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Il nome
della fabbrica tessile era italiano: “Teresa moda”, ma vi
lavoravano, in nero e in condizioni disumane, tanti cinesi.
Situata
nella chinatown di Prato, il 1 dicembre 2013, la fabbrica con i suoi
capannoni andò in fumo e, nel rogo, persero la vita sette operai e
due furono ustionati gravemente. Dopo mesi di indagini, le forze
dell'ordine hanno arrestato, nei giorni scorsi, cinque persone: due
italiani e tre cinesi. Questi ultimi erano i gestori del laboratorio
diventato una trappola mortale, ma erano anche genitori di un bambino
di quattro anni e, tutti e tre insieme, vivevano nel laboratorio
stesso, tra materiale tossico e sostanze chimiche. Per loro le accuse
sono di omicidio plurimo colposo. I due italiani, proprietari della
fabbrica, Giacomo e Massimo Pellegrini, si trovano agli arresti
domiciliari per abuso edilizio.
All'epoca
dei fatti, l'ex Ministro per l'Integrazione (quando ancora esisteva
questo ministero), Cècile Kyenge, scrisse su twitter: “Il mio
pensiero è per la tragedia di Prato. Grave la violazione della
dignità umana dei lavoratori cinesi”.
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Cinesi
che sfruttavano, quindi, altri connazionali con la complicità degli
italiani: tutti indagati anche per disastro colposo, omissione delle
norme di sicurezza sul lavoro e uso di mano d'opera irregolare.
Gli
inquirenti hanno, dunque, iniziato a dare una risposta concreta
all'appello che, il giorno dopo l'accaduto, Giorgio Napolitano aveva
rivolto al presidente della giunta regionale toscana: “ Indirizzo
ai rappresentanti della comunità cinese e alla città di Prato”,
si legge nella lettera del capo dello Stato, “l'espressione dei
miei sentimenti di umana dolorosa partecipazione per le vittime della
tragedia del rogo. Condivido la necessità da lei posta con forza, di
un esame sollecito e complessivo della situazione che ha visto via
via crescere a Prato un vero e proprio distretto produttivo nel
settore delle confezioni, in misura però non trascurabile
caratterizzato dalla violazione delle leggi italiane e dei diritti
fondamentali dei lavoratori ivi occupati...Al di là di ogni polemica
o di una pur obiettiva ricognizione delle cause che hanno reso
possibile il determinarsi e il permanere di fenomeni abnormi,
sollecito a mia volta un insieme di interventi concertati a livello
nazionale, regionale e locale per far emergere, da una condizione di
insostenibile illegalità e sfruttamento, senza porle
irrimediabilmente in crisi, realtà produttive e occupazioni che
possono contribuire allo sviluppo economico toscano e italiano”.