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giovedì 7 gennaio 2016

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giovedì 15 ottobre 2015

Ius sòla: il commento del Naga sulla riforma della cittadinanza




Approvato dalla Camera il testo della nuova legge che riforma il diritto di cittadinanza, introducendo nel nostro ordinamento lo "ius soli", ovvero la cittadinanza per chi nasce nel nostro paese da genitori non italiani.

Peccato che l'acquisizione della cittadinanza avvenga solo qualora almeno uno dei genitori disponga del "Permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo", precedentemente detto "Carta di soggiorno"; un vincolo pesantissimo, che subordina un diritto fondamentale, la cittadinanza, non solo alla lunga permanenza di uno dei genitori nel nostro paese, ma alla sua disponibilità di un lavoro, di un'abitazione con requisiti che a nessun cittadino italiano vengono richiesti e di un reddito minimo fissato con un semplice provvedimento amministrativo.

Il diritto di cittadinanza, insomma, è sottoposto alla condizione amministrativa dei genitori: un luminoso esempio di rispetto dei concetti giuridici di "responsabilità individuale" e "proporzionalità".

Interessante anche l'introduzione della cittadinanza per "ius culturae", ovvero per quei minori che pur non avendo i requisiti per l'applicazione dello ius soli abbiano frequentato almeno 5 anni negli istituti scolastici o di formazione professionali italiani; incomprensibile tuttavia risulta la richiesta di aver conseguito la promozione al termine della scuola primaria: chi viene bocciato a scuola, insomma, è rimandato in cittadinanza.

Timidi passi in avanti rispetto al nulla di prima, indubbiamente, ma un testo che deve assolutamente essere modificato in seconda votazione al Senato eliminando le discriminazioni.

Come Naga, continueremo a sostenere non solo che cittadino è chiunque abita e contribuisce alla vita civile del paese, ma anche che i diritti fondamentali, quali la salute e la libertà di movimento, non possono essere subordinati alla condizione amministrativa ma neppure alla cittadinanza stessa: gli esseri umani nascono liberi e uguali.



mercoledì 7 ottobre 2015

Dichiarazioni delle Europarlamentari Barbara Spinelli e Eleonora Forenza contro lo sgombero del campo rom a Pisa




Apprendiamo con preoccupazione le notizie relative all’imminente sgombero del campo rom della Bigattiera, nel Comune di Pisa. Il Sindaco della città ha firmato in queste ore l’ordinanza DD-08 / 12 del 25/09/2015, Codice identificativo 1190162, con la quale ordina «l’allontanamento di tutte le persone presenti e/o dimoranti abusivamente nell’area entro tre giorni». L’ordinanza non dispone alcuna alternativa per gli abitanti del campo – tra i quali vi sono numerose famiglie con bambini anche molto piccoli – e in pratica si limita a buttare in mezzo a una strada centinaia di persone.
Si tratta dell’esito ultimo di una politica del Comune di Pisa volta a ridurre le presenze rom nel territorio, come dichiarato esplicitamente dall’amministrazione nel Dicembre 2014. Più volte la Giunta municipale ha parlato di un “carico eccessivo” di persone rom, la cui presenza andava diminuita con drastiche politiche di contenimento numerico: evidentemente un intero gruppo etnico, in quanto tale, rappresenta agli occhi del Comune un “problema”.

Come parlamentari europee, vorremmo ricordare che queste politiche sono in evidente contrasto con tutte le normative dell’Unione. Già nel 2011, infatti, la Commissione – con la propria Comunicazione n. 173, recepita anche dal Governo italiano – aveva richiamato gli Stati Membri a promuovere politiche di inclusione nei confronti delle popolazioni rom e sinte, superando la pratica illegale degli sgomberi forzati.

Ricordiamo inoltre che gli sgomberi forzati sono vietati dalle Nazioni Unite (risoluzione n. 1993/77) e dalla Carta Sociale Europea: gli strumenti di diritto internazionale obbligano le autorità a fornire un congruo preavviso, a predisporre soprattutto soluzioni abitative per tutte le persone e le famiglie coinvolte, e in generale a garantire un’ampia partecipazione degli interessati ai programmi di superamento dei campi: queste regole valgono anche per gli insediamenti cosiddetti “abusivi”, e a prescindere dallo status giuridico delle persone (dalla regolarità del loro soggiorno).

Il Comune di Pisa sta agendo in aperta violazione di tali norme: cosa che appare tanto più grave in quanto il Consiglio comunale stesso, due anni fa, aveva indicato una strada diversa per superare l’insediamento della Bigattiera, e per garantire alle famiglie un alloggio dignitoso.

Oggi invece l’amministrazione sceglie di violare le normative europee e internazionali, adducendo come motivazione problemi igienico-sanitari che sono stati creati dalla stessa azione amministrativa. In tal modo il Sindaco di Pisa si assume una responsabilità gravida di conseguenze. Come parlamentari europee, ci rivolgeremo alla Commissione per chiedere che siano presi immediati provvedimenti ed eventuali sanzioni, affinché siano rispettati e garantiti i diritti umani e civili delle persone che abitano alla Bigattiera.



venerdì 2 ottobre 2015

Giovani rom, sinti e non rom presentano il loro Manifesto per un’Italia unita e libera dei ghetti: «Vogliamo essere attori di un cambiamento».


Si chiude in Senato la Convention Primavera Romanì promossa dall’Associazione 21 luglio
 «Siamo giovani rom, sinti e non rom, italiani e stranieri. Molti di noi vengono da una storia di disagio, soprusi ed esclusione, ma non ci siamo fermati e non ci fermeremo. Sogniamo per l’Italia un risveglio di umanità».
Lo scorso 21 settembre 2015, in Senato, 25 giovani rom, sinti e non rom provenienti da tutta Italia hanno presentato un Manifesto in cui descrivono l’Italia nella quale vorrebbero vivere e attraverso cui chiedono alle istituzioni un deciso cambio di direzione relativamente alle questioni del disagio abitativo, a partire dal superamento dei “campi rom e dei ghetti, dell’istruzione, del lavoro e delle opportunità per i giovani. Questioni che non riguardano solo le comunità rom e sinte, ma tutte le categorie di persone che oggi nel nostro Paese sono svantaggiate e oggetto di discriminazione.
Il Manifesto è frutto di una tre giorni di studio e riflessioni, alla quale i giovani hanno partecipato dal 19 al 21 settembre a Roma: la Convention Primavera Romanì, una iniziativa promossa dall’Associazione 21 luglio nell’ambito del suo programma di promozione della cittadinanza attiva all’interno delle comunità rom e sinte in Italia.
«Quello che accade oggi è un evento epocale per il nostro Paese e una opportunità preziosa che si pone davanti alle istituzioni nazionali e locali. Per la prima volta, giovani rom, sinti e non rom decidono di unire le forze e di scrivere insieme una nuova pagina per l’Italia – afferma l’Associazione 21 luglio -. Chiedono che in Italia non vi sia più spazio per l’odio, l’intolleranza e la ghettizzazione verso i più deboli e avanzano proposte concrete per affrontare questioni decisive per un futuro diverso per la nostra società».
«L’aspetto più importante – sottolinea ancora l’Associazione 21 luglio – è che questi giovani non rivendicano diritti per i soli rom e sinti, ma per tutti. La loro voce rappresenta un esempio di unione e solidarietà che troppo spesso la politica nostrana tende ad accantonare alimentando divisioni e tensioni sociali».
La Convention Primavera Romanì ha preso avvio con il messaggio di auguri del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «La presenza attiva di giovani rom e sinti rappresenta un elemento fondamentale nel cammino paziente verso forme sempre più efficaci di integrazione e inclusione – sono le parole del Capo dello Stato -. La consapevolezza piena dei propri diritti, unitamente alla conoscenza dei propri doveri nei confronti della società e dello Stato, è un passo indispensabile per far cadere diffidenze e pregiudizi reciproci e assicurare un futuro di dialogo e di convivenza».
Nel corso della conferenza stampa, i giovani hanno presentato il loro Manifesto alla Commissione Diritti Umani del Senato, rappresentata dalla senatrice Manuela Serra, e al deputato del Partito Democratico Khalid Chaouki. È intervenuta anche la senatrice rom spagnola Silvia Heredia Martin, che ha raccontato la situazione dei rom in Spagna, dove vive quasi un milione di rom, contro i circa 180 mila presenti nel nostro Paese.
«Non accettiamo più che i nostri figli vivano in un paese di ghetti, separazioni, disuguaglianze, povertà, odio e razzismo, né oggi, né domani – sono le parole pronunciate dai giovani rom, sinti e non rom -.Vogliamo essere un esempio di società unita e libera, come l’Italia dovrebbe essere. Vogliamo essere attori di un cambiamento di cui tutti possano giovare. Un paese orgoglioso dei suoi valori, aperto verso i deboli, che consenta a ciascuno di essere apprezzato, amato e riconosciuto per le proprie passioni e qualità. Un’Italia che abbracci le differenze e si consideri fortunata per la ricchezza di tutte le culture che la compongono».


