Sono
trascorsi vent'anni dal genocidio e da una guerra civile che fece
circa un milione di vittime in Rwanda: una corte di Parigi ha emesso
la prima sentenza nei confronti dell'ex capo dell'intelligence del
governo ruandese dell'epoca e capitano della guardia presidenziale,
Pascal Simbikangwa, condannandolo a 25 anni di carcere per complicità
in genocidio e crimini contro l'umanità.
Noi
vogliamo riportare alla memoria quel genocidio con la recensione di
un libro: Nostra Signora
del Nilo di Scholastique Mukasonga (uscito in
Italia il 20 febbraio per i tipi di 66thand2nd), libro che ha
ottenuto il premio Ahmadou Kourouma al Salone del libro di Ginevra
e, nel novembre 2012, il premio Renaudot.
Nostra
signora del Nilo è il nome di un istituto scolastico, di un liceo
femminile situato non lontano dal Grande fiume dove si erge la
statua della Madonna nera. Siamo in Rwanda, negli anni'70, e in
quell'istituto studiano allieve, spesso figlie di uomini potenti:
avvocati, ministri, uomini d'affari. Intorno a quell'istituto si
muovono, le suore, la madre superiora e il cappellano, ma anche il
sindaco della città di Nyaminombe e le guardie comunali che
insegnano e predicano alle ragazze i valori dell'onestà, della
purezza e della castità. Gloriosa, Frida, Goretti, Godelive,
Immaculée: questi i nomi di alcune di loro, ma nel gruppo, ci sono
anche Virginia e Veronica, due giovani di etnia tutsi, ammesse alla
scuola grazie alla quota “concessa” dagli hutu, l'etnia
dominante.
Un anno
scolastico è un'occasione di confronto (o di scontro): un'impudenza,
infatti, sfocerà nell'odio razziale è sarà uno dei primi segnali
che porteranno al genocidio del 1994, nel periodo tra aprile e
luglio, quando gli estremisti hutu, per preservare il loro potere,
organizzarono l'immenso massacro.
“Le
ore di religione erano ovviamente affidate a padre Herménégilde. A
suon di proverbi, dimostrava che i ruandesi avevano sempre adorato un
unico Dio, un Dio che si chiamava Imana e che somigliava come un
fratello gemello allo Jahvè degli ebrei della Bibbia. Gli
antichi ruandesi erano, senza sapere di esserlo, dei cristiani che
aspettavano con impazienza l'arrivo dei missionari per farsi
battezzare, ma il diavolo era giunto a corrompere la loro coscienza”:
questo è un brano del romanzo, scritto con un linguaggio semplice,
ma efficace, che ripercorre la Storia passata e recente di un Paese
sempre dilaniato da conflitti interetnici e religiosi e lacerato dal
colonialismo.
Un testo
che racconta di una terra bellissima su cui gli Uomini hanno seminato
razzismo e sopraffazione, rabbia e fanatismo: ma una speranza, nel
racconto, c'è e si chiama solidarietà.