Nel libro di Lorenzo Declich, L'Islam nudo (edito da Jouvence), l’Islam inserito nella globalizzazione si trova a convivere con le regole dell’economia di mercato che spingono per orientarlo verso fattori identitari. Si cercano di cancellare differenze inevitabilmente insite in un universo che conta più di 1 miliardo e 600.000 persone creando un nuovo immaginario in cui viene meno la tradizionale dimensione comunitaria a favore dell’individualismo capitalista. Dall’etichettatura halal, ai cosmetici, alle app islamiche con gli orari delle preghiere o le parti del Corano da leggere durante il Ramadan, fino alla finanza islamica e all’architettura (interessante la parte sulla Mecca dove è stato costruito il secondo grattacielo più alto al mondo o sulle “meraviglie” di Dubai) l’identità islamica viene ridefinita in una individualizzazione dell’esperienza religiosa. Ma mentre la guerra fredda era caratterizzata dalla lontananza dicotomica “noi/loro” separati addirittura da una “cortina di ferro”, la separazione tra mondo islamico e non-islamico segue linee più complesse. Tradizionalmente la cultura islamica distingue tra dar al-Islam (i territori che sono sottoposti all'imperio politico e giuridico dell'Islam), e dar al-harb (tutti gli altri). Ma già da tempo le migrazioni, e in misura minore, le conversioni hanno fatto venir meno questa dicotomia ed è stata proposta la categoria intermedia di dar al-amn, cioè un territorio in cui i musulmani, si ritrovano ad essere minoranza. E se da un punto di vista teologico-giuridico si stanno rivisitando le fonti scritte per restare fedeli alla propria coscienza religiosa in un contesto legislativo laico (è stata creata la categoria di “islam europeo” di cui Tariq Ramadan è considerato il più autorevole esperto, ancora più ascoltato e considerato controverso in quanto nipote di Hasan al Banna, il fondatore dei Fratelli Musulmani in Egitto. Per chi volesse approfondire queste tematiche ecco il link al sito personale di Ramadan in costante aggiornamento http://www.tariqramadan.com/) da un punto di vista economico vivere l’Islam in una terra non islamica va a cambiare gli stili di vita dei singoli musulmani ma anche dei convertiti che spesso non hanno un profondo background religioso. Ecco quindi che i musulmani diventano il target dell’emergente mercato borghese globale che da un lato corrode la dimensione religiosa mistificandola in sterili e pericolosi stereotipi che identificano arabi-musulmani-terroristi come fossero sinonimi, dall’altro li blandisce rendendoli docili consumatori facilmente manipolabili.

"...Non si potrà avere un globo pulito se gli uomini sporchi restano impuniti. E' un ideale che agli scettici potrà sembrare utopico, ma è su ideali come questo che la civiltà umana ha finora progredito (per quello che poteva). Morte le ideologie che hanno funestato il Novecento, la realizzazione di una giustizia più giusta distribuita agli abitanti di questa Terra è un sogno al quale vale la pena dedicare il nostro stato di veglia".
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martedì 13 ottobre 2015
L’ ISLAM NUDO: verso una “Umma dei consumatori”?
di Monica Macchi
Nel libro di Lorenzo Declich, L'Islam nudo (edito da Jouvence), l’Islam inserito nella globalizzazione si trova a convivere con le regole dell’economia di mercato che spingono per orientarlo verso fattori identitari. Si cercano di cancellare differenze inevitabilmente insite in un universo che conta più di 1 miliardo e 600.000 persone creando un nuovo immaginario in cui viene meno la tradizionale dimensione comunitaria a favore dell’individualismo capitalista. Dall’etichettatura halal, ai cosmetici, alle app islamiche con gli orari delle preghiere o le parti del Corano da leggere durante il Ramadan, fino alla finanza islamica e all’architettura (interessante la parte sulla Mecca dove è stato costruito il secondo grattacielo più alto al mondo o sulle “meraviglie” di Dubai) l’identità islamica viene ridefinita in una individualizzazione dell’esperienza religiosa. Ma mentre la guerra fredda era caratterizzata dalla lontananza dicotomica “noi/loro” separati addirittura da una “cortina di ferro”, la separazione tra mondo islamico e non-islamico segue linee più complesse. Tradizionalmente la cultura islamica distingue tra dar al-Islam (i territori che sono sottoposti all'imperio politico e giuridico dell'Islam), e dar al-harb (tutti gli altri). Ma già da tempo le migrazioni, e in misura minore, le conversioni hanno fatto venir meno questa dicotomia ed è stata proposta la categoria intermedia di dar al-amn, cioè un territorio in cui i musulmani, si ritrovano ad essere minoranza. E se da un punto di vista teologico-giuridico si stanno rivisitando le fonti scritte per restare fedeli alla propria coscienza religiosa in un contesto legislativo laico (è stata creata la categoria di “islam europeo” di cui Tariq Ramadan è considerato il più autorevole esperto, ancora più ascoltato e considerato controverso in quanto nipote di Hasan al Banna, il fondatore dei Fratelli Musulmani in Egitto. Per chi volesse approfondire queste tematiche ecco il link al sito personale di Ramadan in costante aggiornamento http://www.tariqramadan.com/) da un punto di vista economico vivere l’Islam in una terra non islamica va a cambiare gli stili di vita dei singoli musulmani ma anche dei convertiti che spesso non hanno un profondo background religioso. Ecco quindi che i musulmani diventano il target dell’emergente mercato borghese globale che da un lato corrode la dimensione religiosa mistificandola in sterili e pericolosi stereotipi che identificano arabi-musulmani-terroristi come fossero sinonimi, dall’altro li blandisce rendendoli docili consumatori facilmente manipolabili.