venerdì 18 settembre 2015

Un primo passo verso l'abbattimento del muro dell'acqua


di Barbara Spinelli



Barbara Spinelli (Gue/Ngl) esprime la più viva soddisfazione per il voto del Parlamento europeo in favore del rapporto di iniziativa presentato l’8 settembre dalla collega irlandese Lynn Boylan (Sinn Fein) in seguito all’Iniziativa di cittadinanza europea L’acqua è un diritto (Right2Water).

“Gli eurodeputati si sono pronunciati a grande maggioranza perché l’accesso all’acqua venga considerato un diritto umano. In nome della società civile, è stato chiesto alla Commissione europea di guardare all’acqua come a una risorsa vitale e necessaria per la dignità, un bene esente da accordi commerciali e regole di mercato. Questo implica che l’acqua dovrà essere esclusa dal Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) e dal Trade In Service Agreement (TISA).

«Affermare che l’acqua non è una merce, “non è un prodotto di scambio, ma un bene pubblico essenziale per la vita e la dignità umana”, come si legge nella risoluzione, significa fermare la spinta alla privatizzazione impressa agli Stati membri dalle politiche della troika. L’enorme mobilitazione promossa dal movimento europeo mostra che i cittadini possono prendere la parola e spingere le istituzioni a decidere sull’inappropriabilità dei beni comuni.

«Secondo la risoluzione, inoltre, la Commissione “non dovrebbe in nessun caso promuovere la privatizzazione delle aziende idriche nel quadro di un programma di aggiustamento economico o nell’ambito di qualsiasi altra procedura in materia di coordinamento della strategia economica dell’UE”. Si tratta di una vittoria della democrazia in tutta l’Unione, dove nel 2013 vennero raccolte 1 milione 884.790 firme, e in Italia, dove nel 2011 oltre 27 milioni di persone votarono al referendum per l’acqua pubblica.

«Esprimo soddisfazione anche per l’invito rivolto a Stati membri e Commissione a “ripensare e rifondare la gestione della politica idrica sulla base di una partecipazione attiva, intesa come trasparenza e apertura al processo decisionale dei cittadini”. Quella sull’acqua è stata la prima ICE discussa e approvata dal Parlamento europeo, promossa in seguito alla partecipazione attiva dei cittadini europei.

«Certamente non si tratta di una battaglia conclusa, e non solo perché la parola sta ora alla Commissione. La risoluzione si rifà all’affermazione dell’Onu circa l’accessibilità economica dell’acqua, ma studiosi come Riccardo Petrella sostengono giustamente che i costi dell’acqua - bene comune - dovrebbero esser coperti dalla fiscalità generale, non da prezzi chiesti ai consumatori. Ma è stato segnato un passo di grande importanza su una strada che dovrà continuare, e giungere sino a quello che il prof. Petrella chiama l’abbattimento del Muro dell’acqua».

martedì 4 agosto 2015

Cittadinanza: ius soli per chi nasce in Italia, ius culturae per chi arriva




Depositato, lo scorso 29 luglio, alla Camera il testo unificato che raccoglie le 24 proposte di legge sulla modifica della legge 91/92. Si introduce per tutti (e non solo per gli apolidi) il principio dello ius soli temperato, ma per i minori che arrivano entro i 12 anni è previsto anche un ciclo di studi di cinque anni.



Ius soli temperato per chi nasce in Italia, ius culturae per chi arriva nel nostro paese entro i 12 anni di età. Per diventare cittadini italiani non conterà più solo la discendenza, e cioè lo ius sanguinis (diritto del sangue) ma anche la nascita nel nostro paese (ius soli, diritto del suolo) e l’acquisizione della cultura italiana. Sono queste le novità principali previste dal testo unificato sulla riforma della legge 91/92, depositato oggi alla Camera. Un testo che mette insieme le oltre 20 proposte di legge presentate in questi anni da esponenti di tutti gli schieramenti politici. E che per la prima volta introduce nel nostro paese lo ius soli temperato per tutti (finora la legge lo prevedeva solo nei casi di apolidia, cioè quando non si può determinare la nazione di appartenenza), avvicinando la nostra legislazione, considerata tra le più restrittive in Europa, a quella degli altri paesi come Francia e Germania. Al testo unificato si è arrivato dopo mesi di discussioni, il compito di tradurre le 24 proposte depositate a Montecitorio in una sintesi organica che le tenesse tutte insieme è stato affidato a Marilena Fabbri del Pd (insieme ad Annagrazia Calabria di Forza Italia, che alla fine però ha lasciato l'incarico per divergenze nella stesura del testo).
Il primo articolo del testo di riforma contiene la novità più importante e di fatto ricalca quella che da sempre è la proposta del Partito democratico, ma include anche la proposta di iniziativa popolare voluta dalla campagna l’Italia sono anch’io (che prevedeva però un anno di soggiorno legale dei genitori), del Movimento 5 stelle (residenza di almeno tre anni) e di Sel (residenza legale di almeno un anno). Nello specifico, si riconosce la cittadinanza italiana a chi è “nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, di cui almeno uno sia residente legalmente in Italia, senza interruzioni, da almeno cinque anni, antecedenti alla nascita”. Si prevede inoltre l’acquisizione anche per chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui “almeno uno sia nato in Italia e ivi risieda legalmente, senza interruzioni, da almeno un anno, antecedente alla nascita del figlio”.La norma si basa, quindi, sul progetto di vita stabile dei genitori stranieri in Italia. La cittadinanza in questi casi non è però automatica ma si acquista a seguito di una dichiarazione di volontà espressa da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale all'ufficiale dello stato civile del Comune di residenza del minore, da annotare a margine dell'atto di nascita. Entro due anni dal raggiungimento della maggiore età, l’interessato può rinunciare alla cittadinanza italiana se in possesso di altra cittadinanza. In mancanza di una dichiarazione di volontà da parte di un genitore esercente la responsabilità genitoriale, il figlio acquista la cittadinanza, se lo chiede, entro 2 anni dalla maggiore età.


