martedì 30 settembre 2014

Morte di un uomo felice: il vincitore del Premio Campiello 2014




Giorgio Fontana, autore giovane, ma con al suo attivo già molte opere di successo. Il suo ultimo lavoro letterario si intitola Morte di un uomo felice , edito da Sellerio, ed è il romanzo vincitore del Premio Campiello 2014.

Milano, estate 1981: siamo nella fase più tarda, e più feroce, della stagione terroristica in Italia. Non ancora quarantenne, Giacomo Colnaghi a Milano è un magistrato sulla linea del fronte. Coordinando un piccolo gruppo di inquirenti, indaga da tempo sulle attività di una nuova banda armata, responsabile dell’assassinio di un politico democristiano. Il dubbio e l’inquietudine lo accompagnano da sempre. Egli è intensamente cattolico, ma di una religiosità intima e tragica. È di umili origini, ma convinto che la sua riuscita personale sia la prova di vivere in una società aperta. È sposato con figli, ma i rapporti con la famiglia sono distanti e sofferti. Ha due amici carissimi, con i quali incrocia schermaglie, il calcio, gli incontri nelle osterie.
Dall’inquietudine è avvolto anche il ricordo del padre Ernesto, che lo lasciò bambino morendo in un’azione partigiana. Quel padre che la famiglia cattolica conformista non poté mai perdonare per la sua ribellione all’ordine, la cui storia eroica Colnaghi ha sempre inseguito, per sapere, e per trattenere quell’unica persona che ha forse amato davvero, pur senza conoscerla.
L’inchiesta che svolge è complessa e articolata, tra interrogatori e appostamenti, e andrà a buon fine. Ma la sua coscienza aggiunge alla caccia all’uomo una corsa per capire le ragioni profonde, l’origine delle ferite che stanno attraversando il Paese. Anche a costo della sua stessa vita.



Abbiamo avuto l'opportunità di fare questa breve intervista all'utore che ringraziamo molto.




C'è una data importante nel romanzo: il 1981. E' anche la sua stessa data di nascita. Si tratta solo di una coincidenza?


In effetti sì: la data della morte di Giacomo Colnaghi era stata decisa nel romanzo precedente, "Per legge superiore", dove compariva come personaggio minore — ma non per questo meno importante. Mi sembrava un anno adeguato dal punto di vista storico, e così l'ho scelto.



Perchè ha sentito l'esigenza di scrivere questa storia?



Mi è sempre terribilmente difficile rispondere a questo domanda. Per me non c'è una ragione o un'esigenza identificabile che spingono a raccontare una storia o un personaggio, se non l'amore per quella storia e per quel personaggio. Tutto qua.



Come si è documentanto per la stesura del libro?



Ho studiato molto. Non avendo vissuto quegli anni, ho sentito particolarmente la responsabilità di ricostruirli nella loro complessità. Certo, ho scelto di raccontare solo una delle tante storie possibili; ma per farlo era necessario avere uno sfondo di conoscenze accurato. E così ho passato diverso tempo sui libri, sugli archivi dei giornali, a guardare filmati dell'epoca... E naturalmente anche a girare per Milano.



Quanto è importante, oggi, una riflessione sul tema dell giustizia?


Credo sia sempre importantissima; non solo sulla giustizia procedurale ma anche e soprattutto sulla giustizia sociale, la cui situazione in Italia è particolarmente spaventosa. Per quanto mi riguarda, cerco di tenere distinta la mia attività di narratore da quella di — uso questa parola molto ambigua — "intellettuale" militante. È vero che gli ultimi due miei romanzi si interrogano sulla giustizia, ma per me è fondamentale innanzitutto raccontare i singoli, non tanto i grandi temi.




Anche il tema della Fede è centrale...

 

Pur essendo ateo, mi è piaciuto rappresentare Colnaghi come un uomo di fede — ma dotato di una fede tormentata, intima, che lo porta continuamente a interrogarsi su quello che fa e quelli che invece sono i suoi limiti.

lunedì 29 settembre 2014

Una sede al Centro Midulla per i bambini dell'orschestra Falcone Borsellino






Continua la nostra lotta per l'affermazione della legalità, per cui anche noi vi proponiamo la lettera/petizione già su change.org dove potete firmarla...Grazie.



Questa petizione sarà consegnata a:

Sindaco di Catania

Al Sindaco di Catania, On. Enzo Bianco





A Catania i creatori dell’organizzazione no profit “La città invisibile” lavorano da anni per tenere lontani i ragazzi dalla strada e indirizzarli verso la musica ed altre iniziative culturali che valorizzino le loro attitudini e che li indirizzino verso un futuro di giustizia e legalità.

Ora però questi ragazzi hanno bisogno di noi!

I componenti dell’orchestra “Falcone e Borsellino” (orchestra interna alla “Città Invisibile”) non hanno più una sede dove incontrarsi, dove imparare la musica e dove provare i loro pezzi.

Non lasciamo che questi ragazzi si allontanino dai valori che gli sono stati tramessi e insegnati! Non permettiamolo!

Aiutiamo “La città invisibile” a mantenere alto l’impegno fino ad ora profuso.

Una possibilità c’è!

Vi preghiamo di leggere l’appello sottostante,di condividerlo, di divulgarlo e di partecipare insieme a noi a questa iniziativa importante.

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------     Al Sindaco di Catania, On. Enzo Bianco

c.p.c. Presidente della Regione Siciliana, On. Rosario Crocetta

Procuratore della Repubblica di Catania, dott. Giovanni Salvi

Prefetto di Catania, dott.ssa Maria Guia Federico

Questore di Catania, dott. Salvatore Longo

Arcivescovo della Diocesi di Catania, S. E. Mons. Salvatore Di Cristina

Oggetto: Concessione dei locali del Centro Culturale Midulla alla fondazione no profit “La città invisibile”

Egregio Signor Sindaco,

la Fondazione “La città invisibile”, ente no profit, per prevenire il disagio e la devianza dei minori del quartiere di San Cristoforo, uno dei più a rischio di Catania, ha creato e sostiene la Scuola di vita e Orchestra “Falcone Borsellino” .

Per poter ricevere lezioni di musica e di legalità, impartite con successo dai volontari della Città invisibile, e poter quindi eseguire delle prove d’orchestra per i concerti tenuti in importanti eventi antimafia, i numerosi bambini del quartiere hanno fino ad oggi utilizzato i locali della Chiesa di San Cristoforo, concessi dal parroco.

Ora, gli stessi locali versano in stato di pericolo di crollo e non sono più agibili, perciò a questi bambini non resterebbe che la strada per poter svolgere le lezioni o al più la piazzetta di San Cristoforo.

Noi, invece, con questa lettera aperta, Le chiediamo di concedere alla Fondazione i locali del Centro Culturale Midulla, ubicato alle spalle della chiesa di San Cristoforo, in via Zuccarelli, che è a tutt’oggi inutilizzato e in stato di abbandono; al suo interno vi sono una palestra, una grande sala per conferenze, delle stanzette e persino una biblioteca, utilissime al raggiungimento dei fini della Fondazione.

Oppure, gentile signor Sindaco, meglio sarebbe auspicabile la concessione dei locali di un altro imponente edificio, praticamente inutilizzato dagli abitanti della città e del quartiere, cioè la famosa caserma borbonica, Ex Manifattura Tabacchi che si trova nella piazzetta di San Cristoforo, .

Concedere i suddetti locali alla Città invisibile, permetterebbe, inoltre, di realizzare un programma più ampio, esteso ad altre fasce d’età, per vivificare di cultura e legalità il quartiere.

