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mercoledì 30 luglio 2014

Milano come Lampedusa?



Cari lettori abbiamo intervistato per voi Pierfrancesco Majorino - Assessore alle Politiche sociali presso il Comune di Milano - e Caterina Sarfatti - funzionario del settore Affari Internazionali - autori del dossier Milano, come Lampedusa?. Dossier sull'emergenza siriana (Novecento Editore).


Ringraziamo molto il Dott. Majorino e la Dott.ssa Sarfatti per il tempo che ci hanno dedicato.


 

Quante sono ad oggi, in percentuale, le persone che hanno richiesto asilo a Milano e quante sono riuscite a trovare una sistemazione? Qual è la percentuale tra uomini, donne e bambini?

 

Majorino: Stiamo parlando di dati complessi, comunque l'impressione che abbiamo è che stiamo parlando dello 0,1%, cioè 13-14 persone su 14500 che si fermano qui. Tutti se ne vogliono andare. In prospettiva la percentuale potrebbe modificarsi leggermente se si intensificasse la presenza degli eritrei. A differenza dei siriani - che se ne vogliono andare via tutti - gli eritrei potrebbero richiedere l'asilo qui, ma queste sono nostre supposizioni.

Per quello che riguarda la composizione di genere e generazionale, le cose cambiano molto tra siriani ed eritrei: i siriani hanno circa il 36% composto da bambini e ragazzini, gli eritrei invece sono in grande maggioranza maschi e non ci sono minori.


Dott.ssa Sarfatti, nel libro si è occupata della parte normativa: ci può spiegare, da questo punto di vista, come Milano può dare accoglienza?

 

Sarfatti: Milano può fare quello che sta facendo perchè, essendo una realtà locale, dal punto di vista normativo, purtroppo, può fare poco: in questo momento stiamo registrando in modo totalmente informale le persone, ma questa registrazione non ha alcun tipo di valore legale perchè la gestione dei flussi è del Paese ospitante o di transito, fin quando l'immigrazione è di competenza nazionale.

Una delle proposte che noi avanziamo nel gestire Milano come Lampedusa è quella di riconoscere alle città europee un ruolo che loro già esercitano de facto nell'accoglienza, ma anche nella gestione dei flussi perchè ormai le grandi metropoli sono punti nodali per il passaggio dei migranti e per l'integrazione.

Come città abbiamo richiesto di procedere a delle ipotesi normative che possano dare protezione a queste persone: l'idea più forte è la direttiva n. 55 del 2001 dell'UE che, se fosse applicata (cosa mai successa), potrebbe dare protezione immediata e temporanea ai profughi provenienti dalla Siria in tutti i 28 Paesi Membri. Oppure, come ultima spiaggia, potrebbe esserci l'applicazione dell'articolo 20 del Testo Unico: è un dispositivo nazionale che potrebbe dare protezione legale e rendere regolari queste persone per 6 mesi rinnovabili tramite un permesso temporaneo. Il governo italiano lo aveva applicato nel 2011 nel caso dei cittadini provenienti dalla Tunisia e aveva avuto una serie di complicanze a livello politico europeo, ma almeno era servito a proteggerli.



Che cosa si potrebbe fare di più e cosa possiamo fare noi cittadini milanesi?

 

Majorino: Per quello che riguarda l'azione dei cittadini, quello che si può fare concretamente è sostenere il percorso di accoglienza, partecipando da volontari, portando vestiti o materiale igienico-sanitario oppure, banalmente, parlarne.

Questo flusso di migranti in transito definisce una nuova categoria nelle politiche riguardanti la migrazione, una categoria che è stata rimossa perchè l'Europa e l'Italia si sono concentrate sulla problematica dell'arrivo e dell'accoglienza stabile e strutturale o del respingimento. Noi oggi, invece, stiamo intercettando una tipologia inedita che deriva dal fatto che la migrazione non è influenzata - come si dice spesso - da quel che succede “al di là” del Mediterraneo, ma da quello che succede “al di qua”: cioè, i Paesi in crisi della vecchia Europa non sono più attrattivi per i migranti, ma dai Paesi in crisi i migranti devono passare. Questo svela l'inappropriatezza delle norme e delle regole che accompagnano i processi di regolarizzazione e integrazione in Europa e,quindi, chiama anche la necessità di azioni differenti oppure chiama il fatto che le poche norme esistenti e utili vengano effettivamente utilizzate.

I cittadini possono parlare di tutto questo e togliere dal cono d'ombra i profughi in transito dai nostri Paesi che rischiano - proprio perchè l'invisibilità si accompagna con l'assenza di scelte politiche - di non essere accompagnati nel loro itinerario di speranza.