Nel libro di Lorenzo Declich, L'Islam nudo (edito da Jouvence), l’Islam inserito nella globalizzazione si trova a convivere con le regole dell’economia di mercato che spingono per orientarlo verso fattori identitari. Si cercano di cancellare differenze inevitabilmente insite in un universo che conta più di 1 miliardo e 600.000 persone creando un nuovo immaginario in cui viene meno la tradizionale dimensione comunitaria a favore dell’individualismo capitalista. Dall’etichettatura halal, ai cosmetici, alle app islamiche con gli orari delle preghiere o le parti del Corano da leggere durante il Ramadan, fino alla finanza islamica e all’architettura (interessante la parte sulla Mecca dove è stato costruito il secondo grattacielo più alto al mondo o sulle “meraviglie” di Dubai) l’identità islamica viene ridefinita in una individualizzazione dell’esperienza religiosa. Ma mentre la guerra fredda era caratterizzata dalla lontananza dicotomica “noi/loro” separati addirittura da una “cortina di ferro”, la separazione tra mondo islamico e non-islamico segue linee più complesse. Tradizionalmente la cultura islamica distingue tra dar al-Islam (i territori che sono sottoposti all'imperio politico e giuridico dell'Islam), e dar al-harb (tutti gli altri). Ma già da tempo le migrazioni, e in misura minore, le conversioni hanno fatto venir meno questa dicotomia ed è stata proposta la categoria intermedia di dar al-amn, cioè un territorio in cui i musulmani, si ritrovano ad essere minoranza. E se da un punto di vista teologico-giuridico si stanno rivisitando le fonti scritte per restare fedeli alla propria coscienza religiosa in un contesto legislativo laico (è stata creata la categoria di “islam europeo” di cui Tariq Ramadan è considerato il più autorevole esperto, ancora più ascoltato e considerato controverso in quanto nipote di Hasan al Banna, il fondatore dei Fratelli Musulmani in Egitto. Per chi volesse approfondire queste tematiche ecco il link al sito personale di Ramadan in costante aggiornamento http://www.tariqramadan.com/) da un punto di vista economico vivere l’Islam in una terra non islamica va a cambiare gli stili di vita dei singoli musulmani ma anche dei convertiti che spesso non hanno un profondo background religioso. Ecco quindi che i musulmani diventano il target dell’emergente mercato borghese globale che da un lato corrode la dimensione religiosa mistificandola in sterili e pericolosi stereotipi che identificano arabi-musulmani-terroristi come fossero sinonimi, dall’altro li blandisce rendendoli docili consumatori facilmente manipolabili.