Perciò, signor Sindaco, la nostra richiesta DI APRIRE, AI BAMBINI DELLA CITTA’ INVISIBILE, LA PORTA DEL CENTRO MIDULLA O DELLA EX MANIFATTURA TABACCHI.

Lo faccia al più presto, perché questi bambini non debbano rinunciare ad aver fiducia nello stato che lei rappresenta. Essi hanno già dimostrato la loro determinazione a uscire dal degrado, contribuiscono efficacemente ad innalzare con la cultura il livello della vita civile e morale del loro quartiere. Essi, non solo hanno suonato alla sua presenza durante la visita della Pres. Boldrini e dentro al Palazzo di Giustizia per l’ANM, ma hanno suonato anche a Palermo in via D’Amelio il 19 luglio per tre anni di seguito, così come per Falcone, negli eventi del 23 maggio a Palermo, per Dalla Chiesa, per don Puglisi e per Fava.

Essi possono divenire motivo di orgoglio per la sua Catania (e lo sono già ai nostri occhi). Li aiuti, dunque, ad usufruire di un luogo che lei stesso a contribuito a ristrutturare e che è un vero schiaffo all’onestà lasciare nelle mani dei vandali e della malavita.

I bambini e le loro famiglie aspettano il suo consenso ad aprire quella porta.

Non diamola vinta alla mafia!


domenica 28 settembre 2014

I conflitti raccontati dalle donne



di Monica Macchi

 

E’ un dato innegabile che le donne abbiano raccontato la guerra, sia come giornaliste che come fotografe, a partire dalla secessione americana, ma come? Portando le loro specificità consolidando così un’ottica di genere oppure no? Questo è stato il tema di una tavola rotonda che si è tenuta il 24 settembre scorso, a Milano, presso l'Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) dedicata, appunto, ai conflitti raccontati dalle donne.

Da un punto di vista storico, come sottolineato da Valeria Palumbo, la partecipazione delle donne alla Prima Guerra Mondiale ha portato a un enorme cambiamento in quanto si è smesso di declinare il concetto di violenza in termini eroici. Attualmente, invece, la presenza delle donne permette una maggiore accessibilità alla componente femminile: per esempio, Lucia Goracci ha raccontato un episodio accaduto a Misurata, in Libia, in cui era l’unica giornalista e l’unica che ha potuto realizzare interviste perché gli uomini hanno concesso l’autorizzazione a parlare solo auna giornalista donna con un'altra donna. Tra donne, infatti, è sicuramente più facile entrare in confidenza e raccogliere storie.

Ma il vero discrimine sta nella scelta delle all-news perché gli aggiornamenti costanti portano a inseguire la cronaca e a non approfondire le conseguenze e l’impatto sulla quotidianità dei civili e sui diritti acquisiti; e del resto quando la crisi si cronicizza i media italiani latitano...forse perchè mentre sempre più donne vanno sui fronti di guerra, a capo delle redazioni ci sono sempre e comunque uomini ?!?



sabato 27 settembre 2014

Festival SABIR: "Lampedusa dei popoli e delle culture del Mediterraneo"



1-5 ottobre 2014 – Isola di Lampedusa



Dal 1 al 5 ottobre, in occasione del primo anniversario della strage del 3 ottobre in cui morirono 368 persone e più di venti vennero date per disperse, si realizzerà a Lampedusa il Festival SABIR: Lampedusa dei popoli e delle culture del Mediterraneo. L’evento è promosso dall’associazione Arci, il Comune di Lampedusa e il Comitato 3 ottobre.


Molte saranno le iniziative e gli spettacoli culturali che si svolgeranno durante queste cinque giornate.



Durante la giornata del 4 ottobre si organizzerà l’incontro Internazionale: Migranti e Mediterraneo. Cinque saranno i workshop che si svolgeranno: la problematica delle frontiere e della prima accoglienza; la relazione tra migrazione ed sviluppo; la campagna L’Europa sono anch’io sui diritti dei migranti in Europa; il ruolo dei sindacati nella tutela e promozione dei diritti sociali e civili dei migranti nei paesi di transito e infine, la problematica dei migranti dispersi e deceduti durante il loro viaggio verso l’Europa.



In calce, il testo che prepara il workshop sulla tragedia delle persone migranti decedute o disperse durante il loro viaggio.



Il tentativo di questo incontro è quello di continuare a mettere maggiormente in rete tutte le associazioni impegnate su questa tematica affinché possa acquisire maggior forza la battaglia per fermare questo massacro, avere giustizia per le vittime e verità sulla sorte dei dispersi.



Invitiamo le associazioni a costruire questo processo e a partecipare al Festival SABIR.




Per maggiori informazioni sul festival:
www.festivalsabirlampedusa.it
info@festivalsabirlampedusa.it








“Dobbiamo essere inclusivi, cercando di contenere i filo-questi e i filo-quelli,



dobbiamo sempre guardare più avanti,



dissolvere, non partecipare a questi conflitti”



Padre Paolo Dall’Oglio, luglio 2013





Una trentina di ospiti internazionali tra blogger, attivisti, artisti ed intellettuali parteciperanno a SABIRMAYDAN, il primo forum della cittadinanza mediterranea il prossimo 28 settembre a Messina. Organizzato dal COSPE e realizzato grazie al crowdfunding, SABIRMAYDAN vuole configurarsi come “una vera e propria agorà in cui preparare il Mediterraneo di domani, per costruire le condizioni e mettere in piedi gli strumenti per l’integrazione tra i popoli della regione, culla delle civiltà d’Oriente e d’Occidente”. Moltissimi i temi: diritti umani, giustizia sociale, libertà d'espressione, diritti delle donne, l'arte come strumento di cambiamento sociale; per il programma completo ecco il link



http://www.cospe.org/sabir-maydan-in-prova




SABIRMAYDAN è dedicato al gesuita Padre Paolo Dall’Oglio e al blogger egiziano Alaa Abd El Fattah che, è stato rilasciato su cauzione il 12 settembre scorso dopo un lungo sciopero della fame e una mobilitazione internazionale a suo favore, tra cui Amnesty International. Alaa era stato condannato a 15 anni di reclusione per aver organizzato la manifestazione “No ai processi militari per i civili” nel novembre 2013 con le accuse di “aggressione a forze di sicurezza”, “furto di una radio della polizia”, “blocco dell’accesso alle strade” e “interruzione del lavoro delle istituzioni nazionali”.






WORKSHOP SABATO 4 OTTOBRE



MIGRARE PER VIVERE! FERMIAMO LA STRAGE!



Per un osservatorio sui migranti dispersi nel viaggio verso l’Europa



“Migrare per vivere, fermiamo la strage” era il titolo dato alla Seconda Giornata d’Azione Globale contro il razzismo e per i diritti dei migranti realizzata contemporaneamente in molti paesi il 18 dicembre del 2012. Ventidue anni prima, in quella stessa data, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottava la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti dei Lavoratori Migranti e dei Membri delle loro Famiglie documento non ancora sottoscritto da nessun paese del “nord” del mondo.


La giornata d’Azione Globale, decisa a Quito nel IV Forum Sociale Mondiale delle Migrazioni nel 2010, aveva come obiettivo denunciare la strage che tutti i giorni accade lungo le frontiere e le rotte migratorie, luoghi punteggiati da fosse comuni e tombe, luoghi in cui migliaia di persone migranti scompaiono nel nulla lasciando i loro famigliari nell’angoscia dell’incertezza.



