testo
e voce Livia
Grossi
foto
e video Emiliano
Boga
musica
Jali
Omar Suso
scrittura
scenica Emanuela
Villagrossi
Emiliano Boga |
Senegalesi che tornano a casa dopo anni di emigrazioni, lavori degradanti in Europa e tante umiliazioni; europei che decidono di andare in Burkina Faso per essere poveri sì, ma più felici. Questa la situazione paradossale che viene raccontata da Livia Grossi in un reportage che, alla forza della sua indagine giornalistica unisce le bellissime foto - un paio qui pubblicate – e i video di Emiliano Boga.
La giornalista del Corriere della sera accompagna gli spettatori in un viaggio reso affascinante anche dalle note della kora (tipico strumento africano) di Jali Omar Suso che come tanti altri nel suo Paese è un “griot”, un cantastorie. Storie che dovremmo solo imparare ad ascoltare con attenzione.
Abbiamo intervistato per voi Livia Grossi che ci ha anche scritto:
“Emiliano
è stato il mio compagno di viaggio, amico e fotografo: è scomparso
recentemente per un incidente. Ogni replica di questo reading la
dedico a lui”.
Quando è come si è sviluppato il suo progetto sul teatro africano?
Da oltre vent'anni viaggio per il continente africano, ma solo nel 2012 ho deciso di partire per il Burkina Faso, "il paese degli uomini integri", come l'aveva battezzato Thomas Sankara, ex presidente del Paese assassinato nel 1987. A farmi prendere la decisione di partire è stata una notizia a dir poco bizzarra: in Burkina, il 6° paese più povero al mondo, ci sono oltre 200 compagnie che lavorano e si mantengono facendo teatro. Per una giornalista come me che scrive di cultura e teatro è quasi una provocazione: ho deciso di prendere l'aereo e partire, ovviamente a mie spese , senza alcuna sicurezza di pubblicare l'articolo, fa parte del pacchetto 'rischi e libertà' del free lance.
Che cosa significa "fare teatro" nei paesi africani, in particolare in Burkina Faso e in Senegal?
Il teatro può essere una forma di giornalismo?
Quali sono, oggi, gli stereotipi sugli africani in Italia? Ed esistono anche stereotipi al contrario?
Il lavoro si intitola Ricchi di cosa e poveri di cosa?: perché questa scelta?
Nel nostro Occidente alla deriva credo sia necessario pensare a una nuova definizione delle parole “ricchezza” e “povertà”, il Pil non può essere l'unica unità di misura; credo sia giunto, da tempo, il momento di chiedersi "Ricchi di cosa e poveri di cosa?", O meglio è questa la vera domanda a cui dovremmo impegnarci a rispondere. In scena dico: "Qui da noi la Festa oggi pare essere proprio finita, non ci resta che imparare a guardare con altri occhi". Il reportage non a caso inizia con il prologo (in video) dedicato a Thomas Sankara, “il Che Guevara africano”, con alcuni estratti del suo discorso sul debito pubblico.
Rai 3 domenica 9 febbraio 2014 ha dedicato la puntata di "Persone" , approfondimento del TG3, registrata in occasione della messa in scena di "Ricchi di cosa?" all'interno dell'Edge festival Teatro/carcere.
Il link è :
Quando è come si è sviluppato il suo progetto sul teatro africano?
Da oltre vent'anni viaggio per il continente africano, ma solo nel 2012 ho deciso di partire per il Burkina Faso, "il paese degli uomini integri", come l'aveva battezzato Thomas Sankara, ex presidente del Paese assassinato nel 1987. A farmi prendere la decisione di partire è stata una notizia a dir poco bizzarra: in Burkina, il 6° paese più povero al mondo, ci sono oltre 200 compagnie che lavorano e si mantengono facendo teatro. Per una giornalista come me che scrive di cultura e teatro è quasi una provocazione: ho deciso di prendere l'aereo e partire, ovviamente a mie spese , senza alcuna sicurezza di pubblicare l'articolo, fa parte del pacchetto 'rischi e libertà' del free lance.
Che cosa significa "fare teatro" nei paesi africani, in particolare in Burkina Faso e in Senegal?
In
Burkina Faso, ma anche in Senegal spesso gli spettacoli sono un mezzo
d’informazione e formazione sociale. Si parla di aids, emigrazione,
infibulazione, decessi per parto, ma anche di come ci si cura con le
erbe. Si fa teatro ovunque, sotto i baobab nei villaggi, in piazza
tra la polvere rossa della strada, sotto le stelle del teatro della
capitale Ouagadogou, o tra i panni stesi nella Casa della Parola di
Bobo Doulasso, l'antica corte di Sotigui Kouyaté, il griot scelto da
Peter Brook per il suo Mahabharata.
Il teatro è essenziale
per la vita del popolo burkinabé, e qui se c'è da pagare qualche
centesimo per il biglietto nessuno si tira indietro, perchè tutti ne
riconoscono il valore.
