Human
Rights Watch
(HRW)
ha
denunciato
che
al suo direttore esecutivo
Kenneth
Roth
e alla direttrice del
Medio
Oriente
Sarah
Leah
Whitson
è
stato
vietato
di entrare
in
Egitto,
dove
avrebbero dovuto
riferire
sulla
sanguinosa
repressione
dei
sostenitori
del
presidente
islamista
Mohamed
Morsi,
avvenuta il 14 agosto del 2013: il visto è stato negato per “motivi
di sicurezza”. Ma Kenneth Roth aveva scritto il giorno prima in un
tweet “Il
risultato
del
massacro
di
Rabaa
è
paragonabile a quello di Piazza
Tiananmen
in Cina e a quello di
Andijan,
in Uzbekistan”. Non ci sono ancora numeri certi ma le stime più
attendibili parlano di 1.400
uccisi
tra i sostenitori dei Fratelli Musulmani nei raduni
di
Rabaa
al-Nahda
Adawiya,
e di oltre
16.000 imprigionati molti dei quali condannati
a
morte in
processi
di massa
definiti
dalle
Nazioni Unite come
“senza
precedenti
nella
storia
recente”.

"...Non si potrà avere un globo pulito se gli uomini sporchi restano impuniti. E' un ideale che agli scettici potrà sembrare utopico, ma è su ideali come questo che la civiltà umana ha finora progredito (per quello che poteva). Morte le ideologie che hanno funestato il Novecento, la realizzazione di una giustizia più giusta distribuita agli abitanti di questa Terra è un sogno al quale vale la pena dedicare il nostro stato di veglia".
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martedì 2 settembre 2014
venerdì 22 agosto 2014
Su carceri e tortura
Ringraziamo Patrizio Gonnella che ci permette di pubblicare questo suo testo già uscito sul suo blog di Micromega.
Nel 1948 è stata firmata solennemente da tutti gli Stati la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo L’articolo 5 afferma che: «Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti». Il termine ricompare all’articolo 3 delle quattro convenzioni di Ginevra del 1949 sul trattamento dei prigionieri di guerra, cuore del diritto umanitario post-bellico. Il divieto è assoluto essendo assoluta la intangibilità della dignità umana.
Assolutezza ribadita dal Patto sui diritti civili e politici del 1966 delle Nazioni Unite il cui articolo 7 afferma che: «nessuno può essere sottoposto alla tortura, né a punizioni o trattamenti crudeli o degradanti, in particolare, nessuno può essere sottoposto, senza il suo libero consenso, a un esperimento medico e scientifico». Il successivo articolo 10 a sua volta afferma che: «Tutte le persone private della libertà devono essere trattate umanamente e con il rispetto dovuto alla dignità inerente all’essere umano».
Nel 1975 sempre in sede Onu viene promulgata la Dichiarazione sulla protezione di tutte le persone contro la tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti. All’articolo 2 si afferma perentoriamente che tutti gli atti di tortura costituiscono una offesa alla dignità umana. All’articolo 7 gli Stati membri dell’Onu sono invitati a prevedere al loro interno il delitto specifico di tortura. Una Dichiarazione nel diritto internazionale, però, è un atto privo di effetti vincolanti. Implica per gli Stati solo una doverosità morale.
Nel 1984 viene adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti inumani, crudeli o degradanti. In questo caso la Convenzione, essendo un Trattato, vincola chi vi aderisce. E questo Trattato vincola ben 151 Paesi, quasi tutto il globo. L’articolo 1 della Convenzione del 1984 così definisce la tortura: «Ai fini della presente Convenzione, il termine ‘tortura’ designa qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad esse inerenti o da esse provocate».
La tortura così come definita in sede Onu si compone dei seguenti quattro elementi: l’inflizione di una acuta sofferenza fisica e/o psichica, la responsabilità diretta di un funzionario dell’apparato pubblico, la non liceità della sanzione, la intenzionalità. E’ questa l’unica definizione di tortura universalmente riconosciuta.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dà vita negli anni 1993 e 1994 al Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia (TPIJ) e al Tribunale penale internazionale per il Ruanda (TPIR). Il contributo delle Corti ad hoc è stato comunque significativo per segnare la universalità della proibizione della tortura e la sua cogenza. La norma che vieta la tortura è ritenuta disposizione di natura consuetudinaria con radici lontane nel tempo e diffuse nello spazio. Nel caso Furundzija il TPIJ, proprio partendo dalla considerazione che la proibizione della tortura fosse norma di ius cogens, è giunto a sostenere una responsabilità diretta dello Stato nel caso di mancato adeguamento interno agli obblighi punitivi internazionalmente imposti.