Il Mar Mediterraneo è un esempio di questo. Da antica frontiera naturale tra l’Europa e il Maghreb ora è diventato un cimitero marino. Più di ventimila persone ne sono morte negli ultimi vent'anni e di molte altre non si hanno notizie. Il naufragio delle cosiddette “carrette del mare” è diventato la normalità. Il tutto sotto gli occhi delle navi militari presenti nella regione, delle Pattuglie di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere.




L’isola di Lampedusa è diventata simbolo di questa tragedia. Lampedusa porta dell’Europa, porta della vita come la chiamano i migranti, ma anche luogo di tombe senza nome.




A luglio 2012, a Monastir, in occasione della riunione preparatoria del Foro Sociale Mondiale a Tunisi e della iniziativa Boat4People si realizzò un primo momento di incontro tra associazioni europee ed africane che da anni denunciano questa tragedia e le famiglie dei migranti tunisini dispersi dopo la rivoluzione di dicembre 2010 con l'obiettivo di favorire la messa in rete e la comunicazione in merito a questa problematica.



Sempre a Monastir, nel 2014, durante la Terza edizione del Forum Maghreb Migrazioni si è realizzato un secondo incontro, su questa stessa problematica, nel quale è stata sottolineata l’importanza del conoscere e mettere in relazione le realtà che esistono dei parenti dei migranti dispersi o deceduti (in particolare nel nord africa ma non solo).


Il workshop che si realizzerà il 4 ottobre a Lampedusa durante il Festival SABIR vuole rappresentare una tappa in più di questo percorso.


Vogliamo continuare a favorire l’unità tra chi nel sud e nel nord del Mediterraneo reclama giustizia per i/le migranti deceduti e dispersi. Vogliamo poter contribuire ad unificare maggiormente gli sforzi per denunciare l'eccidio che si consuma tutti i giorni nel Mediterraneo e di cui sono responsabili, in primis, gli Stati Europei a causa delle loro politiche anti-immigrati tramite le quali pretendono "preservare" la fortezza Europa.


Vogliamo ribadire ancora che finché ci saranno persone decedute o disperse nel loro viaggio migratorio ci saranno una madre, un padre, una sorella, un fratello, un amico/a, un compagno/o che esigeranno verità e giustizia!




Hanno confermato finora la loro partecipazione:




Associazione «Terre pour tous» – Tunisia (associazione dei parenti dei migranti scomparsi)


Maghreb

Comitato Nuovi Desaparecidos – Italie


Archivio Migrante – Italie


RAJ – Egitto




Plus d’information sur l’atelier: Edda Pando (Arci – Italie)
eddapando@gmail.com

 


venerdì 26 settembre 2014

Commissione in Senato sui Diritti Umani


Commissione in Senato sui Diritti Umani

Nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui livelli e i meccanismi di tutela dei diritti umani, vigenti in Italia e nella realtà internazionale, la Commissione Diritti umani, mercoledì 24 settembre, ha esaminato e approvato il rapporto sui Centri di identificazione ed espulsione in Italia.



Potete leggere il rapporto cliccando su questo link:




Minori non accompagnati (MSNA): l'importanza dell'ascolto


 Dobbiamo iniziare da alcuni dati statistici: il 23,1% dei minori stranieri non accompagnati registrati risulta irreperibile; dei 9.337 minori segnalati, 693 sono ragazze e bambine; di queste, 176 sono scomparse. In generale, circa un quinto dei migranti che arrivano in Italia è costituito proprio da individui al di sotto della maggiore età.

Arrivano spesso da soli - o affidati a persone estranee - e senza un adeguato accompagnamento pratico e psicologico, come afferma Federica Giannotta, Responsabile Advocay e Programmi Italia di Terres des Hommes: “Nelle strutture deputate alla primissima accoglienza di questi ragazzi non sono previsti servizi di adeguata assistenza psicologica e psicosociale in grado di ascoltare i bisogni più profondi di questi minori estremamente vulnerabili...Ansia, paura, depressione, rabbia, confusione, persino paranoia, accompagnano questi giovani che hanno come unico obiettivo iniziare prima possibile il progetto di vita per il quale hanno lasciato tutto. Se non si sentono ascoltati, compresi o supportati o riscontrano una carenza d'informazioni sui propri diritti, sono spinti alla fuga”. Da qui nasce la Prima Guida psicosociale per Operatori imegnati nell'accoglienza dei Minori Stranieri Non Accompagnati, realizzata proprio da Terres des Hommes grazie al finanziamento della Fondazione Prosolidar e scaricabile sul sito www.terresdeshommes.it

Come ha recentemente ricordato il Garante per l'infanzia e l'adolescenza, Vincenzo Spadafora: “ Sappiamo tutti in che situazioni emergenziali lavorimo spesso gli operatori impegnati con i minorenni stranieri non accompagnati. Sappiamo quanto pesino la mancanza di un sistema di accoglienza basato sull'interesse dei minorenni in viaggio e la scarsità di fondi. Questa Guida è uno stimolo per tutti noi a fare meglio”. Curatori della Guida sono Giancarlo Rigon, psichiatra e neuropsichiatra infantile, e Federica Giannotta; hanno collaborato anche Alessandra Ballerini, avvocato esperta in Diritto dell'Immigrazione, Lilian Pizzi, psicologa e psicoterapeuta, coordinatrice del progetto Faro a Siracusa e Zouhaira Ben Abdelkader, mediatrice culturale.

L'obiettivo del progetto Faro è quello di “offrire una protezione afficace ai ragazzi e alle ragazze che fuggono da conflitti, violenza, povertà e sfruttamento”, come afferma Vittoria Ardino, Presidente Società Italiana per lo Studio e lo Stress Traumatico, “ Vogliamo evitare che corrano rischi anche nel nostro Paese, per esempio allontanandosi dai centri di accoglienza sentendosi non compresi o trascurati”. La Dott.ssa Ardino, nella prefazione della Guida, infine, ribadisce: “ L'approccio psicosociale, trattandosi di minori in una situazione di emergenza complessa, permette di mettere il bambino in sicurezza mitigando, attraverso un'accoglienza che cura, la riattivazione di sintomi post-traumatici”.

Bambini e ragazzi a rischio, dunque, che vanno sostenuti e aiutati nel loro percorso di adattamento ad una situazione completamente nuova, ma che devono anche elaborare tutto il male che hanno visto e vissuto, pur essendo così giovani.


giovedì 25 settembre 2014

Foley, la guerra, la comunicazione




Il video dell’esecuzione del giornalista Usa sconvolge e deve far riflettere: l’uso dei media da parte dei miliziani ha creato una nuova frontiera del raccontare i conflitti (già su www.gcodemag.it)

di Alessandro Di Rienzo.