Ius culturae: cittadinanza a chi arriva entro i 12 anni e abbia frequentato almeno 5 anni di scuole in Italia. La seconda novità è contenuta nell’articolo 4 comma 2, che introduce il cosiddetto ius culturae per i figli di genitori stranieri che siano entrati in Italia entro il compimento del dodicesimo anno di età. In questo caso per l’acquisizione della cittadinanza si prevede la frequenza regolare “per almeno cinque anni di istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale idonei al conseguimento di una qualifica professionale”. Anche in questo caso la cittadinanza si acquista a seguito di una dichiarazione di volontà in tal senso espressa da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale. L’ipotesi di legare la richiesta di cittadinanza al percorso scolastico è da sempre sostenuta dal centrodestra, ma anche da Scelta civica. L’articolo nel testo fa infatti riferimento alle proposte depositate da Mario Marazziti di Per l’Italia, da Renata Polverini (Forza Italia) e da Dorina Bianchi (Area popolare Udc-Ncd). Nel testo si prevede anche l’acquisizione “per lo straniero che abbia fatto ingresso nel territorio della Repubblica prima del compimento della maggiore età, ivi legalmente residente da almeno sei anni, che ha frequentato, nel medesimo territorio, un ciclo scolastico, con il conseguimento del titolo conclusivo, presso gli istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione, ovvero un percorso di istruzione e formazione professionale con il conseguimento di una qualifica professionale”. Per chi arriva tra i 12 e i 18 anni, quindi, oltre a un ciclo scolastico è richiesta la residenza di almeno 6 anni.
Secondo il testo unificato,la modifica della legge riguarderà solo i minori, mentre non cambiano i tempi per la naturalizzazione (cioè per gli stranieri che arrivano in Italia da adulti e che secondo la legge attuale devono attendere dieci anni prima di poter richiedere la cittadinanza italiana). Quest'ultimo aspetto è stato molto dibattuto, in particolare si proponeva un abbassamento dei tempi di permanenza legale da dieci a otto anni. Ma alla fine si è scelto di concentrarsi solo sulle modifiche relative ai minorenni. Aspetto su cui l'accordo tra centro destra e centro sinistra è sempre stato maggiore. La discussione del testo sarà avviata a settembre.


giovedì 23 luglio 2015

Sit in di solidarietà alle famiglie rom sgomberate


Donne e bambini, anziani e malati. Sotto il sole, a quasi 40 gradi, senz'acqua. Sono trascore più di due ore e l'Assessore Danese non ha ancora ricevuto le famiglie rom sgomberate. L'incontro era previsto per le ore 12 ma dall'Assessorato ancora nessun segnale. La tensione sta montando e tra le persone si registrano i primi malori.

Lo rendono noto Associazione 21 luglio e Popica Onlus che da questa mattina stanno partecipando a un sit in davanti all’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Roma, assieme alle famiglie rom sgomberate due giorni fa dall’insediamento informale di Val d’Ala, le famiglie a rischio sgombero nei centri di via San Cipirello, via Torre Morena e via Toraldo, nonché cittadini che hanno voluto mostrare la loro solidarietà.

Cinquantanove sgomberi forzati dall’inizio dell’anno, con una decisa impennata dopo l’annuncio del Giubileo Straordinario da parte di Papa Francesco, assenza di una strategia concreta per il superamento del “sistema campi”, nonostante i continui proclami, e promesse non mantenute.

Così Associazione 21 luglio e Popica Onlus descrivono lo stato dell’arte della politica sui rom dell’Amministrazione capitolina.

Lo sgombero forzato di Val d’Ala, che ha coinvolto le medesime persone sgomberate esattamente un anno fa dallo stesso insediamento in seguito a un’operazione dal costo complessiva di oltre 168 mila euro, si configura in violazione degli standard internazionali in materia di sgomberi previsti dal Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite. Lo sgombero improvviso, peraltro, ha mandato all’aria le consultazioni e il dialogo che lo stesso Assessorato aveva iniziato a intavolare con le famiglie, nella speranza che il caso Val d’Ala potesse diventare un modello virtuoso per affrontare la questione degli insediamenti informali a Roma. Nella giornata di ieri, anche Amnesty International Italia ha espresso forte preoccupazione sull’ennesimo sgombero forzato realizzato dall’inizio dell’anno nella Capitale.

Nel 2015, infatti, sono stati 59 gli sgomberi forzati a Roma, una cifra che ha già ampiamente superato i 34 totali realizzati nell’intero 2014. Il loro numero – sottolineano Associazione 21 luglio e Popica Onlus – ha subito una netta impennata dal 13 marzo in poi, giorno dell’annuncio del Giubileo Straordinario. Fino ad allora, gli sgomberi erano stati sette. Allo stesso modo, denunciano le due associazioni, non si intravvede nessun passo significativo, nell’azione dell’Amministrazione, verso il superamento del “sistema campi” nella Capitale, sul quale si sono alimentati gli affari di oro emersi dall’inchiesta su Mafia Capitale.

«Chiediamo all’assessore Danese di produrre finalmente un piano sociale credibile e sostenibile per il superamento dei “campi”», afferma l’Associazione 21 luglio.

Secondo l’Associazione 21 luglio, la questione rom a Roma è intimamente legata a quella della illegalità istituzionale che ha il suo fulcro nell’Ufficio Rom, Sinti e Caminanti presente all’interno dell’Assessorato alle Politiche Sociali di Roma Capitale. È dall’azzeramento di tale Ufficio che occorre ripartire per una politica diversa.

Non possiamo dimenticare come il primo a dirigere quindici anni fa l’“Ufficio Nomadi” di Roma fu Luigi Lusi, oggi in carcere con la condanna di essersi appropriato di 25 milioni di euro, continua l’Associazione. Poi, sotto l’Amministrazione Veltroni fu la volta del suo capo-gabinetto Luca Odevaine a condizionare fortemente le scelte dell’Ufficio. Anche lui è oggi in carcere per corruzione aggravata nell’inchiesta denominata “Mondo di Mezzo”. Quando il governo della città passò al sindaco Alemanno fu la volta del soggetto attuatore del Piano Nomadi, Angelo Scozzafava, a commissariare l’Ufficio prendendolo nelle sue mani. Oggi sul suo capo pende l’accusa di associazione mafiosa e corruzione aggravata. Nel dicembre 2014 la responsabile dell’”Ufficio Nomadi”, nel frattempo diventato “Ufficio Rom, Sinti e Caminanti”, Emanuela Salvatori, è stata arrestata per corruzione aggravata. Il suo posto è stato preso da Ivana Bigari, il cui nome, secondo la stampa, sembrerebbe nella lista dei dirigenti che per il prefetto Gabrielli dovrebbero essere rimossi perché troppo vicini al sistema di stampo mafioso ideato da Buzzi e Carminati.

«Chiediamo oggi con forza la chiusura di questo Ufficio e la rimozione della dirigente che lo coordina», è la richiesta urgente al sindaco Marino da parte di Associazione 21 luglio e Popica Onlus».

«Chiediamo inoltre – proseguono le due organizzazioni - una moratoria sugli sgomberi forzati da oggi e per tutta la durata del Giubileo indetto da papa Francesco. In assenza di risposte adeguate a tali richieste continueremo a considerare le politiche di Roma Capitale nei confronti dei rom costose, lesive dei diritti umani, discriminatorie e offensive nei confronti della cittadinanza che vive in maniera più o meno diretta le problematiche legate alla vicinanza ad insediamenti formali e informali.