Nel 1998 a Roma viene firmato lo Statuto della Corte Penale Internazionale. Vincola gli Stati che ratificano il relativo Trattato internazionale. Non più quindi una Corte ad hoc nata per giudicare crimini avvenuti in un dato contesto geografico prima della nascita della Corte stessa, bensì un tribunale permanente posto a protezione giudiziaria universale dei diritti umani. Tra i crimini contro l’umanità che la Corte deve perseguire vi è la tortura. Nel dicembre del 2002 viene elaborato e posto alla firma degli Stati il Protocollo Opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura che prevede un meccanismo universale di controllo dei luoghi di detenzione.
Anche l’Europa vieta la tortura. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà del 1950 all’articolo 3 afferma perentoriamente che: «nessuno può essere sottoposto a tortura o a pene o trattamenti inumani o degradanti». Il successivo articolo 15 sancisce che tale norma non trova eccezione neanche in caso di guerra. (Brani tratti da un mio libro del 2012, La tortura in Italia, ed. Derive Approdi).
In Italia la tortura non è ancora un reato. È inaccettabile, grave, vergognoso. La Camera sta discutendo un testo pieno di contraddizioni approvato dal Senato. In autunno andremo sotto il giudizio del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Chissà se per allora ci sarà uno scatto di reni delle forze politiche democratiche nel nome della dignità.
Lo Stato
risponde della tortura dei suoi ufficiali se non ha il divieto nella
sua legislazione.
Nel 1998 a Roma viene firmato lo Statuto della Corte Penale Internazionale. Vincola gli Stati che ratificano il relativo Trattato internazionale. Non più quindi una Corte ad hoc nata per giudicare crimini avvenuti in un dato contesto geografico prima della nascita della Corte stessa, bensì un tribunale permanente posto a protezione giudiziaria universale dei diritti umani. Tra i crimini contro l’umanità che la Corte deve perseguire vi è la tortura. Nel dicembre del 2002 viene elaborato e posto alla firma degli Stati il Protocollo Opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura che prevede un meccanismo universale di controllo dei luoghi di detenzione.
Nel 1998 a Roma viene firmato lo Statuto della Corte Penale Internazionale. Vincola gli Stati che ratificano il relativo Trattato internazionale. Non più quindi una Corte ad hoc nata per giudicare crimini avvenuti in un dato contesto geografico prima della nascita della Corte stessa, bensì un tribunale permanente posto a protezione giudiziaria universale dei diritti umani. Tra i crimini contro l’umanità che la Corte deve perseguire vi è la tortura. Nel dicembre del 2002 viene elaborato e posto alla firma degli Stati il Protocollo Opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura che prevede un meccanismo universale di controllo dei luoghi di detenzione.
Anche l’Europa vieta la tortura. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà del 1950 all’articolo 3 afferma perentoriamente che: «nessuno può essere sottoposto a tortura o a pene o trattamenti inumani o degradanti». Il successivo articolo 15 sancisce che tale norma non trova eccezione neanche in caso di guerra. (Brani tratti da un mio libro del 2012, La tortura in Italia, ed. Derive Approdi).
In Italia la tortura non è ancora un reato. È inaccettabile, grave, vergognoso. La Camera sta discutendo un testo pieno di contraddizioni approvato dal Senato. In autunno andremo sotto il giudizio del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Chissà se per allora ci sarà uno scatto di reni delle forze politiche democratiche nel nome della dignità.
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giovedì 7 agosto 2014
Convenzione per l'istituzione della Corte penale internazionale e altro
Cari lettori, su www.change.org è possibile firmare la petizione (e la lettera) che potete leggere qui di seguito. Noi dell'Associazione per i Diritti Umani lo abbiamo fatto. Fatela girare, grazie.
