mercoledì 30 aprile 2014

Il Cielo sopra Baghdad




Viaggio nell’angoscia della guerra, ma anche nella grazia di occhi, di mani, di liuti da costruire, di ragazzi che si sposano, si costruiscono una casa...Scrivere e fotografare Baghdad e la sua gente diventa così l’unico modo per dare forma al dolore e alla disperazione davanti all’orrore della guerra; l’unico modo per ricostruire nella soggettività della poesia le ragioni umane del vivere in pace”. Si legge così nell'ultimo libro di Giuseppe Goffredo, poeta e scrittore, intitolato Il Cielo sopra Baghdad. Diario di un viaggio in Iraq, PoiesisEditrice.

Un libro, in realtà scritto a più mani, insieme ad alcuni artisti italiani e al fotografo Michele Stallo che arricchisce il testo con le sue immagini.

Vogliamo parlarvi di questo libro perchè oggi, 30 aprile 2014, è una giornata importante per l'Iraq: si svolgono, infatti, le elezioni politiche come annunciato dal vicepresidente che governa ad interim il Paese in quanto il Presidente, Jalal Talabani, si trova in Germania in seguito ad un attacco cardiaco.

Ma noi, come sempre, vogliamo dare spazio e voce alla società civile, a quegli uomini, a quelle donne e,soprattutto a quei bambini che, da anni, subiscono le conseguenze di una guerra interna ed esterna. Sono padri e madri, sono figli e sono orfani, ma sono anche persone mosse da una vitalità senza pari, che combattono la paura con la forza della speranza.

Gli autori accompagnano il lettore tra le strade, gli ospedali, i rifugi bombardati e parlano con gli abitanti di Baghdad: parlano di gioia e di dolore, di ombre e di bellezza.

Nella culla della civiltà mesopotamica, le donne dirigono cantieri, gli artigiani riempiono i suq, i giovani si sposano e i bambini sorridono. Questa è oggi Baghdad, una vecchia signora che porta su di sé i segni di una vita durissima, ma da cui non si è fatta devastare.

Il rifugio di al-Ameria, nel '91, 486 morti. Leggiamo: “ Per bombardare hanno utilizzato bombe speciali, ma non sappiamo cosa contenevano. Dopo quattro giorni gli americani dichiararono ai giornali che si era trattato di un errore, l'operazione aveva obiettivi militari secondo loro e non civili. Ma questi non sono posti dove si può bombardare per caso. Intorno non ci sono caserme militari. Siamo dentro un quartiere popolare...Tra le persone uccise c'erano siriani, egiziani, giordani e molte famiglie cristiane”. Ma a questa immagine se ne accosta un'altra: “Tahar ci porta al primo negozio di tamburelli. Il proprietario per darci il benvenuto tira fuori una tromba e si mette a suonare. Beppe e Salvatore lo accompagnano con dei tamburi a cornice. A questo punto la piccola carovana diventa una folla incontenibile. Ragazzi, bambini, adulti. Dei negozianti lasciano la loro bottega e si avvicinano. Ci accompagnano da un negozio all'altro danzando...La baraonda si scalda, cresce, si sparge all'intorno. Altri bambini, altri ragazzi arrivano, attraversano la strada, fanno baldoria. Poi qualcuno porta un pallone e la partita si accende...un soldato si avvicina, chiede di essere fotografato. Poi mi scrive il suo nome sul quaderno. Tutto il quartiere è in festa con noi. Resto immobile a guardare irrigidito dalla dolcezza. Da tempo non sentivo una gioia così chiara. Zineb con la mano stretta ai suoi fratellini non si muove dal mio fianco. Nel frastuono assordante si aggrappa al mio braccio. Io la guardo. Lei alza gli occhi e mi sorride”.

Questa è la vittoria della vita sulla morte.

Alla fine del diario il libro propone anche il testo dell'opera scritta e diretta dal Prof. Goffredo intitolata BaghdadBaghdad, rappresentata per la prima volta ad Algeri, il 19 febbraio del 2005, per chiedere la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena, in quei giorni rapita in Iraq.

martedì 29 aprile 2014

Joranovic Daribor, nato in Italia. Espulso.




Joranovic Daribor ha 23 anni, è nato in Italia, ad Aversa.

In base alle leggi italiane in tema di immigrazione, però, il ragazzo, è considerato un irregolare per cui gli è stato notificato un avviso di espulsione. Ma questo non basta.

Doribor è stato rinchiuso per quattro mesi nel CIE di Ponte Galeria, a Roma, nell'attesa di essere spedito in Bosnia, un Paese a lui sconosciuto e di cui non sa nemmeno parlare la lingua. Neanche l'ambasciata bosniaca lo riconosce come suo cittadino.

I genitori sono scappati dal Paese dell'Est ai tempi della guerra.

Doribor, è vero, non è un santo: nel 2011 ha tentato di svaligiare un appartamento in provincia di Napoli, a Villaricca. Si è fatto due anni di Poggioreale e, all'uscita, ha ricevuto l'ordine di espulsione dal Tribunale di sorveglianza con una “tappa” nel CIE.

L'avvocato del giovane, Serena Lauri, ha così commentato l'accaduto: “ Un'assurdità. Fa paura pensare che a decidere l'espulsione sia stato un tribunale di sorveglianza: dove dovrebbe essere espulso visto che è nato qui?”, per poi continuare: “ La Corte di Strasburgo ha più volte condannato gli Stati che hanno espulso gli stranieri residenti da lungo tempo e gli immigrati di seconda generazione, anche a seguito di reati”.

Il caso non si è ancora chiarito, così il giudice di pace ha decido di prorogare di ulteriori 60 giorni la permanenza del ragazzo nel CIE. Di proroga in proroga si arriva a una detenzione di un anno e mezzo, il tempo massimo che, secondo la legge, un immigrato può essere detenuto in un centro di identificazione e di espulsione prima di essere liberato. Ma poi quale sarebbe il futuro di Doribor e di tanti come lui? La speranza è che gli venga riconosciuto lo stato di “apolide” che gli consentirebbe di regolarizzare la propria situazione, di trovare un lavoro onesto e di tornare a nuova vita.

lunedì 28 aprile 2014

Come vuoi morire? Rapita nella Siria in guerra




Il 3 aprile 2013 Susan Dabbous, giornalista di origini siriane, è stata rapita insieme ad altri tre reporter italiani. Sono stati sequestrati a Ghassanieh, un villaggio cristiano, da parte di un gruppo legato ad al-Qaeda mentre stavano facendo le riprese per preparare un documentario per la RAI.

I giornalisti sono stati dapprima portati in casa-prigione, successivamente Susan è stata trasferita, da sola, in un appartamento con Miriam, moglie di uno jihadista, con cui ha dovuto pregare e ascoltare i discorsi di Bin Laden. Ma la domanda che le veniva posta, in maniera ricorrente, era: “ Qual è la tua morte preferita?”.

