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venerdì 16 ottobre 2015

Donne arabe e prostituzione: il film MUCH LOVED rompe il tabù








Noha, Soukaina, Randa e Halima: nomi di donne, di donne marocchine. Cala la notte e loro iniziano a lavorare: nell'oscurità possono confondersi con le ombre di una vita clandestina, quella delle prostitute. Le quattro giovani donne, infatti – belle e spregiudicate – hanno scelto di fare il mestiere più antico del mondo per essere o sentirsi libere. Forse.

Una scelta che, in fondo, non è mai una vera decisione libera, neanche per le donne occidentali. E' una scelta, purtroppo, spesso obbligata, accettata con la violenza o per disperazione. Nel caso delle protagoniste del film Much loved – film del regista di origini tunisine Nabil Ayouch, vincitore della Palma d'oro all'ultimo festival di Cannes e nelle sale italiane in questo periodola scelta è apparentemente libera: i moralisti potrebbero dire: “Sì, ma potevano decidere di fare un altro mestiere” e potrebbe essere vero; ma esasperate da una società patriarcale e maschilista, spesso molestate verbalmente e fisicamente, soggette alle prese di posizione, culturali o religiose, da parte di persone altre, queste ragazze passano alla provocazione più grande: vendere il proprio corpo. Quel corpo spesso maltrattato, usato, imprigionato, qui diventa di “proprietà” solo dell'individuo, della donna. E qui sta l'originalità di questa storia, perchè si tratta di un racconto di una forma di emancipazione (i temi hanno già fatto del back ground culturale e sociale dell'Occidente) in un Paese magrebino. E' l'occasione per mostrare il comportamento abbietto degli uomini: viscidi clienti o poliziotti corrotti, da cui emerge un tratto dell'intera società poco edificante. “Mentono tutte, puttane e sante. Le nostre sono come la carne sui questi piatti. Morte”, afferma un cliente saudita e questa frase fa intuire anche quanto il linguaggio, femminile e maschile, sia crudo e diretto: gesti e parole non fanno sconti nel denunciare un aspetto nascosto e misero dietro alle luci sfavillanti della bellissima Marrakesh. La città, infatti, si mostra come le sue prostitute: affascinate, profumata e capace di regalare sogni e piacere, ma dietro al bel vestito si cela la malinconia.      


Sulla carta il Marocco ha una Costitituzione che vieta, nel nuovo diritto di famiglia, le nozze forzate , la poligamia e impedisce il matrimonio fino al compimento dei 18 anni: sulla carta, perchè nelle zone rurali e nei villaggi, la situazione culturale è ancora molto arretrata e vigono le leggi della tradizione, che penalizzano le donne, le ragazze e le bambine.

Noha, Soukaina, Randa e Halima sono costrette anche a strisciare per raccogliere il denaro gettato per terra dai clienti; sono state ripudiate dalle famiglie; vivono la solitudine e l'impotenza di chi è entrato in un circolo chiuso da cui è impossibile uscire. Solo loro quattro e, unite, finiranno per costituire una piccola famiglia perchè condividono la mancanza di amore.

Il film è stato censurato in Marocco, ma ha diviso ugualmente l'opinione pubblica. Il regista, per un certo periodo, ha dovuto vivere sotto scorta. Noi non vogliamo condizionare gli spettatori per cui ci limitiamo a consigliarne la visione per continuare il dibattito sul tema.
 
 
 
 

mercoledì 4 febbraio 2015

La beduina Rafea Um Gomar, prima ingegnere solare di Giordania


di Monica Macchi




Nata e cresciuta in una comunità beduina del deserto orientale del Regno di Giordania, ha sfidato i ruoli di genere diventando la prima ingegnere solare del suo Paese e la prima consigliera comunale a Manshiat Al-Ghayath, una zona isolata a circa 260 chilometri dalla capitale Amman. Insieme con la compagna di studi e collega Sahia Um Badr, ha creato 80 impianti solari che non solo hanno illuminato l’intero villaggio ma hanno anche stimolato il ruolo delle donne nell'economia locale, riducendo povertà e dipendenza; il loro prossimo progetto è aprire un centro per formare donne provenienti da altri villaggi e forse addirittura da altri Stati.