Gentile Presidente Renzi,
nel Suo discorso post primarie del dicembre 2013 Lei ha ricordato le tragedie del Rwanda e di Srebrenica. Ne fui colpito, positivamente, perché finalmente un politico italiano dava importanza a quei fatti sempre lasciati ai margini delle cronache. Ma ricordare quelle tragedie ha delle conseguenze, quale il riconoscere il valore della giustizia. Per noi italiani, la giustizia internazionale è davvero molto importante. È stato il nostro Paese, nel 1998, a ospitare la convenzione per l'istituzione della Corte penale internazionale. In quell'occasione fu ribadito che nulla, neppure durante una guerra, può giustificare l'uccisione deliberata o indiscriminata di civili. Anche per questo motivo, credo Lei debba impegnarsi per riaffermare la giustizia internazionale. Le chiedo quindi se ha intenzione di convocare i rappresentanti diplomatici di Israele, Palestina e Siria, e chieder loro cosa stanno facendo per portare di fronte alla giustizia i responsabili di bombardamenti che hanno causato la morte di donne, bambini, malati. E, in mancanza di risposte convincenti, Le chiedo se è disposto a trarne le conseguenze politiche, cioè a protestare con decisione, richiamando – laddove ci sono – i nostri ambasciatori ed espellendo i rappresentanti di Paesi che non intendono perseguire i responsabili di crimini odiosi come l'uccisione di bambini. Può darsi che Lei non sia d'accordo, può darsi che, come tanti rappresentanti del governo italiano che l'hanno preceduta, Lei ritenga che la diplomazia debba muoversi in altri modi. Nel caso, però, La pregherei di evitare in futuro di riferirsi ancora alle vicende del Rwanda e di Srebrenica. Perché prima di condannare il solito immobilismo delle Nazioni Unite, credo sarebbe opportuno pensare alle proprie responsabilità.
1. Daniele Scaglione, scrittore
2. Ascanio Celestini, attore
3. Luca Leone, scrittore
4. Laura Caputo, giornalista
5. Maria Cecilia Castagna, editore
6. Laura Silvia Battaglia, giornalista
7. Isa Ferraguti, già senatrice X Legislatura
8. Enzo Barnabà, scrittore
9. Nadia Ravioli, cittadina
10. Silvia Gaiba, architetto del Ministero Beni Culturali e Ambientali
11. Rocco Cipriano, grafico
12. Marco Mainardi, giornalista
13. Gioacchino Allasia, maestro di Shiatsu e Craniosacrale
14. Michela Iorio, giornalista
15. Roberto Di Giovanbattista, operatore culturale
16. Sandro Ferri, editore
17. Silvia Fabbi, giornalista
18. Stefano Landucci, consigliere comunale di Pisa
19. Maria Frega, sociologa
20. Massimo Ceresa, scrittore
21. Françoise Kankindi, presidente di Bene Rwanda
22. Maurizio Dell’Orso, promotore culturale
23. Stefania Sarallo, giornalista
24. Ada Scalchi, ex sindaco di Albano Laziale (RM)
25. Silvia Cavicchioli, storica
26. Edoardo Montenegro, blogger
27. Giovanni Verga, giornalista
28. Elisabetta Falcioni, editor
29. Matteo Pagliani, cooperante
30. Marina Scaglione, insegnante
A:
Matteo Renzi, Presidente del Consiglio
Matteo Renzi, Presidente del Consiglio
Palestina,
Rwanda, Srebrenica: appello per la giustizia internazionale
Gentile Presidente Renzi,
nel Suo discorso post primarie del dicembre 2013 Lei ha ricordato le tragedie del Rwanda e di Srebrenica. Ne fui colpito, positivamente, perché finalmente un politico italiano dava importanza a quei fatti sempre lasciati ai margini delle cronache. Ma ricordare quelle tragedie ha delle...
Gentile Presidente Renzi,
nel Suo discorso post primarie del dicembre 2013 Lei ha ricordato le tragedie del Rwanda e di Srebrenica. Ne fui colpito, positivamente, perché finalmente un politico italiano dava importanza a quei fatti sempre lasciati ai margini delle cronache. Ma ricordare quelle tragedie ha delle...
