sabato 29 giugno 2013

Sbarchi e minori non accompagnati

Con l'arrivo dell' estate e con il mare più calmo, riprende il viaggio dei migranti: in un solo week-end, sono arrivate circa 950 persone, a Lampedusa, Porto Palo e Roccella Jonica.
Come, purtroppo, spesso accade molti non ce la fanno: è successo anche domenica 16 giugno scorso quando un gruppo di uomini si è dovuto aggrappare alle gabbie dei tonni di un peschereccio tunisino in avaria, ma in sette sono annegati nel canale di Sicilia perchè l'equipaggio ha respinto il tentaivo dei naufraghi di salire a borddo, tagliando il cavo di traino della gabbia. La Procura di Agrigento, forse, aprirà un'indagine per “favoreggiamento dell'immigrazione clandestina”, ma prima di poterlo fare, gli investigatori devono raccogliere le testimonianze dei superstiti e si deve risolvere il problema della territorialità, dato che la tragedia è avvenuta a 85 miglia a sud dell'isola.
Tra gli immigrati sbarcati erano presenti anche 44 donne e 4 minori, di età compresa tra i due e i tre anni. E quello dei bambini migranti è un problema da risolvere con urgenza.
Il garante per l'infanzia e l'alodelescenza, vincenzo Spadafora, pochi giorni dopo lo sbarco che ha portato anche alla morte di alcune persone, ha dichiarato che a Lampedusa, sono arrivati quasi cento minori stranieri non accompagnati e che non ci sono strutture adeguate per accoglierli. “Aiuteremo la questura di Agrigento per il collocamento di questi minori nelle comunità, ma abbiamo bisogno che il governo finanzi i comuni per garantire la sopravvivenza delle comunità di accoglienza...A Lampedusa da tempo si pensa alla ristrutturazione di un paio di strutture per rendere più dignitosa l'accoglienza dei minori. Il fatto che non si sia arrivati ad un accordo, nonostante la disponibilità dei fondi, è una cosa che non possiamo più tollerare. Abbiamo preso l'impegno preciso di far sedere attorno a un tavolo il Comune di Lampedusa e il Ministero dell'Interno per riuscire immediatamente a sciogliere la riserva sul sito da ristrutturare”, ha detto Spadafora e ha anche aggiunto: “ Non si può passare dai fondi per l'emergenza Nord Africa, conclusasi a dicembre, a una ordinarietà che non è ordinarietà perchè gli sbarchi continuano e l'emergenza è ancora tale”.




venerdì 28 giugno 2013

Geronimo Stilton e i diritti per l'infanzia e l'adolescenza





Dal 30 novembre 2011, giorno del suo insediamento, l'Autorità Garante monitora il rispetto dei diritti dei bambini e degli adolescenti. Vincenzo Spadafora gira l'Italia e sollecita il governo, indicando e proponendo interventi migliorativi per la tutela dei diritti dei minori e, per questo, ha avuto l'idea di spiegare, ai cittadini di domani, quali siano i loro diritti attraverso un libro che illustri le attività dell'Autority.
Ma non si tratta di un libro qualunque: chi spiega,ai ragazzi, in maniera semplice e chiara, la Convenzione sui Diritti dell'infanzia e dell'Adolescenza? Un loro beniamino: Geronimo Stilton, il famoso amico roditore.
Il libro si intitola “ Che avventura stratopica, Stilton! Alla scoperta dei diritti dei ragazzi” ed è pubblicato da Piemme: un progetto di grande valenza etica ed educativa: “Sentivo l'esigenza di rendere più accessibile una materia per tanti versi ingarbugliata, fredda, mentre i diritti dei bambini e degli adolescenti sono materia calda, perchè ogni giorno ci si misura con il disinteresse se non la violazione. Il libro verrà dato ai più giovani, li aiuterà a credere in certi valori a cominciare dalla dignità individuale e dal rispetto dovuto agli altri e richiesto per se stessi” ha, infatti, dichiarato il Garante e il “topo” ha aggiunto: “ Quando il Garante italiano mi ha chiesto il suo aiuto mi frullavano i baffi dall'emozione! Così sono volato a Roma, per seguirlo nel suo importantissimo lavoro. Alla fine abbiamo scritto insieme questo libro, per spiegare quello che è stato fatto e quello che c'è ancora da fare per permettere ai ragazzi di vivere e crescere in modo sano e consapevole. Perchè un mondo migliore, dove i diritti sono garantiti, è possibile solo se facciamo squadra e ci impegnamo tutti insieme!”.

Chi fosse interessato a ricevere una copia gratuitamente del libro, può rivolgersi all'Autorità Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza, Via di Villa Ruffo, 6 – 00196 Roma, scrivere all'indirizzo segreteria@garanteinfanzia.org, oppure contattare il Garante sul suo profilo Facebook www.facebook.com/spadafora.vincenzo.



Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convention on the Rigths of the Child), approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989.

Costruita armonizzando differenti esperienze culturali e giuridiche, la Convenzione enuncia per la prima volta, in forma coerente, i diritti fondamentali che devono essere riconosciuti e garantiti a tutti i bambini e a tutte le bambine del mondo.


Essa prevede anche un meccanismo di controllo sull’operato degli Stati, che devono presentare a un Comitato indipendente un rapporto periodico sull’attuazione dei diritti dei bambini sul proprio territorio.

La Convenzione è rapidamente divenuta il trattato in materia di diritti umani con il maggior numero di ratifiche da parte degli Stati. Ad oggi sono ben 193 gli Stati parti della Convenzione.

La Convenzione è composta da 54 articoli e da due Protocolli opzionali sui bambini in guerra e sullo sfruttamento sessuale).


