lunedì 31 marzo 2014

Parità di genere: in Italia no, in Europa sì




L'emendamento bipartisan alla legge elettorale che prevedeva l'alternanza di genere in lista - e che vietava la sequenza di due candidati dello stesso sesso in sequenza - è stato bocciato; il secondo emendamento che prevedeva che né il genere maschile né quello femminile potesse essere rappresentato in misura superiore al 50% per i capilista è stato bocciato; respinto anche il terzo emendamento che prevedeva la proporzione del 40-60% per i capilista.

Tre emendamenti bocciati, solo un paio di settimane fa, dalla Camera dei deputati italiani.

Mentre l'Europa va in direzione diversa: la parità tra donne e uomini è, infatti, uno dei valori fondanti dell'Unione Europea e molti passi avanti sono stati compiuti, ma non sono ancora abbastanza.

La Strategia per la parità tra uomini e donne rappresenta il programma di lavoro della Commissione europea in materia di uguaglianza di genere per il periodo tra il 2010-2015. La Commissione si sta impegnando per affermare, in particolare: la pari indipendenza economica per le donne e per gli uomini; la parità delle retribuzioni per un lavoro di uguale valore; la parità nei processi decisionali; la dignità, l'integrità e la fine della violenza nei confronti delle donne.

Per approfondire alcuni temi relativi ai diritti delle donne in tutti i settori - familiare, sociale, politico e lavorativo - ripubblichiamo l'intervista che abbiamo fatto all'Avv. Marilisa D'Amico in occasione dell'uscita del suo saggio intitolato La laicità è donna, per le edizioni L'asino d'oro.



Marilisa D'Amico è Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano, avvocato cassazionista, direttore della Sezione di Diritto costituzionale presso il Dipartimento di diritto pubblico italiano e sovranazionale e, dal 2011, è membro del Consiglio comunale e presidente della Commissione affari istituzionali del Comune di Milano. Con questo volume ha voluto analizzare i nodi che intralciano il percorso della piena realizzazione dei diritti delle donne, con particolare riferimento alla mancata applicazione del principio di laicità costituzionale.
Il testo presenta un linguaggio chiaro, approfondimenti interessanti e densi di riferimenti alle esperienze professionali dell'autrice da cui si evince la passione e l'onestà con cui Marilisa D'amico ha voluto esprimere la sua fiducia nelle risorse e nelle energie di tutte quelle donne, giovani e meno giovani, che oggi, come nel passato, si impegnano per una società più equilibrata e giusta.


Perché ha scelto di citare, in apertura del saggio, Teresa Mattei?

La scelta di citare in apertura questo estratto da un intervento in Assemblea costituente di Teresa Mattei è legato in modo profondo alla mia volontà di dedicare questo scritto alle donne della mia vita, quelle che mi hanno aiutato a crescere.
Il brano di Teresa Mattei vuole essere un tributo alle energie e alle capacità femminili, troppo spesso, ancora nascoste e inutilizzate.
Serve a ricordarci l’importanza della partecipazione delle donne alla vita del nostro Paese e quanto ancora lunga sia la strada verso una democrazia, che si dimostri a tutti gli effetti e livelli paritaria.
Teresa Mattei parla di “un cammino liberatore” ed è qui che mi rivolgo alle giovani donne, perché sappiano farsi portavoce della convinzione che la parità, in ogni settore della vita di un Paese, è condizione imprescindibile per la costruzione di una società nuova e più giusta.
Questo brano di Teresa Mattei unisce tutte le donne in un percorso comune, ricordandoci da dove veniamo e dove vogliamo arrivare.

Qual è la differenza tra “laicità” e “metodo laico”?