Da qui il titolo del libro: Come vuoi morire? Rapita nella Siria in guerra, il diario della prigionia di Susan Dabbous, edito da Castelvecchi.



Abbiamo intervistato per voi la giornalista che ringraziamo molto.



Innanzitutto, ci può raccontare brevemente qual è il ricordo più duro legato alla sua prigionia e quali erano i suoi pensieri ricorrenti durante quell'esperienza? Come si è rapportata con i rapitori?

Ho optato per un atteggiamento passivo di sottomissione totale, ma ci tengo molto a precisare che l’islamizzazione è stata una cosa volontaria, sono io che ho chiesto di imparare la preghiera, volevo integrarmi nel loro contesto sociale, condividere i miei giorni con altre donne nel caso in cui ce ne fossero state, uscire da un contesto di prigionia violento e angosciante. Credevo che mi avrebbero tenuto per mesi se non per anni, come accaduto ad altri ostaggi. L’integrazione per me equivaleva alla sopravvivenza.



Recentemente, durante una presentazione del suo libro, lei ha citato la frase di Padre Paolo Dall'Oglio: “Non mancare la propria morte”: ci può spiegare il significato di quella frase e del concetto che esprime?


Tra le frasi che mi hanno colpito di più del libro “Collera e Luce” di Padre Paolo Dall’Oglio c’è questa: “Per me inconsciamente la preoccupazione di non fallire la propria morte è rimasta molto viva e interviene nelle mie scelte. La paura di non morire là dove si dovrebbe, quando si dovrebbe e per le giuste ragioni”. Ho trovato in questa frase molto forte il concetto di sacrificio, cristiano, umano, per il prossimo: là dove la fede non è pregare per la propria salvezza bensì per il miglioramento dell’umanità. Padre Paolo crede così tanto nel dialogo da non ha paura di proporlo ovunque e a chiunque. In Egitto, come in Siria senza dimenticare l’Iraq. Le sue recenti scelte sono state dettate dal coraggio ma anche da una conoscenza più che trentennale del Medio Oriente. Da luglio scorso non si hanno più notizie di lui, chi lo detiene in Siria sa probabilmente chi ha tra le mani. Spero con tutta me stessa che sia trattato con rispetto.

Nel suo libro parla del coraggio del popolo siriano. La guerra civile è una guerra che i civili stanno pagando a un prezzo altissimo: vuole riportare alcune voci di quelle persone? Le loro aspettative, le loro richieste...

In Siria si spera di tornare presto alla normalità. I bambini vogliono tornare a scuola; i padri di famiglia vogliono lavorare, perché il problema del lavoro è assolutamente centrale. Le donne sognano di ritornare nelle proprie case. Sono stanche di vivere la condizione di povertà estrema, di precarietà e di mancanza di dignità. A nessuno piace essere profugo, ma in questo caso specifico si tratta di un popolo con scarsa propensione all’emigrazione. I siriani, anche i più poveri e modesti, posseggono una casa o un pezzetto di terra.

Il 2 aprile scorso è stato cancellato, in Italia, il reato di immigrazione: cosa possono fare l'Italia, ma anche l'Unione Europea in termini di immigrazione? E come tutelare i diritti dei rifugiati, dei richiedenti asilo?

L’Europa potrebbe impegnarsi di più nell’accoglienza dei profughi che arrivano sulle nostre coste sostenendo viaggi disumani, pagando decine di migliaia di euro. Appena arrivati si sentono salvi, dopo poche ore inizia un nuovo calvario, tutto europeo e burocratico, fatto non più di loschi trafficanti e vecchi barconi ma di questure e fogli di rinvio. Bisognerebbe rivedere il regolamento di Dublino che obbliga il richiedente asilo a fare domanda nel primo paese d’arrivo. Un sistema palesemente fallimentare perché nessuno vuole rimanere in Italia, Grecia o Bulgaria, paesi dalle economie fragili incapaci di dare non solo opportunità ma a volte anche l’assistenza di base.

Qual è o quale deve essere il ruolo dei mass-media italiani (e occidentali in genere) nel raccontare ciò che succede in Medioriente? E' possibile fare giornalismo, in tema di politica estera, con precisione e attenzione alla verità?

Credo che la Siria venga raccontata e anche bene, ma è una qualità dell’informazione accessibile solo ai tecnici, a chi sa dove prendere cosa. Tra siti internet, fonti dirette e fughe di notizie da parte di chi vuole colpire questo o quel gruppo in conflitto. Il problema, certo, è come rendere fruibile questa quantità a volte anche mastodontica di notizie. Discernere e tentare di verificare senza mettere a repentaglio la propria vita. È una sfida importante, conosco giornalisti italiani e stranieri che sono entrati e usciti illesi dalla Siria negli ultimi mesi, questo non significa però che non abbiano affrontato enormi rischi. In Italia c’è però un problema di discontinuità, sui temi di politica estera che vengono raccontati a singhiozzo, questo non aiuta affatto la comprensione di fenomeni complessi che ci sono ad esempio dietro i conflitti.

Il libro verrà presentato oggi, 28 aprile 2014, alle ore 18.00 presso la libreria Feltrinelli di Via Manzoni 12, a Milano.



domenica 27 aprile 2014

Una conferenza per fare il punto sul Pakistan




Ci è pervenuta la seguente comunicazione che pubblichiamo volentieri.


Associazione Italian Friends of The Citizens Foundation TCF – ONLUS, in collaborazione con ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), ha organizzato per giovedì 15 maggio (ore 18.00 presso ISPI, Via Clerici, 5 Milano) una conferenza, aperta al pubblico, dal titolo "Il Pakistan oltre il terrorismo. Il ruolo della società civile". L’incontro vedrà la partecipazione dell’esperto politologo britannico, profondo conoscitore del Pakistan, Prof. Anatol Lieven (King's College London), insieme a:
   
- Prof.ssa Elisa Giunchi, docente di “Storia e Istituzioni dei Paesi Islamici” (Università degli Studi di Milano) – moderatrice dell’incontro
- Viviana Mazza, giornalista del Corriere della Sera e autrice del libro “Storia di Malala” (Mondadori 2013), inviata in Medio Oriente e nel subcontinente Indo-Pakistano
- Imtiaz Dossa, membro del Consiglio Direttivo di The Citizens Foundation - TCF, esperto sul sistema scolastico pakistano.
La conferenza permetterà di approfondire gli aspetti del Pakistan di oggi, per lo più sconosciuti all’opinione pubblica italiana, e in particolare l’impegno civile a favore dei diritti e dell’empowerment femminile, con l’obiettivo di fornire una panoramica sulla odierna situazione di questo Paese, andando oltre la “mono-dimensione” con cui viene raccontato dai media oggi.




sabato 26 aprile 2014

Open hearts: il cuore dei bambini di Emergency




L'Associazione per i Diritti Umani è felice di comunicarvi che intervisterà, in un incontro pubblico il prossimo 6 maggio, Manuela Valenti, medico pediatra di Emergency per la presentazione del documentario Open hearts di Kief Davidson, film candidato all'Oscar 2013 come miglior corto-documentario.