Palestina, Rwanda, Srebrenica: appello per la giustizia internazionale
Gentile Presidente Renzi,
nel Suo discorso post primarie del dicembre 2013 Lei ha ricordato le tragedie del Rwanda e di Srebrenica. Ne fui colpito, positivamente, perché finalmente un politico italiano dava importanza a quei fatti sempre lasciati ai margini delle cronache. Ma ricordare quelle tragedie ha delle conseguenze, quale il riconoscere il valore della giustizia. Per noi italiani, la giustizia internazionale è davvero molto importante. È stato il nostro Paese, nel 1998, a ospitare la convenzione per l'istituzione della Corte penale internazionale. In quell'occasione fu ribadito che nulla, neppure durante una guerra, può giustificare l'uccisione deliberata o indiscriminata di civili. Anche per questo motivo, credo Lei debba impegnarsi per riaffermare la giustizia internazionale. Le chiedo quindi se ha intenzione di convocare i rappresentanti diplomatici di Israele, Palestina e Siria, e chieder loro cosa stanno facendo per portare di fronte alla giustizia i responsabili di bombardamenti che hanno causato la morte di donne, bambini, malati. E, in mancanza di risposte convincenti, Le chiedo se è disposto a trarne le conseguenze politiche, cioè a protestare con decisione, richiamando – laddove ci sono – i nostri ambasciatori ed espellendo i rappresentanti di Paesi che non intendono perseguire i responsabili di crimini odiosi come l'uccisione di bambini. Può darsi che Lei non sia d'accordo, può darsi che, come tanti rappresentanti del governo italiano che l'hanno preceduta, Lei ritenga che la diplomazia debba muoversi in altri modi. Nel caso, però, La pregherei di evitare in futuro di riferirsi ancora alle vicende del Rwanda e di Srebrenica. Perché prima di condannare il solito immobilismo delle Nazioni Unite, credo sarebbe opportuno pensare alle proprie responsabilità.
Cordiali saluti,
[Il tuo nome]
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vittime
sabato 27 aprile 2013
Iraq dieci anni dopo
Laura
Silvia Battaglia lavora per la redazione esteri del
quotidiano Avvenire.
Come freelance collabora
con il settimanale Terre
di Mezzo, con
l’agenzia Redattore
Sociale,
con i network radiofonici Radio
Popolare e Radio
In Blu,
e con RAI
News. È caporedattore del sito www.assaman.info,
rivolto ai migranti senegalesi. Da alcuni anni si dedica al reportage
in zone di confine e di conflitto etnico o religioso (Libano, Israele
e Palestina, Gaza, Afghanistan, Kosovo, Serbia), e cerca di
raccontare l’altro attraverso la scrittura, i suoni, le immagini.
Il suo ultimo documentario si intitola Unknown
Iraq:
Il
20 marzo 2003 gli Stati Uniti occupavano l’Iraq con l’operazione
militare “Iraqi Freedom”. Da allora sono passati dieci anni.
Dieci anni di guerra in
nome del terrorismo e della democrazia. Dieci anni di odio e di caos.
Oggi l’Iraq è il quinto Paese più corrotto al mondo ed è il più
corrotto in assoluto in Medio Oriente.
Il
documentario andrà in onda questa sera, sabato 27 aprile 2013, alle
00.45 per “Agenda del Mondo”, TG3.
Abbiamo
rivolto alcune domande a Laura Silvia Battaglia
Quando
si è recata in Iraq e come si è mossa all'interno del Paese?
Mi sono
recata in Iraq in tre riprese diverse prima su Baghdad, poi su
Bassora, poi sul Kurdistan iracheno e sempre via aerea. Questo per
superare sia i problemi di sicurezza legati ai viaggi di lunga
percorrenza su strada, sia per aggirare problemi di visto. Di fatto
l'Iraq non è più un unico Paese ma una federazione dove la mano
sinistra non sa quel che fa la destra. Un visto rilasciato da una
regione, da un governatorato del Sud, ad esempio, non può valere per
la capitale o per il Nord. Il Kurdistan, poi, è uno Stato nello
Stato. Per quanto riguarda i movimenti su strada, ci sono diverse
precauzioni di sicurezza da prendere. Baghdad certamente ha dei
livelli di pericolosità maggiori, a causa degli attacchi bomba
frequenti ma soprattutto a causa di possibili ceck points delle
milizie. Gli occidentali possono essere degli ottimi target per
rapimenti, riscatti, rappresaglie. Muoversi in taxi è decisamente
pericoloso. Però, se vivi con le persone del posto, se non alloggi
nella Green zone di Baghdad, se ti rechi al mercato come un cittadino
qualunque - nel mio caso il mio volto e il modo in cui mi abbiglio mi
aiutano nell'impresa - muoversi senza essere un target, nei limiti di
quello che anche il destino ha scelto per te, è possibile.
Quali
categorie di persone ha intervistato? Ad esempio, persone comuni,
artisti, intellettuali e qual è il sentimento comune a dieci anni
dal conflitto?
