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lunedì 9 novembre 2015

Sarà un Paese: l'alfabeto dei diritti

 
 





Sulle tracce dell’eroe fenicio Cadmo, cui il mito attribuisce l’introduzione in Grecia dell’alfabeto, Nicola, trentenne incerto sul futuro, e il fratello Elia, dieci anni, intraprendono un viaggio in Italia alla ricerca di un nuovo linguaggio, per ridare alle cose il loro giusto nome. In questo peregrinare, fatto di volti e luoghi, realtà dolorose e memorie storiche, la strada diventa percorso di formazione e insieme di esplorazione immaginaria. Nicola Campiotti, giovane figlio d'arte, riflette sul nostro Paese e vede nelle giovani generazioni la speranza per il futuro.



Il film Sarà un Paese è stato sostenuto dall'UNICEF e presentato lo scorso anno in occasione della 25mo anniversario della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, avvenuta il 20 novembre 1989. La giornata mondiale dei diritti dell'Infanzia e dell'adolescenza cade il 20 novembre di ogni anno.

 




L'Associazione per i Diritti umani ha rivolto alcune domande a Nicola Campiotti e lo ringrazia.



La narrazione segue un alfabeto dei diritti: quali sono quelli dell'infanzia maggiormente negati nel nostro Paese?


Il film è una sorta di mappa di quelli che, secondo me, sono i temi imprescindibili per un Paese civile e il filo che unisce questo percorso sono gli occhi di un bambino perchè il problema non è solo quello di delineare i diritti dell'infanzia, ma di rendersi conto che tutti i diritti devono essere rispettosi, anche dei bambini. Ad esempio, nel film si parla dell'aria che respiriamo, delle regole che ci diamo come comunità, del paesaggio che attraversiamo...Questo mondo si appresta ad essere delle nuove generazioni, per questo è importante il punto di vista di un bambino. L'episodio del'inquinamento è, infatti, il racconto di un bimbo ad altri coetanei.


Un altro argomento trattato è quello che riguarda la sicurezza sul lavoro...


Per quanto riguarda le morti bianche, l'Italia, purtroppo, ha il primato europeo. Nel film si racconta la storia di un ragazzo delle Marche che lavorava in una fabbrica dove un macchinario era stato manomesso, il dispositivo di sicurezza era stato tolto affinchè producesse più pezzi e, quindi, facesse un maggior profitto con tutte le conseguenze del caso.


E poi: i migranti e i loro figli che fanno fatica ad integrarsi...

 

L'Italia ha una legislazionemolto dura nel legittimare la cittadinanza ai figli di seconda generazione. Ho affrontato anche i temi dell' integrazione, della multiculturalità e della possibilità di immaginare un Paese che sia veramente il frutto di esperienze diverse, dal punto di vista culturale o religioso.

C'è una bella scena, ad esempio, di puro documentario in cui un ragazzino di 15 anni, nato in Egitto ma trasferitosi in Italia, dice a sua madre di sentirsi più romano che egiziano. In un'altra parte del film, invece, si racconta di un persorso di integrazione multireligioso e si dimostra che esponenti di Chiese differenti, in un Paese civile, potrebbero convivere.


Come ha sviluppato il soggetto del film dato che affronta, come abbiamo visto, molti argomenti?


Il film è un'esperienza umana e professionale molto lunga, durata tre anni e mezzo, con un girato di circa 150 ore.

La troupe è composta da sei persone e il motivo che sottende al film è una duplice esperienza: da una parte alcuni miei amici partivano per lavorare all'estero (per la difficoltà di farlo in Italia) e, parallelamente, ho due fratellini che mi costringevano a pormi delle domande.

Il film è dedicato a coloro che sono costretti a lasciare questo Paese e a chi lo sta per vivere.

venerdì 14 agosto 2015

Giornata internazionale dei Popoli Indigeni (9 agosto)



Attivisti indigeni per l'ambiente rischiano la vita - Un nuovo rapporto documenta le sempre maggiori minacce in tutto il mondo.
(da Associazione per i popoli minacciati)


In occasione della Giornata internazionale dei Popoli indigeni (9 agosto), l'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) pubblica un nuovo rapporto sulla situazione degli attivisti indigeni. Per gli attivisti indigeni di tutto il mondo chiedere il rispetto dei propri diritti o protestare per la salvaguardia delle proprie terre significa rischiare la vita. In molti paesi del mondo, alzare la voce a favore delle popolazioni indigene comporta la concreta probabilità di diventare vittima di assassinii di Stato, di arresti arbitrari, di essere condannati a lunghe pene detentive ingiustificate, di subire torture o importanti limitazioni della propria libertà di movimento e di parola.