Otto bambini ruandesi lasciano le loro famiglie per recarsi a Kartoum, in Sudan, ed essere sottoposti ad un delicato intervento cardiochirurgico presso il Centro Salam di Emergency. Il loro problema di salute è causato da una malattia reumatica di cui sono affette, in Africa, circa 18 milioni di persone.

Tanto lavoro ancora da fare per affermare i diritti di tutti e, in particolare, quello alla salute come afferma Gino Strada: “ Una cosa è avere gli stessi diritti sulla carta. Tutt'altra è analizzare i contenuti di quelli che vengono chiamati diritti. Il mio diritto alla salute come europeo include una TAC e altre diagnosi sofisticate, ma per un africano il diritto a essere curato si ferma a un paio di vaccinazioni e alcuni antibiotici”. Il centro Salam è una delle strutture in grado di offrire assistenza medica e cure di alta qualità e in maniera del tutto gratuita a bambini e ragazzi che hanno tutta la vita davanti e che vogliono viverla pienamente e con gioia.

Avremo occasione, quindi, di approfondire tanti argomenti, dopo la proiezione del film, con la Dott.ssa Valenti. Vi aspettiamo.

L'incontro è stato organizzato da fondazione AEM, Craem Milano, Associazione Libera Visionaria.



L'appuntamento è per:

martedì 6 maggio, ore 18.00, presso la “Casa dell'energia e dell'ambiente”, Piazza PO, 3 a Milano

venerdì 25 aprile 2014

Festa della Liberazione

Lo spirito del 25 aprile 2014, oggi, a Milano era così:



 
 
 
 
 













Una questione privata (anzi no)




25 aprile: nella giornata per la festa della Liberazione dal nazifascismo vogliamo ricordare un romanzo che, più di molte narrazioni, ha parlato della Resistenza senza retorica, con spietata lucidità, intrecciando una vicenda privata alla grande Storia.

Stiamo parlando de Una questione privata di Beppe Fenoglio, un libro “costruito con la geometrica tensione d'un romanzo di follia amorosa e cavallereschi inseguimenti come l'Orlando Furioso, e nello stesso tempo c'è la resistenza proprio com'era, di dentro e di fuori, vera come non mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente dalla memoria fedele e, con tutti i valori morali, tanto più forti quanto impliciti, e la commozione e la furia”. Con queste parole un altro autore importantissimo, Italo Calvino, nella prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno, presenta il testo di Fenoglio, in cui Milton, il protagonista, è
accecato dall'amore per Fulvia e ossessionato dal dubbio del tradimento con Giorgio, il suo migliore amico. Tra fango e nebbia Milton vuole cercare Giorgio e, con lui, la verità e scopre che l'uomo è stato rapito ad Alba dai fascisti: Milton, allora, organizza uno scambio facendo prigioniero un sergente nemico che, però,si troverà costretto ad uccidere. Milton non si rassegna: torna alla villa con la speranza di incontrare di nuovo la sua amata, ma trova una colonna nazista che lo costringe ad una fuga disperata... fino all'epilogo.

Nel XI capitolo Milton dice: “Vengo da Santo Stefano, per una questione privata”: da qui Calvino, dopo la morte prematura di Fenoglio, decide di dare al libro il titolo Una questione privata, libro che, infatti, fu pubblicato postumo nel 1963.

Il viaggio, come viaggio mentale e di formazione, è sicuramente uno dei topoi narrativi. E poi l'amore, un amore malato, un'ossessione, come puo' esserlo anche quello verso un'ideologia; e la Resistenza che fa da contesto storico alla vicenda ed è raccontata nella maniera più sincera e umana possibile. I partigiani sono, prima di tutto, persone con pregi e difetti, punti di forza e fragilità. E, infine, Fulvia: Fulvia, la donna, la speranza. La speranza (e la volontà) di trovare la verità, di trovare un senso per la vita umana e per la Storia.

giovedì 24 aprile 2014

The special need: l'amore è per tutti


Enea, un nome epico per un ragazzo speciale: Enea ha ventotto anni e soffre di autismo, ma ha anche il forte desiderio di sperimentare il rapporto sessuale. Due suoi cari amici, Alex e Carlo, decidono di aiutarlo e i tre partono, a bordo di uno sgangherato pulmino, per un viaggio on the road, che diventa iniziatico per Enea e istruttivo per gli spettatori.

Questa il soggetto di The special need, il film documentario del regista Carlo Zoratti, alla sua opera prima e già vincitrice del Trieste Film Festival e del Dok Leipzig.

La prima tappa del percorso è l'Austria, in una casa di appuntamenti, ma qui Alex e Carlo si rendono conto che per il loro amico è necessario un incontro con una persona sensibile e in grado di intercettare difficoltà non espresse. Il cammino, allora, riprende per giungere alla seconda tappa: a Trebel, in Germania, dove si trova la sede di un centro che si occupa di assistere disabili nella scoperta della propia sessualità.

Qui balza subito all'occhio la netta differenza nella tutela dei diritti delle persone affette da autismo (o con altri problemi) tra l'Italia e il Nord Europa, in particolare in Germania: nel nostro Paese certi argomenti sono ancora tabù e le istituzioni non se ne occupano nella maniera più adeguata perchè si pensa, anche a livello giuridico, che l'autistico rimanga un bambino che non crescerà mai.

Zoratti è un autodidatta, ma soprattutto è amico di Enea da tanti anni e l'idea del film, come i due hanno raccontato in numerose interviste anche televisive, è nata: “ ...Quattro anni fa, in piedi davanti alla fermata 11 dell'autobus di Udine. Quel giorno gli ho chiesto se aveva una ragazza: io ne avevo conosciute molte, perchè lui no? Nel 2012, quando sono iniziate le riprese, non sapevamo dove sarebbe arrivata la nostra storia, quale sarebbe stata la strada. Ogni giorno Enea cambiava la traiettoria e io dovevo seguirlo, accettando che fosse lui a guidarmi”. Ecco, forse è proprio questo il segreto quando si ha a che fare con persone speciali: lasciarsi guidare, mettendo da parte sovrastrutture e pregiudizi.