Concepito a Roma in un incontro occasionale il 21 aprile del 1978 è nato a Napoli il penultimo giorno dello stesso anno in quanto la madre aveva letto un noto libro di Oriana Fallaci. Questo lo ha appreso nel novembre del 2002 mentre contestava proprio la Fallaci a Firenze in occasione dell’Europa Social Forum. Da allora ha sviluppato una irrimediabile attrazione verso le contraddizioni. Caratteristica questa che lo ha portato, con penna o telecamera, a interessarsi di Medio Oriente e vertenze sindacali.
22 agosto 2014 – La barbara uccisione di James Foley genera smarrimento, a chiunque. È l’agosto nero dei videomakers, figura professionalmente mai troppo riconosciuta ma particolarmente esposta nei contesti di guerra. Troupe leggera, spesso composta da una sola persona.
Cameraman, intervistatore, producer, montatore, tutto in uno, per questo mobile ed economica, soprattutto se il servizio non lo si commissiona e lo si compra a posteriori. Questa era la vita di James Foley prima del sequestro, il secondo, durato 635 giorni. Fino a due decenni fa i giornalisti erano percepiti come osservatori neutrali. Oggi non più. In questo tempo sono stati ammazzati da chiunque: dall’esercito statunitense, come da quello israeliano e dai ribelli iracheni.
Ma a generare disorientamento fin dentro le convinzioni di una vita è il cortocircuito semantico generato dal video dell’uccisione. Eravamo abituati a vedere in tuta arancione gli arabi, probabilmente musulmani, ma sicuramente gente dalla pelle minimamente scura.
Ammanettati ai polsi e spesso anche alle caviglie in una prigione di rete metallica e filo spinato nella baia di Guantamano. Volti indirizzati verso il basso tra i sorrisi appena accennati di militari statunitensi. Questa volta no, è un occidentale a vestire la tuta arancione, uno di noi verrebbe da dire. Per i primi il sospetto di appartenere a una rete terroristica. Sospetto che spesso si è rivelato infondato. Per Foley la cittadinanza statunitense.

Il video, opportunamente censurato dai nostri siti di informazione, ma che si può trovare nella versione diramata dall’Is su diversi siti che incitano alla jihad, apre con il discorso di Obama che annuncia la ripresa dei bombardamenti in Iraq contro le postazioni del califfato. Antefatto che si chiude con l’effetto del riavvolgimento del nastro per passare all’immagine di Foley, inginocchiato e ammanettato in tuta arancione, con un uomo vestito di nero e con il volto coperto che brandisce con la mano sinistra un coltello.
A stordire sono le parole di Foley: l’accusa al fratello, un militare Usa, di aver decretato la sua morte nel giorno che ha preso parte agli interventi militari in medio oriente. Saluta i genitori rimpiangendo di non averli più rivisti ma spiegando che “la mia nave è già salpata”.
Bestemmia la propria cittadinanza, quella di statunitense, definendola causa della propria morte. Un discorso senza segni apparenti di nervosismo che possano far pensare a una contraddizione, a un tentennamento. Pare che Foley vada tranquillo incontro la morte. Poi le parole dell’aguzzino, in un inglese disinvolto, che in un cambio di telecamera tratta Obama da pari, come fosse una televendita, enunciando le sue condizioni nel “messaggio all’America”.
La mano destra dell’assassino alza con un gesto brusco il mento di Foley e il coltello comincia a tagliare la gola, anche qui nessuna apparente resistenza da parte Foley. Non sappiamo, non possiamo sapere, cosa succede a un uomo dopo 635 giorni di prigionia. L’immagine successiva è il corpo riverso a pancia in giù del videomaker con la testa poggiata sulla schiena. Ricompare l’assassino, con il vestito pulito senza macchie di sangue a minacciare la vita di un altro giornalista occidentale, questo a dimostrare una regia ben studiata del video prodotto.
Un video con una trama e quindi un montaggio che falsa il tempo affinché il messaggio arrivi chiaro. 4 minuti e 40 secondi che destabilizzano noi tutti. Più della cella di Guantanamo riprodotta in un’esposizione d’arte a Parigi. Più delle numerose immagini degli arsi vivi dal fosforo bianco, sostanza questa usata nella Falluja oggi conquistata dall’Is, che brucia in un istante tutti i liquidi del corpo umano. Il video prodotto da Al Furqam Media Foundation è stato postato sul social network Diaspora per rimbalzare in poche ore in ogni dove del mondo telematico.
Video che di fatto crea un consenso enorme in Occidente per chi invoca l’immediato intervento militare. Video che viene condiviso con favore da molte persone, in ogni parte del mondo, dalla Cecenia e da tutti gli antiputiniani fino agli immigrati arabi di seconda generazione che vivono a Stoccolma. Video che crea una nuova geopolitica dalle varianti e dagli equilibri imprevedibili, che polarizza i blocchi ma che li mina al suo interno.
Un ragazzo a Mosca, dal nome arabo, che si ritrae tra i libri, inneggia all’uccisione di un soldato di Assad. Il Papa parla di terza guerra mondiale, di sicuro è la prima guerra globale, che puoi seguire dal computer evitando anche i siti di informazione ma attenendoti alle prove dirette degli smartphone, districandoti tra le opposte tifoserie. Sembra già preistoria Peter Arnett che con una sola telecamera a raggi infrarossi racconta l’attacco di Baghdad per la Cnn durante la prima guerra del golfo. L’Is comunica con diversi siti, alcuni in inglese come http://jihadology.net/.
L’aggiornamento è quotidiano, ieri potevi assistere a un convoglio di yazidi (solo uomini) felici di convertirsi all’Islam con relativo aqiqa (battesimo) collettivo in un lago; oggi all’arrivo di nuovi miliziani che entusiasti e in favore di camera stracciano il passaporto di provenienza per impugnare un kalashnikov. Non sappiamo quale sia la reale forza dell’Is, ma forse solo adesso cominciamo a percepire il potere evocativo di queste immagini da loro prodotte.
Anche chi ieri era pacifista oggi scrive: quelli dell’Isis non sono più esseri umani. Hanno deciso di non esserlo più. Non vanno “capiti”. Se intendono sterminare il loro prossimo, vanno sterminati. Io rispondi che la velleità di sterminio genera sterminio. Ma nella terra dove è morto Foley la sofferenza non è cominciata con la sua morte. Non nascono nemmeno con l’Is. Ma con le aggressioni occindentali della prima guerra del Golfo e l’embargo di 13 anni, con la guerra del 2003 voluta nonostante l’avvertimento dell’inviato speciale dell’Onu, l’algerino Lakhdar Brahimi, allora inviato speciale dell’ONU per l’Iraq, il quale aveva detto che la forzata ed eterodiretta debaatizzazione dell’Iraq avrebbe portato a un ginepraio confessionale e militare. Oggi l’Europa pensa che la soluzione sia armare il nemico dell’Is, quindi i curdi. Ome se il precedente libico non abbia insegnato nulla. Anche in quell’occasione la Francia era capofila nell’armare i ribelli.
Per secoli il motto dei governanti ai militari era: conosci il tuo nemico. Nessuno adesso conosce l’Is ma in una terra dove le crudeltà sono all’ordine del giorno da troppi anni sappiamo che sono anche loro crudeli. Quello che ancora ignoriamo è quanto consenso possano avere in questa guerra globale.


mercoledì 24 settembre 2014

Una mostra ripercorre la lotta per i diritti civili

©George Tames/The New York Times.



Grandi pannelli a parete si susseguono e ripercorrono la Storia: la Storia dei diritti civili negli Stati Uniti e nel mondo occidentale.

Per celebrare il 50mo anniversario dall'assegnazione del Nobel per la Pace a Martin Luther King, Milano dedica una grande, ricca mostra sulle lotte per affermare i diritti di tutte e di tutti. Freedom Fighters, questo il titolo dell'esposizione a Palazzo Reale, inaugurata il 22 settembre e che terminerà il 12 ottobre 2014.

Freedom Fighters è promossa dal Comune di Milano, dal Robert F. Center for Justice and Human Rights Europe in collaborazione con l'Ambasciata degli Stati Uniti, con la cura di Alessandra Mauro e Sara Antonelli.

Immagini iconiche dei più celebri fotografi ricordano la segregazione razziale negli anni'50, gli scontri di Birmingham, il movimento dei “Freedom Riders”; il ritorno di Martin Luther King dopo aver ricevuto il Premio Nobel, le riunioni dei fratelli Kennedy e i loro incontri con i movimenti di emancipazione. Elliot Erwitt, Eve Arnold, Bruce Davidson, Danny Lyon celebrano giustizia e libertà.