Ho
intervistato solo persone comuni, posto che ho parlato anche con
politici locali e con un ministro ma il loro punto di vista mi è
servito per comprendere altri livelli di ragionamento legati ad
interessi di parte, da parte appunto di chi governa. Ci sono due
sentimenti prevalenti: la disfatta e la revanche. La disfatta è
comune nelle persone che superano i 50 anni, unita alla convinzione
che mai, mai più, l'Iraq tornerà ad essere ciò che era stato prima
dei tempi di Saddam: un Paese modello di cultura e di sviluppo
nell'area del Mashreq con la migliore università del Medio Oriente.
Il secondo sentimento prevalente è la revanche, molto comune e
diffusa tra i giovani ventenni. Ragazzi a cui non è stato possibile
avere un'infanzia, una famiglia, un passato e che non possono
sopportare l'idea di non potersi giocare il futuro. Si battono per la
pace, per un lavoro, l'istruzione, la salute: tutti diritti garantiti
nella forma dalla costituzione ma nella sostanza ancora negati.
Chi si
sta occupando della ricostruzione del Paese e in che modo?
Quanto
sarebbe importante attivare campagne per favorire l'istruzione dei
giovani e magari anche delle donne?
Non
"sarebbe" importante ma "è" importante. Il punto
non è attivare le campagne, cosa che è già stata fatta. Il punto è
fare in modo che vengano promosse, accettate, spinte dai forum
sociali locali. Dopo questo passo, che ha tra le sue più importanti
sostenitrici donne, attiviste e sindacaliste del calibro di Hanaa
Edwar, coordinatrice dell'ong irachena Al Amal, è
necessario che il governo recepisca questo tipo di imput. Può un
governo che si dice democratico consentire ancora il delitto d'onore
o accettare, per tradizione, il matrimonio di minori intorno ai 12-13
anni d'età? E' quello che succede ancora in alcune zone del Paese.
Il mondo
italiano dell'informazione si è un po' dimenticato dell'Iraq e delle
conseguenze della guerra e della rivoluzione?
L'informazione
sugli esteri in Italia è una sconosciuta, oggi più che mai.
Probabilmente è colpa dell'assenza di una vera politica di Esteri,
dovuta al nostro passato poco o per nulla coloniale, a cui si agiunge
oggi la crisi dei media e del mercato editoriale. Eppure siamo un
Paese chiave nel Mediterraneo e gli italiani sono attori preziosi in
contesti di dialogo e mediazione. Riguardo all'Iraq, il fatto, ad
esempio, che in questi ultimi 4 giorni ci siano stati 200 morti in
scontri settari, e che non si sia nemmeno scritta una breve; o che
nell'agosto del 2012 siano state impiccate 21 persone in un solo,
stesso giorno senza un giusto processo e sia uscito solo un
trafiletto nelle ultime pagine di 3 quotidiani, continua a confermare
una triste verità: di Iraq non si parla perché l'Iraq è l'unica,
vera, grande riserva di petrolio a cielo aperto nel Medio Oriente e
perché sono molti i giacimenti ancora non sfruttati. Secondo il
ministro del Petrolio iracheno, infatti, nel 2014 la produzione
dovrebbe raggiungere quota 6,5 milioni di barili al giorno, più del
doppio della attuale cifra di 2,7. E le previsioni più ottimistiche
parlano di 12 milioni di barili per il 2017, quasi cinque volte la
produzione attuale come sostiene lo scenario energetico profilato per
il 2030 dalla British Petroleum. Perché dunque parlare (male) di un
Paese nel quale si continuano a fare affari d'oro?
Può
anticipare chi è Usama Al – Samarai, che lei ha intervistato, e
commentare le sue parole?
Usama
Al Samarrai è il figlio di Ahmed Al Samarrai, il presidente del
Comitato Olimpico Nazionale Iracheno rapito a Baghdad il 15 luglio
del 2006 in un incontro pubblico, insieme ad altri 24 membri del
Comitato. Alcuni rapiti sono stati rilasciati dopo qualche tempo. Ma
Usama non ha mai più avuto notizie del padre. Nessuno, a distanza di
sette anni, sa se è vivo o morto.