Alex e Carlo sono gli “angeli custodi” di Enea e anche Enea, in un finale del film sorprendete nella sua semplicità, dà a tutti una bella lezione, facendo emergere il nucleo fondamentale della sua ricerca che è, in fondo, una ricerca condivisa: il bisogno di amore.


mercoledì 23 aprile 2014

Il sì alla fecondazione eterologa


Arriva dopo tante battaglie, la pronuncia della Corte sull' incostituzionalità dell'art. 4 comma 3 della legge del 19 febbraio 2004, la legge 40, sulla fecondazione eterologa e sull'articolo 12 comma 1 che punisce “chiunque, a qualsiasi titolo, utilizza a fini procreativi gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente”. Lo scorso 8 aprile la Corte Costituzionale si è espressa dopo aver ascoltato la spiegazione dei motivi da parte degli Avvocati Marilisa D'Amico, Mariapaola Costantini e Massimo Clara.
La fecondazione eterologa è una tecnica adottata per superare il problema dell'infertilità maschile e femminile. Nel primo caso lo sperma viene raccolto e inoculato nell'utero al momento dell'ovulazione. Nel secondo caso, la cellula uovo matura viene prelevata dalla superficie ovarica - in laparoscopia - e, dopo essere stata fecondata in vitro, viene immessa in utero. La legge 40 del 2004 vietava di ricorrere ad un donatore esterno di ovuli o spermatozoi nei casi di infertilità assoluta di uno dei due patner con un'unica eccezione, ovvero, si leggeva nel teso: “qualora non non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità”.
Il fatto che in Italia la donazione di ovociti sia vietata e che questo sfruttamento avvenga in altri Paesi, non ci toglie dall'imbarazzo che proviamo quando leggiamo notizie o vediamo trasmissioni televisive sul mercato di gameti e della maternità. Vien da pensare che, forse, una disciplina domestica basata su solidarietà e gratuità, che non lasci spazio al mercato, potrebbe essere uno dei modi per contrastare questi fenomeni”: queste le parole pronunciate dall''Avvocato Mariapaola Costantini (difensore delle coppie di Milano e di Catania e referente nazionale di Cittadinanzattiva per le politiche PMA) nelle conclusioni del suo intervento presso la Corte.
Molto diversa la posizione della Chiesa cattolica: Papa Francesco ha ribadito che la posizione dell'istituzione ecclesiale su fecondazione eterologa, aborto e eutanasia non è cambiata con la sua elezione a Pontefice. “Ogni diritto civile”, ha dichiarato Bergoglio, “poggia sul riconoscimento del primo e fondamentale diritto, quello alla vita, che non è subordinato ad alcuna condizione, né qualitativa né economica né tantomeno ideologica”.
Intanto si attende la risposta, da parte delle istituzioni, a molte domande, quali ad esempio: 
le coppie omosessuali, le donne single, le over 40 avranno accesso alle procedure per la fecondazione eterologa? E i figli, una volta maggiorenni, avranno il diritto di conoscere i genitori biologici?
Quando una società civile si trova davanti ad un cambiamento epocale, a partire da quello culturale per poi arrivare anche a quello politico e legislativo, il cammino è lungo e difficoltoso: ma un passo alla volta e, forse, si chiariscono e si tutelano i diritti di tutte e di tutti.

 

martedì 22 aprile 2014

Federica Angeli: il coraggio di una moglie, madre e giornalista




Non è da tutti prendere posizione contro la mafia, ma c'è chi decide di farlo, senza scendere a compromessi con nessuno, nemmeno con se stesso. Federica Angeli è una di queste persone: una donna, una moglie, una madre, una professionista - giornalista di Repubblica - che non ha avuto paura di scrivere, di denunciare, di impegnare la propria vita nella lotta alla criminalità organizzata per dimostrare che le mafie esistono, che sono infiltrate ovunque, ma anche per spronare tutti a stare all'erta e a non piegarsi a una cultura del ricatto e della sopraffazione.

Abbiamo intervistato per voi Federica Angeli, vincitrice del premio donna X Municipio 2014 e che ringraziamo per queste sue parole e anche perchè ha risposto alle nostre domande anche con il cuore.   