Ma la storia di Rafea ha anche rotto il tabù sociale in base al quale in una comunità rurale beduina, le donne non hanno alcun ruolo da potersi ritagliare se non stare a casa a prendersi cura di marito e bambini. E anche lei sembrava destinata a percorrere la stessa strada: sposata a 15 anni per la prima volta e divorziata dopo solo un anno, torna a stare dai genitori per un anno e mezzo dopo di che si è sposata con il suo secondo marito, diventando la sua terza moglie e avendo quattro figli. La sua vita è cambiata quando, con il supporto di UN Women ha avuto la possibilità di frequentare il Barefoot College in India, dove donne, spesso con poca o nessuna istruzione, arrivano da tutto il mondo per diventare ingegneri solari. E in tutte le interviste rilasciate, ripete che “Il messaggio più importante che posso lanciare a tutti i giovani è che l’istruzione è la cosa più importante nella vita”. Ma Rafea ha anche ricevuto un altro supporto fondamentale quello del padre, un leader tribale di alto rango del villaggio. Se infatti da un lato il marito ha ripetutamente minacciato di portarle via i figli se non avesse aderito ai costumi culturali tradizionali, il padre, anche se titubante all’inizio, ha sostenuto pubblicamente di fronte all’intera comunità le aspirazioni della figlia.

Ennesima conferma dell’importanza del ruolo e del sostegno degli uomini nell’emancipazione femminile.


giovedì 23 ottobre 2014

Il caffè delle donne


Pubblichiamo questa recensione di Raffaele Taddeo (già sulla rivista on-line El Ghibli) che ci presenta il libro intitolato Il caffè delle donne, edito da Mondadori, di Widad Tamimi.




Il romanzo di Widad Tamimi si presta o molteplici piani di lettura. E’ un libro inteso in cui sono presenti molte più problematiche di quelle che forse sono percepibili ad una prima lettura. Spesso il senso ultimo di un romanzo si ricava da descrizioni, comunicazioni del narratore veicolate dai personaggi, in questo caso molti sensi e significati si ricavano con altri strumenti. Il testo per essere compreso fino in fondo deve essere sezionato mediante macro sequenze, la loro successione e giungere così significato che da questa analisi se ne può ricavare.

