti al loro sviluppo psichico, fisico ed emotivo. Ogni precoce erotizzazione dei bambini e delle bambine va bandita dalla comunicazione.


La comunicazione dovrebbe rappresentare le bambine e i bambini in maniera veritiera, rifuggendo da ogni idealizzazione, buonismo o pietismo e bandendo, nel contempo, ogni promozione o incitamento di comportamenti devianti o violenti. La comunicazione dovrebbe rispettare la fantasia, la creatività e la curiosità dei bambini e delle bambine, così come quel delicato mondo di relazioni e interazioni in cui vivono ogni giorno.


I bambini e le bambine non devono essere rappresentati attraverso la raffigurazione adultizzata di stati d’animo negativi quali noia, depressione, rabbia, paura, o insoddisfazione che mirano solo a una loro strumentalizzazione a fini commerciali. Quando questi sentimenti negativi vengono rappresentati, lo devono essere secondo una modalità coerente, autenticamente corrispondente al significato che essi hanno per i bambini.


I bambini sono bambini. Sono femmine e sono maschi, con lo stesso diritto a essere rispettati come persone a tutto tondo. La comunicazione non deve rappresentare il genere in categorie fisse, esaltando attributi di virilità e forza, da un lato, di dolcezza e remissività dall’altro. La comunicazione non deve presentare continuamente i bambini e le bambine in attività convenzionalmente destinate a uomini o a donne, rafforzando le discriminazioni di genere.

Le bambine e i bambini hanno bisogno di punti di riferimento forti che trovano soprattutto nei loro familiari e nelle figure affettive a loro più vicine ovvero in chiunque si prenda cura del loro benessere psico-fisico. La comunicazione non dovrebbe sminuire nessuna di queste figure, togliendo ai bambini, specie i più piccoli, la fiducia nelle persone che sono fondamentali per il loro sviluppo psicologico, fisico e per la loro educazione.

La fragilità dei bambini e delle bambine e il loro bisogno di protezione non devono essere strumentalizzati per indurre negli adulti senso di colpa, inadeguatezza o allarmismo.


La rappresentazione di bambini e bambine affetti da patologie non deve ricorrere a immagini, descrizioni o discorsi che possano ledere la loro dignità.


Il benessere delle bambine e dei bambini è prezioso e la loro alimentazione è fondamentale perché possano crescere in modo sano ed equilibrato. La comunicazione dovrebbe promuovere un corretto stile di vita fisico e alimentare, cercando di rafforzare comportamenti che salvaguardino il benessere presente e futuro dei bambini.





giovedì 17 ottobre 2013

La carovana dei diritti: incontro sulla Siria con Shady Hamadi

Continua la nostra carovana e siamo davvero contenti di pubblicare anche il video dell'incontro che si è tenuto ieri sera, al Bistro del tempo rirovato, con Shady Hamadi sul suo libro "La felicità araba . Storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana".
Ringraziamo Shady e Monica Macchi per i loro interventi importanti e puntuali e tutti coloro che sono intervenuti e hanno dato vita ad un interessante e approfondito dibattito.

Vi aspettiamo per il prossimo appuntamento organizzato da Associazione per i Diritti Umani: la presentazione del libro "Ferite di parole. Le donne arabe in rivoluzione. Mille fuochi di voci, di gesti e di storie di vita", di Leila Ben Salah e Ivana Trevisani. Alla presenza di Ivana Trevisani e di Monica Macchi.
Il 30 ottobre, alle ore 20.30 presso casa per la pace di Milano.

Potete visionare tutti i nostri filmati anche sul canale dedicato YOUTUBE dell'Associazione per i Diritti Umani




mercoledì 16 ottobre 2013

Nuove opportunità per registi africani. Al festival del film di Locarno

Per la prossima edizione del film di Locarno - che si terrà dal 6 al 16 agosto 2014 - la sezione “Open Doors” tornerà a dedicarsi all'Africa subsahariana.
Con il sostegno della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) del Dipartimento federale degli affari esteri (Svizzera), Open Doors mira a sostenere e mettere in luce registi e film di paesi del Sud e dell’Est del mondo dal fragile cinema indipendente, coinvolgendo ogni anno una regione diversa. La prossima edizione tornerà a dedicarsi all'Africa subsahariana, già protagonista nel 2012 con i paesi francofoni.
L’edizione 2014 sarà dedicata ai seguenti paesi, che non hanno partecipato nel 2012:
Angola, Botswana, Capo Verde, Eritrea, Etiopia, Gambia, Ghana, Kenya, Lesotho, Liberia, Malawi, Mozambico, Namibia, Nigeria, São Tomé e Príncipe, Sierra Leone, Somalia, Sud Africa, Sudan del Sud, Sudan, Swaziland, Tanzania, Uganda, Zambia, Zimbabwe.
Il Festival selezionerà fra le candidature ricevute una dozzina di progetti che parteciperanno all’edizione 2014 di Open Doors. Il laboratorio di coproduzione (9-12 agosto) ha lo scopo di mettere in contatto i registi e produttori finalisti con potenziali partner, al fine di favorire il sostegno necessario al finanziamento dei progetti.
Viene confermata la formula introdotta nel 2013, in cui oltre a permettere ai registi e produttori selezionati di incontrare possibili partner, l'iniziativa propone degli atelier per gli addetti ai lavori legati alle problematiche dell’industria cinematografica, con incontri individuali e panel sulla formazione e l’informazione. A conclusione di questi quattro giorni verranno premiati i migliori progetti. Il premio Open Doors, del valore di 50’000 CHF (ca. 40'000 EUR), è finanziato dall’iniziativa Open Doors in collaborazione con la Città di Bellinzona e il fondo svizzero di sostegno alla produzione Visions Sud Est, anch’esso sostenuto dalla DSC. Due ulteriori premi saranno offerti rispettivamente dal CNC (Centre national du cinéma et de l’image animée) e da ARTE.
Oltre a queste iniziative per i professionisti, la sezione si compone anche di una parte dedicata al pubblico del Festival, gli Open Doors Screenings, che presentano una selezione di film rappresentativi della cinematografia dei paesi coinvolti.



L'edizione 2014 di Open Doors è a cura di Ananda Scepka. Laureata in filosofia e storia all'Università Sorbona di Parigi, Ananda Scepka collabora con il Festival dal 2009. La sezione si avvale inoltre per questa edizione del contributo di Alex Moussa Sawadogo, esperto di cinema africano e direttore del festival Afrikamera a Berlino.

Le iscrizioni per l’edizione 2014 sono aperte da oggi sul sito www.opendoors.pardo.ch e sono riservate ai progetti provenienti dai 25 paesi sopra elencati.