Ripercorriamo, brevemente, la sua esperienza: vive sotto scorta perchè denunciò una rissa tra clan a Ostia, in un quartiere caratterizzato da un forte abusivismo edilizio?
Non proprio. Sono stata messa sotto scorta per il combinato congiunto di un’inchiesta che ho condotto a Ostia, nel corso della quale ho ricevuto pesanti minacce di morte da parte di un appartenente alla famiglia Spada, un clan di origine nomade molto spietato, e della mia testimonianza, come cittadina, rispetto a quanto accaduto davanti a una sala scommesse la notte a cavallo tra il 15 e il 16 luglio 2013. Il quartiere non è affatto caratterizzato da un abusivismo edilizio, quello di cui parla è l’Idroscalo, che dista almeno due chilometri da dove è accaduta la rissa e dove morì Pasolini. La strada in cui è avvenuto lo scontro a colpi di coltelli e di pistola è sicuramente caratterizzata dalla presenza di pregiudicati e criminali che gravitano attorno a quella bisca, l’Italy Poker, davanti alla quale scoppiò l’inferno in una notte d’estate.
Vivere sotto scorta ed essere moglie e madre, oltre che giornalista: come conciliare tutto questo? E in nome di quali ideali ha fatto questa scelta professionale e di vita?
E’ davvero molto complicato conciliare il tutto. Diciamo che io e mio marito abbiamo scelto di far vivere ai bambini tutto questo sulla falsa riga del film "La Vita è bella". Tutto è un gioco in cui abbiamo quattro straordinarie persone (i carabinieri del nucleo scorte) che per i bambini sono i nostri autisti. Tolta la maschera del gioco, resta una grande amarezza e preoccupazione per lo stato delle cose. Ai bimbi in strada personaggi di grosso spessore criminale hanno fatto il segno della croce, sono venuti a gridarci sotto casa, dopo la mia denuncia, "infami, gli infami muoiono". Insomma è molto dura vivere senza libertà, trovare un sorriso rassicurante ogni giorno per i miei cuccioli, rassicurare un marito che si è trovato con una vita sconvolta per aver subìto una mia scelta e continuare ad avere la concentrazione per portare avanti il mio lavoro. Tuttavia nei miei momenti più bui, penso sempre al forte credo che è in me, al senso innato di giustizia che mi ha sempre caratterizzato. Mi piace pensare di poter cambiare un mondo in cui in molti cominciano a sentirsi stretti, mi piace contribuire, in virtù della mia penna e delle mie inchieste-denuncia, a raddrizzare questo mondo che sembra non avere più un verso e in cui molti ideali sembrano perduti, dimenticati. Ecco io non mi rassegno, non mi adeguo a vivere secondo regole che non mi appartengono, a cui molti si sono, loro malgrado, piegati. Per cui lotto, come posso. Ed è tutto questo che mi ha sempre guidato nel mio percorso professionale. Ma le garantisco, mai avrei immaginato di finire sotto scorta dal luglio scorso.
Ora i tre che l'hanno minacciata sono liberi: lo Stato è debole, impotente o altro?
La sensazione che sicuramente questi criminali hanno, è di debolezza dello Stato. Tanto che, il giorno in cui sono stati messi ai domiciliari (il 16 ottobre) sono venuti sotto la mia abitazione a fare un brindisi. Io praticamente in prigione, senza la mia libertà e loro liberi di scorrazzare. Il mio punto di vista è decisamente più critico nei confronti della magistratura in questo caso. Perché se un pubblico ministero che prende in mano un fascicolo in cui i carabinieri scrivono che due soggetti (affiliati peraltro al potente clan dei Triassi a processo per 416 bis, associazione a delinquere di stampo mafioso) vengono accoltellati ai polmoni e alla giugulare con prognosi di 60 e 30 giorni e un periodo in terapia intensiva in ospedale, che questi soggetti reagiscono alle coltellate ferendo con un colpo di pistola al polpaccio Ottavio Spada, già indagato per un duplice omicidio di due grossissimi pregiudicati nel 2011, ecco, mi chiedo: perché classificare il reato in rissa aggravata, piuttosto che tentato omicidio? Qual è stata la valutazione del pubblico ministero Erminio Amelio nel valutare lo spessore criminale dei soggetti coinvolti? Visto poi che ci sono testimoni - io nella fattispecie - e sono state ritrovate le armi del delitto: cos’è che ha fatto scegliere al pubblico ministero un reato che prevede sei mesi di detenzione? Incompetenza? Sottovalutazione di un fenomeno criminale? Certo è che, di questo passo, lo Stato rischia di rafforzare i clan, che gongolano in un senso di impunità garantito dalla giustizia stessa.
Nel suo percorso professionale ha visto in faccia la mafia: ci può raccontare - e commentare – l'episodio che più l'ha colpita? Ad esempio, il suo rapporto con la famiglia Fasciani...
Ce ne sono tantissimi di aneddoti che potrei raccontarle. Con la famiglia Fasciani ho sempre avuto un rapporto di estrema onestà. Entrambi sapevano chi eravamo, non ci siamo mai nascosti dietro finzioni. Le loro regole del gioco sono molto ferree: guai a tradirsi, guai a fare "l’infame". E per infame intendono anche il giornalista, ad esempio, che si nasconde dietro una sigla o uno pseudonimo quando scrive di loro. Uno che li attacca alle spalle. Di me avevano stima, perché, mi dicevano, avevo avuto il coraggio di guardarli negli occhi, di bussare alla loro porta e di scrivere sempre le cose correttamente, senza sparare a zero, senza aggiungere particolari per fare folklore. Insomma, malgrado sapessero che stavo conducendo un’inchiesta su Ostia che avrebbe coinvolto anche la loro famiglia, non hanno mai cercato di stopparmi. Ma ricordo una volta in cui la moglie di don Carmine mi chiamò e mi fece avvicinare a lei: fissava un gatto e mi disse che lei adorava i gatti. "E sa perché? Per due motivi: il primo è perché non parlano, il secondo è perché non tradiscono mai". Un messaggio importante, che mi colpì.
Cosa si può fare per combattere indifferenza e omertà?
Io le posso dire quello che faccio io. Denuncio con le mie inchieste, vado nelle scuole, nei licei della capitale a raccontare la mia esperienza, cerco di lasciare un semino in ogni ragazzo che guardo negli occhi, tento di farli ragionare e di far capire loro quanto, nella vita, sia importante prendere posizione, fare una scelta. Non importa quale sia, paradossalmente possono anche scegliere di avvicinarsi alla criminalità. Ma restare nel silenzio, avere il timore di fare dei nomi e dei cognomi, girarsi dall’altra parte: ebbene questo è anche peggio di stare dalla parte dei cattivi, per come la vedo io. Mi ha colpito uno degli incontri che ho fatto al liceo Enriques di Ostia. I ragazzi avevano preparato, prima dell’appuntamento con me, un video, in cui avevano girato per Ostia con una telecamera e avevano intervistato le persone chiedendo loro se erano consapevoli che in quel territorio esistesse la mafia: tutti gli intervistati hanno risposto sì, senza paura, hanno fatto persino i nomi. Esattamente un anno prima io, per il mio giornale, avevo fatto la stessa cosa e nessuno aveva parlato. Ecco le coscienze si sono svegliate, tutto sta avendo un senso. Quei ragazzi, inconsapevolmente, col loro prezioso lavoro mi hanno dato molta carica e così la mia libertà sacrificata ha riacquistato un significato. Bisogna capire che l’omertà e l’indifferenza sono il pane di cui si alimenta la malavita, ed è per questo che la voce della stampa dà così fastidio. E bisogna uscire dal guscio del "che schifo il mondo ma non posso farci nulla, quindi taccio". Fare qualcosa si può. Perché, sono fermamente convinta, siamo ancora in tempo per vivere una vita migliore. Forse anche io un giorno tornerò libera e mi unirò alla festa di chi ha combattuto per i miei stessi ideali, non scoraggiandosi mai. E sarà davvero un bel giorno. Per tutti.





lunedì 21 aprile 2014

Un omaggio per "Hurricane"


Rubin Carter, detto “Hurricane” per la velocità e la potenza dei suoi colpi: nel 1961 inizia la sua carriera di pugile che lo vede vincitore per i primi venti incontri, è morto ieri sera all'età di 76 anni, battendo anche il leggendario Emile Griffith.
 
Lo vogliamo ricordare perchè, nel 1966, venne accusato di triplice omicidio durante una sparatoria in un locale del New Jersey. La condanna fu di due ergastoli e la sentenza fu confermata dieci anni dopo. Il caso fu uno dei più eclatanti e controversi dell'America dei “diritti uguali per tutti”: la giuria chiamata a decidere del destino di Carter era, infatti, composta solamente da uomini bianchi e i testimoni si dimostrarono inattendibili.

Nato nel 1937 da una famiglia di sette figli, Rubin venne mandato in riformatorio all'età di 12 anni per aggressione, ma poi decise di arruolarsi nell'esercito che, nel '54, lo spedì nella Germania dell'Ovest. Al suo ritorno continuò a compiere qualche scippo fino a quando trovò come incanalare la sua energia e la sua vita: nella boxe. E diventò un grande campione dei pesi medi.

A seguito della sua condanna agli ergastoli si mobilitò gran parte dell'opinione pubblica mondiale: persone comuni, cantanti, artisti scesero in piazza sostenendo che l'accusa contro “Hurricane” si basava su motivi razziali. Rubin Carter è diventato, così, uno dei simboli della lotta alle discriminazioni.

Diciannove anni di prigione, fino a quando, fu rilasciato , nel 1985, dopo anni e anni di battaglie legali e di campagne di sensibilizzazione per quella che, con enorme ritardo, è stata poi riconosciuta come un caso di razzismo per il colore della pelle. Tre anni dopo, nell' 88, caddero tutte le accuse contro di lui.