Sono quattro i suoi principi fondamentali:
a) Non discriminazione (art. 2): i diritti sanciti dalla Convenzione devono essere garantiti a tutti i minori, senza distinzione di razza, sesso, lingua, religione, opinione del bambino/adolescente o dei genitori.
b) Superiore interesse (art. 3): in ogni legge, provvedimento, iniziativa pubblica o privata e in ogni situazione problematica, l'interesse del bambino/adolescente deve avere la priorità.

c) Diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo del bambino (art. 6): gli Stati decono impegnare il massimo delle risorse disponibili per tutelare la vita e il sano sviluppo dei bambini, anche tramite la cooperazione tra Stati.

d) Ascolto delle opinioni del minore (art. 12): prevede il diritto dei bambini a essere ascoltati in tutti i processi decisionali che li riguardano, e il corrispondente dovere, per gli adulti, di tenerne in adeguata considerazione le opinioni.

L’Italia ha ratificato la Convenzione con Legge n. 176 del 27 maggio 1991 e ha fino ad oggi presentato al Comitato sui Diritti dell'Infanzia quattro Rapporti.




giovedì 27 giugno 2013

Le vittime sono ancora i bambini



Mercoledì 26 giugno: ieri è stata la giornata internazionale contro la droga e le tossicodipendenze di cui, spesso, anche i bambini ne sono le vittime incosapevoli. E noi vogliamo raccontarvi una storia.
E' quella dei tarahumara, una popolazione indigena che risiede in Messico, chiamati così dagli Spagnoli: loro si definiscono “raràmuri” che significa “pianta adatta per la corsa”, perchè la corsa è da loro molto seguita. Si contano tra i 50.000 e i 70.000 tarahumara, alcuni di loro sono transumanti, altri stanziali: vivono nelle grotte tra le montagne o in piccole capanne di legno o pietra, coltivano mais e fagioli e si dedicano all'allevamento.
Dal punto di vista religioso, i “dottori” o le “guide spirituali” praticano la magia bianca e la magia nera e lo sciamano è il guardiano che deve sovraintendere alla comunità, facendo da tramite tra gli uomini e gli astri. Il “Male” è spesso identificato con l'uomo bianco che approfitta della persone, che non rispetta la Natura, che vuole impossessarsi delle ricchezze senza condividerle. Tutto questo è frutto della colonizzazione, irrispettosa e violenta.
Secondo la tradizione tarahumara, Dio creò i raràmuri, mentre il diavolo gli chacabochi e la leggenda vuole che i raràmuri furono sconfitti, in una sfida, dai chacabochi per cui Dio si arrabbiò e condannò i raràmuri alla povertà. I raràmuri, ancora oggi, vivono nelle foreste, tra i monti, nella miseria e, spesso, i bambini fanno uso di sostanze stupefacenti ma, cosa ancor più grave, vengono sfruttati dai narcotrafficanti.
La droga arricchisce le grandi organizzazioni criminali e alimenta un commercio illegale basato sul sangue, sulla violenza e sugli abusi proprio dei più deboli. In Messico (come in molti altri Paesi del centro e sud America) il problema del narcotraffico è aumentato in maniera esponenziale: dopo l'egemonia della Colombia negli anni '90, i “cartelli” messicani hanno preso il sopravvento, favoriti dalla coltivazione in loco e dal traffico della droga sintetizzata e destinata agli Stati Uniti e all' Europa.
Tra le numerose zone impervie, all'interno del Messico, vi è la Sierra Tarahumara, una catena montuosa situata nel nord-ovest del Paese, un'area molto isolata e difficile da raggiungere e, proprio qui, vivono i raràmuri. A peggiorare la situazione, nell'ultimo anno, una terribile siccità ha colpito la sierra, esponendo gli indigeni al rischio di malnutrizione se non addirittura, alla fame: problema ulteriore che si è andato ad aggiungere, come dicevamo, all'indigenza e all'analfebetismo. Proprio a causa di questa debolezza economica e sociale, i raràmuri (e, in particolare, i bambini e gli adolescenti) sono preda dei narcotrafficanti che - con le minacce o con la promessa di denaro - li arruolano negli eserciti del crimine.
La Fondazione Fratelli dimenticati ha, quindi, deciso di aprire, nei villaggi, numerosi centri in cui i bambini e i ragazzi possano frequentare la scuola e, quindi, essere inseriti in percorsi di prevenzione e di reinserimento, attraverso l'educazione all'amore, al rispetto dell'Altro e della vita, alla cooperazione: ai valori positivi. Per offrire questa opportunità ai giovani, la Fondazione ristruttura vecchi edifici, acquista lavabi, materassi e anche librerie; ha dovuto, nel corso del tempo, sistemare anche le cisterne per la raccolta dell'acqua, costruire le tettoie per i sebatoi del gas e garantire assistenza sanitaria: i progetti, infatti, si articolano in attività che si pongono l'obiettivo di migliorare le condizioni di vita della popolazione da tutti i punti di vista: quello pratico e quello cuturale. Perchè si deve partire proprio dalla cultura, per cambiare mentalità e stile di vita. E ricominciare a credere, onestamente, nel futuro.

La Fondazione Fratelli Dimenticati Onlus, per poter continuare a realizzare tutto questo, vi chiede un contributo per il sostegno a distanza; un sostegno che serve ad abbattere i costi di gestione dei vari progetti: http://www.fratellidimenticati.it/sostegno-a-distanza/

Per effettuare le offerte:

Paypal, con versamento in conto corrente postale n. 11482353, con bonifico bancario (fiscalmente deducibili), oppure direttamente presso le filiali de “I fratelli dimenticati”


mercoledì 26 giugno 2013

Il tempo dalla mia parte: il primo libro di Mohamed Ba



L'attore, autore teatrale e musicista, Mohamed Ba ha deciso di narrare anche con la parola scritta e lo fa con il suo primo libro intitolato “Il tempo dalla mia parte”, pubblicato dalla casa editrice San Paolo, in cui racconta l'odissea di un popolo alla disperata ricerca di un tamburo. La siccità non lascia tregua: nessuna goccia di pioggia ammorbidisce il terreno secco della mitica Jolof, terra africana densa di racconti e incrocio di popoli e il giovane Amed si vede affidare una missione importante: dovrà partire per l'Occidente alla ricerca del tamburo magico, capace di invocare la pioggia e interrompere l'arsura. Ma Amed non è il primo a partire: un gruppo di giovani ha tentato l'impresa e non ha mai fatto ritorno. Tra Francia e Italia, tra momenti spassosi e altri di intensa drammaticità, questa vicenda si legherà a doppio filo ai problemi della convivenza tra popoli diversi, fino a costituire una vera e propria fiaba di riconciliazione. 