Il nuovo rapporto pubblicato dall'APM mette in evidenza le pratiche adottate da governi e multinazionali per assicurarsi profitti economici senza riguardo delle comunità indigene e delle loro terre. Solamente sull'isola di Mindanao (Filippine) tra ottobre 2014 e giugno 2015 sono stati uccisi 23 leader indigeni impegnati a salvaguardare la loro terra dallo sfruttamento selvaggio imposto da progetti minerari. A Mindanao come altrove nel mondo, gli assassini, che siano sono semplici criminali, paramilitari o forze dell'ordine statali, restano impuniti.

Il rapporto analizza la situazione di dieci paesi in Asia, Centroamerica, Sudamerica e nella federazione Russa e mostra le metodologie violente e senza scrupoli messe in campo da latifondisti, governi e multinazionali per realizzare enormi progetti per lo sfruttamento di risorse naturali quali petrolio, gas, minerali, legname, ma anche di costruzione di dighe o di traffico di droga a scapito della vita non solo dei singoli attivisti ma di intere comunità indigene.

I membri delle comunità indigene sono attivisti per l'ambiente particolarmente motivati, proprio perché la loro sopravvivenza come comunità dipende perlopiù da un ambiente intatto, pulito e sano. La loro agricoltura sostenibile e i fortissimi legami con la propria terra tradizionale da cui traggono sia il senso identitario sia di appartenenza comunitaria dipendono proprio dal rispetto per la natura e l'ambiente. La realizzazione di mega-progetti sulla loro terra implica la distruzione dell'ambiente, l'avvelenamento dei terreni e troppo spesso la messa in fuga o la deportazione delle comunità indigene che ci vivono. Per loro ciò significa cadere nel baratro della povertà estrema, malattia, la perdita dei legami comunitari e delle proprie radici culturali.

La politica ambientale delle nazioni industrializzate sembra limitarsi all'organizzazione e alla partecipazione di vertici per il clima e giornate per la terra, nel proclamare compiaciuti sempre nuovi obiettivi da raggiungere per la salvaguardia del clima, ma di fatto non va molto oltre. Non solo non si impegna a proteggere la vita degli attivisti indigeni, le prime vittime e le maggiormente colpite dalla distruzione ambientale a livello mondiale, ma non pare nemmeno interessata ad ascoltare la loro voce.

Scarica il report [solo in tedesco] in:


https://www.gfbv.de/fileadmin/redaktion/Reporte_Memoranden/2015/Menschenrechtsreport_Nr._77_Indigene_Umweltaktivisten.compressed.pdf

Vedi anche in:



gfbv.it: www.gfbv.it/2c-stampa/2014/140909it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/2014/140801it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/2013/130806it.html | www.gfbv.it/3dossier/ind-voelker/brasil-tras.html | www.gfbv.it/3dossier/ind-voelker/global-it.html | www.gfbv.it/3dossier/ind-voelker/dekade-it.html
in www:
http://en.wikipedia.org/wiki/Indigenous_peoples

venerdì 24 luglio 2015

Quelle tante, troppe morti per amianto




Ammonta a 24 il numero degli operai deceduti per forme tumorali provocate da esposizione all'amianto. E i responsabili sono stati condannati.

Il giudice della Sesta sezione penale del Tribunale di Milano, Raffaele Martorelli, ha condannato undici ex dirigenti della Pirelli con pene tra i 3 e i 7 anni e 8 mesi di reclusione per il reato di omocidio colposo. Tra i loro nomi spicca, purtroppo Guido Veronesi, fratello del celebre oncologo ed ex ministro che, come gli altri, faceva parte del consiglio di amministrazione dell'azienda nel periodo tra gli anni '70 e '80.