Sul rischio sgombero delle famiglie rom che attualmente vivono nei centri di via San Cipirello, via Torre Morena e via Toraldo, infine, si esprime così Popica Onlus: «La chiusura dei centri in cui abitano famiglie che da tempo avevano intrapreso percorsi abitativi degni segna un passo indietro inaccettabile. L'Amministrazione, che da un lato persegue solo a parole la politica della chiusura dei campi, dall'altro costringe decine di nuclei a tornarci, dopo che da questo mondo si erano allontanati autonomamente recuperando spazi in disuso».

«A Roma – conclude Popica Onlus - il problema abitativo sta esplodendo per tutti e il Comune di Roma, dopo aver banchettato per anni con Mafia Capitale, oggi non solo non risolve il problema ma continua a generarne di nuovi».

lunedì 13 luglio 2015

Il Servizio civile aperto anche agli stranieri



La Corte Costituzionale italiana nella giornata del 25 giugno si è espressa dichiarando illegittimo l’art. 3 comma 1 del decreto legislativo del 2002 in materia di servizio civile con cui si limitava l'accesso al servizio ai soli cittadini italiani.

La vicenda a favore dell’inclusione dei giovani stranieri residenti in Italia aveva preso avvio oltre tre anni fa quando un giovane pakistano si era visto rifiutare la partecipazione al servizio civile per mancanza del requisito della cittadinanza italiana. Sollevata la questione di fronte al Tribunale di Milano e alla Corte d’Appello di Milano, il giudizio è poi proseguito e la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha posto la questione di costituzionalità della norma per contrasto con il principio di uguaglianza.

Dopo la recente sentenza 119/15, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del decreto legislativo 77/02 (articolo 3, comma 1), tutti i giovani stranieri regolarmente soggiornanti hanno diritto di accedere alle selezioni per il servizio civile. Nel testo si legge: "L’esclusione dei cittadini stranieri dalla possibilità di prestare il servizio civile nazionale, impedendo loro di concorrere a realizzare progetti di utilità sociale e, di conseguenza, di sviluppare il valore del servizio a favore del bene comune, comporta dunque un’ingiustificata limitazione al pieno sviluppo della persona e all’integrazione nella comunità di accoglienza".



mercoledì 10 giugno 2015

Punire il reato, non l'etnia


Pochi giorni fa, a Roma, un Rom di diciasette anni, senza patente, mentre si trovava alla guida di un'auto ha ucciso una donna e ferito altre nove persone. Un fatto gravissimo, che va punito severamente. Questo, però, non deve far cadere nell'errore di considerare TUTTI i Rom allo stesso modo, ovvero come delinquenti assassini; non bisogna fare l'errore di scadere nello stereotipo. Colpire i colpevoli sì, colpire tutti indistintamente, no.




A questo proposito, pubblichiamo la nota dell'Associazione 21 luglio:



La notizia della tragedia avvenuta ieri a Roma in prossimità della fermata metro Battistini, nella quale una donna di 44 anni ha perso la vita e otto persone sono state ferite, travolte da un’auto che viaggiava a folle velocità, addolora e sconvolge.

Con l’auspicio che il corso delle indagini conduca all’individuazione dei responsabili di tale gesto, l’Associazione 21 luglio non può non constatare, tuttavia, che la notizia, come è stata riportata da molti media locali e nazionali, rischia di sfociare in una pericolosa deriva etnica dei fatti accaduti, in quanto ad essere sottolineata con forza è la presunta origine etnica dell’autista dell’autovettura che ha provocato la strage.

Le colpe di un gesto di tale gravità non possono e non debbono ricadere sull’insieme di persone appartenenti alla stessa comunità degli autori della strage, a Roma e nel resto d'Italia. E gli organi di informazione dovrebbero prendere tutte le opportune precauzioni perché questo non accada, evitando per esempio titoli, articoli e servizi che diano rilevanza maggiore all’origine etnica dei responsabili piuttosto che al fatto - gravissimo - in sé.

L’etnicizzazione delle notizie, infatti, rischia di esacerbare il già esasperato clima di ostilità e odio diffuso nell’opinione pubblica nei confronti di rom e sinti. Simili trattamenti delle notizie portarono già, ad esempio, a derive fortemente violente, in passato, a Ponticelli (Napoli) nel 2008 e a Torino nel 2011, quando contro i “campi rom” si svilupparono, in seguito alla diffusione di notizie poi rivelatesi infondate, veri e propri raid incendiari.

Per chi sarà chiamato ad indagare e per i giudici, nella ricostruzione dei fatti e nella successiva auspicabile condanna, poco importa l’origine etnica della persona colpevole, o la sua cittadinanza o il colore della sua pelle. Alla guida di quella macchina c’era una persona che va perseguita. Questo basta e avanza.

Se dovesse scoprirsi che dietro quel volante omicida c’era una persona di origini islamiche dovremmo tornare a invocare le misure del post 11 settembre 2011? O se c’era una persona di origini campane o venete dovremmo aprire una discussione sulla presenza di tali comunità nella nostra città?

L’isteria mediatica, declinata in una “etnicizzazione del reato” fa danni. Così come lo fa il razzismo. E razzismo è anche ricondurre il DNA di un popolo al crimine di un individuo.

sabato 13 dicembre 2014

Fare il servizio civile con i migranti




Sono stati pubblicati i bandi regionali per la selezione di 5.504 volontari in dieci regioni italiane che saranno coinvolti in progetti di servizio civile nazionale nell’ambito di Garanzia giovani, piano europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile.
Possono partecipare giovani italiani e stranieri che abbiano i seguenti requisiti:
  • età compresa tra 18 e 28 anni
  • regolare residenza in Italia
  • essere registrati al programma Garanzia giovani
  • essere disoccupati o inoccupati e non essere inseriti in un corso di istruzione – secondaria superiore o universitaria – o formazione
Può iscriversi anche chi ha già svolto servizio civile, se rientra nei criteri indicati. La domanda va presentata entro le ore 14.00 del 15 dicembre 2014 all’ente che realizza il progetto prescelto, secondo le modalità specificate nel bando regionale di riferimento. È possibile candidarsi ad un solo progetto.
I giovani selezionati avranno la possibilità di svolgere attività di volontariato per un periodo di un anno all’interno di amministrazioni pubbliche, associazioni non governative, e onlus che operano nei settori dell’assistenza, protezione civile, ambiente, patrimonio artistico e culturale, educazione e promozione culturale, ricevendo un rimborso mensile di 433,80 euro.
Per chi desidera fare esperienza nell’aiuto ai migranti, nell’intercultura e nella cooperazione internazionale di seguito i progetti di servizio civile a cui è possibile candidarsi a Roma e provincia.
ConErmes di C.E.S.C. – Project punta a migliorare la frequenza scolastica di minori rom e sinti nei municipi IV, V, VI di Roma. I volontari affiancheranno gli operatori dell’associazione nei contatti con le famiglie e gli insegnanti, nel servizio di accompagnamento dei bambini a scuola, nelle attività di sostegno scolastico, nella realizzazione di laboratori creativi e centri estivi per i piccoli.
Rete Bianca e Bernie è il progetto promosso da Cesv e Centro Astalli per favorire l’integrazione di migranti e profughi a Roma e Rieti attraverso azioni di prima accoglienza, orientamento a diritti e servizi, apprendimento della lingua italiana, formazione professionale. Sono previsti interventi mirati per i migranti forzati in ragione della loro particolare condizione e attività volte a diffondere tra i cittadini del Lazio una cultura dell’accoglienza e della diversità intesa come valore.
Altro progetto rivolto a migranti e profughi, ma con sede ad Anzio, è Vita, promosso dalla Provincia religiosa ss. apostoli Pietro e Paolo opera don Orione. I candidati selezionati svolgeranno attività di volontariato nel centro di accoglienza della parrocchia Sacro Cuore, partecipando a iniziative finalizzate all’inclusione sociale e all’integrazione.
La mediazione culturale nei consultori familiari e Per una comunicazione interculturale del territorio sono i progetti presentati dalla ASL Roma B per potenziare l’accoglienza dei migranti, informarli sui servizi del territorio e combattere l’isolamento.
Con L’Europa nei giovani AFSAI punta a sensibilizzare i giovani sulle opportunità offerte in ambito europeo, promuovendo all’interno delle scuole del municipio XII e dei municipi adiacenti esperienze di mobilità internazionale.
Sono incentrati sui temi della solidarietà internazionale e della cittadinanza interculturale i progetti promossi da FOCSIV a Roma attraverso percorsi di formazione e sensibilizzazione che coinvolgano italiani e migranti per diffondere una maggiore consapevolezza del divario esistente tra nord e sud del mondo – causa delle migrazioni – e promuovere coesione sociale in zone a rischio di marginalità.


