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"...Non si potrà avere un globo pulito se gli uomini sporchi restano impuniti. E' un ideale che agli scettici potrà sembrare utopico, ma è su ideali come questo che la civiltà umana ha finora progredito (per quello che poteva). Morte le ideologie che hanno funestato il Novecento, la realizzazione di una giustizia più giusta distribuita agli abitanti di questa Terra è un sogno al quale vale la pena dedicare il nostro stato di veglia".
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Cameraman, intervistatore, producer, montatore, tutto in uno, per questo mobile ed economica, soprattutto se il servizio non lo si commissiona e lo si compra a posteriori. Questa era la vita di James Foley prima del sequestro, il secondo, durato 635 giorni. Fino a due decenni fa i giornalisti erano percepiti come osservatori neutrali. Oggi non più. In questo tempo sono stati ammazzati da chiunque: dall’esercito statunitense, come da quello israeliano e dai ribelli iracheni.Ma a generare disorientamento fin dentro le convinzioni di una vita è il cortocircuito semantico generato dal video dell’uccisione. Eravamo abituati a vedere in tuta arancione gli arabi, probabilmente musulmani, ma sicuramente gente dalla pelle minimamente scura.
Bestemmia la propria cittadinanza, quella di statunitense, definendola causa della propria morte. Un discorso senza segni apparenti di nervosismo che possano far pensare a una contraddizione, a un tentennamento. Pare che Foley vada tranquillo incontro la morte. Poi le parole dell’aguzzino, in un inglese disinvolto, che in un cambio di telecamera tratta Obama da pari, come fosse una televendita, enunciando le sue condizioni nel “messaggio all’America”.La mano destra dell’assassino alza con un gesto brusco il mento di Foley e il coltello comincia a tagliare la gola, anche qui nessuna apparente resistenza da parte Foley. Non sappiamo, non possiamo sapere, cosa succede a un uomo dopo 635 giorni di prigionia. L’immagine successiva è il corpo riverso a pancia in giù del videomaker con la testa poggiata sulla schiena. Ricompare l’assassino, con il vestito pulito senza macchie di sangue a minacciare la vita di un altro giornalista occidentale, questo a dimostrare una regia ben studiata del video prodotto.
L’aggiornamento è quotidiano, ieri potevi assistere a un convoglio di yazidi (solo uomini) felici di convertirsi all’Islam con relativo aqiqa (battesimo) collettivo in un lago; oggi all’arrivo di nuovi miliziani che entusiasti e in favore di camera stracciano il passaporto di provenienza per impugnare un kalashnikov. Non sappiamo quale sia la reale forza dell’Is, ma forse solo adesso cominciamo a percepire il potere evocativo di queste immagini da loro prodotte.Anche chi ieri era pacifista oggi scrive: quelli dell’Isis non sono più esseri umani. Hanno deciso di non esserlo più. Non vanno “capiti”. Se intendono sterminare il loro prossimo, vanno sterminati. Io rispondi che la velleità di sterminio genera sterminio. Ma nella terra dove è morto Foley la sofferenza non è cominciata con la sua morte. Non nascono nemmeno con l’Is. Ma con le aggressioni occindentali della prima guerra del Golfo e l’embargo di 13 anni, con la guerra del 2003 voluta nonostante l’avvertimento dell’inviato speciale dell’Onu, l’algerino Lakhdar Brahimi, allora inviato speciale dell’ONU per l’Iraq, il quale aveva detto che la forzata ed eterodiretta debaatizzazione dell’Iraq avrebbe portato a un ginepraio confessionale e militare. Oggi l’Europa pensa che la soluzione sia armare il nemico dell’Is, quindi i curdi. Ome se il precedente libico non abbia insegnato nulla. Anche in quell’occasione la Francia era capofila nell’armare i ribelli.