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giovedì 6 agosto 2015
Porajmos, l'olocausto dei rom
Porajmos, l'olocausto dei
rom
di Giovanni Princigalli
(da il nuovomanifesto.it)
71 anni fa, il 2 agosto
1944, tutti i 2.897 rom dello Zigeunerlager di
Auschwitz-Birkenau furono inghiottiti nei forni crematori. Il 15
aprile del 2015, il Parlamento Europeo ha votato unarisoluzione, che
ricordando i 500.000 rom sterminati dai nazisti e da altri regimi»
adotta il 2 agostocome «giornata europea della commemorazione
dell'olocausto dei rom».Il 15 aprile del 2015, il Parlamento Europeo
ha votato una risoluzione per adottare il 2 agosto come«giornata
europea della commemorazione dell'olocausto dei rom». La risoluzione
ricorda: «I 500.000rom sterminati dai nazisti e da altri regimi e
che nelle camere a gas nello Zigeunerlager (campo degli zingari) di
Auschwitz-Birkenau in una notte, tra il 2 e il 3 agosto 1944, 2.897
rom, princip-almente donne, bambini e anziani, sono stati uccisi».Si
ricorda altresì che in alcuni paesi fu eliminata oltre l'80% della
popolazione rom. Secondo le stimedi Grattan Pruxon, morirono 15.000
dei 20.000 zingari tedeschi, in Croazia ne sono uccisi 28.000
(nesopravvivono solo in 500), in Belgio 500 su 600, ed in Lituania,
Lussemburgo, Olanda e Belgio losterminio è totale, il 100% dei
rom.La studiosa Mirella Karpati riporta che la maggior parte dei rom
polacchi fu trucidata sul posto dalla Gestapo e dalle milizie fasciste
ucraine, le quali, in molti casi, uccidevano i bambini fracassando
leloro teste contro gli alberi. Le testimonianze raccolte dalla
Karpati sui crimini dei fascisti croati (gli ustascia) sono
altrettanto aggancianti: donne incinta sventrate o a cui venivano
tagliati i seni, neonati infilzati con le baionette, decapitazioni,
ed altri orrori ancora. Per tali motivi i rom slovenie croati
oltrepassavano clandestinamente il confine con l'Italia, ma finivano
in uno dei 23 campi diprigionia loro riservati e sparpagliati
sull'intera penisola.La risoluzione del Parlamento europeo prima
citata considera l'«antiziganismo» come «un'ideologia basata sulla
superiorità razziale, una forma di disumanizzazione e razzismo
istituzionale nutrita dadiscriminazioni storiche». Il rom funge da
sempre il capro espiatorio, a cui negare il suo carattereeuropeo, per
farne una sorta di straniero interno (nonostante le loro comunità, e
gli stessi terminirom e zingaro, si siano formati in Europa tra il
1300 ed il 1400).I nazisti-fascisti hanno perfezionato le politiche
europee anti-rom dei secoli XVI e XIX. Come ricorda l'antropologo
Leonardo Piasere, il maggior numero degli editti anti-rom dell'epoca
moderna furonoemanati dagli stati preunitari tedeschi ed italiani.
Forse non è un caso, ma saranno proprio Germ-ania ed Italia, secoli
dopo, a pianificare l'olocausto rom, oltre che quello ebraico.
Secondo StefaniaPontrandolfo, in Italia, tra il 500 e il 700, ad
applicare con più zelo tali editti furono gli Stati del Nord,contro
una certa tolleranza del Meridione.
«Puri o impuri, comunque
asociali»
I nazisti, ossessionati
com'erano dalla presunta razza ariana, si erano interessati ai rom a
causa dellaloro origine indiana. Li classificarono in quattro
categorie, secondo il loro grado di «purezza» o«incrocio» con i
non rom. Alla fine ritennero che tutti rom, puri o impuri che
fossero, erano«asociali». Da qui la decisione della loro
eliminazione. I bimbi rom (ed ebrei) deportati nei campi disterminio
erano vittime di esperimenti sadici: iniezione d'inchiostro negli
occhi; fratture delle ginocchia, per poi iniettare nelle ferite
ancora fresche i virus della malaria, del vaiolo e d'altro
ancora.Anche in Italia, come riporta Giovanna Boursier, con “Il
manifesto della razza” del 1940, l'antropologo fascista
Guido Landra, inveiva contro «il pericolo dell'incrocio con gli
zingari» che defi-niva randagi e anti-sociali. Ma già nel 1927 il
Ministero dell'interno, ricorda sempre la Boursier,emanava direttive
ai prefetti per «epurare il territorio nazionale» dagli zingari e
«colpire nel suo ful-cro l'organismo zingaresco».Gli studiosi Luca
Bravi, Matteo Bassoli e Rosa Corbelletto, suddividono in quattro
fasi le politiche fasciste anti-rom e sinti (popolazioni di origine
rom, ma che si autodefiniscono sinti e che vivono trasud della
Francia, nord Italia, Austria e Germania): tra il 1922 e il 1938
vengono respinti ed espulsirom e sinti stranieri, o anche italiani
ma privi di documenti; dal 1938 al 1940 si ordina la puliziaetnica
di tutti i sinti e rom (anche italiani con regolari documenti),
presenti nelle regioni di frontieraed il loro confino a Perdasdefogu
in Sardegna; dal 1940 al 1943 i rom e sinti, anche italiani sono
rin-chiusi in 23 campi di concentramento; dal 1943 al 1945 vengono
rom e sinti sono deportati neicampi di sterminio nazisti.La prima
fase è segnata da una politica al tempo stesso xenofoba e
rom-fobica, per cui si colpisconoquei rom, colpevoli di essere sia
zingari che stranieri. In seguito si passa a reprime anche i rom
ita-liani. Inoltre, dalla prigioniera nel campo si passa
all'eliminazione fisica. Grazie alle ricerche della Karpati, sappiamo
che nei 23 campi in Italia le condizioni di vita eranomolto dure.