Niran, la moglie
del presidente rapito, ha parlato dopo sei anni. Nel libro “A
homeland kidnapped” denuncia l’inefficienza del nuovo governo
iracheno, il silenzio della comunità internazionale, e ipotizza
questo scenario: il marito ha pagato la sua equidistanza da qualsiasi
partito e il suo amore per il Paese al di là delle divisioni
settarie sull'altare delle nuove elité al potere. Di questo crimine,
secondo la vedova e il figlio "sono responsabili figure
attualmente al Governo”. Da parte mia aggiungo, semplicemente, che
è molto strano non attivare nessun tipo di inchiesta o di
interrogazione parlamentare o di indagine di fronte al rapimento di
ben 24 persone da parte di un commando armato che ha fatto irruzione
in una sala conferenze pubblica a Baghdad. E' come se in Italia 20
persone irrompessero armate durante una riunione di Confindustria,
intimando ai cameraman presenti di spegnere le telecamere prima
dell'azione e rapissero 24 delegati. Provate solo a immaginarlo. Non
chiedersi il perché, non attivare nessuna azione di contrasto, non
interrogare i rilasciati, insabbiare tutto nel silenzio, a livello
locale e internazionale, equivarrebbe inevitabilmente a rendersene
complici.
UNKNOWN IRAQ TRAILER from Laura Silvia Battaglia
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Laura Silvia Battaglia |
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sabato 13 aprile 2013
Una poesia (una denuncia, uno sfogo) di Paul Polansky, insignito, nel 2004, del premio Human Rights Award
Paul
Polansky, giornalista, poeta, scrittore, fotografo e antropologo, ma
anche x pugile e giocatore di football americano. Scappa dalla guerra
in Vietnam e arriva in Spagna e girerà l'Europa, seguendo le sue
radici vichinghe: agli inizi degli anni '90 inizia un percorso di
ricerca sulle origini della propria famiglia che porterà alla luce
l'esistenza del campo di concentramento di Lety, in Repubblica Ceca;
nel 1999 viene ingaggiato dalle Nazioni Unite e inviato in Kosovo
come mediatore tra le istituzioni e i rom perseguitati e continuerà
a lottare affinché i rom, cacciati dagli estremisti albanesi,
possano uscire dai campi profughi, costruiti su terreni inquinati dal
piombo e altri metalli pesanti; nel 2004, Gunther Grass gli consegna
il premio Human Rights Award.
Attualmente
Paul Polansky vive a Nish, in Serbia dove prosegue la sua attività
nella difesa dei diritti umani anche attraverso lo strumento
audiovisivo: il suo ultimo documentario, Gipsy Blood, è
visibile su you tube ed è stato premiato al Golden Wheel
International Film Festival di Skopje.
Paul Polansky ci ha regalato la poesia (uno sfogo, una denuncia) che pubblichiamo qui di seguito.
WHY
|
PERCHE’
|
|
|
Why
|
PERCHE’
|
In
the 21st
century |
Nel
21mo secolo
|
Has
the German govt
|
Il
governo tedesco
|
Invested
|
Ha
investito
|
½
million euros
|
½
milione di euro
|
In a
Gypsy camp
|
In un campo di
zingari |
Built
on toxic wasteland
|
Costruito su
un’area abbandonata tossica |
Where
everyone is being
|
Dove
tutti muoiono avvelenati? |
poisoned?
|
|
|
|
Why
|
Perchè
|
In
the 21st
century |
Nel
21mo secolo
|
Has
the German govt
|
Il
governo tedesco
|
Deported
from Deutschland
|
Ha
espulso dalla Germania |
Kosovo
Gypsies
|
Zingari
kosovari
|
Who
end up
|
Che
sono finiti
|
In
this camp
|
In
questo campo
|
Where
every child is born
|
Dove tutti i
bambini sono nati
|
With
irreversible brain damage…
|
Con danni
cerebrali irreversibili
|
If
they live.
|
E non si sa se
sopravviveranno |
|
|
Why
|
Perchè
|
In
the 21st
century |
Nel
21mo secolo
|
Has
the German govt
|
Il
governo tedesco
|
And
their implementing partner
|
E il
suo socio
|
The
United Nations
|
Le
Nazioni Unite
|
Ignored
pleas---
|
Hanno
ignorato la supplica |
Yes,
pleas for ten years---
|
Sì, per dieci
anni hanno ignorato la supplica |
From
the World Health Organization
|
Dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità |
To
immediately evacuate and medically treat
|
Di evacuare e
curare immediatamente |
Children
and pregnant women
|
Bambini e donne in
stato interessante |
The
most vulnerable
|
I più
vulnerabili
|
Who
have the highest lead levels
|
Quelli che hanno i
più alti livelli di acetato di piombo
|
In
medical literature?
|
Nella
letteratura medica?