Prendiamo atto con rammarico della sentenza di primo grado e aspettiamo di leggere le motivazioni non appena saranno depositate. Sulla base delle evidenze scientifiche ad oggi disponbili emerse nel corso della fase dibattimentale del processo, siamo certi della correttezza dell'operato dei nostri assistiti per i fatti contestati risalenti a oltre 25 anni fa, e presenteremo impugnazione in appello”: questo il commento dei legali della Pirelli. I fatti sono accauduti decenni fa e, infatti, questa prima sentenza arriva con enorme ritardo: l'accusa aveva chiesto per gli imputati otto anni di carcere e il giudice si è spinto oltre, accordando ai parenti delle vittime, costituitisi ovviamente come parte civile, anche un risarcimento economico e accettando in pieno l'impianto accusatorio del PM Ascione secondo il quale gli operai si sono ammalati e sono deceduti a causa del lavoro presso impianti contaminati senza alcuna protezione e, quindi, a causa di esalazioni “massicce e ripetute” di amianto.

Medicina democratica e Associazione italiana esposti amianto (presenti al processo) hanno esposto striscioni, esultato alla lettura della sentenza e hanno affermato: “ Abbiamo dimostrato che uniti si vince. Questa volta siamo riusciti a far condannare il padrone”.

Sempre a Milano, altri processi che vedono coinvolti gli ex dirigenti della centrale Enel di Turbigo e della Franco Tosi di Legnano si sono conclusi con l'assoluzione degli imputati, ma la sentenza Pirelli e il rinvio a giudizio per i dirigenti dell'Ilva di Taranto, per distastro ambientale, fanno ben sperare nel giusto corso della verità.



Per approfondire il tema, l'Associazione per i Diritti Umani vi ripropone il video dell'incontro che ha organizzato con lo scrittore Stefano Valenti, autore del romanzo “La fabbrica del panico”, vicnitore del Premio Campiello – giovani, 2014.
 
 
 
 
 

giovedì 12 marzo 2015

Fà la cosa giusta ! Una fiera tra diritti e sostenibilità



Arrivata alla dodicesima edizione, la Fiera FA' LA COSA GIUSTA (promossa da Terre di mezzo), anche quest'anno propone progetti, iniziative, prodotti, approfondimenti rigorosamente all'insegna della solidarietà, del rispetto dell'ambiente e di chi lo abita e per una buona qualità della vita per tutti. Come sempre moltissime le aree tematiche: alimentazione, commerco equo e solidale, area editoriale e culturale, mostre fotografiche, prodotti realizzati dai detenuti e tanto ancora.

L'edizione 2015 si terrà dal 13 al 15 marzo, presso FieraMilanoCity (MM1 - RHO)



L'Associazione per i Diritti Umani sarà presente DOMENICA 15 MARZO, alle ore 11.00 in piazza Volevamo la pace. Verranno presentate le iniziative in corso della manifestazione intitolata “D(i)RITTI al CENTRO” e verrà annunciata la collaborazione con il satirist CORVOROSSO.        



Furio Sandini, in arte “Corvorosso”, presenterà in anteprima la nuova mostra “ 1914-1918. Cento anni di guerra” attraverso, musica, video, parole e le sue celebri vignette.  



Vi aspettiamo !

domenica 28 dicembre 2014

Linee guida OCSE e cooperazione


Come integrare le Linee Guida OCSE nella cooperazione allo sviluppo italiana?