In occasione dell'uscita del libro, abbiamo rivolto alcune domande a Mohamed Ba:

Spesso, nelle favole o nei racconti mitologici, ci sono elementi simbolici: cosa rappresenta, in questa storia, la ricerca del tamburo perduto?


L'Africa, ancora prima dell'islamizzazione e dell'evangelizzazione, ha sempre avuto un rapporto morganatico con la natura. L'uomo considera se stesso come una perla la cui importanza avrà senso solo considerando l'intera collana, cioè la comunità sospesa tra il mondo visibile che siamo noi ed il mondo invisibile, quello degli Antenati che non sono sotto la terra ma circumnavigano attorno e ci curano. L'unico modo che abbiamo per entrare in contatto con loro è il tamburo. Nel mio romanzo, il tamburo rappresenta più di uno strumento musicale, ma diventa quel battito che farà ballare l'umano che c'è in ciascuno di noi, dovunque provenga. Ricercare il tamburo è più o meno l'analisi del terreno sul quale si vuole costruire un ponte per superare le divisioni secolari tra Nord e Sud del mondo.

Possiamo considerare questo testo come un testo anche sul tema dell'importanza della Memoria?


Tanti sono i figli d'Africa che sanno poco o nulla della loro storia. Quel poco che ne masticano passa attraverso i libri di testo scritti da altri e la conseguenza e la cancellazione progressiva dei valori morali tradizionali. Le frontiere e le lingue postcoloniali ci hanno divisi. Fratelli di ieri si massacrano oggi, la narrazione sotto l'albero - illuminati dal fallo e cullati dalla kora - si fa sempre di meno e gli anziani, una volta sacri, oggi si sentono quasi inutili. Credo che un popolo senza memoria è come una zebra senza strisce.

Lei vive da anni a Milano: è vero che, nonostante il passare del tempo, è sempre presente il sentimento della nostalgia per chi ha lasciato il proprio Paese d'origine?


Io vivo e lavoro in Italia da quattordici anni quindi posso affermare di essermi gradevolmente "italianizzato". Tuttavia, mi muovo con la consapevolezza che il tronco d'albero in acqua ci può stare per secoli ma non diventa mai un coccodrillo. Sono tra coloro che hanno lasciato tutto sulla strada della speranza senza dimenticare nulla.

Si tratta di una favola dedicata ai giovani e anche agli adulti? Ci può, infine, anticipare il significato del titolo scelto per il libro: "Il tempo dalla mia parte"?

Il romanzo parla ai giovani ma anche ai meno giovani. Parla della necessità di aprire nuovi orizzonti, perlustrare nuovi mondi per evolversi. La drammatica situazione economica del sud del mondo si scontra con l'intrappolamento sociale di cui soffre il nord. Il migrante di oggi si allontana dai suoi affetti e dai suoi effetti, convinto di potersi realizzare dall'altra parte della barriera. Crede possibile una decolonizzazione dell'immaginario ma si ritrova tra due fuochi incrociati: la sua comunità che è spesso remissiva e il pensiero dominante che lo vuole invisibile nelle città. Il migrante di oggi rifiuta di essere solo braccia ma cerca di far capire una valenza culturale e sociale che alberga in lui e che l'uomo di strada ignora. Il migrante cerca di dare un senso al suo stare in questo Paese, investe ed accetta di dare al tempo, il tempo di produrre il suo effetto. Non si nasconde, va verso l'altro con la convinzione che chi non conosca sia semplicemente un libro che aspetta di essere letto e non vuole privarsi di quella lettura. Il problema è che l'albero non più alto di te, non ti potrà mai dare l'ombra di cui hai bisogno. Quindi, con il tempo, il migrante si ritroverà nelle mani un patrimonio storico-culturale di un valore inestimabile di cui il popolo italiano avrà avuto poca cura. Speriamo che ci pensi lui, a valorizzarlo.

martedì 25 giugno 2013

Un milione e mezzo di persone in piazza in Brasile, ma non è il carnevale


All'inizio è stata denominata la “rivolta dell'aceto”. Perchè? Perchè il governo, presieduto da Dilma Rousseff, ha deciso di aumentare la tariffa del trasporto pubblico di 0.2 reais e per questo motivo sono cominciate le manifestazioni di protesta e, nella città di San Paolo, i corpi speciali anti-sommossa della Polizia ha sparato, contro i manifestanti, dei proiettili di gomma ad altezza uomo, colpendo agli occhi sette giornalisti della Folha.
Manifestanti e giornalisti sono stati fermati con un'accusa paradossale: “Porto illegale di aceto” in quanto “l'aceto può servie a fabbricare bombe”. In realtà, l'aceto - come il limone - è usato dai repoters proprio per proteggersi dai gas lacrimogeni. Le persone bloccate e portate in questura sono state liberate, quasi tutte, nella notte seguente al fermo.
Ma le manifestazioni non si sono placate, anzi. Da San Paolo a Rio de Janeiro, da Brasilia a Fortaleza circa un milione di persone è sceso in piazza, per lo più per manifestare in maniera pacifica, anche se si è registrato qualche episodio di saccheggio e di vandalismo e, a Ribeirão Preto vicino alla città di San Paolo, un manifestante di vent'anni è morto a causa di una jeep che cercava di farsi largo tra la folla.
 La rivolta, come detto, è scaturita dall'aumento delle tariffe di autobus e metropolitana: un aumento importante per chi si sposta solo con i mezzi pubblici e guadagna di media, al mese, 700 reais che equivalgono a circa 247 euro. Ma la protesta non riguarda solo questo provvedimento: i manifestanti, adesso, si ribellano anche contro l'aumento delle tasse e la corruzione e chiedono servizi migliori per quanto riguarda la sanità e l'istruzione soprattutto dal momento in cui sono stati spesi oltre 26 miliardi di dollari dei fondi pubblici per finanziare i Mondiali del 2014 e le Olimpiadi del 2016.