mercoledì 3 dicembre 2014

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Cari amici,

L'Associazione per i Diritti Umani è un'associazione piccola e giovane, nata un anno e mezzo fa e già attiva a Milano e in Provincia con incontri pubblici di presentazioni di saggi, romanzi, documentari, tavole rotonde su alcuni temi inerenti ai diritti umani e civili.

E' in corso la nuova manifestazione che si intitola “D(i)RITTI al CENTRO!” di cui trovate il programma completo sul sito www.peridirittiumani.com.

Il sito è aggiornato TUTTI i GIORNI con articoli, approfondimenti, interviste e comunicazioni...

Vi chiediamo, quindi, se siete interessati e se apprezzate il nostro lavoro, di sostenerci con un piccolo contributo anche di 2 euro. A destra in alto, sulla homepage del sito, trovate la dicitura “Sostienici”: il contributo può essere dato con Paypal (facile e sicurissimo) oppure con bonifico.

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domenica 30 novembre 2014

Primo convegno ombra sui rom

Riceviamo la seguente comunicazione dall'Associazione 21 luglio che ringraziamo. "I rom sono qui, erano qui e rimarranno qui": si chiude Roma il primo “convegno ombra” della società civile europea rom e pro rom Si è da poco concluso, a Roma, il primo "convegno ombra" delle organizzazioni della società civile europee rom e pro rom, ospitato dall'Associazione 21 luglio. Gli attivisti, provenienti da vari Paesi europei, si sono radunati nella Capitale, in concomitanza con due eventi di alto livello sul tema organizzati dalla Presidenza Italiana dell'Unione europea: l’incontro dei Punti di Contatto Nazionali per l’attuazione delle Strategie di Inclusione dei rom e l’Equality Summit europeo. Il loro obiettivo è stato quello di porre all'attenzione dei decision makers proposte alternative riguardo a politiche di inclusione sociale di rom e sinti e alla non-discriminazione. I rom erano qui, sono qui e rimarranno qui Questa settimana, la presidenza italiana dell’UE ha organizzato due incontri sull’eguaglianza e sui rom in Europa. Ancora una volta, questi summit sono a porte chiuse. Nella stessa settimana, noi, leaders delle organizzazioni rom e a favore dei rom ci siamo riuniti in un meeting alternativo per esprimere le nostre esigenze. Siamo stufi. Noi rom non vogliamo essere usati come oggetti disumanizzati dai governi e dall’UE, ma valorizzati come parte costituente nelle decisioni che hanno un impatto sulle nostre vite e sulle vite delle altre persone. Oggi, l’UE e i governi adottano politiche che sono il risultato della manipolazione di paure a lungo radicate sull’“invasione degli zingari” o sulla “criminalità degli zingari”, che aumentano il numero dei voti invece che essere basate sui valori che sono rispettati per tutte le altre persone. Noi rom rimarremo qui, siamo cittadini degli stati europei, siamo parte dell’Europa. Siamo tutti, rom e gli altri europei, nella stessa barca. Decisioni sbagliate, corruzione e governi incapaci peggiorano la situazione per tutti i popoli d’Europa. Siamo tutti trattati come un problema sociale da sanare e non come persone con delle identità, dei diritti e del potenziale. L’arroganza di un sistema politico che si vuole la “culla della civiltà” ci ha traditi tutti. Facciamo appello a tutte le persone oppresse affinchè manifestino solidarietà, unità e forza per fermare l’ipocrisia dei governi.

mercoledì 26 novembre 2014

Brutto episodio razzista a Milano



Venerdì scorso, 21 novembre 2014, si è verificato un brutto episodio razzista, a Milano, che ha visto coinvolto Abdullah Ablo Traorè, musicista e griot.

Abbiamo chiesto al Sig. Traorè di raccontarci la sua esperienza e lo ringraziamo tantissimo per aver accettato. A lui tutta la nostra solidarietà.





Ci può raccontare l' episodio di razzismo di cui è stato vittima?


Premetto che vivo in Italia da 12 anni, sono sposato e sono cittadino italiano. Ho sempre abitato nel quartiere di Precotto, una zona tranquilla dove mi sono bene integrato senza mai avere nessun tipo di problema. Peraltro con il mio lavoro (sono un musicista e faccio parte anche dell'Orchestra di Via Padova), ho relazioni con molte persone, con le istituzioni cittadine e le scuole.

Venerdì pomeriggio mi stavo recando a prendere la metro e passando vicino al parco dove giocano i bambini, alcuni di questi di età compresa tra gli 8 e i 10 anni, mi hanno rivolto pesanti insulti razzisti (terrone, negro, torna al tuo paese, stai rubando agli italiani, ladro, ecc.). Sconvolto, mi sono avvicinato alla panchina dove c'erano degli adulti ed ho chiesto loro chi fossero i genitori di quei bambini e nessuno mi ha risposto. Questo atteggiamento mi ha ferito profondamente, perchè il loro silenzio legittimava la mancanza di rispetto nei miei confronti.
E' la prima volta che mi accade un episodio del genere e spero che non succeda mai più. Mi sono sentito estraneo e sgradito nel quartiere che considero ormai casa mia.




La città di Milano e l' Italia sono ancora indietro in merito a una cultura del rispetto degli altri? O certi episodi si possono riferire anche a una politica che si basa sulla paura e sul pregiudizio?



Ho sempre trovato Milano molto aperta rispetto ad altre città italiane, ma di recente (purtroppo a causa della propaganda politica e dei media che parlano di noi africani solo per i fatti di cronaca e probabilmente anche a causa del disagio sociale derivato dalla crisi economica) vedo che anche qui sta venendo a crearsi una certa deriva razzista. Ovviamente rispetto ad altri paesi Europei, l'Italia è meno abituata all'integrazione e alla convivenza tra culture differenti. Paragonata a Parigi o Londra siamo ancora molto indietro.