La mostra propone anche video di repertorio e documenti che dal 1776 – anno in cui il Comitato dei Cinque presenta la Dichiarazione di Indipendenza americana – testimoniano la Storia fino alla marcia su Washington.

Anche il Presidente della Repubblica, Giorgio napolitano, ha voluto commentare l'iniziativa culturale milanese con una lettera alla Presidente del Robert F. Center for Justice and Human Rights Europe, Marialina Marcucci, in cui si legge: “ La mostra offre un significativo stimolo a riflettere sul valore attuale delle posizioni allora assunte per la realizzazione di una società più giusta, inclusiva e solidale, ma anche sulle condizioni di quanti, in tutto il mondo, vedono tutt'ora calpestati i loro diritti”. L'assessore alla cultura di Milano, Filippo Del Corno, ha aggiunto: “ La fotografia diventa il linguaggio per raccontare il lungo e tortuoso cammino della battaglia per i diritti civili negli Stati Uniti. Una lotta che non è mai terminata né terminerà, negli Stati Uniti come dovunque perchè esisterà sempre un diverso, uno straniero, una minoranza da difendere e proteggere dall'arroganza di 'altri' e dei più forti”.

Dall'8 al 10 ottobre, inoltre, sempre nelle sale di Palazzo Reale, si terrà un'altra mostra, di artisti moderni e contemporanei, dal titolo I have a dream al termine della quale verrà indetta un'asta per finanziare il Centro Robert F. Kennedy. Le curatrici, Melissa Proietti e Raffaella A. Caruso, spiegano: “ I have a dream nasce come breve ed intensa ricognizione su come il sogno della democrazia, la battaglia per l'uguaglianza e i diritti condotta da John e Robert Kennedy e da Martin Luther King sia ancora viva nel ricordo ma anche nell'attaulità degli intenti ed abbia profondamente inciso su più generazioni di artisti. Si è inteso mettere a confronto gli artisti dell'immediato dopoguerra che hanno vissuto sulla loro pelle censure ed entusiasmi di rinnovamento e gli artisti che hanno negli occhi l'ennesimo oltraggio alla democrazia pepretrato con l'attentato alle Torri Gemelle. Si è loro chiesto di interpretare il tema in senso narrativo e metaforico, con la forza allusiva e primordiale dell'astrattismo, con le evocazioni simboliche di un figurativo sui generis dai tempi aperti della tradizione 'classica' o dai ritmi sincopati del pop, donando però sempre immagini di speranza, di denuncia e mai di violenza. Perchè l'arte è vita e bellezza. Maestri di ogni 'colore', timbro, formazione hanno regalato il loror entusiasmo, rivivendo memoarie e speranze, passato e futuro, in una miscellanea di sensazioni che solo il sogno fa vivere in una assurda e meravigliosa dimensione 'contemporanea'”.

martedì 23 settembre 2014

L'ospite di Mohammad Amin Wahidi


 

Ha ottenuto molto successo all'ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, il cortometraggio intitolato L'ospite di Mohammad Amin Wahidi, giovane regista e poeta afghano, rifugiato politico in Italia.

L'autore, infatti, appartiene all'etnia hazara, un'etnia discriminata nel Paese martoriato da anni.

La carriera di Amin inizia in Afghanistan, quando ancora giovanissimo comincia a presentare due programmi televisivi, uno dedicato al cinema e l’altro all’insegnamento della lingua inglese. Le minacce da parte dei talebani iniziano in questo periodo. Nel 2007 realizza Le chiavi del paradiso, un film d’accusa contro i talebani e la loro ideologia oscurantista per il quale le minacce di morte diventano sempre più concrete. I suoi genitori lo convincono ad abbandonare l'Afghanistan, due amici giornalisti lo aiutano ad ottenere un visto e l’asilo politico in Italia. Amin giunge così a Milano dove ancora oggi lavora.








Abbiamo intervistato Amin Wahidi che ringraziamo moltissimo.


Partiamo dal titolo del film: un titolo semplice, ma molto significativo. “L'ospite”, infatti, si riferisce sia al turista (possibilmente benestante) sia allo straniero immigrato o rifugiato o profugo...


La scelta di girare a Venezia immagino che sia stata dettata proprio dal fatto che sia una delle città più turistiche del mondo e dell'Italia: quali difficoltà incontra, invece, un richiedente asilo nel nostro Paese?


Prima di tutto vi ringrazio per il vostro tempo e per l’opportunità che mi date di poter esprimermi con questa intervista.


La scelta di Venezia come location per il corto, è stata simbolicamente fatta, perché Venezia è un porto dove tutti gli anni milioni di stranieri entrano e sono ben accolti, ma sono turisti e non rifugiati e molto importante vedere la differenza tra accoglienze un turista e un richiedente asilo. Poi ci sono stati tanti respingimenti dei richiedenti asilo da Venezia perciò abbiamo scelto Venezia.


Dunque, il primo problema per un richiedente asilo è la definizione della parola CLANDESTINO che si da a una persona che è scappata dalla sua terra; una persona che fugge dal suo paese per i problemi politici e quando arriva in Italia o in Europa, si considera subito un CLANDESTINO e noi con questo corto vogliamo definire in altro modo l’identità delle persone richiedenti asilo.

Poi ci sono altre difficoltà: i respingimenti, tempi lunghi per le procedure delle richieste, mancanza dei posti nei centri d’accoglienza etc.



Uno dei temi principali del tuo corto è quello dell'accoglienza: sei un afghano hazara che vive, studia e lavora da alcuni anni a Milano. E' una città accogliente ?


Milano in generale si considera come una città di cemento, non solo per gli stranieri come richiedenti asilo o immigrati che vengono dagli altri paesi, ma anche per gli Italiani che vengono dal sud del paese, all’inizio per un periodo è difficile trovarsi proprio accolti, ma con il tempo, quando si fanno le conoscenze e le amicizie le cose cambiano, però molto lentamente.

Personalmente sono stato molto fortunato, grazie al comune di Milano sono stato inserito in uno delle aziende più prestigiose del paese, alla Feltrinelli dove ho un lavoro, con l’aiuto del quale sono riuscito a finire lo studio e sto continuando a fare il cinema.

Però, “con un solo fiore non viene primavera” è un detto nostro, quindi vuol dire che i casi come il mio non sono tanti. Ci sono tanti rifugiati che hanno bisogno di essere aiutati come me, tra cui ci saranno anche i talenti del futuro che un giorno potranno alzare la bandiera d’Italia a livello mondiale. 


Qual è, per te, il significato della parola “esilio” ?


Per chi non ha mai provato sulla pelle l' essere in “esilio”, non è facile definire il significato della parola però per me, che ho passato quasi due terzo della mia vita in esilio (durante la guerra civile, vivevamo in Pakistan) lo definirei cosi: “ quando sei in esilio, sei come una freccia lanciata dall' arco nel buio verso nessun luogo e non sai dove sarai conficcato alla fine”. Questa è la sensazione che può avere sempre con sè uno che vive a lungo in esilio.

Ormai ho cominciato a non sentirmi più in esilio. Ho la mia seconda casa che è l’Italia. Spero che le cose cambino verso il meglio. Ho fatto anche la domanda per la cittadinanza italiana. Mi considero una persona con due cuori, uno legato al paese natale e uno al paese in cui vivo attualmente.


Quando è nato questo progetto e che significato ha per te e per tutti i rifugiati politici?