Il Presidente Rousseff ha rassicurato i manifestanti con un discorso improntato sul dialogocon i partecipanti al movimento pacifico e sulla fermezza nei confronti dei violenti. “Nè il governo né la società possono accettare che una minoranza violenta e autoritaria distrugga il patrimonio pubblico e privato, attacchi luoghi di culto, incendi automobili e voglia portare il caos nei nostri principali centri urbani”, ha affermato, e riguardo alle richieste di chi è sceso nelle piazze e nelle strade ha promesso un grande patto per migliorare i servizi pubblici e una lotta molto più incisiva per combattere la corruzione.

lunedì 24 giugno 2013

Campagna ALLARME INFANZIA di Save the children Italia



Si è da poco conclusa la campagna “Allarme infanzia”, iniziata il 20 maggio e promossa da Save the children Italia.
Sugli autobus, sui muri dei palazzzi, nei corridoi delle metropolitane di molte città sono stati affissi grandi cartelloni con il disegno di un bambino stilizzato e alcune frasi come, ad esempio: “Mi hanno rubato l'aria pulita”, “Mi hanno rubato una casa tutta mia”; “Mi hanno rubato la mensa a scuola”: la campagna, infatti, è stata organizzata per denunciare il furto di futuro, in atto nel nostro Paese, a danno dei bambini, degli adolescenti, dei giovani.
Il dossier intitolato “L'isola che non ci sarà” e il sondaggio “Le paure per il futuro dei ragazzi e dei genitori italiani”, realizzati da Save the children Italia e da Ipsos, evidenziano che milioni di minori non hanno a disposizione un'abitazione sicura oppure che non possono alimentarsi in maniera sana, né a casa né a scuola perchè, spesso, le mense scolastiche ospitano solo i bambini la cui famiglia si può permettere di pagare la retta.
Il diritto all'educazione e all'istruzione sono continuamente minati perchè esistono pochissimi asili nido e scuole materne, molti istituti sono fatiscenti (in particolare quelli pubblici e a costi accessibili) e gli insegnanti si trovano sempre più spesso a dover gestire situazioni di disagio sociale, di bullismo, di abbandono scolastico. Tutto questo senza aiuto da parte delle istituzioni che non vogliono prendere in considerazione il fatto che il 21% di un campione di quindicenni ha scarse competenze di lettura (livello 1 o addirittura inferiore) oppure che un ragazzo su cinque, tra i 18 e i 24 anni, ha cosenguito solamente la licenza media e con questo dato l'Italia si posiziona al quarto posto in termini di capacità di futuro garantito alle nuove generazioni, dopo Malta, Romania e Spagna.
L'indagine Ipsos rivela anche che il 29% dei bambini al di sotto dei sei anni di età, in Italia, è prossimo a una condizione di miseria e che i giovani, che non seguono alcun tipo di percorso formativo, non hanno neanche la possibilità di entrare nel mondo del lavoro.
La negazione del diritto allo studio, la povertà e la mancanza di punti di riferimento positivi diventano terreno fertile per la criminalità o l'autolesionismo. Quale futuro, dunque, per i ragazzi di oggi e gli adulti di domani?

sabato 22 giugno 2013

Impiego prioritario di fondi nel settore militare e nazionale e relativo impatto sull'occupazione negli USA.


Gli amici di Casa per la pace di Milano hanno tradotto questo articolo e ci hanno chiesto di pubblicarlo. Noi abbiamo deciso di farlo perchè lo troviamo molto interessante.

"Impiego prioritario di fondi nel settore militare e nazionale e relativo impatto sull'occupazione negli USA": questo è il titolo dello studio effettuato da Robert Pollin e Heidi Garret-Peltier dell'University of Massachussets. Un tema e un dibattito aperti anche nel nostro Paese.

Di seguito, il link per l'articolo completo:

Impiego prioritario di fondi nel settore militare e nazionale e relativo impatto sull'occupazione negli USA.

Il dibattito sulla cittadinanza




In occasione di un incontro con gli studenti dei licei di Padova, il Ministro per l'integrazione, Cècile Kyenge, ha parlato dello Ius soli. “E' il Paese che deve dare delle risposte alla nuova fotografia. L'Italia è oggi un Paese meticcio dove convivono persone che vengono da tanti paesi. La forma di ius soli che si troverà darà una risposta a questa nuova fotografia dell'Italia”, ha affermato il Ministro e, a proposito delle scritte ingiuriose nei suoi confronti, ha dichiarato: “ ...Credo si debba cambiare l'ottica di come vengono percepite queste offese, questi insulti. Non sono indirizzati soltanto alla sottoscritta, ma a ogni persona. I giovani ce lo stanno dimostrando, mostrandoci la faccia dell'Italia migliore”.
Intanto il politologo e professore universitario, Giovanni Sartori, sul Corriere della Sera scrive un editoriale - che, però, viene pubblicato sulla destra della pagina - dal titolo: “Ius soli, integrazione e una catena di equivoci” in cui si legge, in riferimento a Cècile Kyenge e al suo ministero: “ Nata in Congo, si è laureata in Italia in medicina e si è specializzata in oculistica. Cosa ne sa di integrazione, ius soli e correlativamente di ius sanguinis?”. Il professore ha, poi, continuato, dicendo: “ La brava ministra ha scoperto che il nostro Paese è meticcio. Se lo Stato italiano le dà i soldi, compri pure un dizionarietto e scoprirà che meticcio significa persona nata da genitore di razze (etnie) diverse. Per esempio, il Brasile è un Paese molto meticcio, ma l'Italia proprio no”.
La “ministra”, come viene spesso chiamata Cècile Kyenge, risponderà a breve a queste affermazioni.
L' associazione nazionale universitaria degli antropolgi culturali (Anuac) ha, invece, espresso solidarietà e sostegno al progetto di integrazione dei cittadini migranti e della loro prole, sostenenedo che, dai processi migratori e dallo scambio planetario delle merci, scaturiscono forme nuove di moltiplicazione della diversità che arricchisce tutti, dal punto di vista culturale. Ma gli antropologi ricordano che possono scaturire anche pratiche di esclusione e di discriminazione. E' necessario, quindi - oltre a una modifica delle norme vigenti per l'acquisizione della cittadinanza italiana da parte dei figli dei migranti - accompagnare il cambiamento con una lotta continua al pregiudizio, al razzismo e alla disuguaglianza sociale.