Racconta una donna: «Eravamo in un campo di concentramento a
Perdasdefogu. Un giorno, non so come, una gallina si è infiltrata
nel campo. Mi sono gettata sopra come una volpe, l'ho ammazzata e
mangiata dalla fame che avevo. Mi hanno picchiata e mi son presa sei
mesi di galera per furto».Giuseppe Goman a 14 anni fu rinchiuso nel
campo nei pressi di Agnone e i fascisti lo vollero fucilare per aver
rubato del cibo in cucina, ma all'ultimo momento la pena fu
commutata in «bastonature e segregazione». Nel campo di Teramo
invece, un tenente dei carabinieri ebbe cosi pietà di quei«rom
chiusi in condizioni miserevoli, che dormivano per terra con
mangiare poco e razionato che permise alle donne di andare ad
elemosinare in paese. Nel campo di Campobasso, Zlato Levak ricorda:
«Cosa davano da mangiare? Quasi niente. Il mio figlio più grande è
morto nel campo. Era unbravo pittore e molto intelligente».Per i
rom italiani, l'essere rinchiusi nei campi di prigionia, non per
aver commesso un reato, ma perla loro identità, fu uno shock. E
pensare, che a causa della leva obbligatoria, gli uomini avevano
servito nell'esercito durante la grande guerra o nelle colonie. Sarà
forse per questo trauma, che molti diloro hanno una certa reticenza
ad affermare in pubblico la propria identità, ed infatti l'opinione
pub-blica italiana ignora che dei circa 150.000 rom e sinti presenti
in Italia, ben il 60 -70% sono italianida secoli e sono per lo più
sedentari. Ignoriamo anche le vicende di molti rom, che fuggiti dai
campi,si unirono alle formazioni partigiane e che alcuni di essi
furono fucilati dai fascisti. Luca Bravi e Matteo Bassoli fanno
notare che il Parlamento italiano ha approvato nel 1999 la
legge sulle minoranze storiche linguistiche (riconoscendone 12) «solo
dopo aver stralciato l'inserimento delle comunità rom e sinti»
(tra le più antiche d'Italia, dove sono presenti dal XIV secolo).
La nostra rimozione
La rimozione del nostro
contributo ideologico e pratico all'olocausto dei rom, s'inserisce
in un'operazione di oblio ben più ampia, che tocca anche i nostri
crimini di guerra sotto il fascismo in Africa ed ex Jugoslavia. Come
ben spiegato nel documentario Fascist Legacy della BBC, tali
crimini non furono compiuti non solo dalle camicie nere, ma anche da
soldati e carabinieri, tanto che lostesso Badoglio era nella lista
dei primi 10 criminali di guerra italiani da processare. Il processo
nonsi è mai svolto, grazie al cambio di alleanza nel 1943 e al
nostro contributo di sangue alla lotta nazi-fascista.Ma il
paradosso resta: Badoglio il primo capo di governo dell'Italia
anti-fascista era stato un criminale di guerra agli ordini di
Mussolini. La Legge 20 luglio 2000 sulla «memoria», parla si di
olocausto ma non di rom. Su iniziativa dell'on. Maria Letizia De
Torre le persecuzioni fasciste contro i romsono finalmente ricordate
dalla Camera dei Deputati in un ordine del giorno nel 2009. E pensare
cheil parlamento tedesco aveva riconosciuto l'olocausto rom già nel
1979, e nel 2013 una poesia del romitaliano Santino Spinelli (il cui
padre fu internato dai fascisti) è incisa sul monumento erettoa
Berlino. Molti studiosi ed associazioni, per definire l'Olocausto rom,
hanno adottato il termine porajmos, chein romanes significa
«divoramento». Fu introdotto nel 1993 dal professore rom Ian
Hancock dell'università del Texas, che lo sentì da un sopravvissuto
ai campi di sterminio. Il linguista Marcel Courthiade, esperto di
romanes, ha proposto in alternativa samudaripen (tutti morti). Per
amore del vero, va precisato, che il rom comune, che spesso non
s'identifica nelle tante associazioni nazionalio internazionali rom e
di non rom, e che resta lontano dai dibattitti accademici, non
utilizza alcuno di questi termini.