|
|
|
Why
|
Perchè
|
In
the 21st
century |
Nel
21mo secolo
|
Has
the German govt
|
Il
governo tedesco
|
Become
involved in a camp
|
Si
è trovato coinvolto in un campo
|
Where
almost 90 Gypsies have died
|
Dove
circa 90 zingari sono morti
|
Where
the lead poisoning has caused
|
Dove il veleno
dell’acetato di piombo ha causato
|
Hundreds
of miscarriages?
|
centinaia di
aborti? |
|
|
Why
|
PERCHE’
|
In
the 21st
century |
Nel
21mo secolo
|
Has
the German govt
|
Il
governo tedesco
|
Ignored
the pleas---
|
Ha
ignorato la supplica |
Yes,
the pleas----
|
Sì,
la supplica |
Of
the European Council’s
|
Della Commissione
Europea
|
Commissioner
for Human Rights
|
per I Diritti
Umani |
Begging
Germany
|
Che
pregava la Germania
|
Only
Germany
|
Solo
la Germania
|
Not
to deport anymore Gypsies
|
Di non espellere
più gli zingari |
Back
to Kosovo
|
E deportarli in
Kosovo |
Where
they might
|
Dove
avrebbero potuto
|
end
up
|
Finire
|
In
this deadly camp?
|
In questo campo di
morte? |
|
|
Why
|
PERCHE’
|
In
the 21st
century |
Nel
21mo secolo
|
Has
the German govt
|
Il
governo tedesco
|
Turned
a blind eye
|
Non
ha voluto
vedere |
To
the documentary films
|
I
documentari
|
Made
about this lead-poisoned camp
|
Riguardanti questo
campo avvelenato con il piombo |
By
the BBC,
|
girati dalla BBC |
Norwegian
TV, French TV,
|
dalla TV
norvegese, da quella francese |
Australian
TV
|
Dalla TV
australiana |
And
even German TV?
|
E perfino da
quella tedesca? |
|
|
Why
|
PERCHE’
|
In
the 21st
century |
Nel
21mo secolo
|
Is
the German govt---
|
Il
governo tedesco
|
This
time an elected
|
Un
governo regolarmente
eletto |
And
supposedly democratic govt---
|
E presumibilmente
un governo democratico |
Targeting
Gypsies
|
Prende di mira gli
zingari |
Threatening
Gypsies
|
Li
minaccia
|
Transporting
Gypsies
|
Li deporta |
Once
again
|
Ancora una volta |
Against
their will
|
Contro
la loro volontà
|
To a
camp
|
In un campo |
That
newspapers & magazines
|
Che
quotidiani e riviste
|
World-wide
|
Di
tutto il mondo
|
Have
called
|
Hanno
definito |
A
“death” camp?
|
Un
campo di morte?
|
|
|
WHY?
WHY? WHY? |
PERCHE’?
PERCHE’? PERCHE’? |
|
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Paul Polansky |
Paul Polansky |
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|
(Traduzione
a cura di EsseBi)
E' da
poco uscito nelle libreria italiane anche l'ultimo romanzo di Paul
Polansky, dal titolo Il pianto degli zingari, Volo
Press edizioni.
Danica
studia a Monaco ed è brava: forse diventerà un'insegnante o forse
una dottoressa. Ma una mattina d'inverno deve abbandonare tutto:
casa, scuola, amici e futuro per salire su un aereo diretto a
Pristina, insieme ad altri rom come lei.
Ritorna
l'incubo sepolto dieci anni prima quando suo padre aveva gridato
“Avna o nemcoja”: “Arrivano i tedeschi!”: era il giugno del
1999, ma quelle parole riportavano alla mente i ricordi del nonno e
della seconda guerra mondiale, con le sue atrocità. Nel '99, invece,
erano stati i vicini di casa albanesi a cacciare di casa lei (che
all'epoca aveva sette anni) e la sua famiglia.
Danica
adesso è più adulta e più consapevole e si chiede: ma non sono
tedesca? Studio in Germania, ho vinto anche una borsa di studio, ho
creato dei legami...Un racconto in versi, il punto di vista di
un'adolescente per parlare di dignità umana, di rispetto, di
cittadinanza, di inclusione, con una sensibilità e un'attenzione
particolare alla tutela dei diritti dei minori.
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venerdì 25 gennaio 2013
Ferite a morte: il teatro per riflettere sulla violenza contro le donne
La violenza sulle donne è divenato, purtroppo, un fenomeno vastissimo all'estero (come in Messico, ad esempio) e anche in Italia, come conferma la cronaca quotidiana.