In breve, l’OCSE e le Nazioni Unite hanno sancito che, al fine di rispettare i diritti umani (ma riteniamo che ciò valga anche per le clausole ambientali, la responsabilità sociale, i diritti del lavoro, il contrasto alla corruzione) ogni impresa deve fare tre cose:
Adottare un documento di policy che includa un impegno formale a rispettare tali diritti e standard internazionali;
Metter in atto un sistema di processi interni (di dimensione e sofisticazione adeguata all’attività dell’impresa) che garantiscano che l’impresa rispetta tali diritti e standard;
Prevedere o prendere parte agli opportuni meccanismi rimediali.I regolamenti attuativi della Legge 125/2014 dovrebbero quindi richiedere a tutte le imprese che vogliono partecipare ai programmi della cooperazione allo sviluppo italiana di preparare due tipi di rapporti di pubblico accesso che dimostrino l’applicazione delle Linee Guida OCSE. Il primo, da pubblicare prima della decisione di eleggibilità al finanziamento dell’iniziativa di cooperazione allo sviluppo, dovrebbe includere:
Un documento di policy in cui l’impresa si impegna a rispettare i diritti umani e del lavoro, le clausole ambientali e a contrastare ogni forma di corruzione;
Una descrizione dei processi interni che garantiranno che l’impresa rispetterà tali diritti e impegni nel lavoro svolto per la cooperazione allo sviluppo;
Una descrizione degli opportuni meccanismi rimediali che l’impresa attiverà, o a cui l’impresa parteciperà.Il secondo tipo di rapporti, da pubblicare a intervalli regolari o alla fine dell’attività, dovrebbe includere:
Una descrizione di come hanno funzionato o non, durante il lavoro, i processi interni dedicati a fare in modo che l’impresa garantisse il rispetto dei diritti umani e degli altri impegni assunti (con una schema standard);
Una descrizione di come hanno funzionato o non gli opportuni meccanismi rimediali che l’impresa ha attivato, o cui ha partecipato (con una schema standard).
Migliori pratiche in altri paesi
Un esempio utile a livello Europeo è offerto dal Governo olandese. Lo “Strumento Commercio e Industria” (OS bedrijfsleveninstrumentarium) è un’iniziativa che garantisce sussidi alle imprese olandesi che conducono attività che contribuiscono allo sviluppo del settore privato nei paesi in via di sviluppo. Lo Strumento richiede esplicitamente che le imprese partecipanti debbano seguire procedure di due diligence basate sulle Linee Guida OCSE.
Altri esempi sono offerti dalla giurisdizione statunitense, come il Dodd Frank Act e la disciplina sugli investitori in Birmania. Una parte del Dodd Frank Act richiede a tutte le imprese che usano minerali provenienti dalla Repubblica Democratico del Congo di preparare un rapporto che descriva le procedure di due diligence che sono messe in atto per assicurare che l’approvvigionamento di queste materie prime non contribuisca al conflitto nel paese. Gli Stati Uniti richiedono anche a tutti coloro che investono almeno $500,000 in Birmania (o che investono nel settore estrattivo Birmano) di preparare un rapporto che descriva le procedure di due diligence che sono messe in atto per assicurare che queste investimenti non abbiano impatti negativi sui diritti umani. Entrambi questi requisiti sulla Repubblica Democratico del Congo e sulla Birmania si basano sui Principi Guida delle Nazioni Unite come modello per la due diligence.

giovedì 16 gennaio 2014

Le madri della terra dei fuochi: un grido d'aiuto e di dolore






Come Associazione per i Diritti Umani ci occupiamo anche di educazione alla legalità perchè senza il rispetto per le leggi, in una società civile, non ci può essere nemmeno rispetto per se stessi e per gli altri. Il rispetto deve essere alla base di ogni gruppo umano, di ogni famiglia, di ogni comunità.

Per questo motivo ci sentiamo in dovere, anche noi, di parlare della terra dei fuochi, di quell'area della regione Campania in cui, negli anni, sono state sepolte tonnellate di rifiuti e sversate sostanze tossiche, nel silenzio e nell'indifferenza colpevole di tutti.

Ma adesso c'è qualcuno che ha deciso, giustamente, di lanciare un segnale di aiuto e un grido di dolore: sono le mamme dei bambini che si sono ammalati di tumore o che hanno perso la vita. Sono le donne che hanno deciso di scendere nelle piazze, di andare in televisione (grande piazza virtuale) per chiedere che le istituzioni puniscano chi ha ucciso per guadagno e che pongano fine a questo dramma che colpisce le persone, la terra, l'ambiente.

Mi sono sentita offesa” ha detto Marzia, una delle donne che ha perso il proprio figlio piccolo “quando Schiavone ha accusato la gente della mia terra di non essersi mai ribellata alla camorra, di non aver visto le file di camion che attraversavano le nostre terre per sversare rifiuti tossici. Quasi come se noi, le vittime, la gente onesta, dovessimo chiedergli scusa, chiedere scusa alla camorra che ci ha avvelenato”. “L'inquinamento ha causato la malattia di mia figlia? Io non lo posso dire con certezza, ma certo qui da noi stanno succedendo cose terribili. Non possiamo continuare a stare zitti e qualcuno ci deve una risposta” queste, invece, le parole di Pina, mamma di Tonia una bambina di sei anni e mezzo stroncata da un medullo blastoma.

