martedì 1 aprile 2014

Omicidio e lavoro nero

Foto Il Messaggero


Il nome della fabbrica tessile era italiano: “Teresa moda”, ma vi lavoravano, in nero e in condizioni disumane, tanti cinesi.

Situata nella chinatown di Prato, il 1 dicembre 2013, la fabbrica con i suoi capannoni andò in fumo e, nel rogo, persero la vita sette operai e due furono ustionati gravemente. Dopo mesi di indagini, le forze dell'ordine hanno arrestato, nei giorni scorsi, cinque persone: due italiani e tre cinesi. Questi ultimi erano i gestori del laboratorio diventato una trappola mortale, ma erano anche genitori di un bambino di quattro anni e, tutti e tre insieme, vivevano nel laboratorio stesso, tra materiale tossico e sostanze chimiche. Per loro le accuse sono di omicidio plurimo colposo. I due italiani, proprietari della fabbrica, Giacomo e Massimo Pellegrini, si trovano agli arresti domiciliari per abuso edilizio.  

All'epoca dei fatti, l'ex Ministro per l'Integrazione (quando ancora esisteva questo ministero), Cècile Kyenge, scrisse su twitter: “Il mio pensiero è per la tragedia di Prato. Grave la violazione della dignità umana dei lavoratori cinesi”.          
Foto tg24.sky.it

Cinesi che sfruttavano, quindi, altri connazionali con la complicità degli italiani: tutti indagati anche per disastro colposo, omissione delle norme di sicurezza sul lavoro e uso di mano d'opera irregolare.

Gli inquirenti hanno, dunque, iniziato a dare una risposta concreta all'appello che, il giorno dopo l'accaduto, Giorgio Napolitano aveva rivolto al presidente della giunta regionale toscana: “ Indirizzo ai rappresentanti della comunità cinese e alla città di Prato”, si legge nella lettera del capo dello Stato, “l'espressione dei miei sentimenti di umana dolorosa partecipazione per le vittime della tragedia del rogo. Condivido la necessità da lei posta con forza, di un esame sollecito e complessivo della situazione che ha visto via via crescere a Prato un vero e proprio distretto produttivo nel settore delle confezioni, in misura però non trascurabile caratterizzato dalla violazione delle leggi italiane e dei diritti fondamentali dei lavoratori ivi occupati...Al di là di ogni polemica o di una pur obiettiva ricognizione delle cause che hanno reso possibile il determinarsi e il permanere di fenomeni abnormi, sollecito a mia volta un insieme di interventi concertati a livello nazionale, regionale e locale per far emergere, da una condizione di insostenibile illegalità e sfruttamento, senza porle irrimediabilmente in crisi, realtà produttive e occupazioni che possono contribuire allo sviluppo economico toscano e italiano”.