 

Sarfatti: C'è un principio normativo che verrebbe incontro alla situazione che descriveva Pierfrancesco e che è stato proposto dall'Italia all'ultimo Consiglio europeo del giugno scorso, ma che non è stato accettato: si tratta del principio del “mutuo riconoscimento”, quello per cui se io vengo riconosciuto come rifugiato in uno dei Paesi Membri, ho lo stesso identico trattamento in tutti gli altri Paesi Membri. Invece oggi succede che, se vengo riconosciuto come rifugiato, posso transitare regolarmente e fare il turista, ma non sono riconosciuto come cittadino comunitario: non posso lavorare, accedere al sistema sanitario, etc.



Nel dossier sono raccolte molte voci: potete anticiparci, ad esempio, quella di Titty Cherasien o di Christopher Hein?

 

Sarfatti: Titty Cherasien racconta del suo legame emotivo, oltre che biografico, con la Siria e con i luoghi da cui proviene parte della sua famiglia. Christopher Hein, come Direttore del Consiglio italiano per i Rifugiati, fa un ragionamento più complessivo su quali siano i problemi e le sfide dell'asilo e dell'accoglienza in Italia.

 

Come verranno utilizzati i proventi del libro?


Majorino: Per l'acquisto di materiale igienico-sanitario da destinare soprattutto ai bambini.

E' stata una decisione dell'editore e noi, come autori, l'abbiamo accettata.






giovedì 17 luglio 2014

Il Piano Casa e di diritti dei migranti vulnerabili




Pubblichiamo anche noi il comunicato ufficiale di Medici per i Diritti Umani, divulgato lo scorso giugno, perchè ci sembra importante segnalare sempre situazioni a rischio di ingiustizia e problemi risolti contro i valori della dignità e della solidarietà.

Il Piano Casa mette a rischio i diritti di cittadinanza dei rifugiati più vulnerabili. Il caso Firenze.


4 giugno 2014 – Medici per i Diritti umani (MEDU) considera con grande preoccupazione la recente approvazione da parte del Parlamento della norma, contenuta nell’art.5 del Piano Casa 2014, che nega la possibilità di iscrizione anagrafica per coloro che occupino abusivamente un immobile.

La misura adottata istituzionalizza e generalizza una pratica, più volte denunciata da MEDU e da altre organizzazioni del terzo settore, già da tempo messa in atto dal Comune di Firenze (vedi il rapporto Rifugiati a Firenze ). Considerata la cronica carenza di posti di accoglienza per i migranti forzati nel nostro Paese, sono infatti migliaia sul territorio italiano i richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale che si trovano ad abitare stabili occupati in condizioni di precarietà . Nel solo caso di Roma, ad esempio, MEDU stima la presenza stanziale di almeno 2.000 migranti forzati costretti a vivere in condizioni di precarietà abitativa.

Medici per i Diritti Umani lavora a Firenze da anni in tali contesti (Magazzini Ex Mayer, struttura via Slataper, Parco delle Cascine, scuola viale Guidoni), rilevando le gravissime conseguenze di una politica decisa a livello comunale e ora estesa a livello nazionale. Di fatto la mancata iscrizione anagrafica, oltre a tradursi nella difficoltà per le Istituzioni a monitorare le reali presenze sul proprio territorio, priva il cittadino dei suoi più elementari diritti sociali, a partire dall’iscrizione ai Sistemi Sanitari Regionali e quindi dall’attribuzione di un medico di medicina generale.
Particolarmente critica risulta tra i rifugiati la situazione delle categorie più vulnerabili, quali persone affette da handicap fisici dovuti a traumi subiti nel paese di origine o durante il viaggio, per le quali risulta necessario un intervento fisioterapico, persone affette da patologie croniche gravi o disturbi di salute mentale incompatibili con una condizione di isolamento e precarieta’.

MEDU stima la presenza di circa 250 rifugiati che vivono in stabili occupati nel capoluogo toscano: donne, uomini e minori in fuga da guerre e persecuzioni personali che giungono nelle nostre città spesso dopo un breve periodo di permanenza all’interno dei Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA). Dei 170 rifugiati assistiti dall’unita’ mobile di MEDU negli ultimi 6 mesi che si trovano in questa situazione circa il 50% non risulta iscritto al Servizio sanitario regionale e il 74,4% risulta privo di residenza, mentre solamente il 17.9% è in possesso di iscrizione anagrafica a Firenze grazie al sostegno di parenti o amici.