Le chiamano “le piramidi” quei cumuli di spazzatura imballata che stazionano a Giuliano e nelle campagne di Napoli e dintorni; ma tutta l'area del casertano è inquinata anche dagli effluvi che provengono dagli inceneritori con cui si vuole smaltire la “monnezza” accumulata però di tutto questo - e delle conseguenze terribili - se ne parla solo da qualche settimana: le trasmissioni Servizio pubblico, Le iene e poche altre, alcune testate di carta stampata hanno deciso di dar voce a queste madri-coraggio che, con dignità e fierezza, si rivolgono ai politici e parlano dei mafiosi, senza paura perchè, probabilmente, hanno già affrontato la paura più grande: quella di perdere i propri figli. E lottano, queste donne, per il futuro dei figli delle altre, per il futuro delle nuove generazioni. Per questo hanno chiesto udienza al Presidente Giorgio Napolitano che le riceverà il prossimo 22 gennaio.

Tonia, Mesia, Luca, Francesco: troppi i nomi di troppe creature che non hanno avuto la possibilità di crescere e di vivere perchè adulti senza scrupoli hanno tolto loro il diritto alla vita e alla salute e hanno tolto, ai genitori, il diritto alla pace.


giovedì 12 dicembre 2013

Con il fiato sospeso: il diritto alla salute e le morti di Stato



Stella, una studentessa di farmacia entra in un gruppo di ricerca per svolgere la sua tesi. Nel laboratorio di chimica qualcuno sta male, si parla di coincidenze. Anna, una sua amica, vorrebbe che la ragazza lasciasse il laboratorio perchè lo considera insalubre. Ma la vicenda di Stella si intreccia con quella di un dottorando che ha già percorso la strada in cui la giovane si imbatterà. Questa è la fiction.
Nel dicembre 2008 esce la notizia dell'apposizione dei sigilli ai laboratori di chimica alla facoltà di farmacia dell'università di Catania, a causa del sospetto ambientale, oltre al ritrovamento del memoriale del dottorando Emanuele Patané, morto di tumore al polmone nel 2003. E questa è la realtà.
Attualmente è in atto un processo che vede imputati i vertici della facoltà per inquinamento e discarica non autorizzata. Vincitore del premio "Gillo Pontecorvo - Arcobaleno Latino" all'ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia dove è stato presentato fuori concorso,
Con il fiato sospeso di Costanza Quatriglio mette anche in luce la ricattabilità in cui spesso vivono gli studenti universitari.


Abbiamo intervistato per voi Costanza Quatriglio che ringraziamo molto



Questo suo ultimo lavoro nasce da un fatto realmente accaduto. Ce lo può raccontare?

Questo lavoro nasce da un fatto realmente accaduto che è la scoperta che i laboratori di chimica della Facoltà di Scienze farmaceutiche dell'università di Catania sono stati chiusi dalla magistratura e adesso c'è un'inchiesta in corso per inquinamento ambientale.
Questa notizia non è stata particolarmente ripresa dai giornali, ma quando l'ho letta, ho letto anche del rinvenimento di un diario di un dottorando che, cinque anni prima nel 2003, aveva scritto cinque pagine molto dettagliate sulla vita all'interno del laboratorio: si lavorava senza norme di sicurezza. Questo ragazzo è morto di un tumore al polmone e, nel diario, accusava l'università di essere la causa di questa sua malattia.
Oltre a lui sono morti altri ragazzi.

Quali sono stati i passaggi necessari per reperire il materiale utilizzato per la realizzazione del film?

Ho iniziato a lavorare a questo film nel 2008/2009 e ci sono stati passaggi molto, molto difficili da tutti i punti di vista. La prima difficoltà è stata affrontare la questione dal punto di vista umano perchè ho trovato un muro di omertà gigantesco da parte dell'istituzione universitaria.
L'altra difficoltà è stata capire come utilizzare il diario e uscire dalla cronaca, per far diventare il film qualcosa di più universale possibile: cioè, il ricercartore universitario che parla di mancanza di sicurezza sul lavoro può diventare non solo una denuncia di cronaca, ma anche “etica”. Ho frequentato i laboratori di chimica di altre facoltà universitarie, ho conosciuto tante persone e ho capito che questa vicenda raccontava una storia non solo catanese, ma italiana.
Racconta di un Paese in cui le norme di sicurezza sono poco considerate in generale, di un Paese che non valorizza i talenti, di un Paese alla deriva.
L'intossicazione delle persone che fanno ricerca lì dentro trascende l'aspetto biologico e diventa una morte di Stato.

Questa è la denuncia più forte che ha voluto fare con questo film?

