di R. Demopoulos (da Il manifesto.it)
Estintori
«sparati» sui migranti, per lo più siriani e afgani.
Manganelli sguainati senza tanti complimenti.
Scene di puro panico intorno allo stadio, trasformato
in centro d’identificazione.
A
Kos (isola di 30 mila abitanti concentrati nella
capitale) ieri è esplosa la violenza covata da
settimane. La miccia era stata innescata da un
episodio accaduto il giorno prima davanti al
commissariato di polizia: un pakistano
minacciato e schiaffeggiato da un agente, subito
sospeso. Ma la pressione ora è tale da far dire al
sindaco di Coo, Giorgos Kyritsis, che «se non
verranno presi subito rimedi efficaci, la situazione
sfuggirà di mano e scorrerà il sangue».
A maggior ragione, sull’onda delle cariche allo
stadio si è materializzato il «rischio di
una strage» (sempre parole del sindaco) nel porto dove
ormai sono ammassate non meno di 7 mila fra donne, uomini
e bambini sbarcati nell’isola. Inutili gli
appelli lanciati verso Atene, per altro senza risorse, che ha
invocato l’intervento dell’Ue.
Sta di fatto che l’Unhcr, agenzia delle Nazioni Unite, definisce drammatica la situazione: scorte di acqua e medicinali insufficienti; accoglienza ormai ai minimi termini; richiedenti asilo balzati al più 750% rispetto ad un anno fa. Conferma To Vima online: con un ritmo di 6– 800 arrivi al giorno, le autorità locali non sono più in grado di reggere l’emergenza. Di qui la richiesta di schierare le forze speciali, provvedendo anche al trasferimento della maggioranza dei migranti presenti. Ma ci sono due problemi ora insormontabili: da una parte l’identificazione, visto ciò che è accaduto ieri intorno allo stadio e dall’altra il pattugliamento delle coste, a 23 chilometri dalla Turchia, dove i migranti arrivano a bordo di piccoli gommoni.
Sta di fatto che l’Unhcr, agenzia delle Nazioni Unite, definisce drammatica la situazione: scorte di acqua e medicinali insufficienti; accoglienza ormai ai minimi termini; richiedenti asilo balzati al più 750% rispetto ad un anno fa. Conferma To Vima online: con un ritmo di 6– 800 arrivi al giorno, le autorità locali non sono più in grado di reggere l’emergenza. Di qui la richiesta di schierare le forze speciali, provvedendo anche al trasferimento della maggioranza dei migranti presenti. Ma ci sono due problemi ora insormontabili: da una parte l’identificazione, visto ciò che è accaduto ieri intorno allo stadio e dall’altra il pattugliamento delle coste, a 23 chilometri dalla Turchia, dove i migranti arrivano a bordo di piccoli gommoni.
E
la tensione cresce di giorno in giorno, al punto che si
ripetono anche le risse fra gli stessi migranti. Sopravvivono
in tenda nei giardini pubblici, nelle piazzette
e ovunque trovino riparo alternativo alla
spiaggia dove mettono piede. Ieri era stato predisposto
il trasferimento allo stadio per procedere
con l’identificazione, ma circa 1.500 migranti accalcati sono
diventati ingestibili. Di qui gli scontri, le
manganellate e gli estintori usati come
«armi» nei confronti della folla. Insomma, Kos è davvero
una bomba ad orologeria già pronta a deflagare
con effetti imprevedibili. Il Dodecanneso,
del resto, si è rapidamente trasformato
nella rotta d’accesso all’Europa. Da sabato scorso, il flusso dei
migranti ha assunto dimensioni più che straordinarie:
la guardia costiera greca ha dovuto intervenire
a soccorrere quasi 1.500 profughi a largo
delle isole di Agathonisi, Lesbos, Samos, Chios e Kos.
E da lunedì quella che già era un’emergenza si
è trasformata in una catastrofe umanitaria,
che potrebbe dilagare in un’ecatombe in assenza
dell’indispensabile «governo» del fenomeno.
Kos,
dunque, com’è stata Lampedusa in Italia
e com’è diventata Calais con l’Eurotunnel tappa
dell’esodo verso la Gran Bretagna. E di nuovo si
ascoltano racconti identici: migranti che pagano il
«biglietto» della mafia turca che organizza l’attraversamento
del braccio di mare fino al Dodecanneso. Gente che
scappa dalla guerra civile che dilania la Siria e altri che
si sono «incamminati» dall’Afghanistan, scegliendo
l’itinerario via mare alternativo ai Balcani.
Nelle giornate drammatiche, si segnala anche la vacanza in barca di una famiglia italiana che di notte interviene per soccorrere i migranti. Carlotta Dazzi, marito e due figli si prodigano senza sosta. Lei è abituata, da volontaria, ai migranti che affollano il mezzanino della stazione di Milano Centrale.
Nelle giornate drammatiche, si segnala anche la vacanza in barca di una famiglia italiana che di notte interviene per soccorrere i migranti. Carlotta Dazzi, marito e due figli si prodigano senza sosta. Lei è abituata, da volontaria, ai migranti che affollano il mezzanino della stazione di Milano Centrale.
Nell’ultimo
week end, invece, con il resto della famiglia ha garantito
l’approdo ad una cinquantina di profughi. Erano
sugli scogli, senza distinguere la spiaggia dal mare.
Sono state le urla terrorizzate dei bambini
a svegliare Carlotta e la famiglia che
dormivano nella baia
di Ormos Vathi. Grazie al loro aiuto, i migranti hanno
potuto raggiungere Pserimos e rifocillarsi
prima di capire dov’erano sbarcati, rispetto a Kos che
era la loro mèta.
«Sempre
sabato, oltre ai siriani che abbiamo soccorso, abbiamo visto una
trentina di altri profughi che immagino fossero
a bordo di altri gommoni» racconta Carlotta,
«C’era chi aveva percorso a piedi sentieri
nell’isola per mezza giornata, prima di riuscire ad
orientarsi. Le loro testimonianze parlano di un
“viaggio” cominciato a Bodrum, in Turchia.
E raccontano di aver dovuto pagare alla mafia turca
1.300 dollari a persona. È la cifra che si
spende per un’intera vacanza in Grecia…».