Il ricordo di Pietro
Terracina
Eppure quando pensiamo al
2 agosto 1944, quando tutti i 2.897 rom dello Zigeunerlager di
Auschwitz-Birkenau furono inghiottiti nei forni crematori, ecco che
sia «divoramento» che «tutti morti», ci appaiono così adatti ed
evocativi. Ma perché ucciderli tutti in una sola notte? Forse
sitrattò di una punizione, poiché pochi mesi primi, armati di mazze
e pietre, i rom si ribellarono, mettendo in fuga i nazisti.Testimone
oculare della notte del 2 agosto fu l'ebreo italiano Pietro
Terracina, che ha raccontatoa Roberto Olia : «Con i rom eravamo
separati solo dal filo spinato. C'erano tante famiglie e bambini,di
cui molti nati lì. Certo soffrivano anche loro, ma mi sembrava gente
felice. Sono sicuro che pens-avano che un giorno quei cancelli si
sarebbero riaperti e che avrebbero ripreso i loro carri per
ritor-nare liberi. Ma quella notte sentii all'improvviso l'arrivo e
le urla delle SS e l'abbaiare dei loro cani.I rom avevano capito che
si prepara qualcosa di terribile.Sentii una confusione tremenda: il
pianto dei bambini svegliati in piena notte, la gente che si per-deva
ed i parenti che si cercavano chiamandosi a gran voce. Poi
all'improvviso silenzio. La mattina dopo, appena sveglio alle 4 e
mezza, il mio primo pensiero fu quello di andare a vedere
dall'altra parte del filo spinato. Non c'era più nessuno. Solo qualche
porta che sbatteva, perché a Birkenau c'era sempre tanto vento.
C'era un silenzio innaturale, paragonabile ai rumori ed ai suoni dei
giorni precedenti, perché i rom avevano conservato i loro strumenti e
facevano musica, che noi dall'altra parte del filo spinato sentivamo.
Quel silenzioera una cosa terribile che non si può dimenticare. Ci
bastò dare un'occhiata alle ciminiere dei fornicrematori, che
andavano al massimo della potenza, per capire che tutti i prigionieri
dello Zigeuner-lager furono mandati a morire. Dobbiamo ricordare
questa giornata del 2 agosto 1944».
venerdì 3 luglio 2015
La condanna di Borghezio per diffamazione aggravata da discriminazione razziale nei confronti dei Rom
Lo
scorso 26 giugno 2015 si è concluso il processo contro
l’eurodeputato Mario Borghezio nella causa intentata dalle
associazioni UPRE ROMA di Milano, SUCARDROM di Mantova e NEVO DROM di
Bolzano assistite dall’avvocato Gilberto Pagani, per le
dichiarazioni fatte nella trasmissione “La zanzara” in occasione
della Giornata internazionale del popolo rom e sinto l’8 aprile
2013.
Il
tribunale di Milano ha preso atto che le tre associazioni hanno
accettato le scuse e il risarcimento dei danni morali proposto da
Borghezio, risarcimento sulla cui misura lo stesso Borghezio ha
chiesto la clausola di riservatezza e che le tre associazioni
devolveranno completamente a progetti rivolti alle comunità rom e
sinte e in modo particolare al sostegno della campagna “Se mi
riconosci mi rispetti” per la legge di iniziativa popolare per il
riconoscimento della minoranza dei Rom e dei Sinti.
Il risarcimento dei danni
alle parti lese ha comportato la loro rinuncia alla costituzione di
parte civile; il dibattimento è continuato per l'accertamento della
responsabilità penale di Mario Borghezio e si è concluso con la sua
condanna per diffamazione aggravata dalla discriminazione razziale,
una condanna di grande importanza, perché - al di là della sua
misura: una multa e il pagamento delle spese processuali -, riconosce
il diritto di Rom e Sinti di essere tutelati come minoranza.
sabato 25 ottobre 2014
Un appello urgente, richiesta di avvocato

Riceviamo e giriamo questo appello! Se potete fare qualcosa, vi preghiamo di contattare Basir Ahang su FB. Grazie !
Urgent help needed!