"Le “case della parola” nate nei villaggi come luoghi dove discutere responsabilità e conflitti, proprio come in tribunale, in Burkina Faso sono diventati palcoscenici dove raccontare e raccontarsi. La sede africana di quell’agorà, dove il Teatro delle Origini è nato. Un rito sociale antico che noi con il tempo abbiamo dimenticato, lasciando il palcoscenico a forme d’ intrattenimento non sempre di buon gusto".
"Le “case della parola” nate nei villaggi come luoghi dove discutere responsabilità e conflitti, proprio come in tribunale, in Burkina Faso sono diventati palcoscenici dove raccontare e raccontarsi. La sede africana di quell’agorà, dove il Teatro delle Origini è nato. Un rito sociale antico che noi con il tempo abbiamo dimenticato, lasciando il palcoscenico a forme d’ intrattenimento non sempre di buon gusto".
Il teatro può essere una forma di giornalismo?
Certo,
qui si fa teatro per conoscere tutto ciò che è utile sapere, e gli
attori e i cantastorie (i griot), in qualche modo diventano miei
colleghi. Come m'interessa ritrovare quel
“Teatro delle origini” che al di là di ogni luogo comune,
stabilisca una rinnovata forma di condivisione della realtà
attraverso il racconto e la sua rappresentazione. m'interessa un
“giornalismo delle origini”, capace di trasmettere, con
sentimento e ragione, nuove e necessarie motivazioni. Da qui nascono
i miei reportage teatrali, una
forma di giornalismo detto in scena, come se il palco fosse una
pagina di un magazine, con contributi fotografici, interviste in
video e la giornalista che 'dice il pezzo' guardando negli occhi il
lettore.
Quali sono, oggi, gli stereotipi sugli africani in Italia? Ed esistono anche stereotipi al contrario?
I
media spesso fanno passare un'immagine che conferma e rassicura su
posizioni di ricchezza e povertà. Il bambino nero con la pancia
gonfia e la mosca sull'occhio e il bianco grasso e opulento con la
sua Range Rover. Certo, questo è uno degli aspetti della realtà ma
non l'unico. La seconda parte del mio reportage offre al
lettore/spettatore un 'altro punto di vista. Racconto che in tempo di
crisi l'emigrazione inizia a invertire le rotte.
I senegalesi incominciano tornare a
casa perché il gioco non vale più la candela, gli italiani pensano
all’Africa per fuggire da solitudine e povertà. Non sto ovviamente
dicendo che gli aerei oggi si stanno riempiendo di italiani in fuga,
ma cerco di far riflettere dando voce alle testimonianze di alcuni
"emigrati al contrario": insegnanti precari tagliati dalla
Gelmini che per sei mesi all'anno fanno imparare a leggere e scrivere
ai bambini della spiaggia (i figli dei pescatori), ragazzi in cerca
di futuro e socialità che aprono ostelli per viaggiatori zaino in
spalla, e a chi con 300 euro di pensione dichiara: 'Ci vuole molto
più coraggio a vivere in Italia con la mia pensione che stare in
Senegal'. Un pensionato comasco che ho intervistato in un piccolo
villaggio di pescatori, nella sede della sua associazione, un punto
di riferimento per tutti i bambini di strada, qui possono avere una
doccia, abiti puliti, cibarsi, giocare e imparare a scrivere in wolof
e in francese. Tra un italiano e l' altro ci sono le testimonianze anche
di alcuni senegalesi che dopo anni in Italia hanno deciso di tornare
a casa, preferendo qualità di vita rispetto a qualche euro in più
in tasca. Dal 2011 in Italia se ne sono andati circa 800mila
immigrati , ma anche se i
dati non sono mai certi, pare i numero siano destinato a salire.Il lavoro si intitola Ricchi di cosa e poveri di cosa?: perché questa scelta?
Nel nostro Occidente alla deriva credo sia necessario pensare a una nuova definizione delle parole “ricchezza” e “povertà”, il Pil non può essere l'unica unità di misura; credo sia giunto, da tempo, il momento di chiedersi "Ricchi di cosa e poveri di cosa?", O meglio è questa la vera domanda a cui dovremmo impegnarci a rispondere. In scena dico: "Qui da noi la Festa oggi pare essere proprio finita, non ci resta che imparare a guardare con altri occhi". Il reportage non a caso inizia con il prologo (in video) dedicato a Thomas Sankara, “il Che Guevara africano”, con alcuni estratti del suo discorso sul debito pubblico.
Rai 3 domenica 9 febbraio 2014 ha dedicato la puntata di "Persone" , approfondimento del TG3, registrata in occasione della messa in scena di "Ricchi di cosa?" all'interno dell'Edge festival Teatro/carcere.
Il link è :
La
prossima data di "Ricchi di cosa e poveri di cosa" sarà il
15 marzo allo Spazio Har Baje, via Zuretti 47, nella stessa via dove
è stato ucciso un
ragazzo africano di 19 anni, per avere rubato un pacco di dolciumi da
un chiosco. Abba. Dopo il reading ci sarà una cena africana.
Le
nuove storie di resistenza al femminile di Livia Grossi saranno in
scena per la prima volta allo Spazio Oberdan, di Milano il 19 marzo
ore 20.15. per il festival Sguardi Altrove.