Una tematica peraltro molto implicita che è possibile rintracciare in più parti è il confronto fra mondo occidentale e mondo arabo. L’attenzione del narratore si accentua molto nel sottolineare che accanto alla diversità fra una cultura e un’altra vi è comunque una complementarietà, vi è comunque un cammino che si sviluppa secondo modi e ritmi diversi, ma entrambi pieni di senso e di valori. “Qamar – dice Leila, cugina di Qamar – non sono mai stata in Occidente, ma non credo che queste cose vadano tanto diversamente. Un uomo e una donna si incontrano e vibrano per un po’, poi si conoscono, si accettano e camminano a lungo l’uno a fianco dell’altra. I problemi stanno ovunque”. Nell’essenza, nella quotidianità, nella vita concreta di ogni giorno, tutto il mondo è paese diremmo noi, e non ci sono differenze fra una cultura ed un’altra.
La protagonista ritrova in sé elementi di arabità che si coniugano assieme alla sua cultura e modalità di vita di donna occidentale. “Ora mi rassicuro che Giacomo indossi la camicia ben stirata, lo inseguo per casa con un rotolo appiccicato per togliere i pelucchi dal suo abito, gli preparo il pranzo al sacco per paura che non mangi. Tracce di un’arabità vissuta in modo del tutto originale, sempre in conflitto con l’emancipazione della donna occidentale, cresciuta a ritmo di marce femministe”.
Tuttavia quasi in netto contrasto con questi intenti conciliativi si sviluppa la storia d’amore fra Qamar e suo cugino Yousef. I due hanno giocato insieme da piccoli, hanno scherzato, riso, e poi arriva il momento dell’adolescenza e Qamar nell’ultima estate che trascorre ad Amman si innamora del cugino. Anche questi è innamorato di lei. Si preannuncia una storia d’amore, che, interrotta da eventi e tempo, sembra ad un certo momento possa riprendere con pieno vigore, quando Yousef, ormai adulto e Iman, arriva in Italia per una serie di conferenze sulla cultura islamica. Questo amore però viene frustrato per il secco rifiuto da parte di Yousef di riprendere anche minimamente una traccia di confidenza e dar adito ad una infinitesima possibilità di riprendere la storia d’amore. Emerge l’impossibilità dell’amore. Sul piano narrativo la storia affettiva fra Yousef e Qamar ha un esito totalmente negativo.
Il senso di questo elemento narrativo è indizio dell’impossibilità di un incontro, di uno sposalizio fra i due mondi culturali, quello arabo e quello occidentale. Proprio il fatto che l’amore nato fra i due non arrivi a concludersi positivamente pone di fatto l’affermazione implicita della incommensurabilità fra le due culture.
Sono indifferenti gli elementi narrativi che sostengono l’impossibilità della perpetuazione dell’amore fra Yousef e Qamar, il dato più significativo e determinante ai fini della comprensione del significato del romanzo è proprio la mancanza della continuazione del rapporto d’amore fra i due.
Strettamente connesso a questo tema vi è quello della dialettica fra mondo della fanciullezza e quello della maturità.
Il romanzo, penso volutamente, pone in strutture parallele l’evoluzione della crescita e del rapporto che Qamar ha col mondo arabo da bambina, con quello del rapporto da adulta con Giacomo, suo convivente e successivamente marito, con il quale cerca di dar luogo ad una generazione nuova, cioè ad avere un figlio, che poi perderà prima che possa nascere e diventerà l’elemento di crisi della protagonista.
Il parallelismo, però poi si risolve in una dialettica fra il tempo della fanciullezza- adolescenza e quello della maturità, della vita adulta. Il primo che è fatto di giochi, di piccole trasgressioni, di sapori, di profumi, di sole, di polvere, si svolge ad Amman e viene contrapposto ad una vita da fanciulla in occidente piena di regole e sotto molti aspetti costrittiva; il secondo fatto di sogni frustrati, di paure, di angosce, di incapacità di riconoscersi, di continue domande, di contorsioni psicologiche.
E’ una dialettica fra i due tempi, e fin qui siamo nella normalità della vita, dell’esistenza dell’uomo, ma poi se si va a riflettere attentamente si constata che il tempo libero della fanciullezza-adolescenza è descritto in uno spazio e quello della maturità in un altro spazio; il primo in una certa cultura e il secondo in un’altra. Allora la dialettica ancora una volta si stabilisce fra i due mondi culturali che confliggono fra di loro, conflitto che viene impersonato da Qamar, la quale per cercare di ritrovare se stessa ha bisogno, adulta, di rimmergersi nel mondo, nello spazio che l’ha vista crescere da bambina. Non avviene una sintesi, perché ancora una volta Qamar decide di riconquistare Giacomo, da cui s’era momentaneamente separata e ritornare allo spazio dell’Occidente. Ancora una volta è la descrizione narrativa ad affermare l’impossibilità di coesistenza fra i due mondi.