Bob Dylan canta la sua storia nel celebre pezzo proprio intitolato “Hurricane” e Denzel Washington ha interpretato il pugile nel film Hurricane-Il grido dell'innocenza. L'”uragano” si è spento nella sua abitazione di Toronto, dopo un'esistenza travagliata, ma che, alla fine, ha dato un senso alla giustizia.

sabato 19 aprile 2014

Riapre Corelli: riapre la stagione del controllo!



L'Associazione per i Diritti Umani si aggiunge al seguente appello lanciato dal Naga e chiede, per cortesia, di far girare la comunicazione.

Vi aspettiamo anche al presidio che si terrà martedì 6 maggio, alle ore 18.30, in Corso Monforte, 31 a Milano, davanti alla Prefettura.



Milano 15/4/2014 Nonostante sia dannoso, inutile, disfunzionale, diseconomico, un buco nero dove vengono ogni giorno violati i diritti dei cittadini stranieri reclusi, riapre il Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE) di Milano in Via Corelli.
O meglio, il fatto che sia dannoso, inutile, disfunzionale, diseconomico, un buco nero dove vengono ogni giorno violati i diritti dei cittadini stranieri reclusi, non ha nessuna rilevanza perché l’obiettivo del centro non è né l’identificazione, né l’espulsione, né tantomeno l’accoglienza, ma il controllo.
Nella stessa logica è prevista anche l’apertura del Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA) entro la fine dell’anno.

Con la riapertura del CIE e del CARA di Milano riapre, in grande stile, la stagione del controllo, l’unica risposta che, da sempre, la politica riesce a dare al fenomeno migratorio.” Dichiara Luca Cusani, presidente del Naga. “Dato che la ristrutturazione è avvenuta a seguito di una distruzione da parte dei detenuti e visto che le ribellioni interne sono state l’unica vera forma di contrasto ai CIE, immaginiamo che la nuova versione del CIE conterrà strumenti e dispositivi che tenteranno di neutralizzare ogni forma di rivolta attraverso meccanismi di sottomissione e costrizione” prosegue il presidente del Naga. “Nel vuoto abissale della politica è evidente, una volta di più, che l'ordine pubblico e le carceri rimangono i soli strumenti per non- affrontare l’immigrazione: un fenomeno della realtà e non un’emergenza da dover controllare!” conclude Luca Cusani.
Il Naga si augura che con la riapertura del CIE di via Corelli si riaprirà non solo la stagione del controllo, ma anche quella delle risposte forti da parte della città che, ci auguriamo anche con la voce del suo sindaco, ripudia ogni forma di discriminazione, reclusione e razzismo.


Info: Naga Cell 3491603305 -
www.naga.it - naga@naga.it




venerdì 18 aprile 2014

Lo Stato della follia




Vincitore del Premio “Ilaria Alpi”, nel 2013 e di molti altri riconoscimenti in Festival nazionali, il documentario Lo Stato della follia, del regista Francesco Cordio, apre le porte di alcuni ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) italiani per denunciare le condizioni in cui versano le persone in essi detenute. Ma non solo: l'indagine si interroga anche sui motivi per cui alcuni vengono internati e troppo a lungo, sulle modalità di analisi delle loro condizioni psichiatriche, sul rapporto, del tutto burocratico, tra medici, magistrati e pazienti.



Abbiamo fatto, per voi, un'intervista a Francesco Cordio che ringraziamo molto per il tempo che ci ha voluto dedicare.





Il progetto nasce da una sua esperienza negli OPG a seguito dei lavori della Commissione parlamentare, commissione presieduta dal Senatore Ignazio Marino, sull'efficacia ed efficienza del Servizio sanitario Nazionale: come sono nati il suo interesse verso questo argomento e il progetto cinematografico?



Alcuni Senatori della Commissione d'inchiesta - che è una commissione straordinaria e non permanente – avevano visto dei miei lavori precedenti e, quando hanno deciso di andare a documentare in video quello che succedeva dentro gli ospedali psichiatrici giudiziari, mi hanno contattato.

Io non avevo alcuna conoscenza degli OPG e ho accettato un po' senza sapere dove mi stessero portando, ma dal primo ingresso che ho fatto non ho potuto fare altro, oltre allo shock, che appassionarmi al tema. Ho, quindi, chiesto ai Senatori di poter utilizzare quel materiale che stavo filmando per un loro lavoro interno (che per la prima volta nella storia della Repubblica è andato agli atti nei lavori della Commissione) anche un mio lavoro esterno più ampio, che potesse arrivare a un pubblico più vasto. La cosa mi è stata riconosciuta per cui, negli anni successivi, ho continuato ad occuparmi di questo tema e ho avuto la fortuna di di conoscere l'attore Luigi Rigoni che, invece, ha avuto la sfortuna di finire in un ospedale psichiatrico giudiziario, quello di Aversa, e ho deciso di far raccontare a lui la sua disavventura. Questo suo racconto si intreccia alle immagini che ho filmato dentro gli ospedali.



Il titolo del film può essere anche un gioco di parole: come può, lo Stato, ripristinare una psichiatria più democratica, che garantisca i diritti di base alle persone internate?

Ho optato per mettere nel titolo la “S” maiuscola perchè la cosa più assurda e paradossale è che sia lo Stato a rappresentare la parte folle: se devono essere curate delle persone che commettono un reato in uno stato di incapacità di intendere e di volere e, invece, vengono mandate ad ammalarsi o a peggiorare la propria situazione, allora vuol dire che è lo Stato ad essere folle.

Il percorso più opportuno da seguire, secondo me, potrebbe esserci suggerito dalla Spagna dove la persona incapace di intendere e di volere che compie un reato non può essere internata per un tempo più lungo della durata della pena di una persona che è in possesso delle proprie facoltà e che ha commesso un reato.

 

Qual è il nesso tra crimine e follia? E come mettere in pratica misure di sicurezza adeguate, tenendo conto della sentenza n. 139 della Corte Costituzionale del 1982 secondo la quale la pericolosità sociale “non può essere definita come un attributo naturale di quella persona o di quella malattia”?



E' fondamentale una valutazione psichiatrica più adeguata e,soprattutto, il percorso all'interno delle strutture ospedaliere deve avere una maggiore assistenza psichiatrica.

Se noi calcoliamo che dentro un OPG la visita dura in media 32 minuti...vuol dire che si è completamente abbandonati.

E' importante che gli psichiatri facciano valutazioni più appropriate nella fase della perizia ed è importante che, poi, i magistrati decidano confrontandosi di persona con gli psichiatri e con le persone che stanno per mandare in OPG perchè, spesso, magistrati e medici si relazionano tra loro solo tramite fax. E' tutto un fatto di carte e di burocrazia, ma in questo modo si gioca con la vita di persone deboli, indifese, che a volte non hanno una famiglia che le aspetta fuori. In questo senso lo Stato è molto colpevole.