Le persone che vivono all’interno di stabili occupati, siano esse italiane o straniere, subiscono una condizione di marginalità ed esclusione causata spesso dalla crisi economica in atto, aggravata in molti casi da un mancato accesso ai diritti socio-sanitari pur formalmente garantiti. In sintonia con quanto denunciato dalla stessa Agenzia ONU per i Rifugiati (UNHCR), MEDU chiede che venga garantita la possibilità di iscrizione anagrafica per tutte le persone vulnerabili che si trovano a dover vivere all’interno di edifici occupati e l’individuazione di adeguate soluzioni di accoglienza e integrazione per i numerosi rifugiati costretti nel nostro Paese a vivere in condizioni di grave precarietà abitativa.

Ufficio stampa – 3351853361 / 3343929765 / 0697844892 info@mediciperidirittiumani.org

Medici per i Diritti Umani (MEDU), organizzazione umanitaria indipendente, presta assistenza socio-sanitaria ai rifugiati in condizioni di precarietà dal 2004 nell’ambito del progetto Un camper per i diritti .

lunedì 7 luglio 2014

Libertà di culto: continua il dibattito


Foto: dreamstime.it
 

L'Amministrazione comunale metterà a bando diverse aree pubbliche per garantire il diritto di culto a Milano”, con queste parole Pierfrancesco Majorino, assessore alle Politiche sociali del Comune di Milano, chiude un faticoso dibattito tenutosi il 6 giugno scorso con le associazioni dei fedeli musulmani. “ In assenza di un progetto unitario non intendiamo interropere il dialogo né abbandonare l'idea di realizzare luoghi per garantire il diritto di culto nella nostra città. Si tratta di una decisione importante e riteniamo che il bando sia il percorso più solido e trasparente per raggiungere questo obiettivo”, ha continuato Majorino.

E' venuta, infatti, a mancare l'unità di proposta perchè le varie sigle dell'Islam non hanno trovato un accordo soddisfacente per tutti: il Caim (Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano), guidato da Davide Piccardo, il Centro culturale islamico di Viale Jenner, le moschee di Via Padova e di Via Meda, infatti, si sono affidati alla delibera del Comune per timore della nascita di un “potentato”. Da qui la decisione, quindi, di mettere a bando aree pubbliche da riqualificare sulle quali erigere alcune moschee di quartiere: non più un unico, grande luogo di culto, ma tanti edifici in varie zone della città.

Il bando sarà messo a punto da un team di esperti affinché vengano garantiti i principi costituzionali, la trasparenza e la dignità sia per i fedeli musulmani sia per tutti gli altri cittadini residenti. I costi previsti per la riqualificazione delle aree sarà a carico delle comunità islamiche, così come l'eventuale abbattimento della tensostruttura del Palasharp qualora vi fosse la possibilità di sostituirla con una moschea.

Davide Piccardo ha così commentato la notizia: “ Il bando è una soluzione di buon senso, per arrivarci sono serviti anni di lavoro a favore del diritto di culto che abbiamo portato avanti con determinazione e perseveranza...Oggi è chiaro che non avremo una moschea pronta per l'Expo ma speriamo che a maggio 2015 ve ne siano diverse in costruzione, per questo sarà fondamentale stringere i tempi...Il ritorno alla soluzione da noi inizialmente sostenuta ci trova, quindi, soddisfatti. Il nostro sforzo, la nostra campagna hanno portato ad un esito positivo ed oggi ci troviamo finalmente di fronte alla possibilità di avere diverse moschee grandi, perchè di questo hanno bisogno i cittadini musulmani”.

Durante l'Expo verrà allestita, probabilmente, una moschea provvisoria. E per tutto questo il centrodestra promette battaglia.

lunedì 5 maggio 2014

Quando i poveri rovinano il decoro



Verona non è razzista, Verona non è escludente: è vero che non si deve mai generalizzare. Infatti a Verona c'è chi aiuta un senzatetto con cibo caldo e coperte e chi, invece, dice che non si fa. E questo lo afferma proprio chi dovrebbe dare l'esempio, ovvero il sindaco, il primo cittadino, nel caso specifico Flavio Tosi. E' anche vero che l'elemosina non ha mai risolto i problemi alla radice, ma qui si discute il messaggio che è stato mandato, nei giorni scorsi, dall'Amministrazione comunale.

Con un'ordinanza che rimarrà in vigore fino al prossimo 31 ottobre, infatti, è stato proibita: “ogni attività di distribuzione di alimenti e bevande nelle aree di piazza Viviani, piazza Indipendenza (compresa l'area dei giardini), cortile del Mercato Vecchio, cortile del Tribunale e piazza dei Signori” pena una multa che va da un minimo di 25 euro a un massimo di 500.