Il progetto è nato l’anno scorso quando ho ospitato una persona respinta dalla Norvegia in Italia, era un mio paesano che non conoscevo, ma aveva bisogno di restare un notte da me, e poi chiedere asilo, ora lui è un rifugiato in Italia. Da lì è venuta l’idea di questo corto. Quando tu vuoi ospitare una persona in difficoltà ma la legge e le norme non te lo permettono tu devi decidere come agire, considerando la tua coscienza oppure vedendo la dura e sporca realtà che ti circonda.


Prendendo quest’idea di base, abbiamo discusso in cinque e finalmente la sceneggiatura è stata scritta.

Tecnicamente questo corto è un lavoro realizzato a low-budget oppure diciamo quasi no-budget però per la forma di espressione, per il linguaggio, per il contenuto, per la storia e per il coraggio di cominciare un dibattito serio e per far aprire gli occhi delle persone, io penso che è un lavoro molto importante specialmente per i rifugiati politici e spero di poterlo proiettare in tutte le città italiane e nei centri rifugiati.


Gli attori sono stati bravissimi, quasi tutti professionisti ed era un lavoro fatto con passione

Il corto segue una storia semplice e lineare e la durata è di quasi venti minuti; tutto accade in una notte.


Cosa significa per te il PREMIO CITTA’ DI VENEZIA 2014?


Sono molto contento ed emozionato di aver vinto questo prestigioso premio perché mi ha dato nuove energie e la speranza di poter lavorare meglio e continuare il cinema di denuncia sociale, il cinema per i diritti umani e il cinema umano.

Più che altro, mi ha dato la speranza di potere essere ascoltato anche se fai un film che forse non piace a tutti, però almeno ci sono delle persone sensibili al tema che ti capiscono e ti fanno vedere agli altri. Questo conta molto per me.

Non solo il riconoscimento del premio ma anche la mia presenza al festival è stata utile per me, per conoscere tante persone nuove in ambito cinematografico e fare contatti magari per collaborazioni future.

Poi la cosa piu’ importante di tutto è il risultato ottenuto; l’emozione delle persone che ho visto durante la proiezione. Almeno un paio di persone hanno pianto sulla scena finale del film. Questo e’ importantissimo per me: vuol dire sono riuscito a fare quello che volevo. Sono contento di poter aprire il dibattito su un tema di cui non si parla. Alla fine dopo la proiezione tante persone tra gli spettatori hanno partecipato al dibattio finale con tanto entusiasmo e alla fine ci hanno applaudito a lungo.

Finora putroppo non contavo molto sui festival, nemmeno pensavo di partecipare a festival dove c' è tanta concorrenza, perche’ pensavo di fare film per il mio cuore, per quello che credo e per quello che mi piace, però poi dopo che visto che i festival possono portare delle altre possibilita’ e possono aprire delle nuove porte, e posso fare vedere agli altri anche i lavori particolari, ho deciso di sì. Da ora in poi contero’ sui festival e proverò a mandare tutti i miei lavori futuri ai festival.


Altri progetti del futuro?


I soggetti scritti sono diversi, pero come priorità ho due sceneggiature proprio pronte: una per un docu-fiction e l’altra per un mediometraggio e se tutto andrà bene, dobbiamo finire di girare entro fine ottobre di quest' anno. Per il momento siamo nella fase di pre-produzione, stiamo cercando le location che ci servono e stiamo facendo anche casting degli attori/attrici in questi giorni.

Questo mediometraggio sara’ sempre un film indipendente, low budget con tanti attori/attrici e ambientato a Milano. Il tema è multiculturalismo e integrazione delle persone non nate in Italia. L’altro docu-fiction e’ un pò particolare, ma non voglio rivelare il trama ancora, credo che sia troppo presto per parlarne.






Programma dell'iniziativa "D(i)IRITTI al CENTRO!"

Cari amici, eccovi di nuovo il programma dell'iniziativa intitolata "D(i)IRITTI al CENTRO!" organizzata dall'Associazione per i Diritti Umani di Milano.

L’Associazione per i Diritti Umani presenta la manifestazione dal titolo “DiRITTI AL CENTRO”, che affronta, attraverso incontri con autori, registi ed esperti, temi che spaziano dal lavoro, diritti delle donne in Italia e all’estero, minori, carceri, disabilità.

In ogni incontro l’Associazione per i Diritti Umani vuole dar voce ad uno o più esperti della tematica trattata e, attraverso uno scambio, anche con il pubblico, vuole dare degli spunti  di riflessione sull’attualità.
 
Il programma è più ampio rispetto alle due precedenti edizioni della "Carovana dei diritti"  perchè vogliamo continuare ad offrire alla cittadinanza altre proposte culturali su temi che riguardano, direttamente e indirittamente, tutte e tutti.


Vi aspettiamo numerosi e vi chiediamo la cortesia di far girare la comunicazione...GRAZIE !



lunedì 22 settembre 2014

Un'esecuzione si trasforma in semplice rissa




Pochi giorni fa. Quartiere di Torpignattara, Roma.

Intorno a mezzanotte un ragazzo pakistano di 28 anni, ubriaco, ha molestato alcuni passanti, tra cui un altro giovane che gli si è scagliato contro e lo ha riempito di pugni, uccidendolo.

L'assassino è un italiano minorenne, 17 anni, che ora è stato arrestato con l'accusa di omicidio preterintenzionale. Il problema sta nel fatto che alcune testate giornalistiche hanno liquidato l'episodio come una semplice rissa tra facinorosi, finita male.

Non è proprio così: una provocazione (come in questo caso, pare, uno sputo) non può giustificare una violenza cieca e sproporzionata fino a far perdere la vita a qualcuno.

Khan Muhammad Shantad, questo il nome della vittima, era un senzatetto, ma regolare in Italia; secondo la ricostruzione effettuata dalle forze dell'ordine, era ubriaco e infastidiva con urla e schiamazzi (quindi soltanto a parole) i passanti, fino a quando si è imbattuto nel diciassettenne che era in compagnia di un amico. A quel punto, forse, il ragazzo pakistano ha sputato e questo ha scatenato la reazione dell'italiano che poi ha affermato: “ Gli ho dato solo un pugno”. Alcuni testimoni e il corpo della vittima, invece, parlano chiaramente di pugni ripetuti e di calci tanto che l'Autorità Giudiziaria ha predisposto l'autopsia. Se questa confermasse l'ipotesi, il reato verrebbe trasformato in omicidio volontario.

Questo è accaduto a pochi giorni da un altro triste fatto di cronaca avvenuto nello stesso quartiere: un romeno di 52 anni è stato accoltellato da un suo connazionale a seguito di una lite. Ma troppo spesso e ancora tanti pensano: “Finchè si ammazzano tra loro...”

sabato 20 settembre 2014

Palestina: pace, giustizia, libertà, diritti

Ci è pervenuta questa comunicazione da AssopacePalestina, anche per noi importante.
In calce, trovate il link al documento “Proposte tematiche”. Grazie.