A Hazara asylum seeker in Norway is going to be deported to Afghanistan tomorrow morning. Gholam Nabi arrived in Norway in 2008 when he was 17. In Norway in 2008 a car run over him on the pedestrian crossing. His back got broken and now he is paralyzed. Norwegian authorities now want to deport him. He didn't get justice for the incident and now he risks his life returning in Afghanistan. He needs urgently a lawyer. Please contact me if you can help. Thanks
A Hazara asylum seeker in Norway is going to be deported to Afghanistan tomorrow morning. Gholam Nabi arrived in Norway in 2008 when he was 17. In Norway in 2008 a car run over him on the pedestrian crossing. His back got broken and now he is paralyzed. Norwegian authorities now want to deport him. He didn't get justice for the incident and now he risks his life returning in Afghanistan. He needs urgently a lawyer. Please contact me if you can help. Thanks
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martedì 27 maggio 2014
No al campo Rom di Via Cesarina a Roma
L’Associazione 21 luglio lancia una mobilitazione on line per chiedere al sindaco Marino di bloccare il progetto di un nuovo “campo rom” in via della Cesarina
Bloccare immediatamente la progettazione del nuovo «villaggio della solidarietà» in via della Cesarina e riconvertire le ingenti risorse economiche previste - 2 milioni di euro - in progetti di inclusione per rom e cittadini romani in emergenza abitativa e sociale.
L’Associazione 21 luglio ha lanciato una mobilitazione on line invitando i cittadini a scrivere al sindaco di Roma Ignazio Marino per chiedere un suo intervento diretto nella questione.
Oggetto della mobilitazione, identificata dall'ironico avvertimento “Roma, nun fa’ la stupida” e dall’hashtag Twitter #DiscriminareCosta, è il progetto del nuovo insediamento per soli rom in via della Cesarina che l’Assessorato alle Politiche Sociali di Roma Capitale intende realizzare nei prossimi mesi. Il nuovo “villaggio della solidarietà” sarà costruito sullo stesso terreno laddove, fino a 5 mesi fa, sorgeva uno degli 8 “villaggi” della Capitale. Il 16 dicembre 2013 ai 137 rom residenti nell'insediamento era stato imposto il trasferimento nel centro di raccolta di via Vissoe lo spazio era stato smantellato e chiuso in vista dell’inizio dei lavori di costruzione del nuovo “campo”, così come disposto dall’assessore Rita Cutini.Lo scorso 8 aprile, Associazione 21 luglio, Amnesty International Italia e altre nove organizzazioni avevano scritto al sindaco Marino per esprimere la loro contrarietà alla decisione dell’assessore Cutini, evidenziando da un lato la reiterazione di una politica segregativa nei confronti dei rom e, dall'altro, puntando l’indice sul tema dell’efficacia della spesa pubblica.Una settimana più tardi, il Consiglio municipale del III Municipio, dove insiste l’insediamento, aveva chiesto al primo cittadino la sospensione dei lavori e la riconversione del denaro previsto nella realizzazione di progetti utili sia ai rom che ai cittadini del Municipio. Ai due appelli era seguito il silenzio dell’Assessorato.
Secondo l’Associazione 21 luglio il progetto dell’assessore Cutini di costruire l’ennesimo luogo di segregazione su base etnica per i rom della Capitale, oltre a configurarsi come lesivo dei diritti umani di tali comunità, rappresenta l’espressione di una scelta economicamente insostenibile.Ad oggi, infatti, quando i lavori del rifacimento del nuovo insediamento non sono ancora iniziati, l’Assessorato ha già sostenuto una spesa di circa 500 mila euro per l’affitto del terreno, i lavori di rimozione di amianto e il mantenimento dei rom “parcheggiati” nel centro di raccolta di via Visso. Per portare a compimento i lavori, è la spesa stimata dall'Associazione 21 luglio, il Comune investirà ancora 1,5 milioni di euro.Sulla pagina web dell’iniziativa #DiscriminareCosta lanciata quest’oggi dall'Associazione 21 luglio, è attivo un contatore che indicherà in tempo reale la spesa sostenuta giornalmente dall'Assessorato a guida Cutini per gli interventi preventivi alla realizzazione del nuovo insediamento.Dalla stessa pagina, fino alle ore 24 del 29 maggio, i cittadini, utilizzando l’apposito form, potranno inviare direttamente un’email al sindaco Marino per chiedergli di sospendere il progetto dell’Assessorato e riconvertire le risorse previste in progetti di inclusione che vadano a beneficio anche di cittadini non rom in disagio abitativo e sociale.
Per maggiori informazioni:
Danilo Giannese
Responsabile Comunicazione e Ufficio stampa
Associazione 21 luglio
Tel: 388 4867611 – 06 64815620
Email: stampa@21luglio.orgwww.21luglio.org
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domenica 16 marzo 2014
Container 158 e la "questione rom"
L'Associazione per i Diritti Umani presenterà il documentario Container 158 di Stefano Liberti e Enrico Parenti nell'ambito del fimfestival Sguardialtrove a Milano.
l'appuntamento è per mercoledì 19 marzo, alle ore 20.30, presso il cineteatro S. Maria Beltrade, Via Nino Oxilia, 10.