venerdì 21 giugno 2013

World press photo: quando la fotografia si fa testimonianza




52 fotografi provenienti da 32 Paesi diversi: anche per l'edizione 2013 il World Press Photo - il più prestigioso concorso di fotogirnalismo mondiale - si conferma come un importante momento culturale. Un atlante di Storia e di Geopolitica realizzato dalla creatività, dalla sensibilità e dal coraggio di autori che, attraverso il linguaggio universale della fotografia, tesimoniano il Presente.
Diverse le categorie del concorso: Spot news, Notizie generali, Storie di attualità, Vita quotidiana, Ritratti in presa diretta, Ritratti in posa, Natura e Sport, per raccontare un mondo lacerato e, allo stesso tempo, bellissimo.
Il premio “Foto dell'anno” è stato assegnato allo svedese Paul Hansen per il suo scatto intitolato “Gaza Burial” in cui viene ripresa la cerimonia funebre di Suhaib e Muhammad Hijazi, di due e di quattro anni, uccisi durante l'operazione “Pilastro di Difesa” a Gaza, lo scorso novembre, a causa di un missile israeliano che ha distrutto la loro abitazione. Un gruppo di uomini trasporta, a spalla, i corpi dei due fratellini uccisi, avvolti in lenzuola bianche, mentre si dirige verso la moschea. Mayu Mohanna, uno dei membri della giuria, ha dichiarato che: “La forza della foto sta nel modo in cui mostra il contrasto tra rabbia e dolore degli adulti da una parte, innocenza dei bambini dall'altra”.
Molti riconoscimenti sono andati alle fotografie relative alla Siria. Javier Manzano ha vinto con “Siege of Aleppo”, così come la stessa città è lo scenario dello scatto di un bambino ferito nell'immagine di Sebastiano Tomada; un italiano, Fabio Bucciarelli, è arrivato al secondo posto nella sezione Spot News-Storie con “Battle to death” in cui inquadra un combattente dell'Esercito siriano libero mentre si posiziona durante gli scontri contro le forze governative, nel distretto di Suleiman Halabi. E, infine, Rodrigo Abd che, nella sua foto intitolata “Aida”, mostra il pianto di una donna che si copre,in parte, il volto con la mano: un viso lesionato e che piange perchè l'esercito siriano ha, di nuovo, distrutto una casa e ucciso. Ha ucciso il marito e i figli della donna ritratta.
Ancora una protagonista femminile nel lavoro dell'americano Micah Albert: una donna keniota mentre legge un libro recuperato nella discarica di Dandora; e poi, il cielo riflesso in una pozza di petrolio dove galleggia il cadavere di un soldato del Sudan Armed Forces, nello scatto di Dominic Nahr.
Ma, dopo tutto questo, si respira anche aria di speranza: la bellezza della Natura nelle movenze dei Pinguini Imperatori mentre attraversano il mare ghiacciato.








Aggiornamento Siria




E' scattato l'allarme a Washington: il presidente siriano, Bashar al Assad, avrebbe usato armi chimiche e, così, avrebbe superato la linea rossa oltre la quale gli Stati Uniti avrebbero deciso per un loro intervento. Anche e soprattutto di questo si sta parlando, in questi giorni, al G8, in Irlanda.
La conferma sull'uso del gas Sarin,da parte delle forze governative,è arrivata dal New York Times mentre gli USA confermano che quel tipo di armi non sia stato utilizzato dall'opposizione.
Il Sarin è un gas nervino - come il Tabun o il Vx - che blocca il funzionamento delle ghiandole e dei muscoli, causando problemi respiratori, paralisi, convulsioni e, spesso, anche la morte; l'iprite - altro genere di gas - prende il nome da Ypres, la località belga dove venne utilizzato durante la Grande guerra per la prima volta e causa, anch'esso, problemi di respirazione e piaghe sulla pelle. L'utilizzo di queste armi ha causato, in Siria dal 2012, dai 110 ai 150 decessi.
A fronte di tutto questo, l'amministrazione Obama - attraverso una dichiarazione del viceconsigliere del Presidente, Ben Rodhes - ha deliberato di aumentare l'assistenza all'opposizione siriana, anche attraverso un aiuto diretto ai ribelli. Gli USA hanno anche proposto di istituire una no fly zone, tra Siria e Giordania, per permettere l'uso delle basi giordane da cui possono decollare gli aerei di Washington e per proteggere i rifugiati.
Delle misure di intervento proposte dagli Stati Uniti ha parlato il capo dei ribelli siriani, in un'intervista andata in onda durante il telegiornale su La 7 del 17 giugno scorso.