Quali sono le buone pratiche per sconfiggere il razzismo ?



Secondo me il razzismo, nella maggior parte dei casi, ha origine dalla paura di quello che non si conosce. Quindi una buona pratica, sarebbe quella di incentivare la conoscenza delle culture diverse e l'incontro tra cittadini di differente provenienza. Soprattutto, bisognerebbe educare i bambini al rispetto per il diverso.





In questi giorni sente la solidarietà dei cittadini?


Ho avuto molte manifestazioni di solidarietà, dai vicini di casa, dai colleghi, dagli amici ed anche dalle istituzioni come il Consiglio di Zona 2 ed il Forum città Mondo del Comune di Milano.


domenica 16 novembre 2014




Associazione per i Diritti Umani

PRESENTA



D(i)RITTI AL CENTRO
AMORE E SOLIDARIETA' IN PERIFERIA

Incontro con Pierfrancesco Majorino

sul suo ultimo romanzo “MALEDETTO AMORE MIO”



MARTEDI' 18 NOVEMBRE

ore 19.00

presso

SPAZIO TADINI

Via Jommelli, 24 (MM Piola, Loreto - Milano)



L’Associazione per i Diritti Umani presenta il nono appuntamento della serie di incontri dal titolo “DiRITTI AL CENTRO”, che affronta, attraverso incontri con autori, registi ed esperti, temi che spaziano dal lavoro, diritti delle donne in Italia e all’estero, minori, carceri, disabilità.

In ogni incontro l’Associazione per i Diritti Umani attraverso la sua vice presidente Alessandra Montesanto, saggista e formatrice, vuole dar voce ad uno o più esperti della tematica trattata e, attraverso uno scambio, anche con il pubblico, vuole dare degli spunti di riflessione sull’attualità e più in generale sui grandi temi dei giorni nostri

In questo incontro Pierfrancesco Majorino, assessore alle Politiche sociali presso il Comune di Milano, in occasione della presentazione del suo ultimo romanzo intitolato “MALEDETTO AMORE MIO”: si parlerà di città e di cittadini, italiani e stranieri, di relazioni sociali, di diritti e di molto altro.

L'appuntamento è per martedì 18 novembre, alle ore 19.00, presso Spazio Tadini in Via Jommelli, 24 (MM Piola, Loreto – Milano).










IL LIBRO: Chi è davvero Markus, un omone di due metri che un giorno decide di volare giù dal balcone? Che relazione aveva con lui Lisa, anziana donna che vive nello stesso stabile? Perché è così importante ogni oggetto che si trova nell’appartamento dell’uomo?Siamo a Milano. Lo scenario è quello di un palazzo popolare in cui si intrecciano le vicende di una miriade di personaggi. Su tutti il vecchio Ivo e il giovane Little Boy. Una miriade di personaggi che ruotano attorno a un segreto che deve essere svelato, che riguarda i vivi come i morti, e di cui qualcuno ha la chiave.Mentre da tutt’altra parte sta Erika, la figlia di Lisa, che non vuole più avere niente a che fare con la madre. E di cui non si sa chi sia davvero il padre .Con una scrittura chirurgica Majorino tesse una grande storia sociale del nostro tempo.



PIERFRANCESCO MAJORINO, è nato a Milano dove vive e lavora. Fin da ragazzo si occupa di politica all’interno dei Ds, di cui è stato segretario cittadino e responsabile del coordinamento milanese. Dal 1994 al 1998 è presidente nazionale dell’Unione degli Studenti e della Rete Studentesca. Nel 1998 viene nominato consigliere delegato dall’allora Ministro alla solidarietà sociale, Livia Turco, con l’incarico di occuparsi di politiche giovanili.

Nel 2006 entra a far parte del Consiglio comunale nella lista dell'Ulivo. Nel 2008 è stato eletto capogruppo del Partito Democratico. Durante l’amministrazione Moratti è tra coloro che ha proposto l’istituzione della Commissione Antimafia, il registro delle Unioni civili per le coppie di fatto, l’aumento delle abitazioni sociali all’interno del Piano di Governo del Territorio, l’istituzione del fondo anticrisi come misura contro il precariato e la povertà. Si è occupato di tematiche legate all'immigrazione. Ha collaborato con istituti di ricerca sociale. Nel maggio 2011 è stato eletto per la seconda volta nelle liste del Pd come consigliere comunale. Scrive romanzi, testi teatrali, reportage.

sabato 27 settembre 2014

Festival SABIR: "Lampedusa dei popoli e delle culture del Mediterraneo"



1-5 ottobre 2014 – Isola di Lampedusa



Dal 1 al 5 ottobre, in occasione del primo anniversario della strage del 3 ottobre in cui morirono 368 persone e più di venti vennero date per disperse, si realizzerà a Lampedusa il Festival SABIR: Lampedusa dei popoli e delle culture del Mediterraneo. L’evento è promosso dall’associazione Arci, il Comune di Lampedusa e il Comitato 3 ottobre.


Molte saranno le iniziative e gli spettacoli culturali che si svolgeranno durante queste cinque giornate.



Durante la giornata del 4 ottobre si organizzerà l’incontro Internazionale: Migranti e Mediterraneo. Cinque saranno i workshop che si svolgeranno: la problematica delle frontiere e della prima accoglienza; la relazione tra migrazione ed sviluppo; la campagna L’Europa sono anch’io sui diritti dei migranti in Europa; il ruolo dei sindacati nella tutela e promozione dei diritti sociali e civili dei migranti nei paesi di transito e infine, la problematica dei migranti dispersi e deceduti durante il loro viaggio verso l’Europa.



In calce, il testo che prepara il workshop sulla tragedia delle persone migranti decedute o disperse durante il loro viaggio.



Il tentativo di questo incontro è quello di continuare a mettere maggiormente in rete tutte le associazioni impegnate su questa tematica affinché possa acquisire maggior forza la battaglia per fermare questo massacro, avere giustizia per le vittime e verità sulla sorte dei dispersi.



Invitiamo le associazioni a costruire questo processo e a partecipare al Festival SABIR.




Per maggiori informazioni sul festival:
www.festivalsabirlampedusa.it
info@festivalsabirlampedusa.it








“Dobbiamo essere inclusivi, cercando di contenere i filo-questi e i filo-quelli,



dobbiamo sempre guardare più avanti,



dissolvere, non partecipare a questi conflitti”



Padre Paolo Dall’Oglio, luglio 2013





Una trentina di ospiti internazionali tra blogger, attivisti, artisti ed intellettuali parteciperanno a SABIRMAYDAN, il primo forum della cittadinanza mediterranea il prossimo 28 settembre a Messina. Organizzato dal COSPE e realizzato grazie al crowdfunding, SABIRMAYDAN vuole configurarsi come “una vera e propria agorà in cui preparare il Mediterraneo di domani, per costruire le condizioni e mettere in piedi gli strumenti per l’integrazione tra i popoli della regione, culla delle civiltà d’Oriente e d’Occidente”. Moltissimi i temi: diritti umani, giustizia sociale, libertà d'espressione, diritti delle donne, l'arte come strumento di cambiamento sociale; per il programma completo ecco il link



http://www.cospe.org/sabir-maydan-in-prova




SABIRMAYDAN è dedicato al gesuita Padre Paolo Dall’Oglio e al blogger egiziano Alaa Abd El Fattah che, è stato rilasciato su cauzione il 12 settembre scorso dopo un lungo sciopero della fame e una mobilitazione internazionale a suo favore, tra cui Amnesty International. Alaa era stato condannato a 15 anni di reclusione per aver organizzato la manifestazione “No ai processi militari per i civili” nel novembre 2013 con le accuse di “aggressione a forze di sicurezza”, “furto di una radio della polizia”, “blocco dell’accesso alle strade” e “interruzione del lavoro delle istituzioni nazionali”.