Un'occasione per approfondire la conoscenza dei popoli rom e sinti, troppo spesso vittime di discriminazioni fomentate anche da politiche di esclusione basate sulla paura del "diverso".
Il cinema documentario permette di entrare, in questo caso, nel campo rom di Via Salone, alle porte di Roma, il campo più grande d'Europa, e di trascorrere del tempo insieme ai suoi abitanti, condividendo la loro quotidianità: Miriana aspetta di partorire due gemelle in casa vera dove poter allevare anche gli altri suoi quattro figli; suo marito, Giuseppe, ogni mattina prende il suo furgoncino per andare a cercare ferro da riciclare; Remo è un meccanico, lavora in nero e i suoi clienti gli vogliono bene perché è economico e gentile. E poi ci sono i più giovani: Brenda è maggiorenne, vorrebbe fare la dottoressa, ma si è resa conto di quanto sia difficile, per lei, realizzare quel sogno; Marta, Cruis, Diego e Sasha frequentano le elementari e vengono rimproverati regolarmente per i loro frequenti ritardi.
Ma, quella che viene raccontata, è vita ed è vita "normale", se c'è una normalità.
Più di mille persone, provenienti per lo più dalla ex Jugoslavia, sopravvivono in questo enorme ghetto recintato da fil di ferro e sorvegliato da telecamere, come se fossero tutti accertati criminali e delinquenti: ammassati in camper di 22 metri, distanziati l'uno dall'altro soltanto due, lontano dal centro (dagli ospedali, ad esempio). E tanti di loro non hanno lavoro - più per la diffidenza degli altri, che per la loro mancanza di volontà - e non hanno un'identità riconosciuta dallo Stato anche quando sono nati e cresciuti in Italia.
Le voci narranti di questo film sono, soprattutto, quelle dei bambini perché non hanno sovrastrutture: raccontano semplicemente e sinceramente la loro esistenza, mettendo in luce, in maniera inconsapevole, le contraddizioni delle politiche istituzionali che, da una parte, parlano di inclusione, ma dall'altra, non creano le condizioni concrete per attuarla.
l'appuntamento è per mercoledì 19 marzo, alle ore 20.30, presso il cineteatro S. Maria Beltrade, Via Nino Oxilia, 10.
Un'occasione per approfondire la conoscenza dei popoli rom e sinti, troppo spesso vittime di discriminazioni fomentate anche da politiche di esclusione basate sulla paura del "diverso".
Il cinema documentario permette di entrare, in questo caso, nel campo rom di Via Salone, alle porte di Roma, il campo più grande d'Europa, e di trascorrere del tempo insieme ai suoi abitanti, condividendo la loro quotidianità: Miriana aspetta di partorire due gemelle in casa vera dove poter allevare anche gli altri suoi quattro figli; suo marito, Giuseppe, ogni mattina prende il suo furgoncino per andare a cercare ferro da riciclare; Remo è un meccanico, lavora in nero e i suoi clienti gli vogliono bene perché è economico e gentile. E poi ci sono i più giovani: Brenda è maggiorenne, vorrebbe fare la dottoressa, ma si è resa conto di quanto sia difficile, per lei, realizzare quel sogno; Marta, Cruis, Diego e Sasha frequentano le elementari e vengono rimproverati regolarmente per i loro frequenti ritardi.
Ma, quella che viene raccontata, è vita ed è vita "normale", se c'è una normalità.
Più di mille persone, provenienti per lo più dalla ex Jugoslavia, sopravvivono in questo enorme ghetto recintato da fil di ferro e sorvegliato da telecamere, come se fossero tutti accertati criminali e delinquenti: ammassati in camper di 22 metri, distanziati l'uno dall'altro soltanto due, lontano dal centro (dagli ospedali, ad esempio). E tanti di loro non hanno lavoro - più per la diffidenza degli altri, che per la loro mancanza di volontà - e non hanno un'identità riconosciuta dallo Stato anche quando sono nati e cresciuti in Italia.