La motivazione sarebbe la seguente: “ Come rilevato dalle relazioni della Polizia municipale e da numerose segnalazioni anche fotografiche dei residenti di queste aree erano diventate negli ultimi mesi ritrovo e zona di bivacco permanente di numerose persone senza fissa dimora, alcune note alle forze dell'ordine e già colpite da da provvedimenti di espulsione dal territorio nazionale. Nella zona è, quindi, aumentato in modo preoccupante il degrado urbano, con veri e propri accampamenti formati da materassi, resti di cibo, sporcizia ed un crescente pericolo igienico-sanitario dovuto ai bisogni fisiologici di coloro che bivaccano nelle ore serali e notturne”.

La questione fondamentale, quindi, non è che, anche in una delle città più ricche d'Italia, vi sia un certo numero di persone senza lavoro, senza casa e in gravi difficoltà, ma che queste persone siano visibili e, per di più, nella zona centrale, magari quella abitata dai benestanti e visitata dai turisti. Certo, un povero è sempre brutto, sporco e cattivo: meglio non guardare e non sapere. Anzi, la soluzione giusta è sanzionare ed escludere.

lunedì 27 gennaio 2014

Verso l'abolizione del reato di clandestinità




Con 182 sì, 16 no e 7 astenuti è passata in Senato, nei giorni scorsi, la norma che abroga il reato di immigrazione clandestina, ma si mantiene il “rilievo penale delle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia”. Il reato, quindi, da una lato viene abolito e, dall'altro, viene trasformato in illecito amministrativo.

Il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Maria Ferri, ha spiegato: “Chi per la prima volta entra clandestinamente nel nostro Paese non verrà sottoposto a procedimento penale, ma verrà espulso. Ma, se rientrasse, a quel punto commetterebbe reato” e ha precisato che: “Lo Stato deve regolare i flussi migratori in modo compatibile con le concrete possibilità di accogliere i migranti e questo non solo per ragioni di ordine pubblico, ma anche per motivi umanitari. A persone che cercano di sfuggire da situazioni di estrema indigenza e spesso disumane dobbiamo garantire un'ospitalità dignitosa. Occorre, invece, continuare a punire con severità chi sfrutta e favorisce questi fenomeni migratori incontrollati che possono causare tragedie come quelle di Lampedusa”; infine, dal punto di vista tecnico, Ferri ha aggiunto: “ La sanzione penale appare sproporzionata e ingiustificata e quella pecuniaria è di fatto ineseguibile considerato che i migranti sono privi di qualsiasi bene. Oltretutto il numero delle persone che potrebbero essere potenzialmente incriminate sarebbe tale da intasare completamente la macchina della giustizia penale, soprattutto nei luoghi di sbarco”.

L'Onorevole Khalid Chaouki, esponente dei Nuovi Italiani del Partito Democratico, ha così commentato il voto della Commissione Giustizia: “Con il voto al Senato inizia un percorso che, in tempi brevi, dovrà cancellare questo odioso reato che criminalizza i sopravvissuti alla drammatica tragedia di Lampedusa e porre le basi per una nuova legge sull'immigrazione”.

L'emendamento è stato presentato dal Movimento 5 Stelle che ha precisato: “Rimangono in piedi tutti i procedimenti per l'espulsione e tutte le altre fattispecie di reato collegati, compresi dalla Bossi-Fini. Alla prova dei fatti il 'reato di clandestinità' non ha risolto nulla aggravando solo i costi per la Giustizia con meno sicurezza per le strade, senza combattere il fenomeno e lo sfruttamento legato a quest'ultimo, addirittura aggravandolo...Con questo procedimento il clandestino rimane clandestino, ma sarà più facile procedere con le espulsioni. Con questo emendamento le espulsioni dei cittadini irregolari potranno procedere per via civile, senza inghippi, senza inutili spese burocratiche (che gravano sulle tasche dei cittadini italiani), chi troverà persone in mezzo al mare potrà salvarle senza incorrere in nessun tipo di reato. Non lasceremo più morire nessuno in maniera inumana, ci sarà più sicurezza, più legalità, più umanità”.

La Lega Nord ha risposto a queste parole e a questo voto promettendo battaglia:

L'abolizione del reato di clandestinità è una vergogna”, ha affermato Massimo Bitonci, chiedendo che il Ministro Alfano e tutto il Pdl “siano coerenti con quanto fatto e detto fino ad oggi” e che sia posto rimedio a “questo grave errore”.