WORKSHOP SABATO 4 OTTOBRE



MIGRARE PER VIVERE! FERMIAMO LA STRAGE!



Per un osservatorio sui migranti dispersi nel viaggio verso l’Europa



“Migrare per vivere, fermiamo la strage” era il titolo dato alla Seconda Giornata d’Azione Globale contro il razzismo e per i diritti dei migranti realizzata contemporaneamente in molti paesi il 18 dicembre del 2012. Ventidue anni prima, in quella stessa data, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottava la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti dei Lavoratori Migranti e dei Membri delle loro Famiglie documento non ancora sottoscritto da nessun paese del “nord” del mondo.


La giornata d’Azione Globale, decisa a Quito nel IV Forum Sociale Mondiale delle Migrazioni nel 2010, aveva come obiettivo denunciare la strage che tutti i giorni accade lungo le frontiere e le rotte migratorie, luoghi punteggiati da fosse comuni e tombe, luoghi in cui migliaia di persone migranti scompaiono nel nulla lasciando i loro famigliari nell’angoscia dell’incertezza.



Il Mar Mediterraneo è un esempio di questo. Da antica frontiera naturale tra l’Europa e il Maghreb ora è diventato un cimitero marino. Più di ventimila persone ne sono morte negli ultimi vent'anni e di molte altre non si hanno notizie. Il naufragio delle cosiddette “carrette del mare” è diventato la normalità. Il tutto sotto gli occhi delle navi militari presenti nella regione, delle Pattuglie di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere.




L’isola di Lampedusa è diventata simbolo di questa tragedia. Lampedusa porta dell’Europa, porta della vita come la chiamano i migranti, ma anche luogo di tombe senza nome.




A luglio 2012, a Monastir, in occasione della riunione preparatoria del Foro Sociale Mondiale a Tunisi e della iniziativa Boat4People si realizzò un primo momento di incontro tra associazioni europee ed africane che da anni denunciano questa tragedia e le famiglie dei migranti tunisini dispersi dopo la rivoluzione di dicembre 2010 con l'obiettivo di favorire la messa in rete e la comunicazione in merito a questa problematica.



Sempre a Monastir, nel 2014, durante la Terza edizione del Forum Maghreb Migrazioni si è realizzato un secondo incontro, su questa stessa problematica, nel quale è stata sottolineata l’importanza del conoscere e mettere in relazione le realtà che esistono dei parenti dei migranti dispersi o deceduti (in particolare nel nord africa ma non solo).


Il workshop che si realizzerà il 4 ottobre a Lampedusa durante il Festival SABIR vuole rappresentare una tappa in più di questo percorso.


Vogliamo continuare a favorire l’unità tra chi nel sud e nel nord del Mediterraneo reclama giustizia per i/le migranti deceduti e dispersi. Vogliamo poter contribuire ad unificare maggiormente gli sforzi per denunciare l'eccidio che si consuma tutti i giorni nel Mediterraneo e di cui sono responsabili, in primis, gli Stati Europei a causa delle loro politiche anti-immigrati tramite le quali pretendono "preservare" la fortezza Europa.


Vogliamo ribadire ancora che finché ci saranno persone decedute o disperse nel loro viaggio migratorio ci saranno una madre, un padre, una sorella, un fratello, un amico/a, un compagno/o che esigeranno verità e giustizia!




Hanno confermato finora la loro partecipazione:




Associazione «Terre pour tous» – Tunisia (associazione dei parenti dei migranti scomparsi)


Maghreb

Comitato Nuovi Desaparecidos – Italie


Archivio Migrante – Italie


RAJ – Egitto




Plus d’information sur l’atelier: Edda Pando (Arci – Italie)
eddapando@gmail.com

 


giovedì 25 settembre 2014

Foley, la guerra, la comunicazione




Il video dell’esecuzione del giornalista Usa sconvolge e deve far riflettere: l’uso dei media da parte dei miliziani ha creato una nuova frontiera del raccontare i conflitti (già su www.gcodemag.it)

di Alessandro Di Rienzo.



Concepito a Roma in un incontro occasionale il 21 aprile del 1978 è nato a Napoli il penultimo giorno dello stesso anno in quanto la madre aveva letto un noto libro di Oriana Fallaci. Questo lo ha appreso nel novembre del 2002 mentre contestava proprio la Fallaci a Firenze in occasione dell’Europa Social Forum. Da allora ha sviluppato una irrimediabile attrazione verso le contraddizioni. Caratteristica questa che lo ha portato, con penna o telecamera, a interessarsi di Medio Oriente e vertenze sindacali.
22 agosto 2014 – La barbara uccisione di James Foley genera smarrimento, a chiunque. È l’agosto nero dei videomakers, figura professionalmente mai troppo riconosciuta ma particolarmente esposta nei contesti di guerra. Troupe leggera, spesso composta da una sola persona.
Cameraman, intervistatore, producer, montatore, tutto in uno, per questo mobile ed economica, soprattutto se il servizio non lo si commissiona e lo si compra a posteriori. Questa era la vita di James Foley prima del sequestro, il secondo, durato 635 giorni. Fino a due decenni fa i giornalisti erano percepiti come osservatori neutrali. Oggi non più. In questo tempo sono stati ammazzati da chiunque: dall’esercito statunitense, come da quello israeliano e dai ribelli iracheni.
Ma a generare disorientamento fin dentro le convinzioni di una vita è il cortocircuito semantico generato dal video dell’uccisione. Eravamo abituati a vedere in tuta arancione gli arabi, probabilmente musulmani, ma sicuramente gente dalla pelle minimamente scura.
Ammanettati ai polsi e spesso anche alle caviglie in una prigione di rete metallica e filo spinato nella baia di Guantamano. Volti indirizzati verso il basso tra i sorrisi appena accennati di militari statunitensi. Questa volta no, è un occidentale a vestire la tuta arancione, uno di noi verrebbe da dire. Per i primi il sospetto di appartenere a una rete terroristica. Sospetto che spesso si è rivelato infondato. Per Foley la cittadinanza statunitense.