Le misure di sicurezza risalgono ad un codice antico, al codice Rocco, e vengono comminate nel momento in cui la persona, incapace di intendere e di volere, compie un reato: se è minimo, la misura di sicurezza consta in due anni di internamento e, durante questo periodo, la Sanità nazionale dovrebbe curare l'internato per far scemare la sua pericolosità sociale. Se, al termine della misura di sicurezza, la nuova perizia stabilisce che la persona è ancora pericolosa, si può decidere per una eventuale proroga. E si arriva a 20,30 anni o ai famosi “ergastoli bianchi”.



Ci può riportare le voci di qualche persona rinchiusa, ad esempio, a Montelupo Fiorentino, a Reggio Emilia o ad Aversa, per citare solo poche strutture?



Tra le tante testimonianze che ho registrato, quella che più mi ha colpito è quella di un ragazzo internato a Reggio Emilia che, con grande lucidità, dice una frase: “ L'Uomo è un animale che può abituarsi a tutto, ma qua viene messo a dura prova”. Dopo qualche mese il ragazzo ha deciso di togliersi la vita.

Nei titoli di coda scrivo che il film è dedicato a lui e a tutti coloro che non ce l'hanno fatta.


giovedì 17 aprile 2014

Extra-Comunitaria. Diario della Prima Vera Araba


Cari lettori,

di seguito pubblichiamo il video del terzo incontro della “Carovana dei diritti/parte seconda” con la presentazione del libro Extra-Comunitaria: Diario della Prima Vera Araba, alla presenza dell'autrice, Gihèn Ben Mahmoud, e di Monica Macchi.

E' stato un incontro piacevole e interessante. Si è parlato della rivoluzione tunisina e dei cambiamenti nella società contemporanea; della condizione femminile; del rapporto uomini e donne; di immigrazione e di intercultura.

Tante riflessioni, ma anche qualche risata.

Ringraziamo moltissimo le nostre ospiti, il pubblico e i ragazzi della Ligera per quest'altra occasione di confronto, di conoscenza, di arricchimento.



(I nostri video sono disponibili anche sul canale Youtube dell'Associazione per i Diritti Umani)


mercoledì 16 aprile 2014

Quando l'arte fa intercultura



Cari amici, oggi vi diamo comunicazione di alcuni appuntamenti culturali, organizzati a Milano e a Bergamo, che speriamo possano interessarvi.

L'arte, antica e contemporanea, può essere uno strumento valido per fare intercultura, per far avvicinare popoli e persone, per viaggiare anche con l'immaginazione. Per questi e molti altri motivi pensiamo che queste iniziative siano da prendere in considerazione, magari nei prossimi week end...

Brera: un’altra storia




La Pinacoteca di Brera raccontata da mediatori museali stranieri per una valorizzazione del patrimonio artistico in chiave interculturale.
Due città. Quattro musei. Un’unica concezione della cultura e una nuova modalità di accostarsi al museo: ecco in sintesi il progetto “Altrestorie” attraverso il quale un network di istituzioni pubbliche e private (il GAMeC, la Pinacoteca di Brera, l'Accademia Carrara di Bergamo, il Museo del Novecento di Milano, Tramiteteatro e Storyville) offre il proprio patrimonio a nuove narrazioni nella convinzione che l’arte sia tra i principi fondamentali attraverso cui si (ri)costruisce una comunità.
A Brera otto mediatori museali (Francesca Cambielli-Italia, Connie Castro-Filippine, Biljana Dizdarevic-Bosnia, Anita Gazner-Ungheria, Rosana Gornati-Brasile, Dudù Kouate-Senegal, Margaret Nagap-Egitto e Almir San Martin-Perù) conducono sia percorsi individuali su singoli quadri sia percorsi collettivi incentrati su filoni tematici in cui la storia delle opere interagisce con le storie e i vissuti personali. L’intreccio fra saperi diversi e la proposta di nuove chiavi di lettura amplifica le potenzialità narrative, la complessità e la ricchezza dei significati rendendo non solo la Pinacoteca più accessibile agli stranieri (a richiesta sono disponibili anche visite guidate nella lingua madre di ciascun mediatore) ma svelando anche nuovi significati agli italiani fino a trovare segni di contaminazione e reciproco influsso figurativo.


I percorsi sono gratuiti (compresi nel biglietto del museo) durano circa 45 minuti in gruppi di massimo 12 persone.
Per informazioni e prenotazioni:
paola.strada@beniculturali.it

 Ed ecco il calendario del mese di maggio:

 Sabato 10 maggio ore 16.00



Percorso tematico “Un incontro” a cura di Francesca Cambielli, Dudù Kouate e Anita Gazner



Domenica 11 maggio ore 16.00



Percorso tematico “Di madre in figlio” a cura di Margaret Nagap e Biljana Dizdarevic



Sabato 17 maggio ore 16.00



Percorso tematico “Luoghi” a cura di Rosana Gornati, Connie Castro, Anita Gazner e Francesca Cambielli



Domenica 18 maggio ore 15.00



Percorso tematico “Sguardi diversi su La Predica di S. Marco ad Alessandria d’Egitto, di Gentile e Giovanni Bellini” a cura di Dudù Kouate, Rosana Gornati e Almir San Martin



Sabato 24 maggio ore 16.00



Percorso dedicato ad alcune opere della Pinacoteca a cura di Dudù Kouate



Domenica 25 maggio ore 14.30



Percorso tematico “Tra terra e cielo” a cura di Biljana Dizdarevic, Connie Castro e Almir San Martin



ore 16.00



Percorso dedicato ad alcune opere della Pinacoteca a cura di Dudù Kouate





E una mostra di pittura...presso la Casa delle culture del mondo di Milano




 Tracce: opere di Ousseynou Diop, in arte Ouzin    


La Casa delle culture del mondo della Provincia di Milano propone dal 17 aprile al 14 maggio la mostra “Tracce”, quindici tele in acrilico realizzate nell’ultimo anno dall’artista senegalese Ousseynou Diop, in arte Ouzin. La mostra, curata da Daniela Frigo, Mediatrice Artistica, Linguistica e Culturale, è promossa dall’Assessorato alla Cultura della Provincia di Milano. La mostra "Tracce" dell’artista senegalese Ousseynou Diop, in arte Ouzin, affronta un tema spesso ridondante per chi lascia il proprio paese, ovvero il segno ci si porta dietro e che rimane dentro la propria anima una volta che si abbandona ciò che più si ama: la propria terra. La traccia è un'orma, un’impronta che ritorna, che graffia, che ricorda: è un colore, una forma, un oggetto, una parola ripetuta, un viso sfumato, una nota suonata, un riflesso di luce sullo specchio dell'acqua, la donna amata. La tela permette di immortalare il dolore, la fatica, il desiderio di riscatto, ma anche la passione, la speranza, l'amore. Le tracce sono fondamentali per ricostruire il proprio passato, per ricordare le proprie radici e riallacciarsi al presente: ed è ciò che fa l'artista, che attraverso colori materici, corde, conchiglie e altri utensili manifesta l'esigenza di creare un ponte con tutto ciò che oggettivamente non è più presente, ma che si rende vivo nelle sue creazioni.