Le voci narranti di questo film sono, soprattutto, quelle dei bambini perché non hanno sovrastrutture: raccontano semplicemente e sinceramente la loro esistenza, mettendo in luce, in maniera inconsapevole, le contraddizioni delle politiche istituzionali che, da una parte, parlano di inclusione, ma dall'altra, non creano le condizioni concrete per attuarla.
venerdì 20 settembre 2013
Un genocidio dimenticato
Quest'estate abbiamo conosciuto Pietro, un ragazzino che frequenta una scuola media di Milano. La mamma di Pietro ha origini armene e lui ha voluto approfondire una parte di Storia poco studiata e riportare alla memoria collettiva il dramma di un genocidio dimenticato. Pietro ha realizzato un interessantissimo lavoro audiovisivo per la sua scuola e ha voluto condividerlo con noi.
Ringraziamo tanto Pietro e la sua famiglia.
Questo materiale è pubblicato anche sulla pagina Youtube dell'Associazione per i Diritti Umani
Ringraziamo tanto Pietro e la sua famiglia.
Questo materiale è pubblicato anche sulla pagina Youtube dell'Associazione per i Diritti Umani
domenica 7 aprile 2013
Giornata Internazionale dei rom e dei sinti
Oggi,
domenica 7 aprile 2013, l'Associazione 21 luglio organizza, a Roma,
due momenti importanti di riflessione sulla situazione delle comunità
rom e sinti in Italia. E domani, una delegazione di giovani rom sarà
ricevuta dalla Presidente della Camera, on. Laura Boldrini.
Abbiamo
rivolto alcune domande al Presidente dell'Associazione 21 luglio,
Carlo Stasolla.
Qual
è la situazione attuale della comunità rom in Italia?
In
Italia sono stati censiti circa 170.000-180.000 rom, un numero molto
esiguo se si pensa ad altri Paesi: basti pensare che in Spagna ci
sono 800.000 rom e in Romania 2 milioni e mezzo. In Italia circa 1/5
di essi vive in insediamenti, quindi dobbiamo pensare che la
maggioranza dei rom vive all'interno di abitazioni convenzionali.
I
problemi riguardano, soprattutto, i rom che vivono negli
insediamenti, nei cosiddetti “campi nomadi”, proprio a causa di
una politica fortemente discriminatoria e segregativa che ha
consentito, a partire dagli anni '90, l'inizio della costruzione dei
“campi nomadi” e che, di fatto, ha avviato un processo di
razzismo istituzionale, costringendo queste persone a vivere a parte,
nei margini della città.
Qual
è la differenza tra rom e sinti? E da cosa nasce il razzismo nei
loro confronti?
Il
razzismo ha radici molto antiche, ma nasce da una parola: da quando
rom e sinti sono stati chiamati - dalle istituzioni e da media -
“nomadi”. “Nomadi” sono persone che non vogliono vivere nei
campi, persone diverse, che si muovono continuamente per sfuggire
alla giustizia o al controllo istituzionale.
In
Italia ci sono rom e sinti, due comunità diverse, che sono arrivate
con migrazione diverse: ci sono i rom venuti nel nostro Paese dal
'5000-'600 attraverso un percorso migratorio che li ha visti presenti
prima in Germania e poi nel Nord Europa; e ci sono i sinti, arrivati
qui negli anni '70-'80 dall'Est Europa, dalla Turchia, dalla Grecia,
passando per i Paesi balcanici.
Di
cosa parla il documentario “Campo sosta” che sarà una delle
vostre iniziative per la Giornata Internazionale dei rom e dei sinti?
E'
un lavoro di Stefano Liberti e Enrico Parenti - già autori di Mare
chiuso - che racconta ciò che avviene in uno dei villaggi
attrezzati della capitale. Villaggi in cui si è realizzata la
discriminazione perchè sono spazi lontani dalle città,
videosorvegliati, recintati e dove, su base etnica, vengono collocate
le persone. Si tratta, quindi, di un racconto fatto dal di dentro,
ascoltando e stando insieme ai ragazzi del villaggio di Salone - il
più grande di Roma e d'Europa - per capire come i giovani vivono
questa esperienza fortemente segregativa e ghettizzante.
Quali
sono le richieste e le aspettative di ragazzi rom che incontreranno
l'on. Laura Boldrini?
L'incontro
avrà un duplice scopo: da una parte, raccontare la realtà rom nel
nostro Paese. Questi ragazzi - che sono rappresentativi di diverse
realtà rom - le racconteranno le proprie esperienze di vita per far
comprendere al Presidente della Camera quella che è la situazione
che vivono sulla propria pelle.
La
richiesta formale, come associazione, sarà quella del riconoscimento
della minoranza rom, così come quella di prendersi in carico lo
status giuridico dei cittadini rom che sono, di fatto, apolidi:
senza, appunto, cittadinanza e riconoscimento.
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