giovedì 20 giugno 2013

Giornata mondiale del rifugiato (2). Il linguaggio della poesia


In occasione della Giornata mondiale del rifugiato abbiamo l'onore di pubblicare alcune opere di Mohammad Amin Waidi, regista, giornalista, poeta. La sua è una storia esemplare e il linguaggio poetico contribuisce ad incidere i pensieri e le emozioni.
Mohammad Amin Waidi Mohammad Amin Wahidi è nato nella capitale afghana di Kabul nel 1982.
Nel 1993, durante la guerra civile afghana dei primi anni Novanta, la sua famiglia lascia Kabul per Quetta (Pakistan), dove nel 1999 Amin Wahidi finisce il liceo. Nel 2002 la sua famiglia torna a Kabul e in seguito Amin inizia a lavorare e studiare nella città afghana.
La sua passione per le immagini risale all’infanzia, quando disegnava ritratti e paesaggi a matita, usando matite colorate e pastelli ad olio. Successivamente scopre di poter mettere insieme parole in modo da dargli un senso e creare immaginazioni favolose. È così che scopre che il cinema è l’arte totale e la forma artistica migliore per esprimere sé stesso: unendo immagini, parole e suoni!
Il suo primo cortometraggio, “The red shoes” (20’), risale al 2003, ed è realizzato dopo aver seguito un workshop cinematografico di tre mesi tenutosi alla Kabul Film Organization.
Nel 2004 si iscrive alla Kabul University, Dipartimento di Cinema (Facoltà di Belle Arti) e la frequenta per due anni, senza però ultimare gli studi. Dal 2005 al 2007 segue anche corsi di recitazione, digital filmmaking, montaggio e sceneggiatura nella privata Academy of Art and Education of Cinema di Kabul.
Negli anni successivi inizia a collaborare con alcune case di produzione cinematografiche, la AFC (Arman Film Company) e la Academy of Art and Education of Cinema, dove era stato studente. Lavora anche per la ATN (Ariana Television Network) come scrittore, produttore e presentatore di tre programmi settimanali dal 2004 al 2006:
È uno dei primi hazara ad apparire sullo schermo televisivo, fatto intollerabile per i fondamentalisti pashtun.
A fine 2006 viene minacciato dai fondamentalisti per il suo programma televisivo educativo “Let’s Learn Together”, considerato promotore del linguaggio degli “infedeli” nella terra dei Musulmani. I fondamentalisti del Sud del Paese minacciano di bruciare gli uffici della ATN se il programma non viene cancellato, ma soltanto per salvare il canale.
Nello stesso anno, il suo programma settimanale sul cinema - un programma per la promozione dei diritti umani – viene, invece, fermato. Amin Wahidi decide quindi di lasciare la sua carriera televisiva per ragioni di sicurezza.
Inizia a lavorare come giornalista e produttore per un breve periodo per la Farda Radio, attività che non riesce però a colmare la sua “passione per le immagini”. A inizio 2007 fonda la Deedenow Cinema Production Afghanistan, una piccola casa di produzione privata con sede nella Kabul occidentale, con lo scopo di realizzare e produrre cortometraggi e lungometraggi. Qui realizza il suo secondo cortometraggio, “Treasure in the ruins” (27’, 2007), insieme alla Razi Film House.
Sempre nel 2007, mentre cerca le location per il suo primo lungometraggio “The Keys to Paradise”, viene ancora una volta minacciato dagli estremisti a causa della trama del film. “The Keys to Paradise” racconta la storia di un attentatore suicida talebano, che negli ultimi minuti cambia idea e non commette l’attacco terroristico, vivendo il resto della sua vita con incubi, rimpianti e sensi di colpa per aver tradito i suoi amici.
A seguito di queste minacce di morte, il progetto resta irrealizzato e Amin Wahidi lascia l’Afghanistan con l’aiuto di amici giornalisti e attivisti dei cinema e diritti umani, giungendo in Italia dove chiede asilo politico a fine 2007 – asilo che gli viene concesso nel 2008.
Attualmente Amin Wahidi vive come rifugiato a Milano, lavorando part-time come librario alla Feltrinelli e studiando cinema nella prestigiosa scuola di cinema di Milano.

La differenza fra qua e di là

Qui,
sulla collina verde,
dove c’è la pace e la tranquillità
in mezzo all’erba fresca,
e la vita è dolce e bella
anche i diritti delle pecore
vanno rispettati.
Mentre da dove vengo io
terra di cenere e polvere
la cosa meno costosa è
il sangue di un uomo
e la vita di un essere umano
che costa
meno del prezzo di una pecora

*****

Qui,
sopra questa bella collina
è blu il cielo
con un sole sorridente in mezzo,
c’è attorno il mare clamoroso
che rilassa la mente e
coccola l’anima
scrosciandosi
e poi i diritti dei pesci di specie diverse
anche vanno rispettati!
Mentre da noi come una giungla selvaggia
chi ha le zampe più forti,
è lui il leone del territorio
e se hai un colore un po’ diverso
ti prendono la vita
strappandoti il corpo
o sparandoti nella testa

*****

E con tutto questo
io qui, migliaia di chilometri
oltre il mare, lontano da casa
dopo ormai tanti anni
ancora vivo
con tutto ciò
che avevo portato
dentro di me,
dalla mia terra madre;
amore, dolori e valori!
a tenermi sempre pronto
a qualsiasi ora
per il momento del volo di ritorno

*****

E tu che mi chiedevi sempre
Cosa ho nascosto nel mio petto
Che è così gonfio
Ma tu che ne sai
dei miei valori e dolori?!
Basta così,
O vuoi che ti racconti ancor di più?!!


Strage di Hazara a Quetta- Pakistan

Non è più rosso
il mio cuore,
non c’è più sangue
nelle mie vene
da quando l’hanno succhiato
tutto, fino infono,
inserendomi le zanne
nella gola e nel cuore.

Non ha più senso
per me, niente,
da quando non c’è più
nessun segno dell’umanità,
sulla mia terra in giro.

Ovunque c’è il buio
è il tempo di crepuscolo
e di ulule dei lupi matti, scatenati
e urli dei vampiri ubriachi
che sono in giro e la loro
voci si sentono nel vuoto,
nel aria, al buio in assenza di uomo.

La terra è diventata foresta;
una giungla piena di belve,
un posto per i lupi e vampiri
dove si parla soltanto di caccia,
e si beve soltanto il sangue
e si mostra soltanto i denti
e si gioca soltanto con i cadaveri!
E niente altro; non si sente, non si vede
e non si capisce atorno!
Dapertutto, c’è solo il rosso del sangue!


La fragilità della vita

Forse, ho saputo
un po’ in ritardo
che la vita è così fragile
come un pezzo di vetro
che può essere rotta in pezzi facilmente
e diventa così tagliente
come un coltello senza proprietario
e che può far male
a chiunque lo tocca per sbaglio

*****

Da quando ho visto
che il confine fra
essere e non essere
è così stretto e sottile
come un filo di seta
mi sono anche accorto
che non va più bene
lasciar passare i momenti della vita
con tristezza e senza sorrisi

*****
Come un essere umano
pieno d’amore, sensi e sentimenti
Non so, di quale dissidi miei vi parlo,
delle guerre che mi stanno dentro
o del fatto che neanche si può viver
in pace senza di queste guerre interiori
ma comunque, vivo la vita in ogni caso
con un sorriso sul viso contro
tante difficoltà che mi circondano
anche se ho un piccolo nemico mortale
che si chiama ulcera!