Informazioni al pubblico:



- Provincia di Milano/La Casa delle culture del mondo, tel. 02 334968.54/30



www.provincia.milano.it/cultura - culturedelmondo@provincia.milano.it



- Daniela Frigo, daniela.frigo@hotmail.it, 3496102158



La Casa delle culture del mondo, Via Giulio Natta 11, Milano (M1 Lampugnano)



dal 17 aprile al 14 maggio 2014



orari: martedì-venerdì ore 10-18.30, sabato e domenica ore 14-20, lunedì chiuso



chiuso: 19, 20, 21, 25, 26, 27, 28 aprile e 1° maggio



aperto: 22, 23, 24, 29, 30 aprile e 2, 3, 4 maggio



ingresso libero



Inaugurazione mercoledì 16 aprile 2014, ore 18.30








martedì 15 aprile 2014

Carceri. I confini della dignità




 
La reclusione in carcere come pena regolamentata nello spazio e nel tempo è l'esito di una grande rivoluzione prodotta dal movimento utilitarista e da quello illuminista. Il carcere come pena è un'invenzione della modernità connessa a grandi questioni che lo trascendono e a volte lo rimuovono: dal modello di produzione economica alla ideologia del lavoro, dai più generici obiettivi di giustizia al più specifico tema del rito del processo penale.
Il carcere come pena ha a che fare con il sistema sociale e con quello fiscale, con le scelte urbanistiche e con quelle architettoniche, con i diritti umani e con il residuo di giustiziabilità degli stessi, con la dignità dei corpi e con la salvezza delle anime, con l'etica e con la religione. Il carcere come pena è dentro il sistema del diritto, ma è storicamente poco incline a farsi ingabbiare dal diritto. E' il risultato di un giudizio che si trasforma in pregiudizio. Il carcere, per non ridursi a descrizione storica, va letto anche attraverso una indagine epistemologica che usi le categorie classiche dello spazio e del tempo e ne sveli le aporie”.
Questo un brano dell'introduzione al testo Carceri. I confini della dignità, di Patrizio Gonnella.

Un’opera profonda e coraggiosa, frutto di una straordinaria esperienza da parte del presidente dell’associazione Antigone che da anni lavora e lotta per i diritti dei carcerati detenuti e per il miglioramento della loro esistenza all'interno degli istituti penitenziari: una tematica, quella della riforma delle carceri, in prima pagina nell’agenda sociale e politica dell’Italia di oggi.
Dopo lunghi decenni dedicati e in parte persi inseguendo la retorica rieducativa, in questo libro si propone un cambio di paradigma. Si ridisegnano i confini della pena carceraria attraverso una descrizione qualitativa e critica dei diritti dei detenuti, avvalendosi di standard internazionali. Diritto alla vita, diritto alla salute, diritto agli affetti, diritto alla libertà di conoscenza e di coscienza, diritto di voto, diritto al lavoro, diritto di difesa non sono nella disponibilità di chi detiene il potere di punire: per riaffermare questi diritti è necessario, appunto, un cambio di prospettiva. (Vedi anche l'articolo in cui si fa riferimento al saggio di Gherardo Colombo
Il perdono responsabile, pubblicato su questo sito).
La pratica penitenziaria evidenzia una distanza tra diritti proclamati e diritti garantiti. Lo svelamento delle violazioni sistematiche dei diritti che avvengono nelle carceri serve a chiarire a noi stessi che lo stato sociale costituzionale di diritto si difende con il lavoro giuridico affiancato a un lavoro politico, ma soprattutto culturale: la direzione potrebbe essere quella di predisporre percorsi rieducativi e riabilitativi per il detenuto, ricominciando dalla tutela della sua dignità in quanto “essere umano”: un percorso non facile, un percorso che non può essere rivolto a tutti, ma che per alcuni può funzionare per restituire la vita, la consapevolezza e il senso di responsabilità, individuale e sociale.



Il volume sarà presentato in anteprima a Milano alla libreria Jaca Book mercoledì 16 aprile alle ore 18.30, in Via Frua, 11 (ingresso da Via Stelline), Milano. Intervengono con l'autore, Adolfo Ceretti Professore Ordinario in Medicina Legale all'Università di Milano Bicocca, Mirko Mazzali Presidente Commissione Sicurezza del Comune di Milano, Alessandra Naldi Garante Detenuti del Comune di Milano


lunedì 14 aprile 2014

La clandestinità non è più reato



Clandestino”, un aggettivo usato spesso in modo improprio sugli organi di stampa: un aggettivo che ricorda una situazione losca e pericolosa. Affibbiato, poi, a una persona è ancora peggio. Meglio dire “irregolare” quando si parla di persone migranti o immigrate che non hanno ancora ottenuto il permesso di soggiorno, anche perchè la trafila burocratica per riuscire ad ottenerlo è contorta. 

All'inizio del mese di aprile, come già ricordato nei nostri articoli precedenti, la Camera dei Deputati ha dato il sì definitivo al ddl sulle pene alternative al carcere. Il decreto diventato legge prevede anche la depenalizzazione del reato di clandestinità.   


Durante la discussione in Aula non era presente il Ministro dell'Interno, Angelino Alfano, e questo ha scatenato la reazione di alcuni esponenti della Lega, tra cui Massimiliano Fedriga che si è diretto verso i banchi del governo, si è seduto al posto del Ministro, mostrando un cartello con la scritta: “ Ministro Alfano, clandestino è reato”.

Il reato è, invece, stato cancellato ma resta penalmente sanzionabile il reingresso in violazione di un provvedimento di espulsione.

L'Associazione per i Diritti Umani ha chiesto un commento alla notizia della cancellazione del reato di clandestinità all'On. Khalid Chaouki, deputato PD, coordinatore intergruppo immigrazione e cittadinanza, che così ci ha risposto: “Finalmente è stata eliminata una delle più odiose bandierine leghiste, il 2 aprile è stato abrogato il reato di immigrazione clandestina, un reato inutile e lesivo dei diritti che non puniva un’azione ma uno status.

Questa legislatura, con tutte le sue difficoltà si sta dimostrando, passo dopo passo, concreta nel chiudere un capitolo vergognoso della nostra storia in materia di immigrazione, recuperando così credibilità rispetto alle istituzioni europee che più di una volta hanno accusato l’Italia di non rispettare i diritti della persona. Ora dobbiamo con fermezza procedere ad una seria riforma della legge sulla cittadinanza per non tradire le aspettative dei ragazzi, nuovi italiani di fatto, ma ancora stranieri a causa di leggi miopi e discriminatorie”.