Sì, la denuncia più forte; infatti ho avuto difficoltà a produrre questo film.
E' passato di mano in mano e ho lavorato con varie case di produzione che però, all'inizio, sembravano accettare questa sfida molto complessa, ma poi mi facevano perdere tempo.
Solo tra questa primavera e l'estate, con altri collaboratori, siamo riusciti a partire.
Il mio primo obiettivo era quello di fare un cortometraggio tradizionale, poi ho cambiato il dispositivo narrativo.

Perchè, infatti, la scelta di mescolare finzione e documentario?

In realtà il film è un film di finzione, nel senso che rimette in scena completamente una storia scritta, inventata, anche se riprende una vicenda reale. Lo fa utilizzando il gioco del cinema: io intervisto il personaggio e l'intervista fa parte del linguaggio classico del documentario. Per questo motivo si parla anche di stile documentaristico.
Comunque all'interno di un racconto di dolore c'è anche la vitalità dei giovani che è, anche questa, etica e reale.

Dove si può vedere il documentario ?

In alcune sale cinematografiche italiane, con grande coraggio da parte degli esercenti.
A Catania è stato in programmazione tre settimane anche con quattro spettacoli al giorno. La stessa cosa è successa a Roma.
Secondo la mia opinione, il film - che dura 35 minuti – deve essere proiettato una o due volte al giorno all'interno delle programmazioni ufficiali.

La scelta dell'argomento riguarda anche la sua esperienza personale?

Io mi identifico in una generazione che ha ereditato un Paese guasto. Certamente è un film che mi riguarda profondamente e riguarda tanti di noi.


 



sabato 9 novembre 2013

10 proposte concrete per dichiarare illegale la povertà!




Come Associazione per i Diritti Umani vogliamo sostenere la campagna “Miseria ladra” promossa dal Gruppo Abele e da Libera di cui riportiamo il progetto e gli intenti già pubblicati sul sito di Libera.
Nell'ambito della campagna, per il prossimo 18 novembre, è previsto un incontro a Torino, alla Fabbrica delle "e" alle ore 21.00, con Luigi Ciotti, Marcelo Barros e Giuseppe De Marzo