Mohammad Amin Waidi

Giornata mondiale del rifugiato (1)



Tanti i problemi per i rifugiati; difficile e tortuoso l'iter burocratico per ottenere, da parte delle commissioni preposte, una risposta positiva alla richiesta di asilo politico. Ma la questione è ancora più delicata per i minori stranieri non accompagnati: la politica migratoria degli altri Stati europei procede in maniera confusa quando, invece, sarebbe fondamentale sapere chi sono realmente i richiedenti asilo, la loro età, la loro vera identità. Come si legge nel rapporto - pubblicato lo scorso 17 maggio da Coram Children’s Legal Centre, associazione che si occupa di fornire assistenza legale ai minori - centinaia di bambini richiedenti asilo nel Regno Unito sono stati messi in pericolo dagli operatori sociali che non credono alle loro versioni. Il rapporto, dal titolo Buon compleanno? Dispute sull’età dei bambini nel sistema immigrazione, denuncia, infatti, che molti bambini sono stati erroneamente classificati come adulti con il risultato che centinaia di questi piccoli richiedenti asilo sono stati lasciati senza casa, senza diritto all'istruzione e, soprattutto, sono stati rinchiusi nei centri di detenzione per adulti dove hanno subìto anche abusi. Una delle “ragioni” a sostegno di queste pratiche è che il pugno di ferro contro gli immigrati, paga...dal punto di vista elettorale. Questo accade in Inghilterra, ma in Italia?
Secondo il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, al 30 settembre 2012, i minori non accompagnati sono per lo più maschi e 1757 di loro, dopo essere stati in contatto con le autorità, risultano oggi irreperibili; 1170 di loro hanno un’età compresa fra 0 e 15 anni; di tutti i minori segnalati, solo 719, il 9,8%, sono stati accolti da una famiglia.
Tanti di questi minori sono particolarmente vulnerabili e spesso possono essere coinvolti in fenomeni di sfruttamento nonché inglobati nei circuiti dell'illegalità. Inoltre, ad essi bisogna aggiungere quei bambini e adolescenti che apparentemente hanno genitori o familiari i quali, tuttavia, non sono spesso in condizioni di costituire un valido punto di riferimento. Per prevenirne la devianza e orientarli sarebbero necessarie forme di intervento che prevedano un rafforzamento del dialogo inter-istituzionale e con i soggetti privati del no profit anche attraverso l'impiego di operatori ed educatori qualificati.

mercoledì 19 giugno 2013

Ancora un attacco verbale al Ministro Kyenge

Ma mai nessuno che se la stupri, così tanto per capire cosa può provare la vittima di questo efferato reato? Vergogna”: queste le parole di Doloros, “Dolly”, Valandro, consigliere leghista di quartiere, a Padova e, oltretutto, vice coordinatrice della commissione sanità, interventi sociali e politiche giovanili. Frasi choc rivolte contro il Ministro per l'integrazione, Cècile Kyenge e scritte, pubblicamente, su una pagina Facebook, accompagnate da un articolo scaricato da un sito specializzato nel riportare i crimini degli immigrati.
Questo, purtroppo, è l'ultima di una serie di dichiarazioni offensive e violente nei confronti del Ministro e ha scatenato l'indignazione di tantissimi utenti del social network e della società davvero “civile”.
La diratta interessata ha commentato l'accaduto con grandesaggezza: “ Non rispondo perchè ognuno di noi dovrebbe sentirsi offeso. Questo linguaggio non mi appartiene perchè istiga alla violenza tutta la cittadinanza. Chiunque deve sentirsi offeso, non solo io. Negli anni ho sempre lottato per un linguaggio non violento e questo impegno lo mantengo. Io parlo con tante persone, ognuno ha il proprio modo di pensare, ma non permetto che mi vengano imposti un comportamento e un linguaggio violenti. Vorrei che si difendesse sempre un linguaggio non violento”.
Il Premier, Enrico Letta, ha affermato, riferendosi alle esternazioni della Valandro e alla reazione del Ministro, che: “Cècile Kyenge ha ragione, ognuno di noi dovrebbe sentirsi offeso e anch'io mi sento offeso. Si tratta di parole che non meritano altro commento che il profondo sdegno. Merita invece, Cècile, tutta la solidarietà mia personale, del governo e del Paese”. A queste dichiarazioni si aggiunge anche quella del Presidente della Camera, Laura Boldrini che ha affermato: “ Le parole della consigliera leghista sono inaccettabili, intrise di razzismo e di odio, tanto più gravi perchè pronunciate da una donna con un incarico politico. Conosco Cècile Kyenge da tempo. Ho condiviso con lei battaglie di civiltà sui temi dell'immigrazione e dell'asilo. Le sono ancora più vicina oggi, dopo l'ignobile attacco di cui la ministra è vittima”.
Come spesso accade, la Valandro ha tentato di rimediare con una giustificazione: “E' stata una battuta in un momento di rabbia” per poi autosopendersi. E il Consiglio nazionale della Lega Nord, presieduto da Flavio Tosi, l'ha espulsa.


martedì 18 giugno 2013

Noi donne di Teheran: il nuovo saggio di Farian Sabahi



"La verità è uno specchio caduto dalle mani di Dio e andato in frantumi: ogni pezzo restituisce a chi lo tiene, una parte di verità", queste sono i versi del poeta sufi Rumi. La poesia, per i persiani, è la seconda lingua madre e dal teatro e dalla poesia, veicoli di verità profonde, nasce il nuovo saggio di Farian Sabahi intitolato Noi donne di Teheran, pubblicato in e-book, nella collana I corsivi del Corriere delle Sera.
Un testo oggi più che mai importante, a pochi giorni dalle elezioni presidenziali in Iran e alle quali non è stata ammessa nemmeno una delle trenta donne candidate.
Farian Sabahi, docente di Storia dei Paesi islamici all'università di Torino e giornalista, riesce a coniugare leggerezza e ironia in un testo che affronta argomenti seri, quali: la condizione femminile, il divorzio, la dicotomia tra islamismo e modernità, il senso della democrazia, i diritti degli omosessuali musulmani e molto altro ancora.
Numerose citazioni letterarie e cinematografiche intrecciano Passato e Presente, Storia e attualità per raccontare, come una Sherazade contemporanea, gli aspetti chiaro-scuri della città di Teheran, del suo popolo e dell'intero Paese. Una città in cui le donne, oggi come ieri, sono ricchezza umana e culturale e potrebbero essere il motore del cambiamento verso una maggiore libertà e garanzia dei diritti, per tutti.