Il video, opportunamente censurato dai nostri siti di informazione, ma che si può trovare nella versione diramata dall’Is su diversi siti che incitano alla jihad, apre con il discorso di Obama che annuncia la ripresa dei bombardamenti in Iraq contro le postazioni del califfato. Antefatto che si chiude con l’effetto del riavvolgimento del nastro per passare all’immagine di Foley, inginocchiato e ammanettato in tuta arancione, con un uomo vestito di nero e con il volto coperto che brandisce con la mano sinistra un coltello.
A stordire sono le parole di Foley: l’accusa al fratello, un militare Usa, di aver decretato la sua morte nel giorno che ha preso parte agli interventi militari in medio oriente. Saluta i genitori rimpiangendo di non averli più rivisti ma spiegando che “la mia nave è già salpata”.
Bestemmia la propria cittadinanza, quella di statunitense, definendola causa della propria morte. Un discorso senza segni apparenti di nervosismo che possano far pensare a una contraddizione, a un tentennamento. Pare che Foley vada tranquillo incontro la morte. Poi le parole dell’aguzzino, in un inglese disinvolto, che in un cambio di telecamera tratta Obama da pari, come fosse una televendita, enunciando le sue condizioni nel “messaggio all’America”.
La mano destra dell’assassino alza con un gesto brusco il mento di Foley e il coltello comincia a tagliare la gola, anche qui nessuna apparente resistenza da parte Foley. Non sappiamo, non possiamo sapere, cosa succede a un uomo dopo 635 giorni di prigionia. L’immagine successiva è il corpo riverso a pancia in giù del videomaker con la testa poggiata sulla schiena. Ricompare l’assassino, con il vestito pulito senza macchie di sangue a minacciare la vita di un altro giornalista occidentale, questo a dimostrare una regia ben studiata del video prodotto.
Un video con una trama e quindi un montaggio che falsa il tempo affinché il messaggio arrivi chiaro. 4 minuti e 40 secondi che destabilizzano noi tutti. Più della cella di Guantanamo riprodotta in un’esposizione d’arte a Parigi. Più delle numerose immagini degli arsi vivi dal fosforo bianco, sostanza questa usata nella Falluja oggi conquistata dall’Is, che brucia in un istante tutti i liquidi del corpo umano. Il video prodotto da Al Furqam Media Foundation è stato postato sul social network Diaspora per rimbalzare in poche ore in ogni dove del mondo telematico.
Video che di fatto crea un consenso enorme in Occidente per chi invoca l’immediato intervento militare. Video che viene condiviso con favore da molte persone, in ogni parte del mondo, dalla Cecenia e da tutti gli antiputiniani fino agli immigrati arabi di seconda generazione che vivono a Stoccolma. Video che crea una nuova geopolitica dalle varianti e dagli equilibri imprevedibili, che polarizza i blocchi ma che li mina al suo interno.
Un ragazzo a Mosca, dal nome arabo, che si ritrae tra i libri, inneggia all’uccisione di un soldato di Assad. Il Papa parla di terza guerra mondiale, di sicuro è la prima guerra globale, che puoi seguire dal computer evitando anche i siti di informazione ma attenendoti alle prove dirette degli smartphone, districandoti tra le opposte tifoserie. Sembra già preistoria Peter Arnett che con una sola telecamera a raggi infrarossi racconta l’attacco di Baghdad per la Cnn durante la prima guerra del golfo. L’Is comunica con diversi siti, alcuni in inglese come http://jihadology.net/.
L’aggiornamento è quotidiano, ieri potevi assistere a un convoglio di yazidi (solo uomini) felici di convertirsi all’Islam con relativo aqiqa (battesimo) collettivo in un lago; oggi all’arrivo di nuovi miliziani che entusiasti e in favore di camera stracciano il passaporto di provenienza per impugnare un kalashnikov. Non sappiamo quale sia la reale forza dell’Is, ma forse solo adesso cominciamo a percepire il potere evocativo di queste immagini da loro prodotte.
Anche chi ieri era pacifista oggi scrive: quelli dell’Isis non sono più esseri umani. Hanno deciso di non esserlo più. Non vanno “capiti”. Se intendono sterminare il loro prossimo, vanno sterminati. Io rispondi che la velleità di sterminio genera sterminio. Ma nella terra dove è morto Foley la sofferenza non è cominciata con la sua morte. Non nascono nemmeno con l’Is. Ma con le aggressioni occindentali della prima guerra del Golfo e l’embargo di 13 anni, con la guerra del 2003 voluta nonostante l’avvertimento dell’inviato speciale dell’Onu, l’algerino Lakhdar Brahimi, allora inviato speciale dell’ONU per l’Iraq, il quale aveva detto che la forzata ed eterodiretta debaatizzazione dell’Iraq avrebbe portato a un ginepraio confessionale e militare. Oggi l’Europa pensa che la soluzione sia armare il nemico dell’Is, quindi i curdi. Ome se il precedente libico non abbia insegnato nulla. Anche in quell’occasione la Francia era capofila nell’armare i ribelli.
Per secoli il motto dei governanti ai militari era: conosci il tuo nemico. Nessuno adesso conosce l’Is ma in una terra dove le crudeltà sono all’ordine del giorno da troppi anni sappiamo che sono anche loro crudeli. Quello che ancora ignoriamo è quanto consenso possano avere in questa guerra globale.


domenica 14 settembre 2014

L'omicidio di "Abba": ricordare e riflettere


Oggi, 14 settembre, ricorre l'anniversario dell'uccisione, a Milano, di un ragazzo italiano di origini africane. Ammazzato di botte per motivi razziali. E il fattaccio è accaduto pochi anni fa. Riportiamo qui di seguito l'intervista che abbiamo fatto ad uno dei relaizzatori del bellissimo cortometraggio dal titolo Da nessun'altra parte.



Da nessun' altra parte di Sami El Kelsh, Guido Ingenito e Antonio Gualano, menzione speciale del concorso “Vola alto”, racconta una storia attraverso una lettera. La storia è quella dell'uccisione di Abdoul Abba Guiebre, che era chiamato semplicemente “Abba” e la lettera è quella di un giornalista serio.


Abbiamo rivolto alcune domande a Guido Ingenito, uno degli autori del cortometraggio, che ringraziamo.



Ricordiamo che cosa è accaduto nel 2008...



A Milano è accaduto un fatto di cronaca: un ragazzo di origini africane, a causa di un suo piccolo furto in un bar, è stato aggredito dai proprietari fino a perdere la vita. Alla base del pestaggio c'erano forti motivi razziali.

Abba era italiano, nato e cresciuto in Italia, ma per il colore della pelle non era considerato esattamente italiano come lo stereotipo pretenderebbe, almeno da parte di coloro che lo hanno aggredito.



Come nasce l'idea del corto e perchè la scelta dell'animazione per raccontare un fatto così tragico?


Il corto è nato come lavoro di tesi di laurea del regista, Sami el Kelsh, in “Nuove tecnologie per l'Arte”. Sami era già interessato all'animazione stop-motion e, per questo cortometraggio di fine anno, mi ha coinvolto perchè ho sempre avuto la passione per la scrittura, così ho scritto il soggetto e la sceneggiatura per questo film.


Sami, all'epoca, lavorava part-time nel reparto edicola di un supermercato e si era imbattuto in “Peacereporter” sul quale aveva trovato la lettera del giornalista Marco Formigoni, il quale chiedeva all'ex sindaco Moratti come poter spiegare al proprio figlio adottato un omicidio razziale come quello di Abba. Questa lettera lo aveva molto colpito e, quando me l'ha sottoposta, devo ammettere che ha coinvolto molto anche me.

 

Io ho dei cugini adottati e di origine straniera e per me era una situazione naturale: la lettera, invece, pone un punto di vista originale e forte. E' difficile, infatti, spiegare un omicidio razziale a un bambino che si sente italiano anche se non lo è di origine.



Da una parte, quindi, c'era l'interesse per una tecnica molto complessa e, dall'altra, per un messaggio importante: abbiamo unito le due intenzioni ed è nato il film.



Milano è una città razzista?


Sinceramente credo di sì perchè c'è ancora un antico sistema di preconcetti per cui, chi arriva qui da fuori, non è familiare, non è conosciuto e, quindi, suscita timore. La mentalità è ancora quella di tenersi lontano dall'immigrato, dal “diverso” in generale. E' quello che respiro io. Inoltre c'è, anche a livello di informazione e a livello politico, la volontà di fomentare questa continua emarginazione.