L'emendamento
bipartisan alla legge elettorale che prevedeva l'alternanza di genere
in lista - e che vietava la sequenza di due candidati dello stesso
sesso in sequenza - è stato bocciato; il secondo emendamento che
prevedeva che né il genere maschile né quello femminile potesse
essere rappresentato in misura superiore al 50% per i capilista è
stato bocciato; respinto anche il terzo emendamento che prevedeva la
proporzione del 40-60% per i capilista.
Tre
emendamenti bocciati, solo un paio di settimane fa, dalla Camera dei
deputati italiani.
Mentre
l'Europa va in direzione diversa: la parità tra donne e uomini è,
infatti, uno dei valori fondanti dell'Unione Europea e molti passi
avanti sono stati compiuti, ma non sono ancora abbastanza.
La
Strategia per la parità tra uomini e donne rappresenta il programma
di lavoro della Commissione europea in materia di uguaglianza di
genere per il periodo tra il 2010-2015. La Commissione si sta
impegnando per affermare, in particolare: la pari indipendenza
economica per le donne e per gli uomini; la parità delle
retribuzioni per un lavoro di uguale valore; la parità nei processi
decisionali; la dignità, l'integrità e la fine della violenza nei
confronti delle donne.
Per
approfondire alcuni temi relativi ai diritti delle donne in tutti i
settori - familiare, sociale, politico e lavorativo - ripubblichiamo
l'intervista che abbiamo fatto all'Avv. Marilisa D'Amico in occasione
dell'uscita del suo saggio intitolato La
laicità è donna, per
le edizioni L'asino d'oro.
Marilisa
D'Amico è Professore ordinario di Diritto costituzionale presso
l'Università degli Studi di Milano, avvocato cassazionista,
direttore della Sezione di Diritto costituzionale presso il
Dipartimento di diritto pubblico italiano e sovranazionale e, dal
2011, è membro del Consiglio comunale e presidente della
Commissione affari istituzionali del Comune di Milano. Con questo
volume ha voluto analizzare i nodi che intralciano il percorso della
piena realizzazione dei diritti delle donne, con particolare
riferimento alla mancata applicazione del principio di laicità
costituzionale.
Il
testo presenta un linguaggio chiaro, approfondimenti interessanti e
densi di riferimenti alle esperienze professionali dell'autrice da
cui si evince la passione e l'onestà con cui Marilisa D'amico ha
voluto esprimere la sua fiducia nelle risorse e nelle energie di
tutte quelle donne, giovani e meno giovani, che oggi, come nel
passato, si impegnano per una società più equilibrata e giusta.
Perché
ha scelto di citare, in apertura del saggio, Teresa Mattei?
La
scelta di citare in apertura questo estratto da un intervento in
Assemblea costituente di Teresa Mattei è legato in modo profondo
alla mia volontà di dedicare questo scritto alle donne della mia
vita, quelle che mi hanno aiutato a crescere.
Il
brano di Teresa Mattei vuole essere un tributo alle energie e alle
capacità femminili, troppo spesso, ancora nascoste e inutilizzate.
Serve
a ricordarci l’importanza della partecipazione delle donne alla
vita del nostro Paese e quanto ancora lunga sia la strada verso una
democrazia, che si dimostri a tutti gli effetti e livelli paritaria.
Teresa
Mattei parla di “un cammino liberatore” ed è qui che mi rivolgo
alle giovani donne, perché sappiano farsi portavoce della
convinzione che la parità, in ogni settore della vita di un Paese,
è condizione imprescindibile per la costruzione di una società
nuova e più giusta.
Questo
brano di Teresa Mattei unisce tutte le donne in un percorso comune,
ricordandoci da dove veniamo e dove vogliamo arrivare.
Qual
è la differenza tra “laicità” e “metodo laico”?
La
laicità è un principio costituzionale “supremo”, non
espressamente scritto nella Costituzione, che la nostra Corte
costituzionale ha ricavato da alcuni principi costituzionali in una
fondamentale sentenza del 1989.