Abbiamo intervistato Farian Sabahi


Il libro è dedicato a suo figlio, Atesh. Qual è il significato di questo nome e perchè ha voluto scrivere per lui proprio questo saggio?

Atesh vuol dire “fuoco”, è un nome che appartiene alla tradizione zoroastriana e quindi alle origini dell'Iran, prima dell'invasione arabo-musulmana. Non ho scritto “Noi donne di Teheran” per lui, ma ho pensato di dedicarglielo per dargli uno strumento per abbattere, fin da ragazzino, gli stereotipi sul nostro paese d'origine.

Attraverso i racconti, i proverbi e le vicende di alcune persone – intellettuali e non – fa compiere, al lettore, un viaggio nella Storia e, in particolare, nella città di Teheran. Cosa rappresenta, per lei, la sua città ?

Qual è la mia città? Non so, ho vissuto in tanti posti diversi. Teheran è la città in cui è nato e cresciuto mio padre, poi emigrato a Torino. E non era in realtà nemmeno la città di mia nonna Mariam, di cui parlo verso la fine del testo: lei era nata a Baku, nell'odierna Repubblica dell'Azerbaigian. Poi, alla fine degli anni Venti del Novecento, è stata obbligata a varcare la frontiera, con la famiglia, cercando scampo in Iran. Il Medio Oriente e il Caucaso sono da sempre mondi complessi, e certe latitudini emigrare è spesso stata una scelta obbligata: per motivi legati alle persecuzioni politiche, per studiare, per il desiderio di conoscere altri luoghi ed emanciparsi dall'amore delle famiglie.

Ed è' vero che Teheran si può accostare all'archetipo femminino?

“Donna è Teheran”, dico in questo testo che nasce per il teatro e ha un diverso registro di scrittura rispetto ai miei saggi accademici e ai reportage giornalistici. La città, declinata al femminile, diventa pretesto per raccontare la storia di un Paese, le sue similitudini rispetto al Sud Italia e le tante, tantissime contraddizioni. Per esempio religiose: a Teheran cristiani, ebrei e zoroastriani hanno i loro luoghi di culto, mentre i sunniti (musulmani pure loro, come gli sciiti) non hanno moschee tutte per loro. Ma non solo: niente omosessuali a Teheran, aveva dichiarato il presidente Ahmadinejad, ma a Teheran sono consentite (e incoraggiate) le operazioni chirurgiche per cambiare sesso. Questioni complesse, cui cerco di dare risposta.

Quali sono gli stereotipi confermati, ancora oggi, in Occidente sul popolo iraniano?

Principalmente quelli sulle donne, percepite sempre e comunque come coperte dal chador e quindi oppresse. Nel testo racconto che le iraniane hanno ricevuto il diritto di voto nel 1963, per gentile concessione dell'ultimo scià di Persia. 1963, ovvero cinquant'anni fa e quindi prima delle svizzere. Ma il diritto di voto non basta a fare una democrazia. E ancora, stereotipi sull'istruzione: non tutti sanno che a Teheran due matricole su tre sono donne. Che scelgono sempre e comunque (tranne un'esigua minoranza) materie scientifiche. Perché con una laurea in Lettere finisci tutt'al più a fare l'insegnante.

Perchè, nel suo libro, parla di “schizofrenia culturale” degli iraniani?

Prendo a prestito questa espressione dal filosofo iraniano Dariush Shayegan. Schizofrenia culturale perché Teheran non è né Oriente né Occidente. Teheran è una città con due anime. Viviamo sospesi, appunto tra Oriente e Occidente, tra modernità e tradizione. Siamo cittadini di una Repubblica... islamica, e la nostra dovrebbe essere una democrazia... religiosa, ma in realtà è una oligarchia di ayatollah e pasdaran. Mescoliamo Oriente e Occidente. Per esempio quando mangiamo la pizza: con il gormeh sabzi (un nostro piatto tipico). E al zereshk polo, un altro piatto tipico, qualcuno aggiunge il ketchup.

E, invece, cosa intende quando parla di “mondo iranico”?

I confini dell'Iran attuale sono ridimensionati rispetto a quelli dell'antico impero persiano. Mondo iranico è lo spazio culturale che va dall'est dell'Iraq all'India del Nord passando per l'Asia centrale. Un mondo ancora intriso di cultura persiana. In cui la poesia è una seconda lingua madre. Anche quando dobbiamo combattere gli integralismi. Perché spesso tiriamo in ballo un poeta antico, contemporaneo di Dante: il nostro Hafez.

Nella seconda parte del saggio, elenca nomi di donne che – attraverso il loro operato – si sono affermate nel mondo dell' Arte, della cultura, della politica e molte di loro hanno lottato per affermare diritti umani e civili. Nel 1907, in Iran, viene fondata la prima scuola femminile: sono gli stessi anni che vedono protagoniste, in Europa, le suffragette.
C'è così tanta differenza tra le donne iraniane e quelle occidentali, italane in particolare?

Non più di tanto. In “Noi donne di Teheran” l'elenco di donne in gamba è lungo, anche se ovviamente non esaustivo. In un primo momento pensavo di accorciarlo. E nella lettura teatrale salto a piè pari quel lungo elenco di nomi. Ma resta la frase finale di quella parte: quando pensare a noi riflettere sul nostro coraggio, sulla forza di noi donne di Teheran. Perché, come recita un proverbio persiano, se cerchi la luna guarda il cielo, non lo stagno.

 
Farian Sabahi (www.fariansabahi.com)