Oltre tutto la arabità è strettamente connessa a sogno, a libertà, a giochi, a cibo, sapori, mentre l’occidentalità, pur nella sua emancipazione, è intessuto di regole, di logica, anche se piena di libertà personale, dal muoversi, al vestirsi, al rapportarsi agli altri.
L’impossibilità di una sintesi, ancora sul piano narrativo viene accentuato dall’esito della storia di Aymad.
Questi è figlio piccolo di Leila cugina di Qamar. E’ l’unico maschio avuto dopo molte femmine. Qamar, entra in un rapporto affettivo intenso con lui quando ritorna ad Amman. Leila le fa la proposta di condurlo con sé in Europa per dargli una possibilità di futuro migliore, certamente negato in Giordania date le condizioni economiche della famiglia e di un rapporto difficile con il padre. A Qamar non sembra vero, anche se decide di rinunciare momentaneamente perché è sola e non si sente sicura di poter curare questo ragazzetto.
Una volta sposatosi con Giacomo e condotto quest’ultimo ad Amman perché conosca la famiglia che era stata così importante nella sua crescita, si pone veramente il problema se portar via il ragazzetto in Europa o lasciarlo alla famiglia. Decidono di lasciarlo ad Amman dalla famiglia e di aiutarlo economicamente negli studi.
Indipendentemente ancora dalle ragioni, dalle logiche, dai sentimenti che non permettono che si realizzi il trasferimento di Aymad in Europa, il fatto narrativo denota ancora una volta l’impossibilità di una conciliazione fra i due mondi, che devono procedere separati nel loro percorso e nel loro destino.
Aymad rappresenta emblematicamente la possibilità concreta di meticciare le due culture. L’esito della vicenda nega ogni possibilità di questo genere.
Altri piani di lettura sono possibili come ad esempio, il rapporto d’amore fra Qamar e Giacomo, tutto giocato all’interno della cultura occidentale, ma proprio per questo risoltosi positivamente.
Poi ancora quello della ricerca del figlio, naturale dapprima, ma poi adottivo forse. Ma ce ne possono essere ancora altri come il rapporto fra la protagonista e la madre, quello di Qamar col territorio della metropoli giordana.
Sul piano strutturale per buona metà del libro si assiste ad una sorta di conduzione parallela e binaria, con tempi sfasati, quello delle sue vacanze ad Amman e l’altro di vita con Giacomo e della gravidanza, trasformatosi poi in aborto. Sono posti in parallelo due maturazioni, la prima che sfocia nella frattura della vita di vacanze di Qamar che non ritornerà più per molti anni in Giordania, la seconda che sfocerà nella rottura con Giacomo. Due storie parallele in due spazi diversi, ancora una volta in una sorta di dialettica osservazione, entrambe concluse con fratture e rotture. Ma mentre la prima non porterà a riconciliazione, la seconda invece si risolverà positivamente.
Anche quindi sul piano strutturale, la dicotomia Occidente-mondo arabo continua ad esistere.
La cornice del romanzo è dato dalla ritualità del caffè, tutta femminile e corale, nonchè dai sensi nascosti che essa veicola, dalla possibilità di una predizione. E qui siamo in totale immersione del mondo arabo e islamico perché la realtà sembra quasi già precostituita, l’uomo non farebbe altro che seguire quanto il destino, o meglio Allah, ha già scritto per ciascuno di noi.
E’ indicativo il fatto che il libro si chiude con queste parole: Bismillah arrahman arrahim” che vogliono dire “Nel nome di Allah, Clemente Misericordioso”.
Mi pare che i testi, di qualunque natura siano, prodotti nel mondo islamico in special modo dagli osservanti, dai più pii, partano ancora oggi da un’invocazione ad Allah. Ciò avveniva anche nel mondo occidentale fino all’epoca rinascimentale, quando si ebbe la rottura e totale emancipazione dell’uomo rispetto alla divinità.
La chiusura del romanzo rimarcherebbe con più intensità le tracce di arabismo in questo caso di islamismo presenti nel testo, contraddette però dalle strutture narrative.
Gli elementi di dialettica interna, di contraddizioni e contrasti fanno del romanzo di Widad Tamini un interessante e bel libro segnato anche dalla delicatezza di descrizione delle varie storie che si intrecciano.