Il
principio di laicità all’”italiana” è un principio di
laicità c.d. “positivo”, che non significa indifferenza dello
Stato nei confronti del fenomeno religioso, ma, viceversa, garanzia
per la salvaguardia della libertà di religione, in un regime di
pluralismo confessionale e culturale.
E’
sulla base di queste affermazione che nel mio scritto descrivo la
laicità come “una casa comune”. Una casa comune dove tutti i
cittadini siano liberi di scegliere la propria visione della vita,
senza prevaricazioni degli uni sugli altri.
Dal
principio di laicità discende, allora, quello che io definisco il
“metodo laico”.
La
laicità costituzionale non è, infatti, da intendersi solo come
separazione dell’ordine statale e religioso, ma anche come un
metodo che passa innanzitutto attraverso il dialogo e il confronto e
che porta all’apertura alle differenti realtà sociali, nel senso
della loro inclusione.
Il
metodo laico è quel metodo, che dovrebbe essere adottato dalle
istituzioni e che garantisce la piena tutela dei diritti
fondamentali e la tenuta dell’ordinamento democratico nella difesa
della nostra libertà.
Quale
può essere il legame tra legislatore, giudice e cittadino?
In
uno Stato costituzionale come il nostro, i diritti fondamentali,
quelli che toccano più da vicino la vita delle persone, ricevono
tutela in spazi e in luoghi diversi.
Gli
attori di questa tutela, che spesso assume i caratteri di una
contesa, sono il legislatore, i giudici, comuni e costituzionale, i
cittadini.
All’interno
del nostro ordinamento, infatti, i diritti fondamentali possono
ricevere una consistenza diversa a seconda che vengano fatti oggetto
della disciplina del legislatore o delle decisioni dei giudici.
Un’ipotesi
ancora diversa è quella che si verifica quando siano gli stessi
cittadini, attraverso lo strumento del referendum
abrogativo, a intervenire a tutela
dei propri diritti.
Esiste,
dunque, certamente un legame tra i diversi attori dell’ordinamento
che porta, però, spesso a situazioni conflittuali in cui i giudici
contraddicono o anticipano le scelte del legislatore e, talvolta,
sembrano i soggetti migliori per decidere le questioni più
controverse.
Nel
libro sono approfonditi alcuni temi a lei cari, quali:
l'interruzione di gravidanza, la fecondazione assistita, i diritti
delle donne straniere. Può raccontarci una sua esperienza come
avvocato costituzionalista?
Nella
mia esperienza come avvocato, credo che uno dei momenti di maggiore
soddisfazione sia stata la vittoria ottenuta nel giudizio davanti
alla Corte costituzionale, in tema di fecondazione medicalmente
assistita.
Nel
2009, insieme ad altri avvocati, sono infatti riuscita a fare
dichiarare incostituzionale uno dei limiti più irragionevoli della
legge n. 40/2004.
In
particolare, era stato chiesto alla Corte costituzionale di
pronunciarsi su quella norma della legge n. 40/2004, che limitava a
tre il numero massimo di embrioni destinati all’impianto,
nell’ambito delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita
di tipo omologo.
Si
trattava di un limite rigido che aveva ripercussioni notevoli sulla
salute psico-fisica della donna e che rendeva molto difficile per le
coppie sterili e infertili, a cui pure la legge si rivolgeva,
ottenere una gravidanza.
Il
limite rigido dei tre embrioni costituiva, inoltre, l’espressione
più tangibile dell’approccio ideologico del legislatore del 2004
al tema della procreazione artificiale. Un embrione che, stando alla
lettera della legge, avrebbe dovuto ricevere la tutela più forte,
in quanto soggetto più debole, rispetto ai diritti di tutti gli
altri soggetti coinvolti.
In
quell’occasione, la Corte costituzionale ci ha dato ragione,
dichiarando incostituzionale quel limite e ridando speranza e
consistenza al diritto di tante coppie di poter avere un bambino,
avvalendosi delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita.
La
soddisfazione è stata enorme e, tuttavia, il percorso per arrivare
alla Corte è stato lungo, complesso e non privo di difficoltà.