“Un Passo di Pace” - Proposte tematiche 21 settembre - Firenze
 
Dal 1980 con il vertice di Venezia, l’Unione Europea sostiene la fine dell’occupazione militare israeliana e indica la strada della soluzione della questione palestinese con la creazione di due popoli due stati, per applicare le risoluzioni 242, 338, 194 delle Nazioni Unite.
Sono passati 34 anni e non solo non si è creato lo Stato di Palestina, ma è cresciuta a dismisura la colonizzazione dei territori occupati militarmente nel 1967.
L’Unione Europea continua a proclamare la necessità dei due popoli e due stati, continua la denuncia delle violazioni dei diritti umani da parte del governo israeliano, considera illegale la costruzione delle colonie, denuncia la violenza dei coloni, non riconosce Gerusalemme come capitale dello Stato d’ Israele e continua a sostenere che Gerusalemme Est deve essere la capitale dello Stato di Palestina.
Ma nulla è stato messo in atto per fermare la politica di colonizzazione israeliana. A 66 dalla “Nakba” e dalla nascita dello stato di Israele, dopo 47 anni di occupazione militare, a venti anni dagli accordi di Oslo, Israele continua nella totale impunità a violare i diritti, a compiere crimini contro la popolazione civile di Gaza e della Cisgiordania.
L’operazione Margine protettivo terminato dopo 51 giorni e che ha visto l'uccisione di 2194 palestinesi, di cui 643 bambini, la distruzione di case, scuole infrastrutture ospedali, non è isolata ma strettamente connessa all’attacco alla terra, alla libertà nella Cisgiordania dove si intensificano gli arresti, le demolizioni di case, i check point e la confisca delle terre palestinesi per fare posto alle colonie.
Noi chiediamo che la Comunità Internazionale agisca per imporre ad Israele il ritiro dai territori occupati palestinesi e, così come chiesto dalla Corte Penale Internazionale dell’ Aja, lo smantellamento del Muro dell’apartheid e la fine dell’annessione coloniale, indispensabili e irrimandabili condizioni per portare pace, sicurezza e rispetto dei diritti per la Palestina e per Israele.
Il cessate il fuoco tra Hamas e Israele, negoziato al Cairo da tutte le forze politiche dell’Olp oltre ad Hamas con la mediazione dell’Egitto, non ha risolto i problemi perché l’assedio di Gaza non è cessato e la popolazione continua a restare chiusa nella gabbia di Gaza.
Chiediamo al governo italiano e all’ Unione Europea di cui l’Italia è alla testa per questo semestre di:
cessare ogni di cooperazione, ricerca, vendita di armi tra le quali gli M346 ad Israele;
sollecitare i paesi terzi affinché non forniscano armi, munizioni ed assistenza militare alle parti in conflitto;
sospendere l’accordo di associazione Ue – Israele, sulla base dell’articolo 2 che prevede la sospensione
dell’accordo nel caso il paese contraente violasse i diritti umani;
applicare le linee guida, in riferimento ad Israele, che fanno divieto di avere rapporti politici e commerciali con le colonie: nessun prodotto delle colonie deve entrare in Europa, nessuna esportazione deve andare nelle colonie; accogliere nei propri ospedali i feriti nei bombardamenti israeliani di Gaza; agire come forza di mediazione per la fine dell’occupazione militare israeliana la colonizzazione dei territori e l’autodeterminazione per il popolo palestinese;
Ci impegniamo: a sostenere i Comitati popolari per la resistenza popolare nonviolenta contro l'occupazione civile e militare dei territori palestinesi; a dare voce e sostegno alle persone e ai gruppi che in Israele si battono per la pace e contro l’occupazione militare; a sostenere la campagna per la libertà di Marwan Barghouthi e dei prigionieri palestinesi; ad agire per la fine dell’assedio di Gaza e la libertà di movimento di persone e merci nei territori occupati; a difendere i diritti fondamentali dei lavoratori palestinesi ed immigrati in Israele; a promuovere interventi civili di pace in Palestina; a denunciare e condannare ogni azione che metta in pericolo la vita della popolazione civile palestinese ed israeliana; a fare pressioni sul nostro governo e sulle istituzioni europee affinchè Israele non resti impunita per la violazione dei diritti umani e la legalità internazionale;a sostenere iniziative e campagne contro la commercializzazione in Italia dei prodotti delle colonie e per il disinvestimento nelle imprese insediate nelle colonie o che finanziano l’occupazione dei territori palestinesi.
 

giovedì 18 settembre 2014

Profezia. L'Africa di Pasolini


 


Recensione di Monica Macchi che ringraziamo (già su www.formacinema.it)


A cura di: Gianni Borgna

Supervisione artistica: Enrico Menduni

Sceneggiatura: Gianni Borgna, Angelo Libertini

Fotografia: Sergio Salvati

Montaggio: Carlo Balestrieri

Musiche originali: Marco Valerio Antonini

Voci: Dacia Maraini (voce narrante)

Roberto Herlitzka (voce di Pier Paolo Pasolini)

Philippe Leroy (voce di Jean-Paul Sartre)

Durata: 77 minuti

Produzione: Produzione Straordinaria s.r.l., Cinecittà Luce

Distribuzione: Istituto Luce Cinecittà

Premi: Premio “Bisato d’oro” della Critica indipendente

alla 70esima Mostra internazionale di Venezia

Gran premio della Giuria al XVII “Terra di Siena” Film Festival



Film riconosciuto di interesse culturale dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Direzione Generale per il Cinema)

Africa, unica mia alternativa!”,

Pier Paolo Pasolini, “Frammento alla morte”



Mai convenzionale, mai pittoresco, ci mostra un'Africa autentica,

per niente esotica e perciò tanto più misteriosa

del mistero proprio dell'esistenza…

Pasolini sente l'Africa nera con la stessa simpatia poetica e originale

con la quale a suo tempo ha sentito

le borgate e il sottoproletariato romano”

Alberto Moravia su “Appunti per un'Orestiade africana”



Si chiama colore la nuova estensione del mondo

Dobbiamo ammettere l’idea di figli neri o marroni

dalla nuca ricciuta

Pier Paolo Pasolini, “La rabbia”



Se fossi stato francese,

avrei girato Il Vangelo secondo Matteo in Algeria

così forse avreste capito che è

un’opera nazional-popolare in senso gramsciano…

Cristo è un sottoproletario che va con i sottoproletari

Pier Paolo Pasolini

 
 


Il documentario, proiettato in anteprima mondiale alla 70esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione “Venezia Classici”, racconta il rapporto poetico, intellettuale e politico tra Pasolini e l’Africa, luogo e insieme archetipo di viaggi, ispirazioni e film tra cui La Rabbia (1963), Edipo Re (1967), Appunti per un’orestiade africana (1968-1973) ed altri progetti rimasti irrealizzati come Il padre selvaggio.


Se infatti Pasolini negli anni Cinquanta dedica i suoi romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta al mondo delle borgate romane in cui nasce il suo primo film Accattone, il boom economico e l’industrializzazione degli anni Sessanta stravolge completamente questo microcosmo omologandolo al modello borghese. Pasolini si rivolge così a quell’Africa che si stava liberando dal giogo coloniale delle potenze europee (influenzato anche dal libro di Fanon I dannati della terra che prende coscienza del Terzo mondo come nuovo protagonista della storia) e la rielabora come “concetto che convive anche nelle periferie di Roma e che ha una radice comune nel mondo arcaico contadino” fino a profetizzare Alì dagli Occhi Azzurri (titolo ripreso da un recentissimo film di Claudio Giovannesi in cui Nader in bilico tra la cultura egiziana e quella italiana ha gli occhi neri e lenti a contatto azzurre) insieme speranza nella rivoluzione e profezia delle masse che via via approdano e irrompono nel “nostro” Occidente.