lunedì 20 ottobre 2014

Ferite di parole: la Tunisia della rivoluzione e quella di oggi


L’Associazione per i Diritti Umani presenta il libro

Ferite di Parole. Le donne arabe in rivoluzione” di Leila Ben Salah e Ivana Trevisani



22 OTTOBRE 2014 ore 19.00

Bistrò del tempo ritrovato, via Foppa 4 (MM2 Sant’Agostino), Milano

 
 
 


Alla presenza dell’autrice Ivana Trevisani, di Gihen ben Mahmoud, artista tunisina e di Monica Macchi, arabista e redattrice di Formacinema



La tesi centrale del libro è lo spostamento del materno dalla dimensione privata ad una dimensione pubblica: inizialmente le donne sono entrate nella rivoluzione come “madri di” o “mogli di” nella duplice funzione di prendersi cura di qualcuno o protestare contro le ingiustizie. Ben presto però sono passate ad essere donne in prima persona con molteplici sfaccettature: uno dei personaggi-simbolo è Umm Khaled, la madre di Khaled Said, il giovane massacrato dalla polizia ad Alessandria (una delle scintille che hanno portato allo scoppio della rivolta del 25 gennaio in Egitto) e che è stata presente a tutte le manifestazioni ed ai concerti per dar forza e sostegno ai manifestanti. Un altro è la madre di Mohamed Bouazizi, il giovane morto per essersi dato fuoco dopo l'ennesima multa-sopruso per irregolarità del suo lavoro di venditore ambulante, (una delle scintille della rivolta tunisina), che non si è costituita parte civile nel processo contro l'agente di polizia municipale che aveva multato il figlio, ritenendola capro espiatorio del regime.

Le donne sono così entrate nel dibattito sul concetto di identità e gli artisti hanno dato il loro contributo ricordando sia l’identità storica che le tante diverse componenti (copta, ebraica, greca, italiana nella Alessandria cosmopolita di Yusef Chahine) come dimostrano i murales del Cairo. Una rivoluzione non “di genere” intesa solo come questione femminile ma sostenuta e accompagnata dagli uomini. La reazione del regime ha utilizzato lo stesso strumento di sempre: la paura attraverso le molestie sessuali con la precisa funzione politico-strategica di ricacciare le donne nel privato. Un ritorno al passato che non c’è stato e non ci sarà, né in Egitto né in Tunisia. Due segnali su tutti: le manifestazioni del 13 agosto 2012 in Tunisia, contro l’articolo della Costituzione che sanciva la “complementarietà” della donna rispetto all’uomo e Samira la ragazza che ha denunciato i test di verginità in Egitto, supportata dal padre.




 

venerdì 28 marzo 2014

La carovana continua...


 


Cari lettori, continua la “Carovana dei diritti umani” !

Domenica 6 aprile, alle ore, 19.00 presso La Ligera (Via Padova 133, Milano MM Loreto) si terrà l'incontro con l'artista e scrittrice tunisina GIHEN BEN MAHMOUD che parlerà del libro intitolato “ Extra - comunitaria: Diario della Prima Vera Araba”. Durante la serata sarà proiettato anche un video...sorpresa!

Sarà l'occasione per parlare di stretta attualità, delle rivoluzioni arabe - anche con un approfondimento di Monica Macchi - ma anche di tutti noi: in particolare delle relazioni tra donne e uomini. Con ironia, con intelligenza, con serietà e con un po' di divertimento!

A seguire, pubblichiamo il volantino dell'iniziativa e il volantino con i prossimi incontri della carovana che si terranno nel mese di maggio. E, sempre nel mese di maggio, vi faremo tante altre proposte, speriamo per voi interessanti.

Vi chiediamo di partecipare numerosi, di fare passaparola per avere l'opportunità di conoscerci, di scambiarci idee, di dialogare con l'autrice e con i nostri ospiti.

Promettiamo belle serate, non troppo impegnative, ma ricche di riflessioni e di sorrisi.

 

I video dei nostri incontri, e molto altro ancora, sono disponibili anche sul canale YOUTUBE dell'Associazione per i Diritti Umani.






mercoledì 23 ottobre 2013

Continua la "carovana dei diritti"

Il nostro viaggio continua con voi e grazie a voi.
Mercoledì prossimo, 30 ottobre, alle 20.30 presso la Casa per la pace di Milano, in Via M. D'Agrate 11,  l'Associazione per i Diritti Umani continua la CAROVANA dei DIRITTI con la presentazione del libro:

FERITE di PAROLE. LE DONNE ARABE in RIVOLUZIONE. MILLE FUOCHI di VOCI, di GESTI e di STORIE di VITA.     di Leila Ben Salah e Ivana Trevisani.

Alla presenza di Ivana Trevisani, psicologa, antropologa
Noah Hassaan, traduttrice
Monica Macchi, esperta di mondo arabo e redattrice per formacinema.it


Un'altra occasione importante per approfondire temi di stretta attualità