In
un sistema come il nostro che non consente al cittadino di
rivolgersi direttamente alla Corte costituzionale, la principale
difficoltà che mi trovo quotidianamente ad affrontare, come
avvocato, riguarda proprio l’accesso al giudizio davanti alla
Corte costituzionale.
Di
fronte a scelte legislative ideologiche, come nel caso della legge
sulla fecondazione medicalmente assistita, l’unica strada per
tutelare i diritti fondamentali dei cittadini è, infatti, quella
giudiziaria nel tentativo di giungere dinanzi alla Corte
costituzionale.
Da
qui le difficoltà per noi avvocati, ma anche le soddisfazioni
quando, come è accaduto con la decisione n. 151/2009 della Corte
costituzionale, riusciamo a portare le istanze dei cittadini davanti
alla Corte e ad ottenere la tutela di quei diritti fondamentali di
cui il legislatore, sbagliando, si sia disinteressato.
A
che punto è il nostro Paese riguardo al rapporto tra laicità e
libertà?
Nel
libro ho descritto tutta una serie di vicende dalle quali è
possibile trarre alcune conclusioni su questo punto.
Lo
smarrimento del principio di laicità costituzionale determina
conseguenze negative, in primo luogo, sulla libertà dei cittadini,
che la Costituzione tutela al suo articolo 2.
Il
significato più profondo della laicità si collega, infatti, al
termine libertà, espressione del diritto di autodeterminazione
dell’individuo, intesa come fiducia nel cittadino di scegliere in
base ai propri convincimenti.
Le
soluzioni normative di cui si dà ampio conto nello scritto non
fanno che evidenziare l’atteggiamento moralizzatore e ideologico
di un legislatore, che invece che bilanciare diritti, li gioca gli
uni contro gli altri. In luogo dell’individuazione di un punto di
equilibrio, di uno spazio comune in cui i diritti fondamentali di
tutti possano ricevere tutela, si assiste a soluzioni non laiche,
calate dell’alto, che privilegiano i diritti di alcuno contro
quelli di altri.
Si
pensi alla legge n. 40/2004, in materia di fecondazione assistita,
emblematica di come il legislatore scelga di assegnare un’indubbia
prevalenza ai diritti dell’embrione a discapito di quelli delle
coppie.
Ritengo,
in estrema sintesi, che sul tema dei diritti fondamentali dei
cittadini il nostro Paese si trovi in una posizione di pericolosa
arretratezza, a cui la politica, sinora, non ha saputo fornire
risposte adeguate.
Infine,
può spiegare il significato del titolo del suo lavoro: La laicità
è donna?
La
scelta del titolo si lega fortemente alla convinzione per la quale
ritengo che la perdita della tenuta laica del nostro Stato, che vede
sempre più spesso i diritti fondamentali oggetto di una lotta, di
una tensione tra visioni diverse e contrastanti, si ripercuota
negativamente, in modo particolare, sui diritti delle donne.
Da
qui, la scelta di ripercorrere alcune delle principali questioni che
sorgono a fronte della confusa e spesso insufficiente applicazione
del principio di laicità costituzionale.
Gli
effetti di questo smarrimento del principio di laicità sono,
infatti, molto chiari se si guarda ad alcuni episodi degli ultimi
anni, che hanno visto le donne, loro malgrado, protagoniste.
Mi
riferisco alla vicenda della legge sulla procreazione medicalmente
assistita, ai tentativi di paralizzare la legge sull’interruzione
volontaria di gravidanza, all’assenza delle donne nelle
istituzioni.
Esempi
dai quali emerge come la crisi del principio di laicità tocchi
prima di tutto il ruolo e la posizione delle donne nella società.
Donne assenti nelle istituzioni e negli organi decisionali, donne
costrette a una visione della maternità come supremo sacrificio,
donne private del diritto fondamentale di decidere se portare avanti
o meno una gravidanza.
Donne
che non possono scegliere, emarginate e, spesso, sole.
Ho
scelto di dedicare questo mio lavoro alle donne della mia vita,
sentendo in modo molto forte il compito di un mio impegno civile e
politico, nella speranza che siano le giovani donne ad accettare e,
finalmente, a vincere la grande sfida di costruire una democrazia
veramente paritaria