Il nostro paese vive una condizione di impoverimento materiale e culturale insostenibile ed inaccettabile. I numeri più asettici dell'ISTAT ci informano che, nel 2012, 9 milioni e 563mila persone pari al 15,8% della popolazione sono in condizione di povertà relativa, con una disponibilità di 506 euro mensili (erano 8,173 milioni nel 2011 pari al 13,8% della popolazione). In condizione di povertà assoluta si trovano invece 4 milioni 814mila persone, pari al 7,9% della popolazione italiana (nel 2011 erano 3,415 milioni pari al 5,2% della popolazione). Parliamo di quasi un italiano su quattro costretto a vivere in una condizione in cui la dignità umana viene calpestata. Il 32,3% di chi ha meno di 18 anni è a rischio povertà. 723 mila minorenni italiani vivono già in condizione di povertà assoluta. È questo un dato intollerabile che dovrebbe farci indignare tutti e tutte. La diseguaglianza continua a crescere, con differenze territoriali che ripropongono la questione meridionale come uno dei temi sui quali intervenire urgentemente. Il sud infatti risulta drammaticamente più colpito ed impoverito dalla crisi. La disoccupazione nazionale oltre il 12%, al sud è nettamente superiore. Tra i 15/24 anni che cercano lavoro nel mezzogiorno, la disoccupazione è superiore al 41%. Le famiglie italiane si sono enormemente impoverite. Oltre il 60% delle famiglie ha ridotto la quantità e la qualità della propria spesa alimentare, mentre aumentano i casi di disoccupati e anziani costretti a rubare per mangiare. Oltre due milioni sono i cosiddetti Neet, giovani così scoraggiati dalla situazione che non studiano, non cercano più lavoro e non sono nemmeno coinvolti in attività formative. Aumentano enormemente la precarietà e lo sfruttamento sul lavoro, sino a raggiungere pratiche di neoschiavismo nei confronti dei lavoratori migranti e non, sia al sud che al nord del paese. Si rafforza il controllo dei clan malavitosi su molte attività economiche in crisi,costrette a "rivolgersi" ai prestiti dei mafiosi. Così come sono in drammatica crescita i crimini contro l'ambiente. Sono oltre 93 al giorno quelli denunciati che certificano l'aumento dell'impatto e dell'influenza delle ecomafie e che distruggono la nostra vera ricchezza: territori, beni comuni e biodiversità.
La ricchezza si è spostata dal lavoro alla rendita finanziaria. La situazione risulta aggravata dalle attuali politiche in campo. Delocalizzazioni,dismissioni, privatizzazioni, austerità e vincoli di bilancio,riforme di welfare e pensioni, azzeramento dei fondi per il sociale e tagli nei settori dove maggiore è la domanda di servizi pubblici e sociali, hanno aggravato ulteriormente la crisi. Disuguaglianza e ingiustizia sociale ed ambientale stanno mettendo in crisi la nostra democrazia. Una società diseguale, che coniuga svantaggio economico con la mancanza di opportunità, che precarizza i diritti degli esclusi, che difende i privilegi e la concentrazioni della ricchezza nelle mani di pochi, attenta alla coesione sociale e incrementa la sfiducia istituzionale, affossa il principio di rappresentatività e scoraggia la partecipazione. I dati e la situazione di crisi politica fotografano una "guerra" dove la povertà materiale e culturale èla peggiore delle malattie, in senso sociale, economico, ambientale e sanitario.
"La costruzione dell'uguaglianza e della giustizia sociale è compito della politica nel senso più vasto del termine: quella formale di chi amministra equella informale chi ci chiama in causa tutti come cittadini responsabili. La povertà dovrebbe essere illegale nel nostro paese. La crisi per molti è una condanna, per altri è un'occasione. Le mafie hanno trovato inedite sponde nella società dell'io, nel suo diffuso analfabetismo etico. Oggi sempre più evidenti i favoriindiretti alle mafie che sono forti in una società diseguale e culturalmente depressa e con una politica debole." sostiene don Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele e di Libera.
La Costituzione ci impegna in tal senso a fare ognuno la sua parte. La lotta alla povertà va ripensata in termini di interdipendenza tra le persone,le specie e all'interno degli equilibri naturali dei nostri ecosistemi. Possiamo da subito portare avanti azioni di contrasto dal basso alla povertà. Il Gruppo Abele e Libera promuovono la campagna"Miseria Ladra" con tutte quelle realtà sociali, sindacali,studentesche, comitati, associazioni, movimenti, giornali e singoli cittadini/e, intenzionati a portare avanti le proposte contenute nel documento. Proposte concrete che da subito possono rispondere alla crisi materiale e culturale, rafforzare la partecipazione e rivitalizzare la nostra democrazia. 




Le dieci proposte per combattere la povertà si possono leggere sul sito di Libera, www.libera.it
 

martedì 22 gennaio 2013

Proibire le colture alimentari sui terreni avvelenati dalla camorra

La criminalità organizzata sta perpetrando un genocidio per aver sversato tonnellate di rifiuti tossici nelle campagne di molte province campane e non solo.

Migliaia sono le persone che si ammalano e muoiono per aver ingerito cibi contaminati dalle acque di falda di queste zone.


Firmando questa petizione chiederai al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, ai Ministri dell'Interno, delle Politiche Agricole, dell'Ambiente e della Salute di 

• individuare le aree insistenti sulle falde acquifere compromesse
• delimitare le aree siti di discariche legali e di sversamenti abusivi garantendo che all'interno della distanza di sicurezza sia impedita la coltivazione agricola
• destinare i terreni insistenti sulle falde acquifere compromesse e limitrofi a siti di discariche legali e di sversamenti abusivi, alle sole colture non alimentari come canapa, sugherete, faggete per la produzione di carta e qualsiasi altra coltivazione compatibile con il clima del territorio
• rendere disponibili fondi europei per incentivare, in collaborazione con le organizzazioni agricole, i proprietari dei terreni alla coltivazione di prodotti non alimentari, e operando per costituire l'indispensabile filiera produttiva.

L'introduzione di questo limite servirà a salvare in futuro molte vite umane, che inconsapevolmente acquistano e consumano prodotti ortofrutticoli provenienti da coltivazioni attigue a discariche, legali o abusive, irrigate con l'acqua di falde irreversibilmente contaminate.

La norma potrà inoltre agire da deterrente nei confronti di chi, dietro offerta di denaro, accetterà di ospitare sui propri terreni nuove discariche abusive. 

Per firmare la petizione, potete andare sul sito www.change.org