La laicità è un principio costituzionale “supremo”, non espressamente scritto nella Costituzione, che la nostra Corte costituzionale ha ricavato da alcuni principi costituzionali in una fondamentale sentenza del 1989.
Il principio di laicità all’”italiana” è un principio di laicità c.d. “positivo”, che non significa indifferenza dello Stato nei confronti del fenomeno religioso, ma, viceversa, garanzia per la salvaguardia della libertà di religione, in un regime di pluralismo confessionale e culturale.
E’ sulla base di queste affermazione che nel mio scritto descrivo la laicità come “una casa comune”. Una casa comune dove tutti i cittadini siano liberi di scegliere la propria visione della vita, senza prevaricazioni degli uni sugli altri.

Dal principio di laicità discende, allora, quello che io definisco il “metodo laico”.
La laicità costituzionale non è, infatti, da intendersi solo come separazione dell’ordine statale e religioso, ma anche come un metodo che passa innanzitutto attraverso il dialogo e il confronto e che porta all’apertura alle differenti realtà sociali, nel senso della loro inclusione.
Il metodo laico è quel metodo, che dovrebbe essere adottato dalle istituzioni e che garantisce la piena tutela dei diritti fondamentali e la tenuta dell’ordinamento democratico nella difesa della nostra libertà.

Quale può essere il legame tra legislatore, giudice e cittadino?

In uno Stato costituzionale come il nostro, i diritti fondamentali, quelli che toccano più da vicino la vita delle persone, ricevono tutela in spazi e in luoghi diversi.
Gli attori di questa tutela, che spesso assume i caratteri di una contesa, sono il legislatore, i giudici, comuni e costituzionale, i cittadini.
All’interno del nostro ordinamento, infatti, i diritti fondamentali possono ricevere una consistenza diversa a seconda che vengano fatti oggetto della disciplina del legislatore o delle decisioni dei giudici.
Un’ipotesi ancora diversa è quella che si verifica quando siano gli stessi cittadini, attraverso lo strumento del referendum abrogativo, a intervenire a tutela dei propri diritti.
Esiste, dunque, certamente un legame tra i diversi attori dell’ordinamento che porta, però, spesso a situazioni conflittuali in cui i giudici contraddicono o anticipano le scelte del legislatore e, talvolta, sembrano i soggetti migliori per decidere le questioni più controverse.


Nel libro sono approfonditi alcuni temi a lei cari, quali: l'interruzione di gravidanza, la fecondazione assistita, i diritti delle donne straniere. Può raccontarci una sua esperienza come avvocato costituzionalista?

Nella mia esperienza come avvocato, credo che uno dei momenti di maggiore soddisfazione sia stata la vittoria ottenuta nel giudizio davanti alla Corte costituzionale, in tema di fecondazione medicalmente assistita.

Nel 2009, insieme ad altri avvocati, sono infatti riuscita a fare dichiarare incostituzionale uno dei limiti più irragionevoli della legge n. 40/2004.
In particolare, era stato chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi su quella norma della legge n. 40/2004, che limitava a tre il numero massimo di embrioni destinati all’impianto, nell’ambito delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita di tipo omologo.
Si trattava di un limite rigido che aveva ripercussioni notevoli sulla salute psico-fisica della donna e che rendeva molto difficile per le coppie sterili e infertili, a cui pure la legge si rivolgeva, ottenere una gravidanza.
Il limite rigido dei tre embrioni costituiva, inoltre, l’espressione più tangibile dell’approccio ideologico del legislatore del 2004 al tema della procreazione artificiale. Un embrione che, stando alla lettera della legge, avrebbe dovuto ricevere la tutela più forte, in quanto soggetto più debole, rispetto ai diritti di tutti gli altri soggetti coinvolti.

In quell’occasione, la Corte costituzionale ci ha dato ragione, dichiarando incostituzionale quel limite e ridando speranza e consistenza al diritto di tante coppie di poter avere un bambino, avvalendosi delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita.