Dedicato a Giuseppe Bertolucci, Profezia si articola così come un film saggio attraverso sequenze di molti film di Pasolini arricchiti da frammenti di cinegiornali, immagini di repertorio, interviste sia dell’epoca che contemporanee (divertente quella a Bernardo Bertolucci che racconta quando, tredicenne, ha pensato che lo sconosciuto dall'aspetto poco raccomandabile che chiedeva del padre Attilio fosse un ladro. Quando molti anni dopo, diventato assistente di Pasolini, gli racconta l’episodio, Pasolini risponde serafico: “Cosa c'è di più bello per uno che ha raccontato dei giovani ladri romani che essere scambiato per uno di loro?”), testi originali letti da Dacia Maraini e poesie recitate da Roberto Herlitzka e una lunga parentesi dedicata al rapporto di Pasolini con Sartre, unico intellettuale laico francese ad avere difeso il Vangelo secondo Matteo dallo sprezzante commento di Michel Cournet, critico del Nouvel Observateur “è un film fatto da un prete per i preti”. Sartre invece, pur ammettendo che spesso i temi religiosi favoriscono idee conservatrici, denuncia l’ambiguità della sinistra francese che dovrebbe avere preso co(no)scenza del sottoproletariato tramite la guerra di Algeria e sostiene che è giunto il momento di porre il problema del Cristo come una fase della storia del proletariato. E anzi Sartre suggerisce a Pasolini di proiettarlo insieme a “La ricotta” (un “film della fame in cui il ladrone buono muore perché finalmente ha mangiato a sazietà”) per meglio mostrare il suo percorso stilistico e per svelare finalmente che il razionalismo francese manca di critica al razionalismo…con l’unica eccezione di Jean-Luc Godard.

Del resto, il fil rouge dipanato dagli autori parte da un’Africa che non è un concetto storico o sociologico ma una rappresentazione mitologica e poetica dell’alterità che porta con sè la “trasformazione delle Erinni in Menadi” cioè il passaggio da una società primitiva, dominata dall’irrazionalità, ad una comunità statale guidata dalla ragione, da leggi e regole. Ma questo processo non deve essere filtrato dai modelli politici e ideologici dell'Occidente, né essere uno sradicamento dal passato ma si sarebbe configurato come la resistenza dei sottoproletari di quella “metà del mondo che non fa la storia, ma la subisce, ma che intanto è alla testa della comune lotta, in quanto resistente e armata”. Mondo arcaico e contadino contrapposto a quello industrializzato, globale e massificato (pur con delle sacche, ad esempio gli sfollati del Polesine o i baraccati romani per cui “società dei consumi è una frase misteriosa ed incomprensibile”) dove Roma diventa lo specchio in cui contemplare l’Africa.


Ma il film tratta anche del rapporto tra letteratura e cinema; in particolare il documentario parte dalle recensioni ad Accattone definito “una storia scritta con la macchina da presa,un film che non nasce dal cinema ma da un’esperienza poetica” ma soprattutto contiene un’intervista in cui Pasolini spiega la sua scelta di passare dalla letteratura al cinema. Il cinema non è una tecnica ma un linguaggio transnazionale e transclassista immediatamente comprensibile senza bisogno di codici o simboli e si esprime attraverso la realtà stessa. Proprio per questo viene messa in risalto la presenza della macchina da presa, per rendere visibile l'operazione tecnica che genera l'immagine e dunque la realtà. E anzi Bernardo Bertolucci ricorda che quando è stato assistente di Pasolini ne percepiva l’animo da pioniere in modo tale che la prima scena girata da Pasolini per lui “è stato il primo piano della storia del cinema”. La rivoluzione pasoliniana è stata quella di non narrare né le periferie romane nè il terzo Mondo con lo sguardo di un soggetto borghese ma far parlare direttamente le situazioni attraverso la forma del frammento, del documento, della testimonianza decolonizzando l’immaginario per usare l’espressione di Latouche. In questo senso ricorrere ad attori non professionisti esprime ed esalta quell'autenticità che manca alla parola scritta.






PS Particolarmente interessante il contenuto extra nella versione dvd “Pasolini, un ritratto inconsueto” un montaggio di spezzoni dei cinegiornali conservati nell’Istituto Luce che mostrano cosa i benpensanti pensavano di Pasolini.








mercoledì 17 settembre 2014

Everyday Rebellion: cambiamento e non-violenza




E' nelle sale italiane dall' 11 settembre (una data significativa...) e distribuito da Officine Ubu: si tratta del film Everyday Rebellion dei fratelli iraniani Arash e Arman Riahi.

Un documentario che pone al centro la comunicazione come azione di protesta, efficace e, soprattutto, non violenta.

Da Occupy Wall Street, alle rivoluzioni arabe iniziali; dal Movimento spagnolo 15M alle Femen e ancora Otpor! Il movimento studentesco che portò alla caduta di Milošević e il Popolo Viola...Tutte forme di protesta e di ribellione organizzate, sentite, volute e vissute sulla propria pelle dai protagonisti.

A proposito delle Femen ucraine, Arash Rahi ha affermato: “ Come tutti gli altri movimenti non violenti da noi mostrati, anche le Femen partono da bisogni personali, in questo caso il bisogno di un gruppo di studentesse ucraine nate negli anni '80 che si erano smarrite nella propria esistenza. Le Femen hanno avuto un tale impatto sull'opinione pubblica di tutto il mondo perchè hanno usato il corpo come campo di battaglia in una maniera completamente nuova rispetto a quella dei kamikaze alle altre forme di protesta fisica: che cosa c'è di più non violento di un corpo nudo?”.

La tesi alla base del lavoro è che rispondere alla violenza con altra violenza è distruttivo e basta: se, invece, si risponde con la creatività, allora si riescono ad ottenere attenzione e solidarietà e questo risulta ancora più importante se si vive in un regime non democratico. E allora via libera a corpi dipinti, palline da ping pong con scritte che rotolano per le vie della città, palloncini colorati e fermagli per capelli per distribuire volantini e documenti, slogan cantati e cartelloni vivaci...Anche questo vuol dire fare “cittadinanza attiva” e dissentire.

Il documentario fa parte di un progetto più ampio crossmediale, composto da varie piattaforme (sito web, app per smartphone) con le quali è possibile condividere contenuti, informazioni e iniziative. E in occasione della distribuzione del film in Italia, Officine Ubu lancia l'hashtag #iomiribello che invita gli utenti a raccontare il proprio gesto di ribellione quotidiana.

martedì 16 settembre 2014

Iniziative a Milano sui diritti umani: per approfondire e incontrarsi





Cari amici, cari colleghi,

ecco finalmente il programma completo della manifestazione “D(i)ritti al centro!”, organizzata dall'Associazione per i Diritti Umani.

Siamo felici di proporvi una serie di incontri culturali su alcuni temi che ci riguardano molto da vicino, quali, ad esempio: la lotta alla violenza sulle donne, i diritti dei minori, le morti sul lavoro, ma anche la situazione in Medioriente (alla luce di ciò che sta accadendo in molti Paesi dell'area) e molto molto altro ancora...

Sarà una buona occasione per dialogare con gli autori dei saggi e dei documentari, con gli studiosi e gli esperti di settore che abbiamo invitato e che hanno, gentilmente, dato la loro disponibilità.



Aiutateci anche a fare passaparola...



L'Associazione per i Diritti Umani sta continuando a lavorare su temi che a nostro avviso sono trattati poco e, nella maggior parte dei casi, male da stampa e televisione ma siamo convinti sia fondamentale parlarne il più possibile per creare un’idea diversa che porti la persona al centro. Per far questo crediamo sia importante partire dalle piccole cose come la voglia di uscire di casa per parlare, per condividere e per esprimere la propria opinione, solo così si potrà “volare alto con il pensiero critico e riflettere sull’attualità”, come scritto nel nostro atto costitutivo.



Vi aspettiamo. GRAZIE !