Maura Misiti - demografa al Cnr - sostiene che nel nostro Paese: " nonostante il lavoro dell'Istat sulla violenza femminile, è impossibile sapere quante donne vengano realmente uccise in quanto donne, perchè l'unica fonte che abbiamo sono solo le notizie di conaca. una base assolutamente non scientifica...Non c'è ancora un'aggravante specifica e le istituzioni, come le forze dell'ordine, non sono abbastanza sensibilizzate sul tema".
Le Nazioni Unite hanno ripreso l'Italia, stigmatizzando proprio l'indifferenza istituzionale al fenomeno. E il Comitato CEDAW ha stilato un rapporto in cui si registra la scarsa attenzione ai centri antiviolenza che operano sul territorio, il persistere di una rappresentazione stereotipata e svilente delle donne e un'informazione che racconta in maniera obsoleta e superficiale la violenza che subiscono.
Dallo scorso mese di novembre - con debutto a Palermo - Serena Dandini porta sulla scena dei teatri italiani uno spettacolo intitolato Ferite a morte, scritto proprio in collaborazione con la Dott.ssa Maura Misiti e che diventerà un libro, edito da Rizzoli.
Mogli, ex fidanzate, compagne, amanti che non ci sono più, raccontano la propria storia attraverso le voci di alcune di altre donne: scrittrici, giornaliste, donne dello spettacolo e della politica. Angela Finocchiaro, Lella Costa, Geppi Cuccciari, Lorella zanardo, Concita De Gregorio, per citarne solo alcune.
La violenza sulle donne - ha spiegato la Dandini - "è un fenomeno trasversale che colpisce non solo il sud, ma anche il nord, la borghesia e i ceti medi, la destra e la sinistra. Anche gli uomini devono fare un'esame di coscienza perchè solo insieme ne potremo uscire".
Per questo, un altro importante obiettivo che si pone lo spettacolo, è quello di fare una campagna di sensibilizzazione sull'argomento anche nelle scuole.
Per chi volesse seguire lo spettacolo, aderire all'iniziativa, avere altre informazioni: si può consultare anche il sito dell'associazione Noi no : www.noino.org
Oppure si può aderire alla Convenzione "NO MORE!".
Maura Misiti - demografa al Cnr - sostiene che nel nostro Paese: " nonostante il lavoro dell'Istat sulla violenza femminile, è impossibile sapere quante donne vengano realmente uccise in quanto donne, perchè l'unica fonte che abbiamo sono solo le notizie di conaca. una base assolutamente non scientifica...Non c'è ancora un'aggravante specifica e le istituzioni, come le forze dell'ordine, non sono abbastanza sensibilizzate sul tema".
Le Nazioni Unite hanno ripreso l'Italia, stigmatizzando proprio l'indifferenza istituzionale al fenomeno. E il Comitato CEDAW ha stilato un rapporto in cui si registra la scarsa attenzione ai centri antiviolenza che operano sul territorio, il persistere di una rappresentazione stereotipata e svilente delle donne e un'informazione che racconta in maniera obsoleta e superficiale la violenza che subiscono.
Dallo scorso mese di novembre - con debutto a Palermo - Serena Dandini porta sulla scena dei teatri italiani uno spettacolo intitolato Ferite a morte, scritto proprio in collaborazione con la Dott.ssa Maura Misiti e che diventerà un libro, edito da Rizzoli.
Mogli, ex fidanzate, compagne, amanti che non ci sono più, raccontano la propria storia attraverso le voci di alcune di altre donne: scrittrici, giornaliste, donne dello spettacolo e della politica. Angela Finocchiaro, Lella Costa, Geppi Cuccciari, Lorella zanardo, Concita De Gregorio, per citarne solo alcune.
La violenza sulle donne - ha spiegato la Dandini - "è un fenomeno trasversale che colpisce non solo il sud, ma anche il nord, la borghesia e i ceti medi, la destra e la sinistra. Anche gli uomini devono fare un'esame di coscienza perchè solo insieme ne potremo uscire".
Per questo, un altro importante obiettivo che si pone lo spettacolo, è quello di fare una campagna di sensibilizzazione sull'argomento anche nelle scuole.
Per chi volesse seguire lo spettacolo, aderire all'iniziativa, avere altre informazioni: si può consultare anche il sito dell'associazione Noi no : www.noino.org
Oppure si può aderire alla Convenzione "NO MORE!".
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