La soddisfazione è stata enorme e, tuttavia, il percorso per arrivare alla Corte è stato lungo, complesso e non privo di difficoltà.
In un sistema come il nostro che non consente al cittadino di rivolgersi direttamente alla Corte costituzionale, la principale difficoltà che mi trovo quotidianamente ad affrontare, come avvocato, riguarda proprio l’accesso al giudizio davanti alla Corte costituzionale.
Di fronte a scelte legislative ideologiche, come nel caso della legge sulla fecondazione medicalmente assistita, l’unica strada per tutelare i diritti fondamentali dei cittadini è, infatti, quella giudiziaria nel tentativo di giungere dinanzi alla Corte costituzionale.
Da qui le difficoltà per noi avvocati, ma anche le soddisfazioni quando, come è accaduto con la decisione n. 151/2009 della Corte costituzionale, riusciamo a portare le istanze dei cittadini davanti alla Corte e ad ottenere la tutela di quei diritti fondamentali di cui il legislatore, sbagliando, si sia disinteressato.

A che punto è il nostro Paese riguardo al rapporto tra laicità e libertà?

Nel libro ho descritto tutta una serie di vicende dalle quali è possibile trarre alcune conclusioni su questo punto.
Lo smarrimento del principio di laicità costituzionale determina conseguenze negative, in primo luogo, sulla libertà dei cittadini, che la Costituzione tutela al suo articolo 2.
Il significato più profondo della laicità si collega, infatti, al termine libertà, espressione del diritto di autodeterminazione dell’individuo, intesa come fiducia nel cittadino di scegliere in base ai propri convincimenti.
Le soluzioni normative di cui si dà ampio conto nello scritto non fanno che evidenziare l’atteggiamento moralizzatore e ideologico di un legislatore, che invece che bilanciare diritti, li gioca gli uni contro gli altri. In luogo dell’individuazione di un punto di equilibrio, di uno spazio comune in cui i diritti fondamentali di tutti possano ricevere tutela, si assiste a soluzioni non laiche, calate dell’alto, che privilegiano i diritti di alcuno contro quelli di altri.
Si pensi alla legge n. 40/2004, in materia di fecondazione assistita, emblematica di come il legislatore scelga di assegnare un’indubbia prevalenza ai diritti dell’embrione a discapito di quelli delle coppie.

Ritengo, in estrema sintesi, che sul tema dei diritti fondamentali dei cittadini il nostro Paese si trovi in una posizione di pericolosa arretratezza, a cui la politica, sinora, non ha saputo fornire risposte adeguate.


Infine, può spiegare il significato del titolo del suo lavoro: La laicità è donna?

La scelta del titolo si lega fortemente alla convinzione per la quale ritengo che la perdita della tenuta laica del nostro Stato, che vede sempre più spesso i diritti fondamentali oggetto di una lotta, di una tensione tra visioni diverse e contrastanti, si ripercuota negativamente, in modo particolare, sui diritti delle donne.
Da qui, la scelta di ripercorrere alcune delle principali questioni che sorgono a fronte della confusa e spesso insufficiente applicazione del principio di laicità costituzionale.

Gli effetti di questo smarrimento del principio di laicità sono, infatti, molto chiari se si guarda ad alcuni episodi degli ultimi anni, che hanno visto le donne, loro malgrado, protagoniste.
Mi riferisco alla vicenda della legge sulla procreazione medicalmente assistita, ai tentativi di paralizzare la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, all’assenza delle donne nelle istituzioni.
Esempi dai quali emerge come la crisi del principio di laicità tocchi prima di tutto il ruolo e la posizione delle donne nella società. Donne assenti nelle istituzioni e negli organi decisionali, donne costrette a una visione della maternità come supremo sacrificio, donne private del diritto fondamentale di decidere se portare avanti o meno una gravidanza.
Donne che non possono scegliere, emarginate e, spesso, sole.

Ho scelto di dedicare questo mio lavoro alle donne della mia vita, sentendo in modo molto forte il compito di un mio impegno civile e politico, nella speranza che siano le giovani donne ad accettare e, finalmente, a vincere la grande sfida di costruire una democrazia veramente paritaria